La donna nel medioevo

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Testo

Zambon Elisa
Saggio breve per le vacanze estive 2006

L’immagine della donna e gli effetti che essa produce su tutto ciò che la circonda sono in continuo cambiamento come lo sono sempre stati, e nondimeno in persistente mutamento è la concezione che soprattutto i poeti hanno ed hanno avuto di questa figura femminile oltre che dell’amore: quest’ultimo può essere visto da qualcuno come passione carnale proibita, da qualcun altro come mezzo di spiritualizzazione; prenderò ora in esame gli autori vissuti dal periodo feudale al 1300, cominciando quindi da R. D’Aurenga per arrivare a Boccaccio.
D’Aurenga, trovatore della lirica cortese del dodicesimo secolo, esalta questo sentimento come passione inarrestabile anche se proibita prendendo a modello il comportamento di Tristano e Isotta come viene detto in un suo testo: “[...] Tristano, quando glielo diede Isotta gentile e bella, non poté altro fare; e io amo la mia donna con un patto da cui non posso ritirarmi” (R. D’Aurenga, da Armellini-Colombo, “La letteratura italiana”); da queste parole si capisce anche il rapporto fra la donna ed il poeta: vi è un patto fra di loro come pure fra un signore ed il suo vassallo, fra il padrone ed il suo servo (R. D’Aurenga, da Armellini-Colombo, “La letteratura italiana”: “ Della mia donna ho fatto mio signore”, “per la mia dama, che io servo perché è la più bella del mondo”).
Da questo stesso testo si possono carpire altri particolari come ad esempio che l’amore che il poeta prova per la sua signora è così segreto che l’oggetto delle sue sensazioni non ne è a conoscenza (“credo ch’ella sia ben disposta verso di me, a quel che credo”), ed anche che, come già detto è un amore molto passionale (“Avrò, signora, un grande onore se da voi ma sarà concesso il privilegio che sotto una coperta vi tenga nuda abbracciata”).
Molti di questi aspetti seguono fra l’altro i dodici comandamenti del codice dell’amor cortese scritte nel “De amore” di A. Cappellano quali “X. Non rivelare il segreto degli amanti. Xll. Nella pratica dei piaceri amorosi non forzare la volontà dell’amante”.
Lo stesso tipo di amore viene descritto da Ch. De Troyes fra Lancillotto e la regina (Ch. De Troyes, “Lancillotto”: “Ora Lancillotto ha quanto desiderava: la regina non vuole altro che la sua compagnia e il piacere che gliene deriva, ed egli la tiene tra le braccia mentre ella lo stringe con le proprie. [...] Per l’intera notte Lancillotto godette di ogni gioia e di ogni piacere”) ma il rapporto fra i due non è di vassallaggio, la donna non viene vista come padrona ma piuttosto come “amica”.
A questi concetti, prendendo in esame G. Guinizzelli e soprattutto la canzone dottrinaria “Al cor gentil rempaira sempre amore”, si aggiunge quello della gentilezza, la vera nobiltà che non trova il suo fondamento nell’appartenere ad una stirpe illustre bensì nelle doti morali e intellettuali dell’individuo che a loro volta sono essenzialmente delle qualità naturali, e che sola, secondo quanto detto anche da molti altri poeti, permette all’amore di albergare nel cuore che ne è pieno (Ch. De Troyes, “Lancillotto”: “Il suo cuore continuava a tornare là dove era rimasta la regina, né egli aveva il potere di ricondurlo a sè [...]. Così il corpo si allontana, ma il cuore rimane”; A. Cappellano, dal “De amore”: “V. Ricordati di evitare assolutamente la menzogna. lX. Non devi essere maldicente. Xl. In ogni cosa cerca di essere di modi gentili e dignitosi”).
A questo punto, concettualmente, interviene l’amore: solo l’uomo che è naturalmente predisposto al bene può assumere in sè l’amore ed in ciò sta la grande novità guinizzelliana; l’amore è concepito come un processo tutto interiore, spirituale, di ingentilimento e di perfezionamento morale che si attua in chi è naturalmente predisposto a viverlo.
Per quanto riguarda la rappresentazione della figura femminile, Guinizzelli è precursore dell’immagine della donna-angelo, implicazione filosofica che caratterizza tutto il movimento stilnovistico: egli inserisce l’immagine della donna in una ordinata e sistematica concezione dell’universo ricorrendo all’analogia dell’attività degli angeli, con ardimento e argomentazioni del tutto lontani dalla poetica strettamente cortese, nella quale invece l’immagine angelica rimane puramente decorativa.
Con questa intuizione poetica l’autore indicava una possibile soluzione dell’ormai urgente problema dei rapporti tra sentimento amoroso e legge morale, tra poetica ed etica, gravemente inficiati nella concezione dell’amor cortese che rimane amore carnale ed extra-matrimoniale; da notare è tuttavia che non c’è ancora l’oggettivazione analogica, persiste la distinzione tra umano e divino, ma la strada è comunque aperta.
Il tutto viene stravolto nella poesia comica: l’amore è carnale e sensuale, fonte di continui scontri e litigi; la donna appare avida, lussuriosa, traditrice, aggressiva quando prende parola, astuta, infedele, ha iniziativa tanto che avviane uno scambio di ruoli in quanto ora è la donna che arde e spasima e non viene più idealizzata come figura dalla sublime bellezza (R. Di Filippo, “21”: “Dovunque vai con teco porti il cesso, oi buggeressa vecchia puzzolente, che qualunque persona ti sta presso si tura il naso e fugge immantenente...”).
Fortunatamente il tutto viene ristabilito grazie allo Stilnovo con Dante Alighieri in particolare nel sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” (D. Alighieri, dalla “Vita nova”, cap. XXVl): la femmina torna immagine di gentilezza, onestà d’animo e straordinaria bellezza (“Mostrasi sì piacente a chi la mira”; D. Alighieri, dalle “Rime petrose”: “biondi capelli, [...] belle trecce, [...] occhi, ond’escono le faville che m’infiammano il cor”); la sola visione di lei ammutolisce chiunque (“ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare”),è oggetto di ogni lode (“sentendosi laudare”) e mezzo concreto per il contatto fra il terreno ed il divino (“e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare”).
Sempre con Dante nella Divina Commedia c’è una grande novità: per al prima volta una donna, Francesca, espone dei fatti di prima persona;qui cambia anche il sentimento d’affetto: l’amore di cui egli parla non è già più il nobile sentimento cantato dagli stilnovisti, ma la furiosa passione generatrice di dolore, morte e dannazione.
Paolo e Francesca come pure Lancillotto e Ginevra sono nobili legati da profonda passione, entrambi destinati a una relazione di alto livello ma al di fuori dei vincoli sacri: la tragica causa della rottura e del peccato è la letteratura cortese, e Dante la accusa direttamente,col distico finale del discorso di Francesca dei versi 137-138 (D. Alighieri, “Inferno”, canto V: “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante”); tutta la letteratura che con nefasta leggerezza esalta qualsialsi unione d’amore, anche se evidentemente peccaminosa, viene compresa in questo atto d’accusa.
In particolare, naturalmente, i romanzi del ciclo arturiano, ma anche la poesia cortese e lo stilnovo stesso, quando attribuiscono importanza tale al sentimento amoroso da offuscare la vera meta dell’amore dell’uomo: Dio; invece, la sostanza del pensiero stilnovistico, vale a dire l’esaltazione delle qualità spirituali dell’uomo e la capacità della donna di essere un veicolo che conduce a Dio, viene salvata.
Con Petrarca ed il suo Canzoniere si apre un nuovo capitolo, quello dell’amore impossibile, impossibilità questa dovuta al profondo dissidio interiore al poeta provocato dal conflitto tra desiderio e morale, tra passione e ragione, tra tensione verso l’autorealizzazione e impotenza a raggiungerla; l’esperienza d’amore è subito caratterizzata come infelice e dolorosa.
Anche lui si rifà ai modi tipici della tradizione cortese e stilnovistica nella rappresentazione della donna, nella descrizione degli effetti della sua presenza, vissuta come esperienza esaltante; ma l’immagine della donna-angelo (divenuta vera e propria in Dante) torna ad essere semplice metafora della bellezza femminile, priva di ogni riferimento religioso.
Infine Boccaccio:in lui le donne per la prima volta acquistano dignità di personaggi e non sono più solo l’oggetto ma anche il soggetto del desiderio; la donna del Decameron non è più la donna-angelo: è la donna borghese, che unisce la naturalità del popolo alla nobiltà d’animo cortese, l’amore all’intelligenza e all’ingegno. L’amore non è un sentimento facile, non esiste senza il coinvolgimento del corpo, va contro l’onestà molto spesso e infrange ogni legge morale; il tutto è reso più complicato dalla paura del giudizio altrui, dal timore di perdere fama e considerazione nella società, dalla preoccupazione ad esempio che gli appartenenti a due classi sociali possano innamorarsi (cosa che avviene in più novelle del Decameron).
A questi problemi la figura femminile reagisce in modi diversi a seconda del carattere: la principessa Ghismunda, protagonista della novella della quarta giornata del Decameron “Tancredi e Ghismunda”, trova il coraggio di ribellarsi consapevolmente al padre che ha ucciso il paggio dal cuore gentile di cui lei si era innamorata, ma altre femmine come Lisabetta da Messina non hanno la stessa forza e l’unica cosa che possono fare è tenere per sè il proprio dolore e piangere in silenzio.
Con ciò ho finito la mia analisi della donna e del sentimento d’amore, ed ho dimostrato come esso sia cambiato in forma, espressione e concezione nel corso degli anni.

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