La Coscienza di Zeno, I. Svevo

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano
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Data:06.04.2007
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Testo

Prefazione
Io sono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta con parole poco lusinghiere. Chi di psico–analisi s'intende, sa dove piazzare l'antipatia che il paziente mi dedica.
Di psico–analisi non parlerò perché qui entro se ne parla già a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto il mio paziente a scrivere la sua autobiografia; gli studiosi di psico–analisi arriccerranno il naso a tanta novità. Ma egli era vecchio ed io sperai che in tale rievocazione il suo passato si rinverdisse, che l'autobiografia fosse un buon preludio alla psico–analisi. Oggi ancora la mia idea mi pare buona perché mi ha dato dei risultati insperati, che sarebbero stati maggiori se il malato sul più bello non si fosse sottratto alla cura truffandomi del frutto della mia lunga paziente analisi di queste memorie.
Le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia però ch'io sono pronto di dividere con lui i lauti onorarii che ricaverò da questa pubblicazione a patto egli riprenda la cura. Sembrava tanto curioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch'egli ha qui accumulate!...
Dottor S.

Preambolo
Vedere la mia infanzia? Più di dieci lustri me ne separano e i miei occhi presbiti forse potrebbero arrivarci se la luce che ancora ne riverbera non fosse tagliata da ostacoli d'ogni genere, vere alte montagne: i miei anni e qualche mia ora.
Il dottore mi raccomandò di non ostinarmi a guardare tanto lontano. Anche le cose recenti sono preziose per essi e sopra tutto le immaginazioni e i sogni della notte prima. Ma un po' d'ordine pur dovrebb'esserci e per poter cominciareab ovo, appena abbandonato il dottore che di questi giorni e per lungo tempo lascia Trieste, solo per facilitargli il compito, comperai e lessi un trattato di psico–analisi. Non è difficile d'intenderlo, ma molto noioso.
Dopo pranzato, sdraiato comodamente su una poltrona Club, ho la matita e un pezzo di carta in mano. La mia fronte è spianata perché dalla mia mente eliminai ogni sforzo. Il mio pensiero mi appare isolato da me. Io lo vedo. S'alza, s'abbassa... ma è la sua sola attività. Per ricordargli ch'esso è il pensiero e che sarebbe suo compito di manifestarsi, afferro la matita. Ecco che la mia fronte si corruga perché ogni parola è composta di tante lettere e il presente imperioso risorge ed offusca il passato.
Ieri avevo tentato il massimo abbandono. L'esperimento finì nel sonno più profondo e non ne ebbi altro risultato che un grande ristoro e la curiosa sensazione di aver visto durante quel sonno qualche cosa d'importante. Ma era dimenticata, perduta per sempre.
Mercé la matita che ho in mano, resto desto, oggi. Vedo, intravvedo delle immagini bizzarre che non possono avere nessuna relazione col mio passato: una locomotiva che sbuffa su una salita trascinando delle innumerevoli vetture; chissà donde venga e dove vada e perché sia ora capitata qui!
Nel dormiveglia ricordo che il mio testo asserisce che con questo sistema si può arrivar a ricordare la prima infanzia, quella in fasce. Subito vedo un bambino in fasce, ma perché dovrei essere io quello? Non mi somiglia affatto e credo sia invece quello nato poche settimane or sono a mia cognata e che ci fu fatto vedere quale un miracolo perché ha le mani tanto piccole e gli occhi tanto grandi. Povero bambino! Altro che ricordare la mia infanzia! Io non trovo neppure la via di avvisare te, che vivi ora la tua, dell'importanza di ricordarla a vantaggio della tua intelligenza e della tua salute. Quando arriverai a sapere che sarebbe bene tu sapessi mandare a mente la tua vita, anche quella tanta parte di essa che ti ripugnerà? E intanto, inconscio, vai investigando il tuo piccolo organismo alla ricerca del piacere e le tue scoperte deliziose ti avvieranno al dolore e alla malattia cui sarai spinto anche da coloro che non lo vorrebbero. Come fare? È impossibile tutelare la tua culla. Nel tuo seno — fantolino! — si va facendo una combinazione misteriosa. Ogni minuto che passa vi getta un reagente. Troppe probabilità di malattia vi sono per te, perché non tutti i tuoi minuti possono essere puri. Eppoi — fantolino!— sei consanguineo di persone ch'io conosco. I minuti che passano ora possono anche essere puri, ma, certo, tali non furono tutti i secoli che ti prepararono.
Eccomi ben lontano dalle immagini che precorrono il sonno. Ritenterò domani.
Il fumo
Zeno inizia a fumare per rivaleggiare con il padre, con il quale non ha mai avuto buoni rapporti. Si convince però che il fumo potrebbe seriamente danneggiare la sua salute, e decide di smettere, ma "passerà il resto della sua vita a fumare l'ultima sigaretta". Purtroppo nessuno riesce a guarirlo dal suo vizio, così chiede aiuto ad una clinica specializzata, dalla quale fugge però il giorno dopo. Zeno in questa situazione pone il fumo come causa stessa del suo male congenito, cerca quindi di sbarazzarsene, ma finisce per nascondercisi inconsciamente dietro, con la paura che se avesse smesso di fumare il suo malessere non gli sarebbe passato, si sarebbe quindi dovuto
convincere che egli stesso era la causa dei suoi mali; preferì perciò fingere di voler smettere.
La morte di mio padre
Il capitolo inizia col ricordo del genitore, seguito a ruota dalla narrazione degli eventi dal suo ultimo colloquio col padre fino alla sua morte. Ultimo colloquio, che, purtroppo per Zeno, non riesce a far esprimere a nessuna delle due "fazioni" i propri sentimenti verso l'altra, anche se di una erano già noti. Zeno si sveglia la mattina dopo e già trova il padre diverso dal solito, sensazione che verrà confermata dopo, quando scoprirà che il padre è malato. Per via del delirio e dell'incoscienza di quest'ultimo, non riesce a comunicargli i suoi veri sentimenti, in questo riesce invece il padre, che, al momento della morte, alza la mano "alta alta" e gli dà uno schiaffo. Tutti parlano di riflesso meccanico, ma il ricordo di quello schiaffo Zeno se lo porterà dietro per sempre. La scomparsa del padre rappresentò, infatti, la scomparsa dell'antagonista concreto col quale misurarsi per mettere in luce le proprie capacità. Il rimorso per la morte del
padre vien vista da Zeno come un ulteriore rincaro alla sua malattia.
La storia del mio matrimonio
Zeno, per affari, conosce il sig. Malfenti, col quale entra in buoni rapporti, viene quindi invitato in casa sua, dove conosce le sue quattro figlie, delle quali la più bella gli sembra Ada, con la quale, però, si comporta piuttosto goffamente, e viene quindi respinto. Ne parla quindi con la sig.ra Malfenti, ma questa situazione non fa altro che allontanarlo dalla casa del suo collega, ove ritornerà dopo cinque giorni. Ritornando, poi, nella casa dell'amata, la incontra con Guido Speier, che in quel momento sta suonando il violino, e Zeno non perde l'occasione per fare una brutta figura. "Per caso", si sposa con Augusta, una delle sorelle di Ada, che non ama, ma dalla quale è amato. Dovrà ripiegare infatti su Augusta, in quanto con la prima si era comportato piuttosto goffamente. Prima del matrimonio, Zeno glielo dichiara chiaramente, ma questa acconsente ugualmente. Zeno in questo capitolo si sente un po' vittima del caso, che gli impedisce di sposare la donna amata, e che, per una serie di circostanze, gli fa sposare quella che non ama. Per lui il matrimonio assume tutta una nuova serie di significati. Benché il matrimonio sia risultato sostanzialmente felice, Zeno riconosce che l'atteso
"rinnovamento interiore" non è che un'illusione: la moglie non cambierà certo il suo consorte.
La moglie e l'amante
Dopo i primi tempi di matrimonio, Zeno si accorge, inaspettatamente, di amare Augusta, e la considera un po' come la sua protettrice; questa piacevole situazione dura fino a quando Zeno rivede un suo vecchio compagno di università, Copler, il quale lo invita a dedicarsi con lui alla beneficenza, e più precisamente ad apportare un aiuto economico a Carla, una giovanissima cantante. Quando Copler invita Zeno a giudicare il canto di Carla, egli comincia a desiderarla, fino a quando Carla diventa la sua amante, incitata da Zeno a migliorarsi nel canto nei suoi momenti di sconforto. Per farle migliorare la voce, assume per l'amante un maestro di canto, del quale però Carla si innamora, fino a lasciare Zeno, che cade in una profonda desolazione. Nel racconto della sua avventura Zeno oscilla tra l'atteggiamento di aperta confessione e la ricerca di una giustificazione qualsiasi. Mentre si confessa, egli vuol apparire agli altri ed a se stesso (riuscendoci) innocente e puro, parole che costituiscono l'intera anima della sua storia d'amore. Per quanto riguarda le giustificazioni, invece, quella da lui più accreditata era di non amare Augusta, perché quindi avrebbe dovuto provare rimorso? Infine in lui non mancò del tutto la resistenza al peccato, in quanto non giunse a Carla "in uno slancio solo, ma a tappe". Zeno ricorda, inoltre, che quando si trova tra le mani, per puro caso, il trattato di canto da donare a Carla, è "costretto" dalla moglie a portarglielo. Intanto egli considera la
colpa come un avanzamento della malattia, mentre l'innocenza gli si configura come salute.
Storia di un'associazione commerciale
Quando Guido (divenuto il marito di Ada) decide di mettersi in affari, aprendo una casa commerciale, coinvolge Zeno, ed assume una segretaria, Carmen. Guido, su consiglio di alcuni affaristi inglesi, compra del solfato di rame, poi lo avrebbe rivenduto quando il prezzo sarebbe salito, ma invece di seguire i buoni consigli fa di testa sua e vende subito il prodotto, contraendo una grave perdita. Intanto si manifesta un menefreghismo da entrambe le parti verso l'agenzia, e sono i primi passi verso la rovina. Nel frattempo Ada dà alla luce due gemelli, e viene colta da una malattia che la fa progressivamente imbruttire, Guido diventa l'amante di Carmen. Quindi l' "affarista" non accetta I consigli di dichiarare bancarotta, con la conseguenza dell'annullamento dei debiti, e sia Ada che Augusta si preoccupano non poco per la situazione. La prima per la quella economica, la seconda anche perché Zeno aveva deciso di fare un consistente prestito a Guido. Non sapendo cosa fare, Guido attua una subdola strategia che lo aveva portato precedentemente al suc*****: ingerisce un potente sonnifero, il Veronal, che, se assunto in dosi elevate, poteva apportare non indifferenti danni all'organismo, e c'era anche l'eventualità della morte. Eventualità che si verifica per caso, in quanto Guido voleva solo fingere di essere in punto di morte, per avere affetto. Zeno comincia quindi a lavorare per due, al posto di Guido, e proprio per questa ragione si dimentica completamente del funerale del collega- amico, e per questo Ada lo disprezza, ma è vista da Zeno come un'ingrata. Però questi non ha occasione per farglielo capire, in quanto Ada parte per l'Argentina. Zeno, di fronte alla disgrazia capitata all'amico si accorge dell'originalità della vita: fino ad allora egli aveva considerato il luogo comune che definisce la vita come crudele giusto, ora invece lo rivaluta e si accorge che è impossibile definire ciò che è bene e ciò che è male: ricorda, infatti, di quando, da piccolo, amici e parenti davano giudizi contrastanti su di lui, che chiedeva alla madre: "ma sono stato buono o cattivo, io?" questo stesso dilemma che lo attanagliava da bambino lo perseguita anche ora, a distanza di trent'anni. Quindi secondo Zeno "la vita non è ne' brutta ne' bella, ma è originale!". A questa riflessione Zeno è indotto dalla situazione che doveva sopportare, che lo vedeva nel ruolo opposto a quello che aveva sempre
sostenuto, a cominciare dal padre per terminare con Ada, che lo definisce ora "il miglior uomo della famiglia".
Psico-analisi
Quest'ultimo capitolo delle sue memorie Zeno lo scrive sotto una luce diversa da quella sotto la quale si trovava negli altri: riconosce che il Dottor S. non lo aveva guarito affatto, e gli manda quest'ultima parte dei suoi ricordi per fargli capire cosa ne pensasse della sua cura; e si fa curare da "un medico vero, di quelli che esaminano il corpo quando si ammala", che lo trova in perfetta salute. Intanto siamo arrivati nel 1915, quando l'Italia entra nel primo conflitto mondiale, e la villa di Zeno si trova proprio al confine tra Austria e Italia, quindi gli viene impedito di entrarvi, e verrà trasferito con la sua famiglia a Trieste, dove constaterà su se stesso gli effetti della guerra: si ritiene fortunato in primo luogo perché si è disfatto della sua malattia, e guarda il mondo con occhi diversi, perché si considera fortunato in mezzo alle brutture della guerra. L'ultimo capitolo rende esplicita la concezione pessimistica della vita di Svevo, prima velata dall'autoironia sulla malattia di Zeno. Quella malattia quindi è considerata come attributo inscindibile alla vita, che quindi diventa a sua volta "malattia", sempre mortale. In un certo qual modo così non è per Zeno, che dalla guerra (che, per quanto ne possa dire Zeno, può essere considerata per una buona parte appartenente al "male"), trae la sua guarigione. Questo strumento di cura, crudele, sottolinea ancora una volta il pessimismo dell'autore. Nell'ultima parte del libro Zeno trasferisce, inoltre, la sua malattia dal suo privato a tutta la società, soprattutto a quella del suo tempo, facendole assumere dimensioni cosmiche.

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