Italo Svevo

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano

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Testo

ITALO SVEVO
Aron Hector Schmitz nacque a Trieste nel 1861. Lo pseudonimo Italo Svevo, richiama ad una realtà multiculturale presente in Trieste, dove si fondono la cultura italiana e tedesca.
Italo Svevo nacque in una famiglia di imprenditori di origine ebraica.
Fallita l’impresa del padre, nel 1880 cominciò a lavorare nella Banca Union.
Nel 1896 sposò la cugina Livia Veneziani.
Nel 1899 entrò nell’impresa del suocero dove divenne un bravo imprenditore.
La sua formazione letteraria fu influenzata dall’amicizia con lo scrittore irlandese James Joyce, da Freud e Darwin.
Svevo cominciò a pubblicare i suoi romanzi a sue spese, ma riuscì ad ottenere, dopo molti anni, successo all’estero grazie all’amicizia con Joyce e Montale.
Svevo morì nel 1928 in un incidente stradale.

Percorso letterario
La vita, la formazione e la produzione culturale di Svevo si svolgono a Trieste. Fino alla fine della Prima Guerra Mondiale è parte dell’Impero asburgico.
La popolazione italiana è in maggioranza. Quella tedesca è nella burocrazia e nell’alta-borghesia. E’ presente anche una componente greco-levatina dedicata al commercio, e una comunità ebraica.
Gli elementi che tengono insieme questi popoli sono due: l’intensa attività mercantile che fa di Trieste lo snodo commerciale tra Italia, Europa centrale, mondo balcanico e Oriente; spirito definito con Mercurio, dio dei commerci; e la vivacità culturale, spirito definito con Apollo, dio della arti.
Il giovane Svevo vive da borghese, ma studia, scrive, si interessa alla musica e al teatro. E’ insomma triestino a tutti gli effetti.
In Trieste c’è anche la crisi, col nazionalismo che si scontra con l’apparato asburgico-tedesco, e con le organizzazioni di ispirazione socialista che mettono in discussione lo spirito borghese della città.
A Trieste è presente la crisi della ragione e Svevo vi è coinvolto.
Questo può spiegare in parte la collocazione marginale di Svevo rispetto alla letteratura italiana e il tardivo riconoscimento delle sue opere.
Bisogna anche considerare che egli è un imprenditore e non un letterato di professione, ma un’autodidatta. Egli usa la scrittura come forma di terapia.
Svevo è un borghese con la mania della scrittura, diverso, quindi, dalla figura dell’intellettuale distaccato dalla società, senza delinearsi come una figura eccezionale come erano considerati i letterati.

Tra l’82 e l’84 avviene l’incontro con la filosofia di Schopenhauer e l’avvicinamento all’inconscio.
Schopenhauer aveva individuato la “volontà”. L’uomo è mosso da questa inconsapevole pulsione a vivere ed è costretto a oscillare dolore e noia. Dolore, in quanto la volontà spinge verso il piacere, ma nessun piacere può soddisfare tale pulsione infinita; dopo un breve appagamento torna il desiderio e l’uomo resta insoddisfatto; noia, perché nulla può placare il desiderio al piacere e cresce il sentimento dell’indifferenza. L’unica salvezza sta nel reprimere la volontà di vivere, evitando il coinvolgimento delle passioni.
Svevo si spinge verso l’analisi dell’interiorità.

Svevo, sul quotidiano l’Indipendente, scrive il racconto L’assassinio di via Belpoggio. Giorgio lavora come facchino per sopravvivere; un compagno di osteria gli affida per qualche istante un mazzo di banconote e qui scatta il raptus omicida. Il racconto si concentra sui pensieri del protagonista anziché sulle sue azioni.

Svevo pubblica nel 1892 il romanzo Una vita.
*
Per Svevo la scrittura è una forma di terapia, che gli evita di commettere gli stessi errori dei suoi personaggi che sono quasi dei suoi alter ego. Infatti, egli, al contrario di Nitti, si sposa.

Svevo scrive La tribù, dove parla di una popolazione che, progredendo socialmente, vede solamente crearsi una stratificazione sociale tra gli abitanti. Questo ad esprimere i dubbi che Svevo ha sul progresso umano, sull’industrializzazione.

Svevo pubblica nel 1898 il romanzo Senilità.
**
Ora Svevo evita l’errore di Brentani di vivere la vita attraverso la letteratura e, dopo l’ennesimo fallimento, la abbandona.

Tra il 1901 e il 1904 avviene l’incontro con la teoria di Darwin: l’uomo è mosso dalla pulsione a vivere, ma rispetto agli animali ha intelligenza, coscienza. Grazie a ciò, egli devia dal modello di adattamento e selezione proposto da Darwin, perché, attraverso la coscienza, oppone resistenza all’ambiente: invece di modificare il proprio corpo, modifica l’ambiente. Tutte le specie sono sopravvissute adattandosi all’ambiente, l’uomo è rimasto allo stato di “abbozzo”, un “inetto”, nel senso di “non adatto”, ma proprio per questo è sopravvissuto e ha occupato ogni ambiente. La sua inettitudine, intesa come non adattabilità, è stata la sua arma vincente.
Lo scrittore applica questa concezione al sistema sociale, dove sono presenti gli adatti, uomini inseriti nella società, e degli inetti, non specializzati in nulla, ma che sono positivi chiave futura: quando la storia muta l’ambiente, gli specializzati si trovano in difficoltà, mentre gli inetti riescono a trovare spazio nella nuova realtà. L’inettitudine appare anche come una forma di salute.

Nel 1906 Svevo stringe amicizia con Joyce, il quale lo riavvicina alla letteratura dalla quale si era precedentemente allontanato dato i numerosi insuccessi editoriali.

Dal 1908 Svevo entra in contatto con le teorie di Freud col quale ha un rapporto di attrazione e repulsione. Di attrazione, perché Freud conferma la lettura che Svevo aveva fatto di Schopenhauer, dando veste scientifica al fatto che esista un fondo inconscio di agitate pulsioni. Di repulsione, perché Freud si presenta come curatore della malattia, cosa che Svevo ritiene impossibile. La psicanalisi, per Svevo, è più utile alla letteratura che per la scienza.

L’ultima componente della formazione culturale di Svevo è l’ironia come forma di narrazione e di riflessione.

Svevo pubblica nel 1922 il romanzo La coscienza di Zeno.
***
Svevo invia il romanzo a Joyce e ottiene successo all’estero.

Nel 1928 comincia la scrittura di un quarto romanzo, Il vecchione o Le confessioni del vegliardo, ma rimane coinvolto in un incidente stradale.

UNA VITA: L’INDETTITUDINE SCHOPENHAUERIANA
Il romanzo parla di un inetto, Alfonso Nitti, il quale, giunto a Trieste, lavora alla banca Maller. Egli frequenta la biblioteca ed ha sogni di gloria letteraria. In realtà, i sogni gli servono per coprire la sua inettitudine, incapacità di realizzare i suoi obiettivi.
La sorte gli offre la possibilità dell’ascesa sociale: conosce la figlia del proprietario della banca, Annetta, anch’essa amante della letteratura. I due iniziano a scrivere un romanzo e Alfonso riesce a sedurla.
Qui emerge la sua inettitudine: egli non è un “lottatore”, ma un “contemplatore”, non sa impegnarsi nella vita, la sa solo sognare letterariamente. Il giovane, con la scusa della madre malata, fugge e torna in paese, dove trova effettivamente la madre ammalata.
Dopo la morte della madre torna a Trieste con un altro pensiero: la schopenhaueriana “rinuncia”, il reprimere la “volontà”. Alfonso pensa di aver fatto un nobile gesto rinunciando ad Annetta, ma quando questa, sdegnata con Alfonso, si fidanza con un giovane ricco, diventa geloso e avverte il disprezzo che circonda la sua inettitudine.
Viene declassato nel lavoro e inizia a tormentare Annetta con atteggiamento apparentemente ricattatori, che sono reazioni di un altro pensiero: quello di essere vittima di un complotto. Alla fine il fratello di Annetta lo sfida a duello. Alfonso elabora l’ultimo delirio eroico: si uccide per lasciare agli altri il rimorso, che nessuno prova. Infatti, il racconto si chiude con un freddo comunicato alla banca. Il suicidio conferma la sua incapacità di stare al mondo.
Alfonso è un perdente perché è dominato da pulsioni inconsce che lo spingono a farsi da parte. A questo il giovane non può reagire con azioni reali, ma con altre, ad esempio il sogno. Però, non appena un sogno sta per avverarsi, egli fugge spaventato.
Tutti questi sono solo autoinganni che servono a giustificare la sua inadeguatezza alla vita.
Il romanzo non è naturalista (non esamina casi clinici e patologici), di formazione (il protagonista non impara nulla, a parte che egli non è modificabile), decadente (il protagonista non si isola in un raffinato mondo di bellezza).
La trama ruota attorno ai pensieri di Alfonso, con ampi monologhi interiori. Il tutto è narrato in terza persona.
La novità consiste nella scelta della comune nevrosi di un uomo qualunque e quindi di tutti gli uomini.
SENILITA’: L’INETTITUDINE INTELLETTUALE
Il protagonista è Emilio Brentani, che Svevo definisce come “fratello carnale” di Alfonso Nitti. Anche Brentani è un modesto impiegato, che, a differenza di Nitti, ha pubblicato un manoscritto, acquistando una certa notorietà, ma così facendo ha soddisfatto il sogno di gloria. A 35 anni si sente già vecchio. La senilità non è la vecchiaia fisica, ma quella dell’anima: Brentani vive senza aspettarsi più nulla dalla vita.
Bretoni ha attraversato la giovinezza non vivendola, evitando coinvolgimenti nella vita e vivendo con la sorella Amalia, mai stata giovane e vitale.
Brentani è scisso in due: uno che ha coscienza dell’inettitudine e l’altro che compensa la vita mancata attraverso una trasfigurazione letteraria.
E’ l’autoinganno attraverso la cultura e per questo si può parlare di inettitudine intellettuale.
Angiolina, popolana incontrata casualmente da Brentani, è l’immagine della vita reale, non di quella pensata: si concede, tradisce, è volgare, si gode la vita. Brentani ne è affascinato, ma non può accettarla perché rappresenta la volontà di vivere.
Egli tenta il contatto con le: ci prova come don Giovanni, trasformandola in donna-angelo, analizzandola scientificamente, rieducandola. Insomma, Brentani si protegge da Angiolina tramite autoinganni intellettuali.
Nessuno di essi funziona e si allontana dalla donna.
La senilità è il nome che Svevo dà alla condizione di chi, da vivo, si è già congedato dall’esistenza del reale, chiudendosi nel sogno di ciò che non è stato. La controfigura di questa inettitudine intellettuale è quella puramente esistenziale della sorella Amalia.
Questa è un inetta che vive senza lasciare traccia e che si preclude anche il sogno. Tuttavia, persino lei si illude, innamorandosi di Balli, amico pittore del fratello, sul quale inizia a fantasticare. Brentani si accorge dell’impossibile desiderio della sorella e chiede a Balli si allontanarsi da lei. Tolto l’oggetto delle sue fantasie, Amalia si rifugia nella droga e usa l’etere fino a morire.
Tutto si svolge filtrato dal sistema di autoinganni costruito dal personaggio.
Alla fine, a morire non è il protagonista, quindi la visione dell’inettitudine di Svevo è una visione meno tragica.
LA COSCIENZA DI ZENO: L’INETTITUDINE SALUTARE
Il romanzo inizia con la premessa di un dottor S., psicoanalista, che fa delle dichiarazioni sul protagonista, Zeno Cosini, il quale racconterà in prima persona.
Il lettore scopre due novità: il romanzo comincia dalla fine, infatti viene detto che il paziente si è sottratto alla cura, considerandosi guarito; e il dottor S. afferma che le memorie sono piene di bugie, facendo saltare la credibilità del racconto.
Nel preambolo ci sono due messaggi. Il primo è caratterizzato da un atteggiamento ironico verso il voler rievocare il passato, e il personaggio non crede all’utilità di questo ricordare: si addormenta, fa sogni insignificanti e se pensa all’infanzia gli viene in mente il nipotino che gli è appena nato.
Il secondo messaggio, che è il tema di fondo del romanzo, è la malattia vista come condizione universale. Anche quell’innocente bambino appena nato si sta preparando inconsapevolmente alla sua malattia e non può farci nulla, perché gli uomini non sono solo figli della loro personale storia, ma si portano dietro il fardello di secoli nei quali la purezza non ha dominato.
La malattia è propria della storia umana.
La terza novità del romanzo è la coscienza. Il romanzo non è un’autobiografia, ma è la trascrizione della coscienza del protagonista. Vi è l’elemento della memoria filtrato dalla coscienza.
L’origine delle bugie di Zeno sono causate dall’inconscio, dal quale possono affiorare dolorose ferite dall’anima non ancora guarite o riaperte dalla memoria, oppure pulsioni violente indicibili che il soggetto non può ammettere; la coscienza tenta di rendere sopportabile l’emergere dell’inconscio, mascherandolo, quindi ingannando e ingannandosi.
La coscienza di Zeno non è il luogo della chiarezza e della ragione che il termine “coscienza” suggerisce, ma è ciò che egli inconsapevolmente si crea per poter convivere con le proprie nevrosi. Questo è il paradosso del romanzo: la coscienza è inconsapevole, un inconsapevole equilibrio tra pulsioni contrarie che provengono dall’Es e dal Super-Io.
L’ordine degli avvenimenti. I ricordi di Zeno non sono in ordine cronologico, ma in ordine secondo il loro affiorare alla coscienza. Il lettore è condotto nella vita di Zeno avanti e indietro nel tempo, quasi disorientato. In fondo il romanzo è una serie di quotidiani inganni e autoinganni che tutti gli uomini nella loro vita hanno compiuto e non vorrebbero ricordare.
L’uso dei tempo. Svevo fa una distinzione tra il ricordare, che comporta la coscienza del passato, e il rivivere il tempo trascorso che comporta un immergersi in esso fino a renderlo presente e vivo, annullando la distanza temporale.
La voce narrante. Il romanzo è scritto in prima persona. Svevo abbandona la terza persona delle prime opere, che permetteva all’autore di fare da “voce fuori campo”, guidando il lettore nel labirinto degli inganni. Ora il lettore è immerso nella psiche del personaggio, senza aiuto e confuso dalle menzogne e dallo scetticismo di Zeno.
I TEMI DEL ROMANZO
L’inettitudine
Zeno è un inetto. La sua inettitudine consiste nel non riuscire a corrispondere ai ruoli cui vorrebbe e dovrebbe aderire.
Egli dovrebbe adattarsi, invece commette delle gaffe o trova qualcuno migliore di lui che lo fa sentire un inetto.
Dovrebbe proseguire l’attività commerciale ereditata dal padre, ma il padre stesso nel testamento gli ha lasciato tutto a condizione che l’amministrazione fosse affidata al fedele Olivi.
Dovrebbe prendersi una laurea, ma passa da una facoltà all’altra senza concluderne nessuna.
Vorrebbe essere un buon padre di famiglia, ma finisce per tradire la moglie. Anche la scelta della moglie è da inetto: Zeno finisce per prendere in moglie la donna che aveva scartato in partenza.
Vorrebbe smettere di fumare, ma trova scuse per poter continuare senza sentirsi in colpa.
Vorrebbe essere leale col parente-rivale Guido, ma involontariamente ne facilita il suicidio e riesce perfino a sbagliare funerale.
Insomma, Zeno è inadatto ai ruoli che la società pretende.
La nevrosi e gli autoinganni
La sua nevrosi lo porta a mentire per giustificare la propria inadeguatezza: da qui si creano gli autoinganni di Zeno e non si sa mai quando dica una bugia o no.
La casualità
In questa condizione di nevrotica inettitudine non è Zeno a guidare la sua vita, ma le pulsioni inconsce o la casualità dell’esistenza. Le cose vanno bene o male non per volontà del soggetto, ma per i giochi del caso e questo accade sia ai “sani” che ai “malati”.
Il suo matrimonio è del tutto casuale. Il protagonista si infila in una serie di piccoli incidenti che lo portano a sposare Augusta, colei che non avrebbe voluto avere in moglie. Zeno narratore ha il sospetto di essere caduto in un complotto teso dalla madre delle sorelle Malfenti, ma siccome è un bugiardo, non si può sapere se questa spiegazione sia un ennesimo autoinganno.
Anche negli affari Zeno è un incapace, eppure il caso lo aiuta. Per distrazione si dimentica di vendere delle azioni su consiglio dell’abile suocero e si trova casualmente il capitale raddoppiato.
Il rapporto malattia-salute
Il romanzo instaura nuove relazioni tra malattia e salute.
Zeno, grazie alla malattia dell’inadeguatezza, vede il mondo con occhi liberi rispetto ai sani che vedono soltanto ciò che la loro specializzazione consente: solo affari, solo la cura della casa. Zeno vede tutto, ma anche il vuoto che si nasconde dietro a questi ruoli cristallizzati: l’impoverimento della vita a poche fissazioni.
L’inetto ha una visione più ampia, tanto da dubitare se sia meglio essere sani e miopi o malati e acuti.
Così il romanzo diventa non solo ironico verso gli autoinganni di Zeno, ma anche verso la cosiddetta salute.
UN VIZIO NECESSARIO ALL’AUTOINGANNO: IL FUMO
Nel primo capitolo Zeno ricorda i tentativi fallimentari per smettere di fumare, un vizio necessario dare alla nicotina la colpa della sua inettitudine. Per questo è costretto a ripromettersi di non fumare per liberarsi dal senso di colpa della propria malattia, ma allo stesso tempo non può permettersi di riuscirci perché perderebbe la giustificazione alla sua inettitudine.

Esempio



  


  1. alessia

    l'incontro con angiolina riassunto

  2. sara

    un riassunto fatto bene sul testo "ilvizio del fumo" di italo svevo, help me! grazie

  3. nicoooo96

    aiuto cerco breve riassunto sul racconto la tribù di italo svevo