Inferno: canto V

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano

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Testo

Inferno: canto V
A guardia del secondo cerchio della voragine infernale i due pellegrini trovano il ringhioso Minosse. Questi, dopo aver udito la confessione dei peccatori che si affollano al suo cospetto, attorciglia la coda intorno al proprio corpo, per indicare, con il numero dei giri, il cerchio dove ogni dannato dovrà espiare la sua colpa. Nel secondo ripiano scontano il loro peccato le anime dei lussuriosi: nel buio un’incessante bufera le travolge, facendole dolorosamente cozzare le une contro le altre, cosicché l’aria è piena di lamenti.Pregato dal suo discepolo, Virgilio gli addita i personaggi celebri dell’antichità e del Medioevo che non seppero vincere in sé la passione, e che per essa perdettero la vita: Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille... Dante esprime il desiderio di parlare con due di queste ombre: esse, diversamente dalle altre, procedono indissolubilmente unite e sembrano quasi non opporre resistenza al vento. Sono Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, colpevoli di adulterio. Chiamati da Dante, i due peccatori si accostano, e Francesca, manifestata al Poeta la sua gratitudine per aver egli avuto pietà della loro pena, narra di sé e dell’amore che con tanta forza la legò a Paolo. Dante, turbato, vuole sapere quali circostanze portarono il loro sentimento reciproco a trasformarsi in amore colpevole, e Francesca si abbandona ai ricordi del tempo felice: erano soli; leggevano un romanzo; fu quella lettura a far incontrare i loro sguardi, a farli trascolorare; fu il primo bacio scambiato fra i protagonisti di quel romanzo a renderli consapevoli della loro passione. Mentre Francesca parla, Paolo piange: a questa vista, per la profonda pietà, Dante perde i sensi.

Introduzione critica
L’Ottocento ci ha dato, in alcune pagine del Discorso sul testo del poema di Dante, di Ugo Foscolo, e in un saggio del De Sanctis, le interpretazioni più umane e avvincenti di quella che è senz’altro la più popolare, la più amata delle creazioni della fantasia di Dante: l’episodio di Paolo e Francesca.Per il Foscolo, in Francesca da Rimini la colpa è "purificata dall’ardore della passione, e la verecondia abbellisce la confessione della libidine; e in tutti que’ versi la compassione pare l’unica musa", poiché non "sì tosto la passione incomincia ad assumere l’onnipotenza del fato, ed opera come fosse la sola divinità della vita, ogni tinta d’impudicizia, d’infamia e di colpa dileguasi".Il De Sanctis vide in Francesca "la prima donna viva e vera apparsa sull’orizzonte poetico de’ tempi moderni" Contrariamente a Beatrice, Francesca è, per il grande storico della letteratura italiana, qualcosa di più di una semplice astrazione (" il puro femminile... il genere o il tipo"): è "vera e propria persona, in tutta la sua libertà". La poesia della donna starebbe proprio nell’essere vinta: perciò Francesca si anima ai nostri occhi di vita poetica purissima proprio nell’atto in cui soggiace a quella ferrea "necessità che Dante ha espressa con rara energia nella frase: amore... a nell’amato amar perdona ". In queste formulazioni non è difficile scorgere un eccesso di coloritura romantica, sia per il rilievo che il De Sanctis ama dare al risultato di una generalizzazione (la debolezza in quanto essenza della femminilità), sia per il parallelo, polemicamente istituito, tra le figure di Francesca e di Beatrice.Ma il De Sanctis rimane un modello insuperato di penetrazione critica, allorché passa, dall’inquadramento dell’episodio in una prospettiva discutibile e comunque troppo perentoriamente affermata, all’esame delle singole situazioni, dei loro riflessi psicologici e morali, della loro inesauribile vitalità espressiva. Troviamo inoltre nel suo saggio una caratterizzazione della figura di Francesca non meno felice di quella dataci dal Foscolo: "contrastando e soggiacendo ella serba immacolata l’anima, quel non so che di molle, puro, verecondo e delicato, che è il femminile, >".Collocata dalla critica romantica nel segno disperato e fatale di "amore e morte", la tragedia di Francesca è stata oggetto di innumerevoli studi, interpretazioni, dibattiti. Ma essa occupa soltanto una parte del canto, la seconda. Quale rapporto lega le due parti fra loro ? Si tratta soltanto di due creazioni poetiche giustapposte senza intima necessità, o c’è, nel passaggio dalla parte introduttiva all’episodio principale, uno svolgimento coerente di motivi, di forme, di situazioni? E inoltre, nell’episodio stesso, accanto a Francesca, disperatamente legata ai ricordi del tempo felice, accanto a Paolo, che ne accompagna col pianto le parole, quale funzione ha il personaggio Dante? E’ soltanto uno spettatore, un testimone non meno distaccato che indispensabile? O non piuttosto in lui per primo, essere vivente e umanissimo, si raccolgono e contrastano i punti di vista che la tragedia con tanta violenza propone ? Sono queste alcune delle domande cui la critica più recente ha cercato di rispondere. E’ stato rilevato, per esempio, a proposito della presenza o meno di una reale continuità di sviluppo dalla prima alla seconda parte del canto, che i versi dall’1 al 72 vanno considerati "come una introduzione non semplicemente e decorativa del grande episodio", ma come la graduale "messa a fuoco dell’acerbo dibattito (amore e perdizione, fragilità umana e pietà) che costituisce il tema principale di questa pagina di poesia" (Caretti). Il Poeta intona il grande tema della pietà come in un " crescendo", dalle martellate terzine della rappresentazione iniziale di Minosse, via via attraverso la descrizione della bufera (con le musicalissime riprese: e come li stornei.... e come i gru..., che preannunciano l’apparizione delle due anime affannate: quali colombe...) e la rassegna delle ombre dei lussuriosi, fino all’orchestrazione del dialogo con Francesca e alla catastrofe dell’ultimo verso. E, d’altra parte, smorza in eguale misura il tema della inesorabilità delle pene infernali, del loro atroce automatismo, per creare, intorno alle parole della donna, una atmosfera più mite, di raccolto dolore, di quasi fraterna sollecitudine.Per quello che riguarda infine la partecipazione del Poeta, in quanto personaggio, all’episodio, notiamo come l’elemento che, nella tragedia di Paolo e Francesca, ne acuisce la compassione fino a fargli perdere i sensi, non è tanto la cronaca di amore e di morte dei due adulteri, quanto, attraverso e oltre questa cronaca, il destino umano in tutta la vastità dei suoi significati, la nostra imperfezione (non la sola fragilità di Francesca, in quanto donna), l’imperscrutabile mistero del nostro rapporto con Dio, il dramma del bene e del male, della salvezza e della perdizione. La vicenda non è quindi, come appariva nella critica romantica, un fatto in primo luogo ed esclusivamente umano, ma suggerisce, nell’atto in cui rivive nella coscienza di Dante, un continuo, appassionato riferimento della dimensione dell’uomo a quella dell’Essere che lo trascende. " Tra i due infelici amanti e la giustizia divina c’è Dante; c’è l’esperienza di lui uomo preso entro la morsa del divino, macerato dalla stretta di una verità immutabile." (Marcazzan) L’episodio che ha reso immortale il quinto canto deve essere riportato alla sua problematicità originaria, visto nella pluralità di prospettive che gli derivano dal suo riflettersi nell’animo del personaggio-autore. Solo così quella irrisolta drammaticità, quella ricchezza sempre nuova di risonanze, quel contenuto di verità inesauribile, che sono il privilegio della vita non meno che della grande poesia, potranno avere, nella considerazione critica di questo capolavoro, il posto che loro compete.

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