Il sentiero dei nidi di ragno

Materie:Tema
Categoria:Italiano

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Testo

Il sentiero dei nidi di ragno
Calvino scrisse Il sentiero dei nidi di ragno nel 1946, giovane scrittore alle prime armi, fresco fresco di Resistenza, portato inaspettatamente al successo da quella che lui stesso avrebbe definito «l’esplosione letteraria» del secondo dopoguerra: «prima che un fatto d’arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo», la pulsione irrefrenabile a dire, a raccontare a illustrare gli anni della lotta silenziosa, della paura, della morte e anche del disinganno.
Una pulsione tanto forte da sopraffare anche la volontà artistica dei singoli autori, il loro stile, il timbro, le scelte narrative, tanto che ciò che rimane di quegli anni è soprattutto «la voce anonima dell’epoca, più forte delle nostre inflessioni individuali ancora incerte», perché «la carica esplosiva di libertà che animava il giovane scrittore non era tanto nella sua volontà di documentare e informare, quanto in quelle di esprimere» (dalla Prefazione all’edizione 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno). Il prorompente prevalere della vita sull’arte, insomma. Ma sarà davvero così?
Nel Sentiero, troviamo il Neorealismo, che non fu una scuola ma «un insieme di voci periferiche», il modello dei Malavoglia, seguito, ma nello stesso tempo tenuto a distanza, perché quel nuovo realismo, sgorgato dalle ferite della storia insieme al sangue e alle lacrime, doveva essere «il più possibile distante dal naturalismo». E poi il problema, così peculiarmente italiano, di scegliere una lingua per parlare a tutti ma senza perdere il ricco tesoro espressivo dei dialetti; e ancora l’America, sogno lontano, lontano baluginio di un mondo desiderato e insieme temuto, perché ancora in gran parte ignoto.
Qualcosa in più, che rende Il sentiero dei nidi di ragno un romanzo particolare, quasi unico nella tradizione letteraria italiana. È lo sguardo dal basso: la guerra è raccontata attraverso lo sguardo trasognato e dispettoso di un bambino, che vede il mondo con l’asciutta chiarezza di una macchina fotografica, non per una raggiunta consapevolezza di stile, ma perché non possiede ancora gli strumenti etici con cui gli adulti distinguono il bene dal male (scegliendo poi, quasi sempre, la seconda alternativa).
Calvino si è volontariamente scelta una posizione minore, secondaria, da cui osservare di scorcio i movimenti tumultuosi e a volte incomprensibili della Storia Grande: lo scrittore dà voce a un protagonista che rappresenta, come lui stesso dice, «un’immagine di regressione». Ma quello che rimane dalla lettura del Sentiero non è il complesso d’inferiorità del borghese Calvino dinanzi alla durezza di una scelta storica che non ammette incertezze: l’infanzia agra e selvaggia di Pin va oltre il valore puramente metaforico. Nella letteratura italiana la storia non era mai stata filtrata dallo sguardo spietato e indifeso di un bambino, ed è qui, piuttosto che in una vaga simbologia sociale, che troviamo il valore più profondo del romanzo.
Pin osserva dal suo mondo fiabesco di «bambino vecchio» le esistenze misteriose e ingarbugliate dei grandi: e a volte sono gli amplessi animaleschi della sorella, che Pin spia con «occhi come punte di spillo» dal ripostiglio stretto e scuro che è la sua camera, a volte sono parole oscure e affascinanti (GAP, troschista, STEN, SIM) alle quali il bambino attribuisce significati favolosi, a volte è l’umanità storta e rabberciata del distaccamento del Dritto. E tutto questo è la Storia, ma Pin non lo sa, non sa ancora cosa sia la storia, quest’oggetto incomprensibile che nei suoi sogni di bambino prende la forma di una pistola, una P38 rubata a un ufficiale tedesco, uno degli amanti di sua sorella. La pistola diventa allora l’oggetto magico delle favole, è l’anello che rende invisibili, è l’Olifante di Orlando, la bacchetta magica che permette a Pin di entrare nel mondo favoloso dei grandi.
Pin è un personaggio di confine, sospeso tra un’infanzia che non gli è mai appartenuta e un mondo adulto ancora lontano ed estraneo, ma che tuttavia lo attrae, perché sente che lì forse potrà avere un’occasione di riscatto, potrà trovare l’Amico, il compagno, l’anima con cui condividere il castello di sogni e segreti su cui poggia la sua piccola vita di picaro senza affetti. In questa sua ricerca sconclusionata, senza guide e senza direzioni preordinate, Pin diventa a volte un inconsapevole moralista: guarda gli adulti con i suoi occhi vuoti di esperienza, e da questa osservazione sa trarre una saggezza tutta sua, che lo rende ancora più solo, ancora più in bilico tra desiderio, rabbia e paura.
L’unico gioco a contare in questo momento è la guerra, e anche Pin vuole parteciparvi, con la cieca cocciutaggine del bimbo che non vuole rimanere da solo nell’angolo del cortile, che vuole anche lui far parte della banda. Ma è un gioco duro e difficile, e le regole molto spesso sfuggono a Pin: non capisce i comportamenti e le reazioni di questi uomini, un po’ delinquenti un po’ clown, che si trovano, riuniti in un bosco come i personaggi di una fiaba dei Grimm, a recitare il dramma della Storia ognuno a modo suo, senza che ci sia un regista a dare un senso al tutto. Anche Pin prova a ritagliarsi un suo ruolo, nel modo che conosce meglio: quello del monello beffardo, senza vergogna, senza peli sulla lingua, che con i suoi scherzi spazza via e maschere e le ipocrisie degli adulti.
Ma anche la sua è una maschera, anche Pin ha un vuoto, un dolore segreto da nascondere. Sotto la scorza di scugnizzo buffo e vivace, il desiderio profondo è la pace, la purezza, quelle che la Storia non può né potrà mai dare e che allora Pin cerca nella natura, lontano dal «contagio del peloso e ambiguo carnaio del genere umano». È una natura russoviana, libera, selvatica e incontaminata. Il mondo immobile e incantato del sentiero dei nidi di ragno, che solo Pin conosce, e che rivelerà solo al suo grande Amico, quando finalmente lo incontrerà: ma nel frattempo, il bambino trasporta anche lì il suo bagaglio di sofferenze e crudeltà, e da vittima dei grandi si trasforma in carnefice delle creature di fossi e prati. «Chissà che cosa succederebbe a sparare a una rana», si domanda, «forse resterebbe solo una bava verde schizzata su qualche pietra»; e poi infilza i ragni su lunghi stecchi per osservarli con gelida attenzione, «un piccolo ragno nero, con dei disegnini grigi come sui vestiti d’estate delle vecchie bigotte»; e ancora i grilli, con la loro «assurda faccia di cavallo verde», li taglia a pezzi per fare «strani mosaici con le zampe su una pietra liscia». Non è una natura idillica, quella che fa da teatro alle scorribande di Pin: è una macello, un laboratorio di piccoli orrori, un teatrino gotico dove Pin mette in scena la lezione imparata suo malgrado dalla Storia: che esistono, sempre e ovunque, i forti e i deboli, e sempre e ovunque i forti hanno la meglio. Anche se a volte sembra volerne dubitare, questa è l’amara saggezza raggiunta nel corso della sua minuscola vita. Come quando il Dritto gli ordina di seppellire il falchetto morto di uno dei partigiani: «Verrebbe voglia di buttare il falchetto nella grande aria della vallata e vederlo aprire le ali, e alzarsi a volo, fare un giro sulla sua testa e poi partire verso un punto lontano. E lui, come nei racconti delle fate, andargli dietro, camminando per monti e per pianure, fino a un paese incantato in cui tutti siano buoni. Invece Pin depone il falchetto nella fossa e fa franare la terra sopra, con il calcio della zappa».
Troverà il suo Amico, Pin, e lo troverà proprio nel mondo dei grandi: Cugino, con il suo mantello scuro e le mani grandi, che sembrano di pane, le poche parole brusche e il peso di un grande dolore sulle spalle. Un altro tradito dalla vita, che trova nella guerra un senso, un’alternativa, uno scopo per vivere. Lui, alla fine del romanzo, sarà incaricato di uccidere la sorella di Pin che fa la spia per i tedeschi. Ma Pin non lo capirà, Pin non riesce a decifrare la Storia nei suoi significati profondi: per il bambino, essa rimane un geroglifico, un enigma, uno scarabocchio sulla superficie, come quegli strani mosaici fatti di zampe di grillo, come gli schizzi verdi di rana spiaccicata su un sasso. Conta solo aver trovato l’Amico, e solo in ragione di questo umile affetto umano Il sentiero dei nidi di ragno può chiudersi con un’immagine di speranza.«E continuarono a camminare, l’omone e il bambino, nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano.»
Il sentiero dei nidi di ragno
Nel 1946, all’indomani della Resistenza, Italo Calvino è un giovane scrittore alle prime armi, che traspone l’esperienza della guerra partigiana in un romanzo destinato a diventare uno dei capolavori della letteratura dell’epoca, “Il sentiero dei nidi di ragno”.
L’approccio dell’autore alla Storia è del tutto nuovo: il punto di vista della narrazione è quello d’un bambino, una volontaria regressione che permette di raccontare la guerra partigiana da una lontananza notevole e senza strumenti etici definiti, perché i bambini non hanno una chiara coscienza del bene e del male. E’ così che Pin osserva il mondo dei grandi, favoloso e pieno di misteri, come lo sono gli amplessi della sorella, il suo amante che è un soldato fascista con la pistola, le riunioni nei boschi d’uomini che sembrano mettere in scena un gioco complicato e pericoloso. E’ il gioco della guerra, a cui Pin vuole partecipare, con la testardaggine e l’ingenuità dei bambini, un gioco che non capisce e che smaschera con i suoi scherzi beffardi.
Pin ha circa dieci anni, ha perso i genitori, vive con la sorella che fa la prostituta, lavora presso la bottega di un calzolaio mentre il padrone è in prigione e desidera piacere ai grandi, al punto da fare una scommessa che gli costerà cara: per vincere, ruba la pistola all’amante della sorella, la favolosa P38 e la nasconde nel suo luogo segreto, il sentiero dei nidi di ragno che è per lui un rifugio e una “palestra” di crudeltà. Qui vige la legge della natura selvatica e incontaminata, qui il bambino replica ciò che vede fare ai grandi, applica il diritto del più forte massacrando rane, ragni e grilli. La bravata della pistola conduce Pin in prigione, e poi, in seguito all’evasione con il partigiano Lupo Rosso, nel cuore della Resistenza, sulle montagne liguri. Qui Pin incontra un Amico, una persona di cui finalmente si può fidare, il partigiano Cugino, un omone grande e grosso, col suo mantello e le mani che sembrano fatte di pane, il primo a cui svelerà il segreto sentiero dei nidi di ragno. Ironia, e crudeltà, della sorte, sarà proprio Cugino ad essere incaricato di uccidere la sorella di Pin, spia per i tedeschi, secondo quelle logiche della Storia incomprensibili al bambino. Ma la certezza di aver trovato un Amico con cui condividere i propri pensieri, un uomo altrettanto ferito, tradito dalla Storia, basta a Pin per andare avanti..

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, 1993

Biografia
Italo Calvino nacque nel 1923 a Santiago de Las Vegas, un sobborgo di L'Avana a Cuba, dove lavorava suo padre Mario, agronomo, che dirigeva una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola di agraria. Sua madre invece, Evelina Mameli, di origine sarda, era laureata in scienze naturali.
Nel 1925 la famiglia tornò a Sanremo, dove dopo due anni nacque il secondogenito Floriano, che diventerà un geologo di fama internazionale e docente universitario.
Calvino durante la sua infanzia ricevette un'educazione laica e antifascista, coerentemente con l'atteggiamento dei genitori che si consideravano liberi pensatori.
Frequentò l'asilo infantile al St. George College, le elementari alle Scuole Valdesi e le scuole secondarie al Regio Ginnasio-Liceo G.D. Cassini. Dopo la maturità, Calvino si iscrisse alla facoltà di agraria all'Università di Torino, dove suo padre insegnava agricoltura tropicale.
Dopo pochi mesi però, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Calvino interruppe gli studi: nel 1943 eluse la chiamata di leva della Repubblica Sociale Italiana e si unì alle Brigate partigiane Garibaldi insieme al fratello, mentre i genitori erano ostaggi dei tedeschi.
Terminata la guerra si trasferì a Torino dove collaborò a vari giornali, aderì al PCI e si iscrisse a Lettere, laureandosi con una tesi su Joseph Conrad. In quel periodo venne in contatto con Cesare Pavese, che lo fece assumere alla casa editrice Einaudi, dove lavorava anche Vittorini.
L'ambiente della casa editrice fu fondamentale per la sua formazione culturale tanto che, già nel 1947, pubblicò il suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, basato sulle sue esperienze partigiane e nel 1949 la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo. Ambedue le opere nacquero nell'ambiente del neorealismo, pur essendo connotate, soprattutto la prima, da un tono fiabesco.
Allo stesso periodo risale I giovani del Po, romanzo di tematica neorealista e operaia, vicino alla narrativa di Pavese, che però non fu mai portato a termine. In quegli anni, Calvino cercava una scrittura oggettiva e mirava a definire la condizione dell'uomo nella nostra epoca.
Nel 1952, su consiglio di Vittorini, abbandonò la letteratura realistico - sociale - picaresca, per dedicarsi ad una narrazione apparentemente fantastica, leggibile però a vari livelli interpretativi: scrisse Il visconte dimezzato che, con Il barone rampante (1957) ed Il cavaliere inesistente (1959), forma la trilogia I nostri antenati, rappresentazione allegorica dell'uomo contemporaneo. Il barone rampante seguiva la delusione ideologica dell'autore, che nel 1956, in seguito all'invasione dell'Ungheria, aveva abbandonato il PCI ed accantonato l'impegno politico. Tra il 1950 ed il 1956 lavorò altresì alle Fiabe italiane, una raccolta di racconti popolari tradotti e commentati da Calvino con rigore filologico.
Nei primi anni '60, in due articoli (Il mare dell'oggettività e La sfida al labirinto), Calvino enunciò una poetica etico-conoscitiva che mirava a definire la situazione esistenziale dell'uomo contemporaneo all'interno di un mondo sempre più complesso e difficile da decifrare, entrando in contrasto con la nascente corrente neoavanguardistica, nella cui poetica Calvino vedeva un cedimento alle ragioni della tecnologia e dell'industria.
Nel 1963 lo scrittore pubblicò La giornata di uno scrutatore, libro che appariva fuori tempo e fuori luogo. Mentre il cosiddetto Gruppo 63 proponeva testi di rottura, Calvino decise di pubblicare un romanzo del tutto contrario agli ideali della neoavanguardia: è infatti sociologico, psicologico e ideologico.
Nello stesso anno lo scrittore ligure pubblicò Marcovaldo, ovvero le stagioni in città, una raccolta di favole moderne in cui è evidente il contrasto natura vs progresso.
Nel 1964 Calvino sposò l'argentina Esther Judit Singer e si trasferì a Roma, dove l'anno seguente nacque la figlia Giovanna. L'atmosfera culturale italiana era molto cambiata: la neoavanguardia aveva consolidato la sua posizione di prestigio e lo strutturalismo e la semiologia erano diventate le scienze sociali a cui tutti facevano riferimento. A questi anni risalgono Le Cosmicomiche (1965), raccolta di racconti apparentemente fantascientifici, in realtà basati su una vena fantastica e surreale e Ti con zero (1967).
Nel 1967 si trasferì a Parigi e intensificò il suo interesse per le scienze naturali e sociologiche, entrando in contatto con il gruppo dell'Oulipo. Tali interessi influirono sulla sua opera: nacquero infatti Il castello dei destini incrociati (1969), La taverna dei destini incrociati (1973), Le città invisibili (1972) e Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979) che appartengono alla cosiddetta "fase combinatoria", nella quale Calvino costruì le sue narrazioni usando le diverse combinazioni di un certo numero di elementi (ad es. le figure dei tarocchi nel Castello dei destini incrociati) che danno potenzialmente origine a innumerevoli vicende .
Nel 1980 Calvino tornò a Roma con la famiglia. Nel 1983 pubblicò i racconti di Palomar in cui l'intereccio narrativo è ridotto al minimo: in primo piano sono posti la riflessioni metafisica e la descrizione.
Calvino morì nel 1985, mentre preparava per l'università di Harvard le Lezioni americane (che usciranno postume) colpito da ictus cerebrale mentre si trovava in vacanza a Castiglione della Pescaia. Venne trasferito a Siena all'ospedale Santa Maria della Scala ma non riuscì a superare la notte fra il 18 e il 19 settembre.
Sono usciti postumi anche i volumi Sotto il sole giaguaro, La strada di San Giovanni e Prima che tu dica pronto.

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