Il rosso e il nero

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano

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Testo

STENDHAL

Henry-Marie Beyle nacque a Grenoble il 23 gennaio 1783, da famiglia benestante e distinta.
Il padre, Chérubin, era avvocato al parlamento di Grenoble; la madre, Henriette Gagnon, era figlia di un medico, personaggio autorevole della città, colto e raffinato, che ebbe grande influenza sull’educazione e sulla formazione letteraria del nipote.
Trascorse la prima infanzia tra la casa paterna e quella del nonno, a Grenette, dove andò ad abitare dopo la morte della madre. Ragazzo ribelle, dette presto prove di carattere molto indipendente, e seguì di malavoglia le lezioni impartitagli da vari precettori.
Fu tra i primi ad iscriversi all’Ecole Centrale a Grenoble, dove dopo soli tre anni riportò il suo primo premio al corso di matematica.
Alla fine del 1799 andò a Parigi per iscriversi all’Ecole Polytechnique, ma qui non si presentò agli esami poiché cominciarono le sue ambizioni di gloria e di amore.
Dopo aver lavorato per pochi mesi al Ministero della Guerra, si arruolò nell'armata d'Italia di Napoleone ed evase così dal ristretto ambiente della provincia in cui era vissuto.
Divenuto ufficiale napoleonico, fu un assiduo frequentatore della Scala e dei salotti milanesi, che lasciarono nel suo animo un’impronta indelebile.
Nominato sottotenente di cavalleria, proseguì la sua carriera militare finendo per ammalarsi ed essendo costretto a tornare a Grenoble, da cui si trasferì a Parigi, dove tentò l'avventura del teatro (i suoi modelli furono Molière e Shakespeare).
Condusse una vita brillante e mondana, da vero dandy, corteggiando famose cantanti e donne dall’alta società, fra cui anche la moglie stessa del suo protettore.
Si trasferì poi in Italia, dove visitò per la prima volta città come Firenze, Roma e Napoli, fermandosi poi a Milano, dove è trattenuto dalla musica italiana e da qualche avventura sentimentale.
Per guadagnarsi da vivere dovette riprendere servizio nell'esercito e nell'amministrazione imperiale, con incarichi che lo portarono anche a partecipare alla fallita campagna di Russia del 1812.
Nel 1814, dopo la caduta di Napoleone, si stabilì per sette anni in Italia e prevalentemente a Milano, dove pubblica i suoi primi tre libri: Storia della pittura in Italia, Lettere su Haydn, Mozart e Metastasio, Roma, Napoli e Firenze, dove appare per la prima volta lo pseudonimo di Stendhal, ( dalla cittadina prussiana Stendal).
Nei palchi dei teatri conobbe l’avanguardia romantica e si appropriò di molte dottrine dell’epoca.
Cominciò a frequentare artisti come Manzoni e Silvio Pellico e si innamorò nel frattempo della nobil donna Matilde Visconti, legata ad ambienti sociali e carbonari. Questo amore non fu mai corrisposto e fu trattato sempre con freddezza ed indifferenza.
Venne poi espulso da Milano perché sospettato di essere implicato nei moti carbonari.
Tornato a Parigi, si dedicò a vari viaggi in Inghilterra ed in tutta Europa, dopo i quali partecipò ai quotidiani più famosi dell’epoca.
Si dedicò poi alla stesura di saggi più o meno autobiografici: Dell’amore, dove si racconta il suo infelice amore milanese e viene introdotta per la prima volta la teoria della cristallizzazione, cioè l’innamoramento visto come un’illusione a causa delle qualità perfette della donna, nelle sue fasi alterne di dubbi e certezze; ancora troviamo Vita di Rossini, Racine e Shakspeare e Di un nuovo complotto contro gli industriali.
Frequentando i salotti parigini iniziò la sua carriera di narratore con romanzi brevi, tra cui Armance, e con novelle pubblicate in riviste, come Vanina Vanini e Il cofano e il fantasma.
Dopo la rivoluzione del 1830, ottenne la nomina di console a Trieste ma, poiché era sgradito agli austriaci, venne spostato a Civitavecchia, dove scrisse i suoi due capolavori narrativi, fra cui Il rosso e il nero.
Rientrò a Parigi nel 1841, poco prima di morire per un attacco apoplettico il 22 marzo 1842, che lo fece cadere morto a terra sul marciapiede di una grande via parigina. Alcuni anni prima aveva lui stesso scritto: “ Non c’è nulla di male a morire per la strada quando non lo si fa apposta”.
La sua tomba reca l'epigrafe da lui predisposta fin dal 1820: "Arrigo Beyle – milanese – visse, scrisse, amò".
Altre sue importanti opere furono: Ricordi d'egotismo, Lucien Leuwen, Vita di Henry Brulard, La duchessa di Palliano e Vita di Napoleone.
L'opera di Stendhal converge verso la rappresentazione della società contemporanea in marcata evoluzione, con le sue resistenze strutturali e con figure di protagonisti dotati di coraggio intellettuale e di un sentire forte ed eroico, doti che sono strumenti nuovi di affermazione al di là della sconfitta sociale o politica.
Stendhal è considerato il fondatore di un moderno realismo per l'attenzione alla società in cui viveva. Sul piano dei contenuti, tale realismo trova la sua formula particolare in un'appassionata sincerità sentimentale mista a nostalgia per i valori alti vissuti da personalità forti e creative come gli eroi del Rinascimento italiano; Dotato di straordinaria vitalità e fantasia, di lucida energia e passionalità, Stendhal trasmise nella sua scrittura suggestioni potenti e sentimenti tormentati, tanto da farla sembrare una scrittura tipicamente romantica, come lo sono del resto i sentimenti ricorrenti nei suoi romanzi: l'esaltazione amorosa, l'ambizione, gli slanci irrazionali, il dissidio ricorrente tra sogno e realtà, il riflesso autobiografico presente nei protagonisti; ma la novità rispetto a tutta la tradizione romantica è il continuo dominio che l'autore esercita su se stesso, che lo porta ad un'analisi minuziosa e sottile dei comportamenti umani, spesso singolari e contraddittori.
Sul piano linguistico, si esprime attraverso uno sforzo di impersonale esattezza, che si spiega anche con la formazione illuministica di Stendhal.
Scelse di scrivere in uno stile semplice, concreto, capace di acute osservazioni, non retorico; seppe tuttavia dipingere con particolare sensibilità la vita interiore dei suoi personaggi, ponendo attenzione alle relazioni di classe e ai fermenti della vita contemporanea.
Inizialmente egli fu incompreso e sottovalutato. Solamente verso la fine dell'ottocento avvenne la sua riscoperta e si estese l'entusiasmo per la sua opera, riconosciuta finalmente come un momento fondamentale del romanzo ottocentesco, di cui riassume insieme la tendenza alla descrizione realistica e la ricerca di introspezione psicologica.

LA TECNICA DI STENDHAL

Quando Stendhal, nell’ottobre del 1829, a Marsiglia, ha la prima idea di Julien, cioè del romanzo che scriverà nei mesi seguenti e che diverrà Il rosso e il nero, ha oramai 46 anni.
Non si può dire che sia un autore affermato, né tanto meno un romanziere di successo, (il suo primo romanzo Armance è passato del tutto inosservato). Eppure ha già una lunga esperienza di scrittore e in vari generi.
Se si guarda alle opere di successo della sua abbondante produzione, tra cui ricordiamo appunto i suoi due capolavori, Il rosso e il nero e La certosa di Parma, si può avere l’impressione di una personalità esuberante che continuamente si cerca, si saggia, tra elargizioni e controlli, riuscendo solo raramente, a organizzarsi e a ritrovarsi in un discorso coerente, unitario, meno frammentario ed occasionale.
E questa impressione non è del tutto sbagliata. L’opera di Stendhal infatti, ha un andamento estraneo alla cultura del suo tempo, con continue oscillazioni tra l’audacia e il pudore, timore di dire e il bisogno di esprimersi.
Egli sembra voler collocare la sua esistenza e la sua gloria sempre in un luogo indefinito, ed estraneo alle sue origini, un luogo che mutava e raggiungeva nella sua continua mobilità fisica ed intellettuale.
A causa di questo si ha il rifiuto della città natale, per non sentirsi né francese né italiano, ma cosmopolita; e si ha così anche il rifiuto del tempo in cui vive, degli impegni mondani e della critica dell’alta società.
Ma è proprio l’epoca in cui vive e in cui si forma che lo condiziona, accentuando gli aspetti contraddittori della sua natura di scrittore: da una parte la ragione, che è analizzata su basi fisiologiche; dall’altra la passione, l’anima sensibile romantica, con i suoi risvolti imprevedibili.
Amore della logica, della chiarezza, della scrittura da codice civile, ma anche dell’eleganza, del dandysme aristocratico ed esclusivo.
È quindi uno spirito libero, anticonformista, oppositore dei governi assoluti, che si è schierato anche contro il progresso, l’industrializzazione e l’americanismo.
Parlò sempre e molto di politica, non perché vi credesse, ma perché in realtà la odiava.
Fu un repubblicano e liberale, ma esaltò in qualche momento il dispotismo illuminato, rimpianse l’eroismo napoleonico e la salda amministrazione imperiale.
Anche la sua vita di scrittore fu sempre in bilico tra una vita da vivere e da raccontare e una da immaginare, per compenso all’altra che lo aveva deluso in molti momenti della sua esistenza. Per giungere ad esprimersi compiutamente, Stendhal ha sempre bisogno di una vasta ricognizione preliminare, di un lungo vagabondaggio letterario, o politico, così come di un episodio concreto, di un fatto storico o di testo, una cronaca, antica o moderna, da cui partire. Ed è il romanzo l’unica forma in cui, secondo lui, si può esprimere e ritrovare la verità, poiché questo deve essere come uno specchio portato a spasso lungo la strada, che riflette cioè tutto quello che ha davanti senza distinzioni di classe, e non è colpa dello specchio, quindi del romanzo o dell’autore, se per strada ci sono persone o cose brutte.
Il romanzo è quindi secondo Stendhal l’immagine speculare, obbiettiva della realtà circostante, ma al tempo stesso relativa al punto di vista da cui ci si pone, cioè dalla situazione dell’autore che regge lo specchio, che può quindi restringere o mutare il campo visivo.
Stendhal afferma che non si possono vedere contemporaneamente 2 parti di uno stesso soggetto, ma è proprio questo che cerca di fare nei suoi romanzi, cerca cioè di sovrapporre le immagini di uno specchio rivolto all’esterno e di uno rivolto all’interno.
In altre parole l’elemento politico-sociale si lega con le passioni dei personaggi, perché sono queste i veri protagonisti dei suoi romanzi, esaltate o idealizzate.
Passioni che però, per essere vere, devono essere rappresentate nella realtà dei loro rapporti con la società entro la quale si svolgono. Si parla quindi di realismo non solo descrittivo, ma nemmeno puramente psicologico o idealizzato, dove però l’autore non può fare a meno di introdurre il proprio punto di vista.

IL ROSSO E IL NERO

La vicenda che vi si narra è calata nella realtà storica e morale dell'epoca.
Tutto ciò che del suo tempo indigna o appassiona Stendhal - la tirannia del potere politico, l'asservimento delle coscienze, le trame dell'ambizione - si trasfonde nell'animo di uno straordinario personaggio, Julien Sorel, la cui inquietante vitalità riflette le tensioni e i conflitti della generazione post-napoleonica.
Sorel è povero, intelligente, orgogliosissimo calcolatore.
In una società di spiriti tiepidi e mediocri sogna e sente di poter salire ai vertici della ricchezza e del potere. La sua strategia è la simulazione; la sua arma immediata è il fascino sulle donne.
È un romanzo d'amore, ma anche documento di un'epoca e specchio di una inquieta sensibilità romantica.
Il Rosso e il Nero dà avvio alla grande stagione del realismo ottocentesco.
Se ne lodano il vigore del disegno, la profondità delle intuizioni, la varietà dei caratteri, dei colori, dei paesaggi.
E ancora sembra sfuggire "quel certo non so che" per cui il lettore resta avvinto alle sue pagine.
Gide diceva che la malizia di Stendhal era quella di scrivere di getto, come se parlasse con se stesso.
Ed è forse per questo che nel romanzo avvertiamo una grande spontaneità nei discorsi e nelle situazioni.
Siamo in Francia, durante il periodo della Restaurazione.
Julien Sorel è un giovane bello, ambizioso, ma di umili origini. Deciso, comunque, a fare carriera, accetta il posto di precettore in casa de Rénal, avendo così modo di conoscere un ambiente di piccola nobiltà di provincia, verso il quale nutre sentimenti contrastanti: disprezzo, perché non gli sfugge la sua bassezza morale; odio, perché comunque è un escluso; attrazione, perché sente di meritare molto e desidera ancora di più di quello che ha già ottenuto.
La signora de Rénal è presto catturata dal fascino del giovane e per la prima volta conosce il significato della passione.
E' una donna sensibile, buona, dedita ai figli, incapace se non di donare con generosità: per questo cede ad un sentimento mai sino ad allora provato.
Julien ne è naturalmente lusingato, e decide di ricambiare il sentimento, non tanto perché la ama, ma perché sente che è suo dovere farlo per accontentarla.
La relazione si interrompe perché lui entra in seminario, dove le possibilità di carriera sembrano più promettenti. Qui la sua vita ha un lungo momento di riflessione, in cui gli è possibile verificare l’ipocrisia della gente che lo circonda e scopre che l’unico sentimento che li anima è la voglia di poter mangiare ogni volta che ne abbiano voglia, diventando cioè ricchi non per una soddisfazione personale o per frequentare l’alta società.
Ottenuto un posto di segretario presso il marchese de la Mole, entra in contatto con la nobiltà parigina: viaggia, conosce personalità importanti, impara ad essere più affascinante ed abile che mai, si fa benvolere da tutti.
Mathilde, la giovane figlia del marchese, è attirata da Julien, ma il suo carattere altero, l'orgoglio di classe, l'educazione ricevuta sono un forte ostacolo a un sentimento che comunque finisce col divampare. In attesa di un figlio, prima che lo scandalo sia manifesto, Mathilde confessa ogni cosa al padre: malgrado tutto, Julien è accettato come futuro genero, grazie soprattutto alla costante, incrollabile volontà della giovane.
Una lettera della signora de Rénal al marchese rivela la trascorsa relazione di Julien e naturalmente getta una luce diversa sul carattere e i sentimenti del giovane. Al colmo dell'angoscia, rintraccia la signora de Rénal e le spara due colpi di pistola. Arrestato, si arrende al suo destino, accettando subito l'inevitabile condanna a morte per un delitto pensato, voluto, ma non commesso perché la signora de Rénal è rimasta solo ferita.
Matilde lotterà sino all'ultimo per salvarlo e lo assisterà e lo amerà sino all'ora fatale. Ma sarà la signora de Rénal, che, riscoperta la passione, andrà da lui ogni giorno in cella, colei di cui Julien scoprirà di essere veramente innamorato. Dopo la sua esecuzione, la signora de Rénal morirà di crepacuore.

ANALISI DE IL ROSSO E IL NERO

Due episodi di cronaca nera, di amore e di morte, sono all’origine dell’idea de Il rosso e il nero e del personaggio di Julien: l’affare di Antoine Berthet, un giovane seminarista condannato a morte dalla corte d’assise dell’Isere per aver tentato di uccidere, nella chiesa di Brangues, il 22 luglio 1827, M.me Michoud, e quella dell’ebanista Adrien Lafargue che aveva ucciso l’amante Therese, e che la corte d’assise aveva condannato a 5 anni di carcere.
Dopo essersi ben documentato su questi due omicidi, avrebbe secondo molti creato il personaggio principale Julien su modello di Berthet, che secondo le fonti sarebbe stato seminarista, precettore prima in casa Michoud, di cui seduce la moglie, poi in casa Cordon, di cui cerca di sedurre la figlia e avrebbe tentato poi l’omicidio in chiesa.
Queste due storie di passione, di due plebei avrebbero quindi ispirato a costruirne un romanzo simile, fornendo uno spunto iniziale e un percorso narrativo che tanto Stendhal prediligeva.
È però tuttavia chiaro che queste due cronache pur offrendo una consistente base di supporto, si differenziano e si allontanano dal storia “rielaborata”, che è del tutto innovativa.
Si può dire che questi abbiano facilitato la stesura di un testo che però già esisteva, poiché come sottolineano molti scrittori fra cui Leonardo Sciascia, Julien è stato da sempre dentro Stendhal.
Per renderci conto di questo dobbiamo partire innanzitutto dal titolo misterioso e ambivalente.
C’è chi dice che lo stesso Stendhal abbia dichiarato che il ROSSO significa che nato 2 decenni prima, Julien sarebbe diventato soldato sotto la guida di Napoleone, ma che nell’epoca in cui è vissuto è stato costretto ad indossare la tonaca, a vestirsi cioè di NERO.
Tale interpretazione trova riscontro non solo nell’atmosfera generale del romanzo, ma anche in alcuni episodi e dialoghi tra i protagonisti. Lo stesso Julien afferma ad un certo punto: “Io, povero contadino del Giura, io condannato sempre a portar sempre questo triste abito nero! Ahimè, vent’anni fa avrei indossato l’uniforme!”.
Ci sarebbe appunto da sottolineare che Julien è si seminarista, ma non diventerà mai un prete, poiché la sua ambizione, i suoi intrighi amorosi, lo portano a diventar soldato, tenente degli ussari a Strasburgo; ma diventa qualcuno solo alla fine del romanzo, e anche del suo romanzo.
Ma nonostante la presunta dichiarazione di Stendhal, sono state avanzate varie ipotesi, poiché sono proprio la personalità del protagonista e degli altri personaggi che le autorizzano.
Ci sono altri infatti che attribuiscono il titolo ai colori della roulette: in altre parole Julien giocherebbe al tavolo e vi perderebbe alla fine tutta la sua vita.
In realtà, qualora anche giocasse, non è certo ad un gioco d’azzardo, cioè affidandosi al caso.
Non punta su un’alternativa, ma fa una scelta di campo precisa, calcola e prevede le conseguenze di ogni sua mossa, ha quindi una propria tattica e una sua strategia.
Tutta la sua lotta, con varie cadute, debolezze e momenti di smarrimento, tende ad abolire il caso e non a giocarci sopra. E caso mai se proprio di gioco si deve parlare è quello degli scacchi, gioco di calcolo, di abilità, di strategia, in cui si deve prevedere e controbattere le mosse dell’avversario.
Ed è così che fa Julien.
Molti attribuiscono proprio a questo il titolo, facendo riferimento al fatto che la scacchiera era inizialmente rossa e nera, e non bianca e nera.
Sono comunque tutti d’accordo sul fatto che questo esprime un contrasto, un contrasto fra 2 elementi che sono però sullo stesso piano spazio-temporale e che esprime un clima generale e conflittuale in tutto il romanzo.
Il rosso infatti tende a porsi allo scoperto, il nero infatti uniforma, maschera, finge, in perfetto contrasto con il primo.
Ed è contrastante anche all’interno del romanzo il fatto che Stendhal, scrittore realista, faccia crollare la veridicità di tutto il romanzo dichiarando che la cittadina di Verrieres, che tanto ha descritto nei minimi particolari, è stata da lui inventata di sana pianta, e che quando ha avuto bisogno di vescovi o cattedrali si è sempre rivolto a Besançon, dove lui in realtà non era mai stato.
Il romanzo si manifesta sempre più, a mano a mano che si procede, come la cronaca dettagliata, non meno all’interno che all’esterno dei personaggi, e di Julien soprattutto, di un grande sogno di ambizione, di energia, continuamente contraddetto e disdetto, e alla fine forzatamente dissolto, pur nei frequenti tentativi di compromissioni e di finzioni.
Perché Julien non è quella marionetta che molti hanno voluto vedere, e che lo stesso Stendhal tende più volte ad accreditare, ma poi smentendosi e ridimensionando la reale situazione del suo eroe.
In mezzo ai suoi notevoli successi, non solo in campo sentimentale, ci sono cadute, oscillazioni, crisi di identità e anche momenti di sfiducia.
L’ambizione di Julien, quella che Stendhal definisce la sua “nera” ambizione, cioè un’ambizione che si riveste poi di nero, ha certamente le sue radici anche nella classe sociale a cui appartiene, da cui vuole uscire, e di cui prende coscienza, con la sua intelligenza, col suo sentirsi diverso e superiore alla sua classe, con la sua sommaria seppur limitata educazione.
Anche questa è fin dall’inizio messa in evidenza e oscillante da una parte con il Vangelo, il latino e i consigli dell’abate Chelan, e dall’altra con i consigli di un vecchio chirurgo partecipante all’armata di Napoleone e la continua lettura del Memorial de Sainte-Helene e di trattati illuministi.
Ma la sua rivolta resta sempre sul piano individuale, senza coinvolgimenti collettivi, e ha il suo humus nel suo carattere, nella sua “anima di fuoco”, costretta spesso però a mascherarsi.
Julien è appunto una “natura”, camuffata nel conformismo in mezzo al quale deve e vuole vivere, che disprezza e che giudica lui stesso ignobili i mezzi che adopera in questo.
Fra energia ed ipocrisia, Julien non riuscirà però mai a diventare un ipocrita perfetto, sempre controllato e freddo. Piuttosto egli muta dagli ambienti in cui vive atteggiamenti e mezzi con straordinaria intuizione, ma per difendersi e attaccare con le stesse armi.
La storia di Julien è dunque quella di una forzata e non riuscita conversione alle convenzioni sociali, consapevolmente ma interamente assunte.
È la storia di una specie di apprendistato che però non ha né un termine né un coronamento.
La sua energia tende continuamente a disfare e a lacerare la finzione che lo avvolge e lo trattiene.
Egli è sempre sotto la tutela dei suoi preti buoni, come Chelan o Pirard, ma anche in sostanza della stessa M.me de Renal o del marchese de la Mole.
Sotto la tutela stessa di Stendhal, che soprattutto nella seconda parte non gliene perdona una anche se finisce sempre alla fine col commiserarlo con Mathilde, chiamandolo affettuosamente “povero ragazzo”; gli rimprovera la sua goffaggine, la sua mancanza di abilità, specie nei rapporti con Mathilde, i suoi entusiasmi, ma soprattutto la sua incoerenza nella finzione.
In compenso esalta spesso la sua follia, i suoi moti sublimi nell’animo, proprio per la sua mancanza di prudenza e di abilità, cioè per la sua stessa natura.
Si ha spesso l’impressione che Stendhal intervenga su Julien come per autocorregersi o per autoesaltarsi, per condannare i suoi propri insuccessi, così come per riconfermare il suo rifiuto delle convenzioni sociali, il disprezzo della società del suo tempo.
Questo addestramento di Julien, questa educazione sentimentale e sociale, non provoca soltanto interventi esterni di Stendhal, ma quelli di tutti i personaggi, e non solo di coloro a cui lui stesso si rivolge; tutti notano in lui qualcosa di diverso, uno scarto dalla norma, una eccezione, non solo per la sua formidabile memoria; e tutti questi vorrebbero vederlo in un altro modo, conformarlo, rivestirlo secondo ben precisi modelli.
La sua apparenza, la sua tenuta, anche la sua decenza nell’abbigliamento, sono un elemento costante durante tutto il romanzo: ad ogni incontro con i suoi nuovi padroni viene subito da loro indirizzato da sarti e camiciai, proprio perché c’è, da parte di tutti, la volontà di rivestirlo, di modificare la sua naturale essenza.
Il tema del vestito non ha infatti a caso così largo spazio.
Ma più di vere e proprie vestizioni, si tratta di travestimenti, di tentativi esterni di metamorfosi che lasciano però intatta la rivolta di Julien, il quale può tranquillamente piegarsi ad indossare vari abiti: l’abito nero del precettore; la bella divisa azzurro cielo di guardia d’onore del re; di nuovo la tonaca; ancora la tonica in seminario; il bell’abito blu per le conversazioni intime con il marchese de la Mole; l’abito vecchio stile per la missione in Inghilterra; e il vero abito da dandy per recarsi all’opera con M.me Fervaques ed infine la divisa da ufficiale a Strasburgo.
Egli può così apparire di volta in volta precettore, seminarista, guardia ufficiale, dandy, giovane prete, ecc., apparenze che però non lo porteranno mai ad assumere ed ad accettare una volta per tutte l’uniforme sociale.
E importante è anche la frase che apparentemente pare senza senso, quando il marchese de la Mole manda a chiamare Julien dopo aver letto la lettera della figlia: “Il marchese chiede di voi, vestito o non vestito”. L’abito non ha infatti in quel momento più alcun valore: Julien ha infatti agito, tradito, ha rotto le regole; si è smascherato; il suo rivestimento è oramai indifferente poiché chi gli è davanti è consapevole del fatto che il suo animo è superiore all’apparenza che caratterizza i salotto parigini; ed è quindi logico il fatto che nell’ultima parte del brano l’abito non viene neanche più nominato, poiché l’ipocrita è oramai ridotto alla sua rudezza.
E proprio quando sembra ormai convertito obbligatoriamente, sovrasta la scena attentando alla vita di M.me de Renal e mostrando tutta la sua superiorità ed il suo disprezzo proprio quando ha realizzato tutte le sue aspirazioni.la sua indole rossa si scarica quindi del tutto la parte di nero, ora non più sostenibile, ed egli va lucidamente verso la morte, per ritrovare la sua piena libertà.
Ma Julien non è l’unico personaggio in contrapposizione alla grande massa che lo circonda.
Stendhal insiste molto sul ritratto morale della Francia del tempo,in tutti i suoi risvolti politici ed economici, nei suoi costumi di provincia e di Parigi; ripete inoltre spesso che in questo romanzo si era riusciti perfettamente a rappresentare il comportamento di un sindaco di provincia, come del resto l’amore di una ragazza parigina dell’alta società.
L’arte di Stendhal trascura le lunghe descrizioni di esterni o di interni, o lo fa solo in funzione della realtà morale che vuole rappresentare, ma dedica molto più tempo all’animo dei suoi personaggi, motivati e coinvolti nelle loro passioni o nella situazione sociale in cui vivono ed agiscono, e quindi nei loro pregiudizi di classe, nella loro educazione, nelle loro aspirazioni.
In questo quadro prevalgono quindi l’ipocrisia, la vanità ed il conformismo, che appartengono a tutti i luoghi che visiterà in seguito Julien.
Come infatti non definire neri un Valenod, un Castanede, un Frilair; ma accanto a questi troviamo continui richiami all’ambiente rosso che tanto Julien desidera, come appunto l’abate Chelan, Pirard, e lo stesso conte d’Altamira, che è un fuggitivo rifugiatosi a Parigi perché condannato a morte.
Altri due personaggi che si distinguono e che emergono per la loro forza e per la loro differenza di comportamenti, sono le 2 amanti, M.me de Renal e Mathilde.
Stendhal ha voluto rappresentare in due modi diversi questi 2 tipi di amore, un amore di cuore, la prima, e di testa, la seconda.
Sono entrambe ignare della passione che le travolgerà poi, ma varia la società, che proprio qui influisce nei 2 comportamenti, in quanto Mathilde è comunque consapevole dei vari atteggiamenti da seguire.
Anche in questi altri 2 personaggi le crisi, le scelte sono sempre tra realtà e finzione. E mentre M.me de Renal passa da una situazione di totale ingenuità, a una di volontà e difesa, Mathilde, seduttrice lei di Julien, passa da una macchinazione di orgoglio e di vanità, in cui diventa fredda ed inavvicinabile, alla totale accettazione della sua passione.
I comportamenti di tutti e tre portano sempre a dover superare un grande ostacolo con rinunce, stratagemmi ed inganni.
E sono proprio questi tre personaggi a ritrovarsi a confronto alla fine, fino ad assumere, forse per la prima volta nel romanzo, un comportamento naturale.
Mathilde riesce a comportarsi come aveva sempre desiderato, diventando un’eroina tipica del 500 che accompagna il suo cavaliere orgogliosa di lui.
M.me de Renal può finalmente amare Julien senza paura.
Julien è ora invece in grado di giudicare e di giustificare ogni suo atto, di riconoscere il suo crimine, così come di giudicare a sua volta e disprezzare la classe sociale che condanna la sua rivolta di plebeo.

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