Il Romanzo

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Testo

IL ROMANZO
“Un romanzo è uno specchio che percorre una strada maestra. A volte riflette l'azzurro del cielo, a volte il fango delle pozzanghere”
Stendhal
Il romanzo apparve in Europa tra la fine del XVI secolo e l’inizio XVII, parallelamente all’affermarsi della borghesia. Poiché nato nell’epoca moderna, è tuttora in divenire, cioè incompiuto.
Un romanzo è una narrazione in prosa, racconta una storia, ovvero una successione di avvenimenti concatenati da rapporti temporali e causali. Nel romanzo possiamo trovare una narrazione fittizia, oppure può essere narrato, sia pure rielaborato, un avvenimento o un evento storico realmente accaduto all’autore o ad altre persone. Il romanziere può decidere se seguire l’ordine cronologico o se servirsi di anticipazioni come i flash-back. Il romanzo è inoltre un genere letterario in cui sono fuse alcune caratteristiche di altri generi. Per questo motivo viene collegato all’epica e alla novella.
Il romanzo si affermò proprio a partire dal momento in cui il poema epico e la concezione aristocratica del mondo andò disgregandosi. Attraverso vicende individuali è in grado di comunicare la concezione del mondo propria di un popolo e di una classe sociale in una determinata epoca. Il romanzo ha come protagonista l’uomo comune, problematico e che si adatta alle condizione imposte dalla vita. Il romanzo viene spesso associato alla novella poiché si avvale anch’esso di una cornice e vista anche l’attenzione che entrambi i generi pongono sulla realtà quotidiana.
Il termine romanzo è di origine medioevale. Inizialmente, intorno all’VIII secolo, indicava la lingua volgare, popolare. Nel XII secolo cominciò ad essere usato per opere narrative prima in versi e poi in prosa, composte in lingua volgare (solitamente in francese antico) che trattavano i cosiddetti romanzi cortesi o cavallereschi. Intorno al XVI secolo iniziò ad essere impiegato per quel genere letterario che ancora oggi chiamiamo romanzo. La sua tipologia è assai più vasta di quella qualsiasi altro genere letterario. Una prima differenziazione, detta orizzontale, distingue i diversi tipi di romanzo in base alla tematica o alle tecniche di composizione. Una seconda, detta verticale, prende in considerazione il valore artistico delle opere. Si ha così un’alta letteratura, che comprende i cosiddetti classici, e una letteratura d’intrattenimento, che comprende quelle opere di importanza culturale minore. La distinzione orizzontale distingue quattro gruppi.
Il primo comprende i romanzi d’azione o di eventi, nei quali l’elemento più importante è la trama. I personaggi hanno la funzione di portare avanti l’azione, perciò né i caratteri, nè lo sfondo sono molto approfonditi. Fanno parte di questo filone il romanzo picaresco e quello di viaggi e d’avventure.
Il secondo gruppo comprende i romanzi d’ambiente e di carattere, nei quali i personaggi rappresentano l’elemento fondamentale e vengono analizzati fisicamente, psicologicamente e vengono messi a confronto con l’ambiente. Fanno parte di questo filone il romanzo storico e quelli realisti.
Il terzo gruppo comprende invece i romanzi d’analisi. L’attenzione dello scrittore si sofferma sul rapporto che lega il personaggio al contesto sociale, che diventa l’elemento principale della narrazione. La forma assunta da questi romanzi è spesso la narrazione in prima persona. Questo tipo di romanzi si diffonde con l’inizio del Novecento e con il nascere di molti problemi sociali.
Il quarto gruppo comprende il romanzo sperimentale, che mette in discussione quello tradizionale. Anche se le origini del romanzo si collocano alla fine del XVI secolo, è soprattutto a partire dall’Ottocento che questo genere si diffonde e diventa il più importante.
IL ROMANZO DELL’OTTOCENTO
“La verità è in marcia e nulla la fermerà”
Émile Zola
In tutta Europa agli inizi dell’Ottocento cambia l’intera società: l’avvento della borghesia, del nazionalismo e di spinte rinnovatrici, catalizza nel romanzo le inquietudini di un’intera epoca, con accenti diversi a seconda del.Paese interessato.Piace ai lettori dell’epoca il tema dello sviluppo dell’individuo, già trattato nel secolo precedente da Johann Wolfgang Goethe nel Werther e affrontato successivamente da Stendhal, con il personaggio di Julien Sorel, protagonista del Rosso e Nero del 1830. E poi da Balzac e Dickens per i quali una società che cresce, si esprime solo narrando la crescita dei suoi eroi.
Gli argomenti-cardine di tutta la narrativa realistica e in special modo di quello che Roland Barthes definisce “romanzo assoluto” e cioè La commedia umana di Balzac,sono la famiglia, le vicende e i rapporti che si realizzano al suo interno e che influenzeranno tutta la letteratura sia in Francia che fuori.
Grande fortuna ha anche il genere del romanzo storico rappresentato non solo dal capolavoro di Alessandro Manzoni.
In Italia perché potesse nascere un discorso narrativo complesso doveva arrivare Ugo Foscolo che, con il suo Jacopo Ortis del 1802 “dà il segnale di una nuova transizione formale”. Vicino alle Ultime lettere Di Jacopo Ortis, testo fondamentale per la narrativa italiana del primo Ottocento, vi saranno I promessi sposi, romanzo che ha un altro modo di condurre la narrazione e in cui il narratore finirà per assumersi “la piena responsabilità di autore, di interprete ironico ed esplicito della storia”. Possiamo comunque dire che gli stili e i contenuti della produzione letteraria dell’800 variano secondo il pubblico al quale si rivolgono. Il romanzo d’appendice e quelli di soggetto delittuoso (la cosiddetta letteratura “industriale”) hanno come pubblico il ceto popolare (impiegati, operai, artigiani, piccolo-borghesi); la loro diffusione avviene principalmente in Inghilterra. I principali esponenti sono Dumas e Sue in Francia e Dickens in Inghilterra, anche se, nella seconda metà del secolo, l’alta qualità garantita dai loro romanzi, scende notevolmente.Il romanzo realista e naturalista ha invece un pubblico “medio” (piccola e media borghesia di insegnanti, funzionari, medici, avvocati, notai, commercianti e dalle loro famiglie). In Francia il pubblico di Zola raggiunge circa i 50.000 lettori , ma in Italia non riscuote molto successo a causa dell’assenza di un “pubblico medio”.Infine vi sono i poeti simbolisti (in Italia Pascoli e D’Annunzio) il cui pubblico è composto da un’élite numericamente molto limitata della classe dirigente (ufficiali, professori di liceo e universitari, alti burocrati, giornalisti).Talvolta però alcuni romanzi riescono a coinvolgere il pubblico di ogni “livello”, ad esempio i romanzi e i reportages di De Amicis.I realisti e i naturalisti ricercano il loro soggetto nel quotidiano, in un mondo laico, basso e concreto. Il romanzo assume così un ruolo di grande importanza che riesce a influenzare gli altri generi letterari, perfino nella poesia sono introdotti alcuni caratteri realistici.
NATURALISMO
“La scienza non ha promesso la felicità, ma la verità. La questione è sapere se con la verità si farà mai la felicità”
Émile Zola
Verso la fine del XIX secolo, alcune tendenze realistiche, evidenti nell’opera di Flaubert ,si svilupparono dando origine al movimento del naturalismo, che considerava l’ambiente e l’eredità come i fattori da cui dipende l’azione umana. Ispiratore di questo movimento fu il critico e storico Hippolyte Taine, autore di una Histoire de la litterature anglaise (Storia della letteratura inglese, 1863-1864) . Taine sosteneva che la virtù e il vizio fossero prodotti sociali così come certe sostanze sono prodotti naturali e che la cultura fosse il risultato di influenze formative come la razza e il clima. Il naturalismo ebbe la sua prima espressione nel romanzo Germinie Lacertouux (1864) di Edmond e Jules de Goncourt. Dopo la morte del fratello, Edmond de Goncourt (che finanziò il prix Goncourt, prestigioso premio letterario francese) scrisse diversi romanzi che influenzarono l’opera di Alphonse Daudet, noto per i suoi racconti ambientati in Provenza (Lettere dal mio mulino, 1869) e per il senso dell’umorismo.
Emile Zola fu il padre del romanzo naturalista, in cui tentava di applicare i metodi dell’osservazione scientifica per descrivere i mali della società e i comportamenti di tipo patologico. Il desiderio di giustizia e di riforme sociali gli ispirò il famoso J’accuse, un pamphlet pubblicato nel 1898 in cui accusava le autarità militari e civili francesi di avere ingiustamente accusato di tradimento l’ufficiale ebreo Alfred Dreyfus.
Una completa adesione ai principi del naturalismo caratterizzò l’opera di Emile Zola, che divenne il principale esponente del movimento e portavoce del determinismo storico di Taine. Il metodo letterario di Zola trovò espressione nei romanzi L’Assommoir (1877) , Nana (1880) e Germinal (1885), talmente influenti che nel 1887 Edmond de Goncourt e Daudet, con cinque discepoli di Zola, fondarono un gruppo di opposizione, cui si deve un manifesto contro il romanzo la Terra (1888) di Zola. A lui si contrappose anche Paul Bourget, conosciuto per il romanzo Il discepolo (1889) . Attribuendo maggiore importanza alle cause psicologiche rispetto a quelle ambientali, Bourget mise in evidenza un aspetto del naturalismo trascurato da Zola. Per quanto concerne il genere del racconto, insuperato maestro fu Guy de Maupassant, seguace di Flaubert e autore di raccolte come Palla di sego (1880), Mademoiselle Fifi (1882) , Racconti della baccaccia (1883) , oltre i celebri romanzi come Una vita (1883) e Bel Ami (1885) .
Anatole France fu tra i maggiori rappresentanti dello spirito razionalista francese. Dietro una scrittura elegante e raffinata e un atteggiamento di ironico scetticismo seppe nascondere una profonda partecipazione alle sofferenze dell’uomo moderno.
Ernest Renan critico e storico molto influente, si oppose sia al materialismo di Taine sia all’individualismo romantico di Michelet. Scrittore ricordato soprattutto per Storia delle origini del cristianesimo (1863-1883) , Renan influenzò romanzieri come Pierre Loti, Maurice Barres e Anatole France.
Guy de Maupassant è considerato uno dei più grandi narratori di tutti i tempi. La sua vasta produzione letteraria si caratterizza per lo spiccato realismo, l’immediatezza con cui luoghi e personaggi vengono descritti, nonché per la fedele rappresentazione della società francese del XIX secolo. Oltre a duecento racconti, Maupassant scrisse appunti di viaggio e sei romanzi.
Anatole France espresse in tono ironico visioni sociali analoghe a quelle di Zola. Nelle sue opere descrisse le forze irrazionali della società, manifestando pietà per i deboli e rabbia contro gli abusi di potere. I racconti realistici, tra cui Crainq uebille (1901) , e le satire fantastiche L’isola dei pinguini (1908) e La rivolta degli angeli (1914) sono, da questo punto di vista, le sue opere più caratteristiche. Altro grande autore dell’Ottocento fu il naturalista Jean-Henri Fabre, i cui piacevoli studi sulla vita degli insetti sono diventati un modello per la letteratura scientifica indirizzata a un pubblico non specializzato.
LA FORTUNA DEI ROUGON: PREFAZIONE DI ZOLA
Una prefazione quella di Zola che vuole spiegare, appigliandosi agli aspetti cardine della poetica naturalistica, le intenzioni, i propositi, le modalità relative alla stesura del celebre ciclo di romanzi “Rougon-Macquart”. Secondo Zola infatti , il romanzo illustrerebbe la legge scientifica, ispirata al determinismo dell'eredità, mostrando come i vari membri di una famiglia siano condizionati da "un'originaria lesione organica": ciò determina "con certezza matematica", una relazione stabile che ne unisce i destini ; la legge dell'ereditarietà condizionerebbe inoltre, lo sviluppo dei caratteri combinandosi con l'influenza dell'ambiente sociale e del momento storico in cui i personaggi
vivono. Perciò la storia di una famiglia sarà anche la storia dell'intera società francese negli anni del Secondo Impero. Zola, in fondo, focalizza la sua attenzione sullo sviluppo di una patologia che colpisce i membri di un'intera famiglia; ecco quindi l'importanza dello studio medico e fisiologico.
L’autore ha comunque ben chiaro che la cornice per questa storia "naturale e sociale di un famiglia" dev'essere a sfondo politico: si vuole analizzare un periodo della storia francese, dominato da un autoritarismo - quello di Napoleone III - che il democratico Zola respinge con sdegno, suggerendo un'analogia fra la malattia di una famiglia e quella di una intera società.
Io voglio spiegare come una famiglia, un piccolo gruppo di persone, si comporta una società, sviluppandosi per dar vita a dieci, venti individui che, a prima vista, serrbrano profondamente diversi, ma che, analizzati, si rivelano intimamente connessi g uni agli altri. Come in fisica la gravità, così l’eredità ha le sue leggi.
Cercherò di scoprire e di seguire, tenendo conto della duplice azione dei temperamenti individuali e degli ambienti sociali, il filo che conduce con certezza matemat - ca da un uomo ad un altro uomo. E quando terrò in mano tutti i fili, quando avrò studiato a fondo tutto un gruppo sociale, farò vedere questo gruppo in azione come forza motrice di un’epoca storica, lo raffigurerò in tutta la complessità dei suoi sforzi, analizzerò, nello stesso tempo, la somma delle volontà di ciascuno dei suoi membri e l’impulso generale dell’insieme.
I Rougon-Macquart — il gruppo, la famiglia che mi propongo di studiare — ha, come tratto caratteristico, l’eccesso degli appetiti, l’ampia tendenza ascensionale della nostra epoca che tende freneticamente al piacere. Dal punto di vista fisiologico, si tratta del lento succedersi degli accidenti nervosi e sanguigni che si rivelano in una stirpe, in conseguenza di un’originaria lesione organica, e che in ciascuno degli individui di questa specie determinano, a seconda dei diversi ambienti, i sentimenti, i desideri, le passioni, tutte le manifestazioni umane, naturali ed istintive, i cui prodotti si sogliono chiamare virtù e vizi. Dal punto di vista storico, questi individui partono dai popolo, s’irradiano in tutta la società contemporanea, raggiungono tutte le posizioni, in seguito a quell’impulso essenzialmente moderno che spinge le class inferiori a salire entro la società, e costituiscono così la storia del Secondo Impero come sintesi dei loro drammi individuali, dal tranello del colpo di Stato fino al tradimento di Sedan.
Da tre anni a questa parte io raccoglievo i documenti per questa vasta opera, e il presente volume era già scritto, quando la caduta del Bonaparte, della quale avevo bisogno come scrittore, e che sempre, fatalmente, io immaginavo come conclusione del dramma, senza osar di sperare che fosse così vicina ad accadere, è sopraggiunta a porgermi lo scioglimento terribile e necessario della mia opera. Da oggi essa è completa; si muove entro un circolo chiuso; diviene la raffigurazione di un regno estinto, di un’epoca eccezionale di follia e di vergogna.
Quest’opera, che comprenderà numerosi episodi, è dunque, nella mia concezione, la storia naturale e sociale d’una famiglia sotto il Secondo Impero. E il primo episodio, La fortuna dei Rougon, deve avere il titolo scientifico Le origini.
BIOGRAFIA
"Il romanziere come lo scienziato deve essere insieme osservatore e sperimentatore, considera l'arte come una riproduzione oggettiva del reale governata dalle leggi della natura, rivendica l'impegno morale dello scrittore che, mettendo in luce le cause dei fenomeni sociali, dove indurre la società stessa a intervenire per modificarli e migliorarli."
Émile Zola
Émile Zola (Parigi 1840-1902)trascorse l'adolescenza a Aix-en Providence divenendo amico di Cezanne durante gli anni di liceo.
La morte del padre (1847) minò la già precaria economia familiare e costrinse Émile a far ritorno a Parigi. Qui esercitò vari mestieri rinunciando a proseguire gli studi. Dopo un periodo di ristrettezze
economiche e di frustrazioni psicologiche, fu nominato capo del servizio di pubblicità entrando così in rapporto con i meccanismi dell'industria culturale e con i maggiori scrittori del tempo.
Zola aveva intanto maturato la decisione di intraprendere la carriera giornalistica e letteraria, attraverso lo studio attento degli scrittori realisti e delle teorie positivistiche di Darwin, Taine e Claude Bernard.
Ben presto, però, lo studio dei nuovi testi scientifici portarono Zola a elaborare una concezione del romanzo come opera "sperimentale" , guidata cioè dagli stessi criteri di obiettivita' che caratterizzavano la ricerca scientifica dei suoi contemporanei.
L’esperienza di lavoro, intanto, lo indusse a rinunciare ai toni intimistici tardoromantici dei suoi primi lavori e a confrontarsi con gli interessi e gli umori del grande pubblico. Dopo due romanzi d’appendice (le sue “prove di laboratorio”), si affermò presso il pubblico e la critica col romanzo Therese Raquin (1867), dedicato a Sainte-Beuve e valorizzato da Taine. Romanzo di adulterio, di delitto e di ossessionante rimorso che, nonostante i toni tardoromantici, si presenta come opera sperimentale intesa a interpretare i dibattiti allora correnti sulla narrativa. Per influsso di Taine e della sua dottrina, Zola rese più complessa la struttura narrativa e l’adattò all’applicazione della tematica scientifica. Il romanzo divenne lo strumento per analizzare vari aspetti della vita umana e documentare i mali sociali con un linguaggio analitico ma dallo stile conciso e crudo, che egli stesso chiamò "naturalismo".
Zola si avviò così ad offrire un ritratto disincantato e perfino spietato della società francese sul finire dell’Ottocento, attraverso spaccati rigorosamente oggettivi e interessanti il mondo sociale ma anche culturale e politico, non senza subire attacchi da destra (per Germinal) o da sinistra (per L’ammazzatoio) secondo le tematiche affrontate. Nel 1870 era nato il progetto di un complesso ciclo narrativo in venti romanzi, poi scritti tra il 1871 e il 1893, il ciclo dei Rougon-Macquart, storia naturale e sociale di una famiglia sotto il secondo impero, inteso a illustrare la storia di una casata attraverso cinque generazioni, lavoro in cui Zola, chirurgo-scrittore, ricerca le conseguenze di un inquinamento ereditario. Si tratta di un’analisi che ebbe un grande successo di pubblico: così Il ventre di Parigi (1873), sulla vita dei quartieri popolari della città; L’ammazzatoio (1877), sulle conseguenze dell’alcolismo , la più cruda descrizione dell'abbrutimento umano e il primo grande successo dell'autore. Nanà (1880), sulla prostituzione e la “buona società” della borghesia parigina; Germinal (1885), sulla vita dei minatori, che per la prima volta nella letteratura francese metteva al centro le lotte sociali; la bestia umana (1890), sulla ferrovia e sulla follia omicida; La disfatta (1892), sulla guerra e sulla caduta del Secondo Impero.
Nel 1880 era stata pubblicata una raccolta di novelle, "Le serate di Medan", di vari autori che avevano maturato , nella casa di Zola a Medan , le nuove teorie di letteratura ed arte con cui si evidenzia il rifiuto del romanticismo sentimentale ed eroico e si esprimeva , invece , una ricerca viva e genuina della realtà , indagata con occhio scientifico nei suoi aspetti più umili e quotidiani , con un'indagine sperimentale .
Questa raccolta fu salutata come il "Manifesto del naturalismo" e Zola fu acclamato caposcuola di questo movimento in quanto u suoi romanzi erano tutti incentrati sulla realtà sociale del tempo .
Zola precisò le sue idee naturalistiche con tre opere: "Le roman experimental" (1880) , "Les romanciers naturalistes" (1881) , "Le naturalisme au theatre" (1881).
Nel 1894 egli concepi' un nuovo ciclo, la trilogia "Tre città" (Roma, Lourdes, Parigi) e nel 1899 un terzo ciclo "I quattro vangeli" (fecondità, lavoro, verità e giustizia. Quest'ultimo mai scritto).
Nel frattempo lo scrittore aveva aderito alle dottrine socialiste e nel 1894 intervenne con impegno nell’affare Dreyfus, prendendo le difese dell’accusato con la celebre lettera aperta al presidente della
Repubblica, pubblicata sul giornale “L’Aurore” col titolo “J’accuse”; questo atto gli costò un anno di carcere e un breve esilio in Inghilterra ma confermò la sua immagine di guida intellettuale e morale, ormai di statura europea.
Zola morì nel 1902, asfissiato nel sonno dalle esalazioni di una stufa.

Thérèse Raquin
QUALCUNO MUORE OGNI TANTO. MA È PERICOLOSO PER QUELLI CHE RESTANO
LA STORIA
“Laurent era assorto. pensava a Camille. «Non ce l’ho con lui» disse infine senza nominarlo, «ma è davvero di troppo… Non potresti levarcelo di torno, mandarlo a fare un viaggio, da qualche parte lontano?»
«Ah, un viaggio, sì!» riprese la giovane donna scuotendo la testa. «Credi di convincere uno come lui a viaggiare… C’è solo un viaggio senza ritorno… Ma ci seppellirà tutti; quelli che sembrano fatti d’aria non muoiono mai.»
La storia è quella di un adulterio e di un delitto. I protagonisti, Thérèse e Laurent, lungi dall’assomigliare a due eroi romantici, sono reciprocamente attratti in virtù dei loro opposti temperamenti, che si compensano a vicenda con l’ineluttabilità di un fenomeno chimico.
Il tradimento si consuma nella cornice ristretta di un ambiente piccolo borghese, in una Parigi quasi priva di connotati, senza riferimenti storici, un luogo «neutro» che ben si attaglia ai personaggi opachi, animati da aspirazioni banali, che sullo sfondo assistono, ignari, allo svolgimento di un dramma. I due amanti, per assecondare la loro passione, non esitano a macchiarsi di un crimine; a questo punto però il racconto, pur mantenendo la sua impostazione realistica, pare quasi tingersi dei toni cupi di un romanzo gotico: lo spettro dell’assassinato sembra impossessarsi della vita dei suoi carnefici e precipitarla in un susseguirsi di allucinazioni, incubi, sospetti e accuse reciproche che li sospingono nella più infima abiezione. La loro esistenza assume caratteri via via più drammatici.
I SUOI OCCHI FISSI SEMBRAVANO UN NERO ABISSO DOVE NON SI VEDEVA CHE TENEBRA
I LUOGHI
“In fondo a Rue Guènègaud, venendo dai lungosenna, si trova il passage del Pont-Neuf, una specie di corridoio stretto e buio che congiunge Rue Mazzarine a Rue de Seine. E’ un passage che non misura più di trenta passi di lunghezza e due di larghezza; è lastricato di pietre giallastre, consumate, sconnesse, trasudanti sempre un’acre umidità; la tettoia a vetri che lo ricopre con spigoli ad angolo retto, nereggia di lerciume…”
Questo è l’incipit del romanzo. Non sappiamo ancora nulla di Thérèse, Camille o Laurent, solo un paesaggio tetro della periferia parigina ad immetterci nella storia. Tuttavia neppure ad una lettura superficiale può passare sott’occhio che questo non è un semplice paesaggio, non una pura descrizione fine a se stessa, ma uno scenario volutamente abbruttito per anticipare la psicologia e il tenore morale di vita dei personaggi. E proprio perché il fine di queste descrizioni non è altro che un quadro completo della loro psiche che sembrerebbe più giusto guardarli di volta in volta con gli occhi dei diversi protagonisti. Perché se è vero che qualcuno dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, è anche vero che, per Zola , gli ambienti possono adempiere alla stessa funzione.
La casa sciatta e tetra diventa addirittura un paradiso se a descriverla è un’amorevole madre che ritrova sotto lo stesso tetto i suoi più importanti affetti; ma è impressionante come una relazione clandestina e successivamente il fantasma di un delitto possano sconvolgere questa visione e giustificare quindi la descrizione degli interni.
Zola comunque non si limita a questo.
A fare da sfondo a quella che è la scena più cruenta dell’intero romanzo è uno dei più noti simboli parigini, la Senna, descritta accuratamente nell’ora del crepuscolo di una qualunque giornata autunnale ( scelta di certo non lasciata al caso), e le acque argentee del fiume diventano complici del delitto e soffocano l’ultimo grido disperato del povero Camille.
A partire da questo momento, Laurent frequenta l’obitorio fintanto che il suo annegato non viene esposto. L’autore approfitta dell’occasione per descriverci la voluttà del luogo e dei suoi amatori. Paradossalmente diventa punto d’incontro dei personaggi più disparati, è pur vero in fondo che solo lì si trova la porta che collega il mondo dei vivi a quello dei morti. A denti stretti Zola ci rivela un’altra cruda verità: “E’ alla Morgue che le giovani canaglie hanno la loro prima amante”.
SONO TUTTI CIECHI QUI: NON AMANO
ANALISI DEI PERSONAGGI
“In Thérèse Raquin, ho voluto studiare dei temperamenti e non dei caratteri. In questo è racchiuso tutto il libro. Ho scelto dei personaggi smoderatamente dominati dai nervi e dal sangue, privi di libero arbitrio, trascinati in ogni atto della loro vita dalla fatalità della carne.(…)L’anima è totalmente assente (…) giacché così ho voluto.”
Thérèse e Laurent non sono altro che schiavi delle loro passioni, degli impulsi dell’istinto, degli squilibri cerebrali sopraggiunti dopo una crisi nervosa. Il loro amore non è altro che l’appagamento di un bisogno, non un sentimento puro.
Il delitto portato avanti a quattro mani è la logica conseguenza del loro adulterio. Essi uccidono perché si sono promessi di farlo. Il matrimonio verrà rinviato perché tra di loro non vi è amore, sono sconcertati e nauseati perchè non riescono più a ritrovare sé stessi e hanno bisogno di un lungo periodo per provare nuovamente il desiderio dei loro abbracci.
“Privateli della passione tragica, fatene dei bruti, e capirete le loro crisi e i loro cedimenti.”
Thérèse è una ragazza sola, costretta a vivere in un mondo che non la appartiene, tra gli sguardi schivi e fin troppo superficiali di persone che non la comprendono. Vittima di un destino che era già stato scritto senza il suo assenso, prigioniera di un matrimonio che nel migliore dei casi le faceva provare totale indifferenza. E ad aleggiare attorno al suo volto quella conturbante calma, che sembrò diradarsi solo con l’incontro con Laurent.
“La natura sanguigna di quel ragazzo, la sua voce piena, le sue risate grasse, l’odore aspro e forte che mandava la sua persona turbavano la giovane donna mettendole addosso una sorta di angoscia nervosa”
Figlio di un contadino e vecchio compagno di scuola di Camille. Impegnato solo ad oziare, è rapito dal sogno di una vita ricca di piaceri, lussurioso, ingordo e pigro. Trova l’appagamento di tutti i suoi desideri tra le attenzioni dell’anziana sig. Raquin, la venerazione di Camille e il turbinio di passioni in cui lo coinvolge Thérèse.
“[Thérèse] Di un nero opaco i suoi occhi sembravano due cavità abissali; attraverso le labbra socchiuse si intravedevano nella bocca rosei luccicori. Era come annientata, rattrappita su se stessa; ascoltava”
Un’unione scandita da momenti di ripugnanza e di riavvicinamenti complici alla ricerca di una consolazione che nessuna violenza, nessuna accusa, nessuna lacrima e nessuna umiliazione potevano trovare. Una ricerca affannosa di comprensione e di sostegno che sfocia in liti violente, in tentativi estremi di redenzione di Thérèse e un ulteriore accrescimento del senso di colpa di Laurent. E quella casa, che sarebbe dovuta esser il nido per un amore mai nato, non è più loro; il padrone rivendica le sue proprietà, il fantasma di camille non è mai andato via e questa presenza costringe i due a nascondersi rifugiandosi nella prostituzione e nella pigrizia.
“Piansero senza dire una parola, guardando quel fango che era stata la loro vita e che sarebbe continuata identica se fossero stati tanto vigliacchi da vivere ancora.”
Uno squallore di vita…
Non ci si poteva aspettare nulla di meglio da due persone che per troppo tempo erano state costrette a vestire panni troppo stretti. In fondo Thérèse non è stata altro che una marionetta nelle mani di un’abile burattinaia quale la signora Raquin, presente sin dalle prime pagine del libro come una tenera madre che pensando solo ed esclusivamente al bene dei suoi “figli” disegna per loro una vita in cui nulla è lasciato al caso, in cui non avrebbero dovuto avere preoccupazioni, si sarebbe occupata lei di ogni minimo particolare.
Plasma il carattere di Thérèse e di Camille con quell’amore materno tanto forte da diventare addirittura egoista e non si accorge che lentamente le loro azioni non sono più dettate da quella volontà che pian piano sta reprimendo, ma da sottili fili invisibili che è lei a muovere guidando ogni loro passo. Paradossalmente però anche la vita sa mietere le sue vittime, e così gli eventi la trasformano da Mangiafuoco, in Pinocchio. Al punto che è costretta a subire quotidianamente quando le attenzioni, quando il disprezzo di quei due che aveva considerato come figli e che di fronte al suo corpo, ormai irrigidito dalla malattia, confessano l’assassinio di Camille.
Anche al più debole degli uomini è concessa una rivincita…
“…E per quasi dodici ore, fino al giorno dopo verso mezzogiorno, la signora Raquin, rattrappita e muta, li contemplò ai suoi piedi, non potendo saziarsi gli occhi, tenendo su di loro sguardi di piombo.”
C’è comunque chi questa rivincita non fa in tempo a prendersela da vivo o forse non ne era stato in grado, passivo di fronte a ogni istante della sua esistenza e di fronte alla malattia nata con lui che lo dilaniava dall’interno, di fronte a una madre, a una moglie e a un amico. Rinasce dopo la sua morte come una fenice che risorge dalle sue ceneri.
Il suo fantasma divenne una presenza costante e invadente nella vita di Thérèse e Laurent, si insinuava in ogni loro gesto, pensiero o parola che fosse, spegnendo ogni loro impeto, ogni loro passione e ogni loro più intimo desiderio. E non c’era modo per distogliersi da quella presenza, un bruciore costante al collo di Laurent era il ricordo di quel morso datogli da Camille prima che morisse, con tutta la forza che non era riuscito a tirar fuori durante la sua flebile esistenza. Fino a quando non giunse alla fase conclusiva: soffocare ogni loro anelito di vita.
“…Quando l’amico gli aveva fatto notare che in tutti quegli studi i volti avevano un’aria di famiglia, lui si era subito voltato per nascondere il pallore. Perché non era la prima volta che questa fatale somiglianza lo colpiva. lentamente ritornò davanti alle tele; a mano a mano che le osservava (…) un sudore freddo gli bagnava la schiena.
-Ha ragione, mormorò, si assomigliano tutti…Assomigliano a Camille.-
(…) Si sarebbe detto Camille truccato da vecchio, da ragazza, un Camille che sotto la maschera che l’estro del pittore gli dava conservava ancora e sempre il carattere generale della sua fisionomia.(…) Laurent capì che aveva guardato troppo Camille alla Morgue.”
LA VERITÁ, COME IL FUOCO, PURIFICA OGNI COSA
COMMENTO
“…Ogni tanto arrivavano bande di ragazzini dai dodici ai quindici anni, che correvano lungo la vetrata non fermandosi che davanti ai cadaveri di donne. Piantavano le mani sui vetri e lasciavano scorrere sguardi sfrontati sui seni nudi. Si davano gomitate, facevano apprezzamenti brutali, imparavano il vizio alla scuola della morte.”
Impossibile parlare solo di consensi quando chi scrive è disposto a mettere se stesso e la sua opera sulla pubblica piazza, alla mercè di tutti; doppiamente impossibile se la suddetta opera, ricca di violenza e di inganni, intrisa di paura e mai di sentimento, sembrerebbe addirittura scritta col sangue del vero, spaventoso e terribile per com’è. Ditemi allora, a chi non fa paura la verità? Chi ha voglia di sentirsi dire che quella in cui vive è una società di ingiustizie, atroci silenzi, assassini e prostitute? Chi, spaventato da tutto questo, riesce a notare un’impalpabile filo che congiunge ogni episodio, ogni personaggio, ogni luogo; un filo intrecciato egregiamente da chi sui muri della propria casa non ha affissa nessuna laurea in psicologia, ma che forse è andato ben oltre di quanto molti professionisti dell’epoca erano riusciti a fare. Thérèse o Laurent o la sig. Raquin non sono personaggi sterili, non muoiono sotto il peso soffocante di 200 pagine. Ogni loro respiro o sguardo è accuratamente studiato per non essere sopraffatto dal caso, ogni loro azione ha dietro studi di eziologia, pagine e pagine di analisi della psiche, perché il lettore capisca che non si trova di fronte a due folli squilibrati, ma davanti a persone frustrate, incatenate in ruoli e in vite che non sono le loro. Zola non è certo clemente. Non gli è bastato dirigere uno spettacolo in cui nessuno degli attori è felice della proprio parte, non si è accontentato di tirar fuori dalla vita di ogni giorno personaggi su personaggi, si accanisce contro di loro e finisce per farli vittima anche di quelle pene per cui l’uomo può solo rimanere inerme: la malattia.
LA SUA AMANTE GLI RIPETEVA CHE “IL PERICOLO RISPARMIA QUANTI LO AFFRONTANO A VISO APERTO” E AVEVA RAGIONE
FRAMMENTI…DI VERITÁ
“Gridò Michaud: «Ehi, guardate Thérèse, la signora Raquin muove le dita… Vorrà senz’altro qualcosa». Thérèse non potè rispondere; al pari di Laurent aveva seguito tutto lo sforzo della paralitica, e ora guardava la mano della zia, cerea sotto la cruda luce della lampada, quale una mano vendicatrice in procinto di parlare. I due assassini aspettavano col fiato sospeso”.
La sig. Raquin, bloccata da una paralisi totale, consapevole dell’identità degli assassini del figlio, si trova costretta a vivere insieme a loro incapace di denunciare il crimine; ma non c’è nulla di più forte di una madre che vuole rendere giustizia al figlio ucciso.
Era la prima sera dopo l’omicidio che gli amici di famiglia si riunivano in casa Raquin per le solite giocate a domino o a carte. Né laurent né Thérèse pensarono di portare in camera il corpo irrigidito della vecchia, che sentitasi animata dalla presenza di tutti gli ospiti, raccolse le ultime energie vitali concentrandole in quell’estremo sforzo: sollevò la mano oramai da troppo tempo poggiata sul ginocchio e portatala sulla superficie liscia del tavolo iniziò a tracciare col mignolo destro una dopo l’altra le lettere sarlatte, come quasi intrise di sangue di quell’unica frase che avrebbe inchiodato i colpevoli.
“Michaud e Olivier allungavano il collo, non riuscendo a leggere, costringevano l’inferma a ricominciare sempre da capo”.
Gli ospiti troppo ingenui e stupiti per il gesto della vecchia non potevano vedere in quelle parole nessun appello di aiuto, nessuna sofferenza. Per loro la sig. Raquin sarebbe potuta venir meno solo se sottratta alle cure ritenute amorevoli di Thérèse e Laurent. Quindi, continue interruzioni a quel disumano sforzo per cercare di indovinare il contenuto del messaggio, fino a quando la forza di volontà non basto più e la mano cadde definitivamente sul ginocchio “come corpo morto cade”.
“Il vecchio Michaud lesse a voce alta: «Thérèse e Laurent hanno…». E Olivier chiese: «Che cos’hanno i vostri cari figli?». In preda a un terrore panico, gli assassini furono tentati di completare la frase a voce alta. Fissavano con occhi torbidi la mano vendicatrice quando di colpo questa mano si contrasse in uno spasmo e si appiattì sul tavolo (…) «È chiarissimo» disse Grivet « intuisco la frase completa negli occhi della signora. Non ho bisogno io che scriva sul tavolo; mi basta un suo sguardo… Ha voluto dire «Thérèse e Laurent hanno cura di me». (…) Gli invitati presero ad incensare gli sposi che dimostravano tanta bontà alla povera signora.”
Oltre al danno, la beffa!
“Da quel momento rinunciò a ogni tentativo, lasciò agire le conseguenze dell’assassinio di Camille che dovevano uccidere gli stessi assassini”.
Quel corpo, silente e immobile osservava quotidianamente le violenze che i colpevoli si infliggevano senza alcuna pietà. La sua però non era stata una resa. Zola fa della sig. Raquin una vittima, a volte del suo troppo amore per i “figli”, spesso degli eventi o degli atroci misfatti compiuti alle sue spalle, ma egli la carica al tempo stesso di tanta forza quanto forse un uomo comune non potrebbe mai racchiudere in sé, e la crea lungimirante, paziente spietata come gli ultimi anni di vita l’hanno voluta.
“Prese la brocca dalle mani della moglie e ne riempì un bicchiere. Poi, voltandosi di lato, versò nel bicchiere la boccetta di gres aggiungendovi un pezzo di zucchero. Intanto Thérèse si era piegata sulle ginocchia davanti alla credenza; aveva preso il coltello da cucina e cercava di infilarlo in una delle ampie tasche che le pendevano dalla cintura”.
Il tutto avvenne sotto lo sguardo ardente di vendetta della vecchia sig. Raquin, che sapeva che la fine non sarebbe tardata ad arrivare. I suoi occhi non si vollero perdere neanche un secondo di quella scena che la avrebbe finalmente fatta felice.
“Allora, per quella strana sensazione che avverte di un pericolo incombente, entrambi istintivamente voltarono il capo. (…) Si fissarono così per qualche istante, muti e gelidi, il marito accanto al tavolo, la moglie accovacciata davanti alla credenza. Capirono. Ognuno rimase agghiacciato ritrovando nel complice il suo stesso pensiero (…) si fecero pietà e orrore”.
La ripugnanza e l’odio che provavano l’uno verso l’altra si annullarono in un unico gesto, la pianificazione dell’uccisione reciproca.
“…Una crisi suprema li stroncò gettandoli uno nelle braccia dell’altra, indifesi come bambini. Sentirono come se qualcosa di dolce e struggente rinascesse in loro. (…) Thérèse prese il bicchiere, ne bevve metà e lo offrì a Laurent che lo scolò d’un fiato. Fu un lampo.”
Ironia del destino volle che le labbra della giovane donna si poggiassero proprio sull’unica traccia materiale della loro autodistruzione: la cicatrice del morso inflitto a Laurent da Camille.
Una vendetta offerta su un piatto d’argento alla vecchia, dallo stesso destino che aveva giocato con lei.
UN LIBRO CONTESTATO È UN LIBRO NOTATO
PENSIERI E ACCUSE DEI CRITICI DELL’EPOCA
“Si è consolidata da qualche anno una scuola mostruosa di romanzieri che pretende di sostituire l’eloquenza del carnaio con quella della carne, che fa appello alle curiosità più chirurgiche, che raggruppa gli appestati per farcene ammirare le piaghe, che si ispira direttamente al colera, suo maestro, e fa uscire pus dalla coscienza.”
“E’ più facile fare un romanzo brutale, pieno di sangue, di crimini e di prostituzioni, che scrivere un romanzo contenuto, misurato, variegato, che mostra le vergogne senza scoprirle, commuove senza nauseare. (…) Colpire con il disgusto, piacere con l’orribile, è un processo che risponde purtroppo a un istinto umano…”
“…La mia curiosità è caduta in questi giorni in una pozzanghera di fango e sangue di nome Thérèse Raquin il cui autore, il signor Zola, passa per essere un uomo di talento. So, almeno, che egli mira ardentemente alla fama…”
“Non so se Zola abbia la forza di scrivere un libro fine, delicato, consistente e decente. Servono volontà, spirito, idee e stile per rinunciare alle violenze…”
“…Thérèse è una donna che ha bisogno di un amante (…) Laurent (…) si decide ad annegare il marito dopo la seguente tentazione [l’ancheggiare di lei]. Come si può non assassinare il povero Camille, quest’essere malaticcio e appiccicoso, il cui nome fa rima con camomilla, dopo una simile eccitazione?...”
“Questo libro riassume troppo fedelmente tutti i marciumi della letteratura contemporanea per non destare un po’ di collera. Non avrei detto nulla di una immaginazione individuale, ma, per questo contagio, ne sono compromesse tutte le nostre letture. Costringiamo i romanzieri a dimostrare il proprio talento diversamente e non col prendere prestiti dai tribunali e dall’immondezzaio.”
Articolo di Ferragus (Louis Ulbach) nel «Figaro» del 23 gennaio 1868
“La vostra opera supera i limiti, da diverse angolazioni dalle quali la si esamina, esce dalle forme dell’arte e, riducendo quest’ultima a sola e semplice verità, essa mi sembra lontana dalla verità stessa.”
“...Mi pare che non teniate fede all’osservazione o all’intuizione: è un lavoro di testa e non secondo natura. E, in effetti, le passioni sono feroci : una volta scatenate, fintanto che non sono appagate, esse non danno tregua. Vanno dritte ai fatti e allo scopo, fosse anche un cadavere (…) ma non capisco nulla di vostri amanti, dei loro rimorsi e del loro raffreddamento improvviso, prima di aver raggiunto i loro scopi, Oh! più tardi, non voglio dire: quando la passione dominante è soddisfatta, si riflette, si vedono degli inconvenienti: comincia allora il capitolo dei rimorsi…”
“…Vorrei solo che il termine sprofondare apparisse meno spesso e che quell’altro termine brutale, che riappare di continuo, non accentuasse la nota dominante, che non ha affatto bisogno di questo richiamo per non farsi dimenticare.”
“…Avete fatto un gesto ardito: avete sfidato, in quest’opera, pubblico e critica: non meravigliatevi per qualche collera; la lotta è iniziata, il vostro nome è individuato…”
“Ecco un aforisma morale che a mio avviso colpisce nel cuore il vostro romanzo: « Una passione, una volta scatenata, non si spegne, non si recide bruscamente con il rimorso, come la febbre con il chinino, prima di essere appagata».”
Lettera di Sainte-Beuve ad Émile Zola (10 giugno 1868)
“…La polemica non è fatta per me, e del resto credo che gli attacchi che vi sono rivolti vadano semmai a vostro vantaggio. ”
“…Ritengo che l’intera opera sia costruita su un’idea giusta, è ben legata, ben composta, rivela un autentico artista, un osservatore serio che non cerca il consenso bensì la verità…”
“Certo, Germinie Lacerteux e Thérèse Raquin sono storie vere, ma un libro deve essere sempre, più o meno, un ritratto d’insieme, uno specchio della società intera. Servono, da una parte e dall’altra, biografie, personaggi, indici che mostrino tutto quanto vi è di complemento, le antitesi di ogni sorta, le compensazioni, insomma, ciò che va al di là del nostro soggetto.”
“Quando si chiudono tutte le uscite e il lettore viene imprigionato, a finestre chiuse, in una storia eccezionale, a quattr’occhi con un mostro, un pazzo o un malato, il lettore ha paura, spesso sopravviene addirittura la nausea ed egli grida contro l’autore.”
“Nell’artista completo, c’è una sorta di filosofo enciclopedista dalle vedute ampie e complesse. Oggi si è troppo specialisti, ci si immerge troppo, microscopio alla mano, in una parte del tutto.”
“…Un episodio non deve essere trasformato in un poema, un personaggio di fondo non deve essere riportato in primo piano e diventare tutto il quadro.”
Lettera di Hippolyte Taine ad Émile Zola (inizio 1868)
NON METTETE IL ROMANZIERE SOTTO IL GIOGO DEL PUBBLICO
RISPOSTE E PENSIERI DI ÉMILE ZOLA
“…Rimane inteso che io mi metto da parte, dimentico addirittura di essere l’autore di Thérèse Raquin. Avete parlato di carnaio, di pus, di colera, io parlerò a mia volta delle realtà umane, degli insegnamenti terribili della vita. ”
“Vi confesso, signore, che vi avrei risposto subito se non avessi provato uno scrupolo sciocco. Mi piace sapere a chi mi rivolgo, la vostra maschera mi imbarazza. (…) Quando si ha il volto coperto, ci si può permettere la sfuriata classica, soprattutto in tempo di carnevale. Voglio pensare che, in un salotto, voi divoriate la gente con maggiore delicatezza. ”
“Non mettete il romanziere sotto il giogo del pubblico. Accordategli il diritto di esplorare tranquillamente l’umanità e non denunciate come mostruose le sue creazioni, solo perché gli spettatori, che hanno letto le Memorie di una cameriera, si sentono rivoltati di fronte allo spettacolo di una verità umana. ”
“La verità, come il fuoco, purifica ogni cosa. ”
“Signore, ve lo consento, bisogna scavare nel fango il meno possibile. Mi piacciono, come a voi, le opere semplici e pulite, quando esse sono nello stesso tempo forti e vere. ”
“…Credo che un romanziere debba innanzi tutto scrivere le proprio opere per se stesso, la preoccupazione per il pubblico viene dopo.”
“Affermate che è facile lavorare con l’orribile. Sì e no. È facile – e voi l’avete dimostrato – scrivere una pagina violenta, mettendoci solo violenza; ma non è più cosa facile avere una passione personale, usare l’energia che nasce da questa passione per osservare e sentire la vita. ”
“La «letteratura putrida» non dà da mangiare ai suoi autori. Il pubblico non ama le verità, vuole menzogne in cambio del proprio denaro. ”
“Un’ultima parola. Ho evitato di parlare di me. Permettetemi comunque di dirvi che, se a volte sono stato intollerante, come voi mi rimproverate, non ho mai scritto un articolo che potesse nauseare o far arrossire le mie lettrici. (…) Quando scrivo un libro, scrivo per me come io lo concepisco; ma quando scrivo in un giornale, lo faccio in modo tale da poter essere letto da tutti.”
“Se avessi una figlia, signore, dopo aver dato uno sguardo al numero del «Figaro» in cui si trova la vostra lettera, avrei bruciato quel numero. ”
«Le Figaro», 31 gennaio 1868, risposta a Ferragus
“Accetto le vostre critiche con riconoscenza, ancor più che per i vostri elogi. ”
“...mi dite che ho mentito alla verità non gettando Laurent e Thérèse l’uno delle braccia dell’altra all’indomani dell’omicidio. (…) Quando uccidono, essi sono già quasi disgustati l’uno dell’altra. Il loro crimine è una fatalità alla quale non possono sfuggire. ”
“I miei eroi hanno solo istinti (…) il dramma è soprattutto fisiologico. ”
“La lotta è dura per me. Quando sarò abbastanza conosciuto, quando i libri potranno farmi vivere, quando mi potrò permettere di lasciare il giornalismo per il quale non sono fatto, solo allora potrò mettermi seriamente al lavoro.”
Risposta di Zola a Sainte-Beuve (13 luglio 1868)
“Avevo creduto ingenuamente che questo romanzo potesse far a meno di una prefazione (…) speravo di essere capito e giudicato senza spiegazioni preliminari. A quanto pare mi sono sbagliato.”
“Alcune persone virtuose, in giornali non meno virtuosi, hanno fatto una smorfia di disgusto. (…) I giornalini letterari stessi (…) si sono tappati il naso parlando di immondizia e di fetore. Non mi lamento affatto di questa accoglienza; anzi, sono affascinato nel constatare che i miei colleghi hanno i nervi sensibili come ragazze.”
“…non uno dei pudichi giornalisti, che sono arrossiti leggendo Thérèse Raquin, sembra aver capito il romanzo. ”
“Il mio scopo è stato innanzi tutto scientifico. (…) Ho semplicemente fatto su due corpi vivi il lavoro analitico che i chirurghi fanno sui cadaveri. (…) Mi sono trovato nella situazione di quei pittori che copiano dei nudi senza che li sfiori il minimo desiderio, e restano profondamente sorpresi quando un critico si dice scandalizzato dalle vive carni della loro opera.”
“Fra il concerto di voci che gridavano: «L’autore di Thérèse Raquin è un miserabile isterico che si compiace nell’esibire delle pornografie», ho inutilmente aspettato una voce che rispondesse: «Eh no! Questo scrittore è un semplice analista che è riuscito ad annullarsi nel marciume umano, ma si è annullato con un medico in un teatro anatomico». ”
“Non so se il mio romanzo sia immorale, confesso che non mi sono mai preoccupato di renderlo più o meno casto. Quello che so, è che non ho pensato un solo istante di metterci le porcherie che ci trova la gente morale…”
“Uno scrittore di grande talento, col quale mi lamentavo della poca simpatia riscontrata, mia ha risposto questa frase profonda: «Voi avete un difetto immenso che vi chiuderà tutte le porte: non potete parlare due minuti con un imbecille senza fargli capire che è un imbecille». ”
“In alcuni momenti rimpiango di non avere scritto delle oscenità; credo che sarei felice di ricevere un attacco meritato, in mezzo a questa pioggia di colpi che cadono stupidamente sulla mia testa, come tegole, senza che io sappia perché.”
“Lo studio sincero purifica tutto, come il fuoco”
“Solo il cieco partito preso di una certa critica può costringere un romanziere a fare una prefazione. Poiché, per amore della chiarezza ho commesso l’errore di scriverne una, chiedo perdono alle persone intelligenti che non hanno bisogno, per veder chiaro, che si accenda loro una lanterna in pieno giorno.”
Prefazione della seconda edizione di Thérèse Raquin (15 aprile 1868)

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