Il doping: tema

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Testo

Il doping

La morte improvvisa di qualche atleta nel corso di una competizione o i decessi di sportivi ancora in giovane età, magari soltanto dopo qualche anno dall'interruzione dell'attività agonistica, richiamano dolorosamente l'attenzione di tutti noi su un fenomeno che sembra offuscare la bellezza dello sport: il doping.
Non si tratta, a mio avviso, di assumere una posizione di unilaterale moralismo nei confronti del doping nello sport, ma di analizzarne, con tranquilla razionalità, i motivi e le conseguenze.
La vita contemporanea sottopone tutti noi a richieste, prestazioni, ritmi spesso incompatibili col normale funzionamento del nostro corpo. E di fronte alle performance che lo studio o il lavoro ci chiedono, può succedere che molti di noi, prima o poi, ricorrano a qualche blando aiuto chimico. Personalmente non mi scandalizzo, né apprezzo chi su questo fa del moralismo. La molla psicologica che scatta in noi è in qualche modo simile a quella che induce gli sportivi ad assumere sostanze proibite.
Nello stesso tempo sarebbe superficiale negare le profonde differenze qualitative e quantitative dei due fenomeni.
Nel caso degli atleti, le sostanze e le procedure impiegate per ottenere prestazioni artificialmente elevate, sono fortemente tossiche. Inoltre, il loro impiego è spesso massiccio e continuato. L'abuso di tali sostanze produce sul corpo danni immediati o ritardati.
Alcuni antidolorifici, per esempio, se da un lato non fanno sentire la fatica della gara, dall'altra aumentano il rischio di traumi sportivi; gli steroidi determinano modificazioni preoccupanti a livello muscolo-scheletrico, nonché lo sviluppo abnorme e patologico di taluni organi; l'uso prolungato di eritropoietina causa gravi scompensi a carico dell'apparato circolatorio, così come l'impiego di stimolanti. L'ormone della crescita, oltre all'ipertrofia di alcuni organi vitali, favorisce lo sviluppo di tumori; alcuni integratori alimentari provocano lesioni renali; la pratica dell'emoautotrasfusione a fini sportivi non è esente da pericolose complicanze.
Avviene il più delle volte che i danni prodotti da queste sostanze illecite siano a carico di più funzioni e apparati, non trascurando gli effetti patologici, difficilmente prevedibili, prodotti da più sostanze tossiche assunte contemporaneamente.
Attualmente sembra che il tasso di calciatori che si ammala di una gravissima e letale forma di paralisi progressiva, nota come morbo di Gehrig, sia significativamente superiore a quello del resto della popolazione.
Tutto questo va contrastato, nell'interesse stesso degli atleti.
Lo sport, con i suoi valori di leale competizione, deve continuare a costituire un valore e un modello per le giovani generazioni.
Dietro lo sport, oggi, si agitano interessi economici e di potere pazzeschi.
La vittoria è spesso l'unico risultato accettato da sponsor e dirigenti e viene interiorizzato come valore assoluto anche da allenatori e atleti.
Per la vittoria e il riconoscimento economico, sociale e persino politico che ne consegue, non si guarda più a nulla.
La solidarietà, la lealtà, la salute, lo stare insieme, la creatività, la collaborazione, l'intelligenza, il lavoro duro e motivato, l'abilità, la competenza, la fantasia, lo sviluppo armonioso del corpo passano in secondo ordine.
Conta soltanto il risultato, non importa con quali mezzi lo si raggiunga.
Questo parossismo, questo "monoteismo del risultato", costituiscono secondo me, il male dello sport odierno e la molla che spinge gli atleti a ricorrere a pratiche illecite.
Ben vengano, a mio avviso, tutti quei controlli che impediscono agli atleti di abusare di sostanze tossiche, purché ciò avvenga a livello internazionale, sulla base di norme condivise.
Ma occorre soprattutto, a mio avviso, che proprio coloro che si occupano di sport: dirigenti, tecnici, allenatori, campioni, sappiano trasmettere ai più giovani la ricchezza di valori che lo sport rappresenta e sappiano illustrarne in maniera convincente, prima di tutto con l'esempio, la bellezza.

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