Il decatentismo in Europa

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Testo

Il decadentismo in Europa
Negli ultimi decenni dell'Ottocento si sviluppa nella cultura europea - in Germania così come in Francia, Inghilterra e Italia - una critica dei principi su cui si era fondata fino a quel momento l'idea stessa di ragione umana. L'avversario da abbattere diventa il dogmatismo scientifico positivista, viene negata la piena conoscibilità del reale e in genere di ogni obiettività della rappresentazione del mondo esterno. La causalità e le leggi scientifiche sono considerate delle categorie mentali costruite dall'uomo e prive di un riscontro reale nella natura delle cose; viene negato il primato che il positivismo aveva assegnato alle scienze naturali.
1. Gli aspetti speculativi
Per decadentismo si intende, quindi, non solo il nuovo modo di concepire la poesia e l'arte, quale si viene affermando in Francia e poi in Europa a partire dalla metà del secolo XIX, ma, più in generale, un indirizzo di pensiero stimolato dalla reazione al positivismo e alla "dittatura" del sapere scientifico, alle delusioni e alle false certezze che esso proclamava.
Il decadentismo ha sicuramente come momento più alto l'irrazionalismo, cioè la perdita di fede nel potere della ragione. L'uomo del decadentismo non crede più nelle verità costruite dall'uomo, le quali gli appaiono false rappresentazioni della realtà, minate da insanabili contraddizioni. Tutto ciò che l'uomo ha elaborato nel corso della storia è ora visto come un cumulo di illusioni, la verità come un miraggio assurdo, lo stesso concetto di verità come idea labile e ingannatrice.
In sostituzione dei valori perduti resta l'assoluto senso dell'individualità, la coscienza della creatura umana di costituire un isolato nucleo.
2. L'arte
In un mondo privo di valori l'unico modo che ci resta per comprendere e rivelare il mistero delle cose è l'arte, in tutte le sue espressioni. L'arte si carica dunque di enormi responsabilità, dato che ad essa viene affidata una missione essenziale per la civiltà dell'uomo. L'arte, e specialmente la poesia è la sola via di salvezza e unico modo di comunicazione.
3. La nascita della poesia decadente
Nel 1857 uscì a Parigi un libro di poesie. Ne era autore Charles Baudelaire (1821-1867) e si intitolava I fiori del male. L'opera suscitò uno straordinario scalpore: tutti rimasero stupiti per l'originalità profonda di quei versi e dal linguaggio fortemente simbolico e ricco di metafore.
L'effetto del libro sulla società del tempo fu sconvolgente: Baudelaire e il suo editore furono sottoposti a processo e condannati per oscenità. Il pubblico non ancora preparato ad affrontare tanta audacia di linguaggio e di contenuti. Col tempo però la lezione di Baudelaire fu accolta, prima in Francia, poi nel resto d'Europa, e ottenne il risultato di spingere i poeti verso analoghe ricerche espressive.
4. Decadentismo: il termine
II primo a usare la parola-base di questo derivato fu Verlaine nel sonetto Languore (1883), in cui paragonava se stesso all'impero romano «alla fine della decadenza», per indicare nella sua poesia l'espressione di una civiltà non più vitale ed espansiva, ma estenuata dalla troppe esperienze culturali e giunta al capolinea della storia.
In seguito la definizione di "poeti decadenti" fu imposta ai seguaci di Verlaine dai loro avversari (ovviamente con significato spregiativo), finché questi non fondarono nel 1886 la rivista Le Décadent, che assumeva la parola a titolo di vanto , intesa come sinonimo di un'arte anticonformista e di rottura.
In Francia il termine "decadentismo" ebbe breve durata, giacché assai presto fu sostituito da quello di "simbolismo", che ne assorbì quasi tutti i significati. Invece in Italia continuò ad avere corso, anche grazie alla critica di Croce che condusse una severa analisi della poesia italiana post-carducciana, da lui condannata come portatrice di segni di "decadenza", cioè di una malattia non soltanto artistica, ma soprattutto ideale e morale. La nostra cultura contemporanea usa il termine "decadentismo" come semplice connotazione storico-critica.

Gabriele D'annunzio
Nasce a Pescara 12 marzo 1863 da facoltosa famiglia borghese.
Studia animato da ambizione da l874 al 1881 e si forma una cultura classica.
Nel 1879 appena sedicenne pubblica la sua prima raccolta poetica “primo vere” di ispirazione carducciana, ma già caratterizzata da una originale sensualità.
Nel 1880 (delineandosi già come regista della propria fama) pubblica la notizia della propria morte; dopo i necrologi ne pubblicò la smentita e l’annuncio della nuova edizione di “primo vere”.
Collabora con le riviste e si trasferisce a Roma dove si iscrive a lettere, ma si dedica soprattutto alla cronaca del bel mondo, cui partecipa e in cui si afferma come fascinoso letterato.
Nel 1882 pubblica canto novo e terra vergine (una raccolta di novelle abilmente propagandate che li procurano un buon successo).
Ormai celebre scrittore prosegue la scalata mondana anche con una serie di amori: Sposa la duchessina Maria Hardouin con cui ha dei figli; tornato a Roma incontra Barbarella (1997 il più grande amore) e qui nascono i primi grandi romanzi: Il piacere, Giovanni Episcopo, L’innocente.
Inizia una vita sfrenata di lussi e per bisogni economici economici pubblicherà poi anche sul "Corriere della sera"-

1. L’affermazione storico-politica

Nel 1914 lo scoppio della guerra gli da la possibilità di affermarsi come protagonista non solo letterario, ma anche storico politico: Nel maggio del 1915 inizia una campagna infuocata per l’intervento contro gli imperi centrali (orazione per la sagra dei mille).
Cinquantaduenne si arruola volontario e partecipa a numerose ardite azioni navali e aeree come la beffa di Buccari (porto della Yugoslavia dove nel 1918 D'annunzio partecipò a una incursione contro le navi austriache) e il Raid su Vienna.
La sua guerra è una guerra fatta di gesti e di imprese spericolate e di prestigio, condotte soprattutto con funzione di propaganda (guadagna tre medaglie d’argento e una d’oro; ferito a un occhio chiede e ottiene di tornare a combattere).
Alla fine della guerra investe la sua popolarità nella marcia di ronchi che lo porta a occupare Fiume (O fiume o morte!) e a governarla per sventarne l’annessione alla Jugoslavia (la vittoria mutilata). Poi, sconfitto dall’esercito italiano (ma lo stesso vittorioso perché Fiume sarà ammessa all’Italia), deluso nelle sua ambizioni si ritira a Gardone dove vive un triste periodo: aderisce al fascismo che lo onorava ma al contempo lo teneva isolato e sotto sorveglianza.
Infine devastato dalla “turpe vecchiezza”, isolato, risolto nello stretto ruolo di poeta-vate (onorava infatti il fascismo per ottenere privilegi) muore al Vittoriale il 1 marzo 1938.

"O Fiume o morte!"
Mio caro compagno, il dado è tratto! Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto, febbricitante. Ma non è possibile differire. Anche una volta lo spirito domerà la carne miserabile. Sostenete la causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio
Gabriele D'Annunzio
11 settembre 1919

Così Gabriele D'Annunzio scriveva a Benito Mussolini: iniziava l'impresa di Fiume.
D'Annunzio, che non ha mai rinunciato a rivendicare i diritti dell'Italia su Fiume, organizza un corpo di spedizione. A Venezia egli raggruppa gli ufficiali che fanno parte di un nucleo d'agitazione che ha per motto "O Fiume o morte!". Questi ufficiali assicurano a D'Annunzio un contingente armato di circa mille uomini, ai quali altri se aggiungono poi durante la marcia sulla città irredenta.
Gabriele D'Annunzio si autonomina capo del corpo di spedizione e il giorno 12 settembre 1919 entra in fiume alla testa delle truppe. La popolazione acclama i granatieri italiani ed il "poeta soldato".
L'impresa di D'Annunzio riesce anche grazie alla compiacente collaborazione del generale Pittaluga, comandante delle truppe italiane schierate davanti a Fiume, il quale concede via libera al piccolo esercito. Le truppe alleate di stanza nella citta' non oppongono resistenza e sgomberano il territorio chiedendo l'onore delle armi. Di fronte al colpo di mano il presidente Nitti, nel duplice intento di salvare la nazione da un pronunciamento militare e di non provocare incidenti internazionali, pronuncia un violento discorso:
"L'Italia del mezzo milione di morti non deve perdersi per follie o per sport romantici e letterari dei vanesii".
Mussolini, fronteggiando l'attacco contro il suo amico D'Annunzio, scrive sulle colonne del Popolo d'Italia:
"Il suo discorso è spaventosamente vile. La collera acre e bestiale di Nitti è provocata dalla paura che egli ha degli alleati. Quest'uomo presenta continuamente una Italia vile e tremebonda dinanzi al sinedrio dei lupi, delle volpi, degli sciacalli di Parigi. E crede con questo di ottenere pieta'. E crede che facendosi piccini, che diminuendosi, prosternandosi, si ottenga qualche cosa. E' piu' facile il contrario".
D'Annunzio non reagisce agli attacchi del Presidente del Consiglio come Mussolini, ma conia per Nitti un soprannome, niente di più, ma un soprannome nel quale c'è tutto il suo disprezzo per il moderato che disapprova "le gesta sportive". Lo battezza "Cagoja".
20 settembre 1919. Gabriele D'Annunzio ottiene i pieni poteri e comincia a firmare decreti qualificandosi "Comandante della citta' di Fiume". Il 16 ottobre le truppe regolari dell'esercito continuano a bloccare la citta' e D'Annunzio dichiara Fiume "piazzaforte in tempo di guerra". Questo gli consente di applicare tutte le leggi del codice militare che in tal caso prevede anche la pena di morte con immediata esecuzione per chiunque si opponga alla causa Fiumana.
Il plebiscito del 26 ottobre segna il trionfo di D'Annunzio che ottiene 6999 voti favorevoli all'annessione su 7155 cittadini fiumani votanti.
Sull'onda del successo, D'Annunzio esprime a Mussolini un proprio progetto: marciare su Roma alla testa dei suoi uomini e impadronirsi del potere.
Mussolini lo dissuade e lo convince che la cosa finirebbe in un fallimento. In realta' la marcia su Roma è il suo grande sogno ma egli vuole ancora aspettare perche' intende essere il solo condottiero di quella marcia, e non certo l'articolista di D'Annunzio, in questo momento piu' popolare di lui. Nel frattempo le potenze alleate ammoniscono il governo italiano sulle complicazioni che l'impresa fiumana puo' portare nelle trattative ma la loro presa di posizione è abbastanza moderata, tale da indurre Nitti a non intervenire con la forza contro D'Annunzio ma a intavolare con lui pacifici negoziati.
Arriviamo così alla vigilia delle elezioni. D'Annunzio riprende la sua attivita' espansionistica ed il 14 novembre sbarca a Zara, debolmente contrastato dal governatore militare. Occupata Zara, D'Annunzio riparte pochi giorni dopo lasciando una guarnigione a presidiare la citta', mentre corre voce che egli stia per tentare altre imprese del genere a Sebenico ad a Spalato.
Gli italiani vanno alle urne ignorando le ultime imprese di D'Annunzio, perchè il governo blocca la notizia attraverso la censura, temendo che il nuovo fatto d'armi possa mutare il corso della consultazione. Le elezioni del 1919 vedono la sconfitta dei fascisti e nel giugno del 1920 Giolitti subentra come Presidente del Consiglio a Nitti.
Il 1920 vede la conclusione definitiva dell'avventura fiumana di Gabriele D'Annunzio.
I rappresentanti delle potenze alleate si riuniscono a Rapallo. Il 12 novembre viene firmato un trattato che dichiara Fiume stato indipendente e assegna la Dalmazia alla Jugoslavia tranne la citta' di Zara che passa all'Italia. Il "poeta soldato" viene invitato ad andarsene da Fiume. Questa volta l'esercito e la marina italiana non potranno piu' mostrarsi compiacenti con D'Annunzio. Il generale Enrico Caviglia viene inviato a Fiume per far sgomberare la citta' dagli occupanti. E' Natale. D'Annunzio dichiara che quello sara' un Natale di sangue e promette che versera' anche il suo, ma il generale Caviglia ordina ad una nave da guerra di aprire il fuoco contro il palazzo del governo. Le prime bordate segnarono la fine dell'avventura di D'Annunzio che se ne va. I suoi legionari lo seguono. Portano una divisa che diverra' famosa: camicia nera sotto il grigioverde e fez nero.
2. La poetica di Gabriele D'Annunzio
Il giovane D'Annunzio assume come modelli il classicismo carducciano (primo vere) e il realismo verghiano (terra vergine), non solo per una strategia editoriale, ma anche per la natura del suo talento che lo porta ad assimilare fino all'apparente plagio i prodotti letterari altrui, che investe però di nuovi significati grazie a una sensibilità eccellente e una amore per la parola e l'immenso desiderio di esprimere se stesso attraverso l'arte (l'espressione è il mio unico modo di vivere).
Presto abbandona però il verismo accusato di non essere sufficientemente schietto, sufficientemente vero e delinea un ideale di prosa moderna che armonizza tutte le varietà del conoscimento.
L'elemento costante diventa l'esperienza sensibile che viene resa attraverso la magia della parola (magia di sensi e allusioni) che evoca la realtà insieme al suo mistero, alla sua sensuale ambiguità.
L'estetismo diventa valore supremo e unico che egli identifica con la vita stessa.
E allora inizia la ricerca per la parola raffinata, egli dichiara il proprio amore sensuale per la parola, il verso diventa tutto.
La parola possiede elementi musicali, e la musica parla direttamente all'anima; si stacca dal testo, assume valenza magica e diventa azione, gesto. Essa diventa "incantesimo di massa" commuove, persuade, affascina e seduce.
Ecco quindi la necessità di rivelare le cose con le più sottili raffinatezze dello stile, della metrica e la scelta di ogni termine.
Il carattere dominante della poesia di D'Annunzio è dunque la sensualità intesa come gioia di vedere, di possedere e di godere.
Si è soliti periodizzare la sua produzione in fasi, la cui scansione è da considerarsi per fittizia in quanto non rappresenta un evoluzione, ma qualcosa che è nel poeta già in origine e che prevale in diversi momenti:
3. Naturalismo sensuale
Il Naturalismo sensuale è tipico delle opere del primo periodo (1879-1886); esso è caratterizzato da una breve fase di intonazione carducciana (Primo vere 1879) che però già comprende tracce della sua personalità e da cui poi rapidamente si allontana per esprimere la sua originalità (Canto novo 1881) e per approdare, anche qui per poco, a"Terra vergine" (1882), una raccolta di novelle di intonazione verghiana.
4. Estetismo sensuale
L'estetismo sensuale appartiene al secondo periodo romano, ispirato dal principio che i valori estetici e il culto della bellezza devono avere l'assoluta priorità nell'arte e nella vita, si caratterizza da una eleganza stilistica che tenta di dare una soluzione intellettualistica al suo sensualismo.
Ci viene teorizzato nella sua forma più esplicita ne "Il piacere" (1889) il primo romanzo dannunziano. In esso viene trattato il dramma dell'esistenza dell'autobiografico Andrea Sperelli ossessionata dall'avidità di soddisfazioni sensuali e dal tentativo di spiritualizzare questa sensualità nell'arte.
5. Superomismo
Il superuomo nasce in Italia ufficialmente nel gennaio del 1895 con la pubblicazione nel primo numero del "convito" della prima puntata de "le vergini delle rocce» (C. Salinari). Nel romanzo, Claudio Cantelmo si intrattiene con tre sorelle, principesse di sangue borbonico, per decidere con quale delle tre unirsi in matrimonio e fondare la razza dei nuovi «dominatori in un'epoca in cui la vita pubblica non è se non uno spettacolo miserabile di bassezza e di disonore».
La personale concezione del superuomo matura sotto l'influsso di Nietzsche, ma in realtà ne è una rielaborazione che fraintende o che, diversamente da Nietzsche, rielabora L'ubermensch (l'oltre-uomo: metafora dell'espressione, della liberazione dell'uomo dalle sue miserie e affermazione di valori come la virtù) e lo identifica con l'eroe, secondo cui l'stinto è la sola verità e la morale una menzogna; l'unica legge è il dominio. Avvicinandosi alla belva l'uomo supera l'uomo e realizza, appunto, l'eroe
Quindi le caratteristiche del superuomo dannunziano sono:
a) l'energia, la forza, che «si manifesta con la volontà di dominio, con l'amore della violenza, lo sprezzo del pericolo» (C. Salinari);
b) l'esuberanza sensuale, «il libero disfrenarsi dei diritti della carne e della natura umana» (C. Salinari);
e) la visione aristocratica della società, il disprezzo per la plebe e «contro la nuova borghesia dell'industria e del commercio», animata solo da ideali bassi e meschini di gretto guadagno;
d) rifiuto dei nuovi princìpi di libertà e di uguaglianza, in nome di un diritto superiore al dominio, che spetta a pochi eletti, i quali formino un'oligarchia tesa a difendere la Bellezza e tenere schiave le plebi, che hanno un innato bisogno di essere tenute schiave.
Ma è una vita inapplicabile, i personaggi sono collocati in un'atmosfera irreale e dominati da questi ideali risultano troppo perversi, degenerati e amorali e non suscitano quel necessario moto di simpatia verso il lettore.
A tali e tanto arroganti pretese fanno da contrappunto i fallimenti dei protagonisti (Claudio Canetelmo non riesce a decidere quale principessa sposare).


6. Naturalismo panico
Il naturalismo panico è il punto di approdo della poesia dannunziana. Teorizzato nell'Alcione, ove viene instaurato un rapporto con la natura in chiave mistico-magica (panismo: come nel mito greco del dio Pan), la natura è sentita come una forza misteriosa, terribile e attraente, a cui l'uomo può unirsi solo abbandonandosi ad un flusso istintivo ed inferiore che nulla ha di razionale e di meditato. L'Alcione è il diario poetico di una estate in Toscana, è il superamento della sensualità primaria nella ricerca del godimento completo perseguito da tutti i sensi e goduto con l'anima. Il poeta immerso nella natura, il suo canto non è più solo dell'uomo, ma è il canto stesso della natura.
Si pensi solo alla freschezza verbale de "La sera fiesolana", o alla pura musica de "La pioggia nel pineto": «Le parole, più che al significato verbale, tendono... alla pura grazia della trama fonica, atta a suggerire la dolcezza d'immaginare una pioggia che bagna il viso, le mani, le vesti di una donna bella e amata, nel fresco di una pineta, al tempo dell'estate» (F. Flora).
Al naturalismo panico si affianca anche la prosa del "Notturno" diario dei giorni successivi all'incidente che lo porterà al rischio della cecità; qui il poeta si accosta a una prosa meno opulenta e fastosa, nel momento di sospensione della vita pratica l'impulso creativo ha libero campo e si libera da inserti narcisisti e da pose superomiste, la scrittura si sensibilizza e acquista una nuova dolcezza melodica che conclude la sua parabola stilistica.
Inviato dal governo italiano a inaugurare il monumento dei Mille a Quarto, D’Annunzio, il 14 maggio 1915 rientra in Italia presentandosi con una orazione interventista e antigovernativa. Dopo aver sostenuto a gran voce l’entrata in guerra contro l’impero Austro-ungarico, non esita ad indossare i panni del soldato l’indomani della dichiarazione. Si arruola come tenente dei Lancieri di Novara e partecipa a numerose imprese militari. Nel 1916 un incidente aereo gli causa la perdita dell’occhio destro; assistito dalla figlia Renata, nella «casetta rossa» di Venezia, D’Annunzio trascorre tre mesi nella immobilità e al buio, componendo su liste di carta la prosa memoriale e frammentaria del Notturno. Tornato all’azione e desiderando gesti eroici si distingue nella Beffa di Buccari e nel volo su Vienna con il lancio di manifestini tricolori. Insignito al valor militare, il soldato D’Annunzio considera l’esito della guerra una vittoria mutilata. Caldeggiando l’annessione dell’Istria e della Dalmazia e considerando la staticità del governo italiano, decide di passare all’azione: guida la marcia su Fiume e la occupa il 12 settembre 1919. L’impresa scaturita da motivazioni audaci e spettacolari, si conclude il 21 dicembre 1920 con la capitolazione della «Reggenza del Carnaro» per l’intervento armato di Giolitti, obbediente alle clausole del Trattato di Rapallo, che riconosceva, in parte, alcune annessioni all’Italia.


Le imprese di D'Annunzio
1. La marcia su Fiume
Dopo la vittoria, che D'Annunzio definisce
«mutilata», Mussolini appoggia l'impresa fiumana
dalle colonne del Popolo d'Italia.
D'Annunzio occupa Fiume il 20 settembre 1919.
E` quella che il comandante definisce
la «penultima avventura».
La situazione italiana con il governo Nitti si fece ancora più difficile con l'improvviso acuirsi della crisi internazionale intorno al problema di Fiume.
Gabriele D'Annunzio protagonista di alcune imprese (beffa di Buccari e volo su Vienna), che per la loro sfrontata audacia gli erano valse l'ammirazione dei giovani sensibili al richiamo dell'ardimento patriottico e militaresco, assunse allora l'iniziativa di occupare il 12 settembre 1919 la città e di assumere il governo con forze militari volontarie che ne sostennero l'azione. Si trattava di un colpo di mano che riproduceva, in termini più esasperati, quella forzatura della volontà parlamentare determinatasi con le agitazioni di piazza.
D'Annunzio non nascondeva i suoi progetti di marciare da Fiume su Roma per spazzare via il ministero presieduto da Nitti, accusato di non tutelare gli interessi nazionali, e con lui le istituzioni del parlamentarismo liberale. Nitti non tenne adeguatamente conto dei rischi che l'avventura fiumana rappresentava per la stabilità del Paese. Il sovversivismo dannunziano esercitava un enorme fascino sulla piccola borghesia impaurita e malcontenta dei disordini sociali di quel periodo. Nitti preferì vedere il potenziale vantaggio dell'imprese di D'Annunzio quale elemento di pressione sugli alleati. Egli preferì, cioè, adottare una tattica prudente, tesa a guadagnare tempo, mentre Giolitti insisteva per una risposta energica, vedendo nel gesto di D'Annunzio sia un ulteriore motivo di indebolimento della difficile posizione internazionale dell'Italia, sia un pericolosissimo attentato alla legittimità delle istituzioni rappresentative.
La fame e il disordini portarono la città alla resa, dove Nitti la fece cingere con il sottile assedio della penuria.
Il Vate fonda il Fascio Fiumano di Combattimento
2. Il trattato di Rapallo
L'Italia rinunciava ad ogni pretesa sulla Dalmazia ad accezione della città di Zara e otteneva in cambio il riconoscimento della piena sovranità sull'Istria, con le isole di Cherso e di Lussino. Fiume venne dichiarata città-stato indipendente. Questo trattato è stato stipulato da Giovanni Giolitti e il 25 dicembre del 1920 le truppe del generale Caviglia entrarono a Fiume e cannoneggiarono il palazzo del Governo che D'Annunzio aveva pomposamente chiamato «la Reggenza del Carnaro»: un episodio destinato ad alimentare la retorica bellicista dei nazionalisti, che parlarono di un «Natale di sangue».
3. Il volo su Vienna
D'Annunzio con Natale Palli sull'aereo per Vienna il 9 agosto 1918. L'azione non ha scopo militare ma propagandistico con il lancio di volantini annunzianti la vittoria italiana. Durante il ritorno il motore dell'aereo si arresta all'improvviso. La morte sembra per qualche istante inevitabile, ma l'aereo riprende subito quota: «Io mi volsi verso Natale Palli e gli feci il segno di commiato... Natale mi rassicurò senza parola, con una illuminazione del volto che era il sorriso».

Sul volantino: «In questo mattino d'agosto... Il destino si volge. Si volge verso di noi con una certezza di ferro. E` passata per sempre l'ora di quella Germania che vi trascina, vi umilia, vi infetta».

Il volo su Vienna fu compiuto il 9 agosto del 1918 da una squadriglia di apparecchi, che lanciarono sulla città migliaia di manifestini, in cui si leggeva:«Viennesi! Imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà».

4. La beffa di Buccari

«La Beffa di Buccari», consisté in un attacco condotto da tre torpediniere italiane, al comando di Costanzo Ciano e Luigi Rizzo, nella notte tra il 10 e 11 febbraio 1918, contro la flotta austriaca ancorata nella rada di Buccari (Croazia). Le torpediniere silurarono alcune navi e lanciarono in mare tre bottiglie contenenti questo messaggio scritto dallo stesso D'Annunzio: «In onta alla cautissima flotta austriaca, occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza del suo comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono di ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l'inosabile. E un buon compagno, ben noto - il nemico capitale, fra tutti i nemici il «nemicissimo», quello di Pola e di Cattaro -è venuto con loro a beffarsi della taglia. 10-11 febbraio 1918. Gabriele D'Annunzio


5. L'interventismo di D'Annunzio

D'Annunzio sul
fronte nel 1917
Allo scoppio della guerra D'Annunzio è a Parigi e di lì comincia a caldeggiare l'interventismo italiano a fianco dell'Intesa. L'intelligenza francese conta su di lui e su di lui contano i nazionalisti italiani. Nel maggio 1915, salutato alla stazione da numerose dame parte alla volta di Quarto dove inaugurerà un monumento a Garibaldi celebrando l'impresa dei Mille:«O beati quelli che più hanno, perché più potranno dare, più potranno ardere». E` la campagna a favore della guerra che infatti viene dichiarata il 24 di quel maggio che si disse «radioso».
Parte per il fronte dopo un soggiorno romano durante il quale si è fatto cucire su misura l'uniforme di Lanciere Bianco che lo ringiovanisce.
D'Annunzio in visita d'ordinanza
con il Duca d'Aosta, ai cui ordini
il poeta combatte e che lo
esorterà sempre alla prudenza.
Prima di raggiungere Venezia, dov'è destinato per combattere al comando Duca d'Aosta si accomiata da Roma in un solitario vagabondaggio sull'Aventino.
A Venezia si stabilisce nella casetta rossa già dimora del principe Hohenlohe.
Cominciano intanto le imprese. Sfida il pericolo coprendosi di gloria come aviatore e marinaio: già in agosto vola su Trieste con Giuseppe Miraglia e con Umberto Cagni solca le acque di Manzano.
Un grave incidente lo rende quasi cieco (perde l'occhio destro per un fortunoso ammaraggio nelle acque di Grado il 16 gennaio 1916) lo induce a stilare un «commentario delle tenebre».
Costretto all'immobilità, si accinge ad una peripezia ancora più ardita di quella compiuta in volo. Bendato immobile nel letto, verga senza vederle stretta liste di carta fra il pollice ed il medio della mano che non rinuncia alla scrittura. Sono i cartigli del Notturno, diario dei giorni che precedono e seguono la morte di Miraglia (22 dicembre 1915) racchiusi nella cornice musicale del dolore della cecità.
Dopo che ha recuperato quasi miracolosamente, secondo i medici, l'occhio sinistro, continuano le imprese sempre più rischiose. Combatte come fante sul Veliki e sul Faiti.
Su Cattaro, dice di aver conquistato un terzo luogo di là dalla vita e di là dalla morte. Ad alta quota scrive e prima della partenza sul campo di volo, arringa i compagni dicendo:«per frate che non ci avverserà, per frate focu che non ci arderà, per sora acqua che non ci annegherà - Eia! Eia! Eia! Alalà».
Durante l'impresa di Buccari il suo grido sarà Memento audere semper.
Il 9 agosto 1918 D'Annunzio compie un volo su Vienna insieme a Natale Palli. L'azione non ha scopo militare, ma propagandistico con il lancio di volantini annuncianti la vittoria italiana. Durante il ritorno il motore dell'aereo si arresta all'improvviso. La morte sembra per qualche istante inevitabile, ma l'aereo riprende subito quota.

Il Vittoriale 1921 - 1938
Il Vittoriale visto dai giardini.
Dopo l’esperienza militare D’Annunzio elegge come sua dimora la villa Cargnacco sul lago di Garda, cura la pubblicazione delle opere più recenti: il Notturno e i due tomi delle Faville del maglio.



I rapporti di D’Annunzio con il fascismo non sono ben definiti: se in un primo tempo la sua posizione è contraria all’ideologia di Mussolini, in seguito la adesione scaturisce da motivi di convenienza, consoni allo stato di spossatezza fisica e psicologica, nonché a un modus vivendi elitario ed estetizzante. Non rifiuta, quindi, gli onori e gli omaggi del regime: nel 1924, dopo l’annessione di Fiume il re, consigliato da Mussolini, lo nomina principe di Montenevoso, nel 1926 nasce il progetto dell’edizione «Opera Omnia» curato dallo stesso Gabriele; i contratti con la casa editrice «L’ Oleandro» garantiscono ottimi profitti a cui si aggiungono sovvenzioni elargite da Mussolini: D’Annunzio, assicurando allo stato l’eredità della villa di Cargnacco, riceve i finanziamenti per renderla una residenza monumentale: nasce così il «Vittoriale degli Italiani»,
L'arengo nei giardini
del Vittoriale.
emblema del vivere inimitabile di D’Annunzio. Al Vittoriale l'anziano Gabriele ospita la pianista Luisa Bàccara, Elena Sangro che gli rimane accanto dal 1924 al 1933, inoltre la pittrice polacca Tamara de Lempicka.
Entusiasta della guerra di Etiopia, D’Annunzio dedica a Mussolini il volume Teneo te Africa.
Ma l’opera più autentica dell’ultimo D’Annunzio è stato il Libro segreto, ossia Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire (1935), a cui affida riflessioni e ricordi nati da un ripiegamento interiore ed espressi in una prosa frammentaria. L’opera testimonia la capacità del poeta di rinnovarsi artisticamente anche alle soglie della morte, giunta il primo marzo 1938.
Nelle sue opere più recenti D’Annunzio saluta con entusiasmo l’avvento del fascismo al potere, ma è messo risolutamente da parte da Mussolini che vede in lui un possibile nemico per la sua leadership.
D’Annunzio pur rendendosi conto della sua condizione di «prigioniero», non rifiuta gli elogi del regime, assicurando allo stato l’eredità della villa, diventata intanto la villa al Vittoriale, riceve i finanziamenti per renderla una residenza monumentale dove vi muore il primo marzo
1938.

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