Il cacciatore di aquiloni

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano

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Testo

“IL CACCIATORE DI AQUILONI” di Khaled Hosseini
RECENSIONE

"Sono diventato la persona che sono oggi all'età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto."

Inizia così il racconto di Khaled Hosseini, nato a Kabul, in Afganistan e figlio di diplomatici trasferitosi nel 1980 negli Stati Uniti d’America ed è proprio in questa Kabul che è ambientato il suo “Il Cacciatore di Aquiloni”.
E’ una storia d’amicizia raccontata attraverso lo scenario di trent’anni di storia afgana, una storia terribile, tragica, una storia di vite spezzate, di esistenze umiliate, di infanzie rubate.
Eppure, prima che il paese venisse messo in ginocchio, prima dell’occupazione russa, prima dei talebani, prima dei bombardamenti da parte dell’America, c’è stato un tempo in cui a Kabul volavano gli aquiloni (sport nazionale afgano), colorando il cielo di giallo, celeste, rosso e in cui i bambini davano loro la caccia., un tempo in cui il paese era libero e dignitoso, in cui la cultura araba non era il capo espiatorio per tutti i mali nel mondo.

In questa Kabul crescono Amir e Hassan, trascorrendo un infanzia felice, così diversi, eppure così uniti. Amir è figlio di un ricco uomo d’affari, Baba, con cui vive nella più bella casa di Wazir Akbar Khan, il nuovo quartiere nella zona nord di Kabul. Hassan vive invece con il padre Ali, in una capanna di argilla, all’ombra del nespolo situato all’estremità meridionale del giardino della casa di Baba e Amir. Crescono insieme Amir e Hassan e formano un ottima coppia, uno bravo ad abbattere gli aquiloni avversari, l’altro è un fuoriclasse tra i cacciatori di aquiloni ( che hanno il compito di recuperare, come cimelio, l'aquilone abbattuto) e si distingue per il suo prodigioso fiuto e un istinto innato, lo portano ad intuire dove sarebbe andato a cadere l'aquilone abbattuto, con largo anticipo rispetto agli altri cacciatori.
Hassan però, ha tutte le qualità che mancano ad Amir: è sincero, leale, devoto e soprattutto coraggioso, doti che Il padre di Amir, sembra apprezzare oltre misura trattando il figlio,invece, con freddezza e indifferenza inspiegabili. Amir cade così nello sconforto prendendo coscienza di quanto sia distante dall'immagine del figlio ideale che Baba voleva... perchè non è forte, al calcio preferisce immergersi nei libri, nelle sue fantasticherie di futuro scrittore e soprattutto perché è stato la causa della morte della sua adorata moglie e di quanto, invece, Hassan si avvicini alla figura del figlio ideale.Amir, per questo, non riesce a considerare del tutto il devoto Hassan come un amico anzi, spesso è animato da una profonda gelosia verso di lui, che lo porta a vedere l’amico come un'inconsapevole antagonista che gli contende l'affetto e le attenzioni del suo Baba. Saranno proprio la ricerca disperata di ammirazione da parte del padre, il desiderio d’inorgoglire il genitore, di farsi amare e avere con lui un rapporto padre-figlio che non coinvolga sempre necessariamente l’amico, le cause della più grande colpa di cui si macchierà Amir ai danni di Hassan, una colpa che lo perseguiterà per tutta la vita.
Quando un giorno, infatti, qualcosa di terribile accade ad Hassan e l’amico non fa nulla per aiutarlo, l’armonia tra i due si infrange, l'amicizia si spezza e ciò che resta è il rimorso di Amir, il suo sentirsi cattivo, indegno dell'amicizia del piccolo Hassan che continua ad amarlo nonostante tutto.
Con l'arrivo dei russi a Kabul la separazione è definitiva: Amir e Baba fuggono in America, Alì ed Hassan restano in Afghanistan.

Dopo venticinque anni Amir, che ha realizzato il suo sogno di diventare scrittore, si è sposato e ha una vita regolare a San Francisco, vede il suo passato scomodo risvegliato da una telefonata inaspettata dall'Afghanistan, che non gli lascia scelta: dire addio alla viltà e la codardia, partire alla volta di Kabul, alla ricerca di Sohrab, il figlio di Hassan reso orfano dalla crudeltà dei Talebani e affrontare i fantasmi del passato e una terribile nuova realtà: quello che anni prima era il suo paese ora è un inferno vero e proprio, fatto di donne invisibili e nascoste dietro ai burka, dove i cadaveri sono ammassati gli uni sugli altri sui marciapiedi, innumerabili, dove non esiste più la bellezza.
Sarà un viaggio dentro di sé, quello del ritorno, per l’ormai trentottenne Amir, un viaggio di espiazione e di riscatto, un modo per “tornare ad essere buoni”, per riprendere ricordi assordanti e prorompenti, sensazioni mai dimenticate provate nello stesso Afghanistan in cui adesso avere un padre o un fratello, dopo gli stermini dei talebani, è un grande privilegio, in cui incrociare lo sguardo con qualcuno può essere causa di tortura e morte, dove tutto è pervaso da sgomento e terrore.
A parlare è in prima persona Amir, la cui personalità spicca chiaramente tra le pagine, con i suoi travagli interiori, la sua insicurezza, in netto contrasto con l’immagine che ci da invece del giovane Hassan, limpido, trasparente, sincero, sicuro di se…
Il quadro che viene tracciato del rapporto tra i due, interpretato così diversamente dalle due parti, è ciò che più commuove e fa riflettere, insieme con l’immagine di un Afghanistan letteralmente schiacciato, sconvolto e terrificante e il tema del difficile legame tra padri e figli, il binomio tra amicizia e tradimento, rimorso e redenzione, fughe e ritorni, con il risultato di una storia toccante e coinvolgente che si legge tutta d’un fiato e che lascia qualcosa di autentico e indelebile.

C’è innanzitutto il tema dell’amicizia, che Amir non ammette pubblicamente perché si sa, niente al mondo può cambiare certi dati di fatto: l’uno pashtun, l’altro hazara; l’uno sunnita, l’altro sciita; l’uno padrone, l’altro servo…e c’è a tenera devozione di chi vuole bene, di chi non ha secondi fini e non esita a rispondere sempre: "PER TE QUALSIASI COSA"...;c’è l’affetto incondizionato e puro di chi è buono nel profondo dell'animo, non si lamenta mai e l’ imbarazzo di chi si vergogna dei propri pensieri, del non perdere occasione per tirare qualche brutto tiro, prendere in giro e approfittare dell’"ignoranza" per apparire migliore nonostante migliore non si senta affatto…
C’è la verità, che giunge molti anni dopo, quando ormai uomini ci si rende conto che a nulla serve cercare l’approvazione degli altri a tutti i costi, che nessuna differenza giustifica l’aver rinnegato un VERO amico, l'unico amico, si prende atto degli errori, si prende coscienza dei veri valori, come un amore incondizionato ma per troppo tempo mantenuto freddo.. distaccato.. a causa di una banale diversità etnica troppo difficile da superare quando si è ragazzi, quando l’unica cosa che conta è ottenere la stima da parte del proprio padre, apparire migliore ai suoi occhi, a qualunque prezzo.
La trama si avvicina vagamente a quella de “L'amico ritrovato” di Fred Uhlman: c’è la storia d'amicizia, la separazione dovuta a cause di forza maggiore, gli anni di silenzio e la chiamata del destino che obbliga a scavare nel proprio passato, rappresentato in questo caso dal giovane Sohrab, che potrebbe diventare simbolo della redenzione di Amir, cancellando il suo debito con il passato e aiutandolo a costruirsi quella famiglia che desidera tanto formare con la moglie ma con scarsi risultati.
Si aggiungono però alla trama elementi importanti e incredibilmente attuali come può esserlo la situazione drammatica dovuta al regime Talebano, che non permette più agli aquiloni di volare, che ha fatto scomparire una kabul allegra e festosa, con le strade che odoravano di naan e di kebab, dove i bambini ridevano e le signore chiacchieravano e ora inghiottita dalla guerra, svanita per tutti tranne che nel cuore di chi l’ha conosciuta, lasciando il posto a una città fantasma che odora di morte e di mine antiuomo, dove le strade sono deserte gli unici rumori sono quelli delle mitragliatrici e delle esplosioni di cannoni, dove si cammina con lo sguardo fisso per terra.
Emergono dalla cura dei dettagli, dalla descrizione di luoghi, usi, costumi, tradizioni, un grande amore da parte di Hosseini per la sua terra e il dolore per le vicende storiche che l’ hanno trasformata , possiamo evincere diversi aspetti della grande storia e cultura orientale (come le cerimonie di fidanzamento o i matrimoni, per esempio), che fondamentalmente non si conosce, che si teme ingiustamente, la cultura di un paese dove possono esistere le partite a carte, la lettura all’ombra dei melograni al di là della brutalità di fanatici dipinti per come sono realmente, degli animali, che nulla hanno a che vedere con questo mondo pacifico e questa grande civiltà, che lapidano le donne, le ripudiano se disonorate, le sfigurano, le costringono a camminare totalmente coperte, a non parlare agli uomini, a non poter pettinarsi o truccarsi, le rendono invisibili mentre loro crescono le folti barbe, istruiscono persino i bambini a uccidersi e far guerra in nome di una Jihad che è pura interpretazione errata del Corano, eseguono in pubblico le condanne a morte, disonorano Kabul, il Pakistan, l'Afghanistan e le loro grandi origini.
Troviamo il tema della guerra con la sua durezza, della religione, della cattiveria, della morte e della povertà, il tema della possibilità di riscatto, di poter rimediare agli errori e liberarsene quando ormai rendono la vita una condanna....la famosa seconda possibilità, che la vita, seppure troppo spesso spietata finisce per concedere…Amir, per esempio, ha sempre ammesso con se stesso di essere un codardo e di non essere il degno figlio di suo padre, un uomo pronto a sfidare tutto pur di far rispettare la giustizia, ma la vita è pronta a contraddirlo, mettendolo di fronte ad una grande prova, donandogli la POSSIBILITA' di riscattarsi nei confronti dell’amico, del piccolo sohrab, ma soprattutto riscattarsi con se stesso!"

Fondamentale è inoltre l’elemento della speranza e quale migliore metafora degli aquiloni che volano su Kabul, che noi conosciamo tramite le immagini che ci arrivano ogni giorno dai media, per esprimerla?
La speranza che Sohrab torni a sorridere, la speranza che il bambino e l’adulto rappresentano l’uno per l’altro, la speranza che un grande paese torni al suo splendore antico, la speranza che le cose possano cambiare, che il male fatto o subito venga cancellato, la speranza di dar voce a un popolo che non ne ha, con un libro dolce e tenero eppure semplice, senza alcuna presunzione, speranza che cresce come la fragile ginestra di Leopardi e oltre ogni aspettativa spunta dove meno ce lo si aspetta; la speranza di un lieto fine per tutti i bambini che sono stanchi e a cui magari non andrà bene come Sohrab, speranza che la si smetta di tapparsi gli occhi per la paura di affrontare le difficoltà, speranza che si guardi in faccia ciò che più è difficile, ciò che più incute timore, speranza che il lieto fine non sia eternamente una prerogativa di libri e film, della finzione, speranza che la superficialità e la leggerezza dilaganti lascino posto alla commozione, all’intervento attivo, speranza che si prenda coscienza, si impari a conoscere ogni forma di cultura di modo che nessuno opti più per le soluzioni proposte da una scrittrice di mia conoscenza, che parlava di guerra contro i paesi arabi e insultava le tradizioni e la religione e non definiva cultura quella dell’Oriente.

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