Ha senso un'Europa unita?

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Testo

Ha senso una Europa unita?
A pochi giorni dal cinquantesimo compleanno dell’Unione europea il giornale “The Economist” apre con un reportage speciale, “Fit at 50?”, secondo cui l’Europa dovrebbe mettere da parte le riforme istituzionali e concentrarsi sull’economia. Scrive il giornale: «anybody reaching 50 naturally likes to reflect a bit on their achievements and failures» (ognuno alla soglia dei 50 riflette naturalmente sui propri successi e fallimenti).
Ma interrogandosi sul passato e soprattutto sul prossimo futuro, da cui c’è, ora più che mai, da aspettarsi di tutto, e sul ruolo che dovrà assolvere nel panorama internazionale, spontaneo sorge chiedersi se effettivamente l’Europa può diventare qualcosa di più oppure è da considerarsi in una mid-life crisis, come scrive il settimanale.
Dopo la crescita progressiva da 6 a 15 membri, l'Unione europea ha realizzato, il 1 maggio 2004, il più grande allargamento della sua storia, in termini di ampiezza e di diversità. Sono stati ben dieci, infatti, i Paesi entrati a far parte della Ue: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia e Ungheria. Ad essi si sono aggiunti Bulgaria e Romania, che sono diventati membri dell'Unione il 1 gennaio di quest’anno. Il 3 ottobre 2005 sono stati invece avviati i negoziati di adesione con Croazia e Turchia, paesi candidati rispettivamente dal giugno 2004 e dal dicembre 1999, mentre alla ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia è stato riconosciuto lo status di paese candidato nel dicembre 2005.
Le istituzioni della Comunità si trovano così a gestire una situazione sempre più complicata, poiché l’entrata di nuovi membri rischia di avere ripercussioni anche a livello economico. L’apertura delle frontiere a Bucarest e Sofia legalizza in un certo senso i flussi migratori da i sue paesi, prima extracomunitari.
Tuttavia il realizzare un’unione che possa comprendere tutti gli stati europei, anche quelli più ad Oriente, avrebbe una valenza assai importante, aldilà degli effetti sull’economia comunitaria: significherebbe infatti creare una enorme forza politica e più opportunità per i territori più poveri e arretrati.
Il sogno Europa ebbe tra i sui ideatori il genio di Machiavelli, e un grande scrittore pacifista quale Victor Hugo, ma per una sua teorizzazione bisogna aspettare il 1941, quando gli italiani Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi tracciarono il profilo di un'Europa federale nel Manifesto di Ventotene.
Ma fu solo dopo la guerra che la costruzione europea cominciò a muovere i primi passi sotto la spinta della necessità politica di rimuovere le cause di scontro tra i principali paesi del Vecchio Continente rimasti al di qua della Cortina di ferro.
Il progetto di Jean Monnet che diede vita alla Ceca (Comunità europea del carbone e dell'acciaio) fu presentato a Parigi dal Ministro degli Esteri francese Robert Schuman il 9 maggio del 1950, giornata diventata poi Festa dell'Europa. Le Conferenze di Messina (1955) e quella di Venezia (1956), seguite dalla firma a Roma, nel '57, dei Trattati istitutivi della Comunità economica europea (Cee) e della Comunità Europea per l'energia atomica (Euratom), ridiedero slancio all'idea di un'Europa sempre più integrata e decretarono la nascita del primo nucleo della futura Ue.
Successivamente, nel corso degli anni '60, il processo di integrazione compì passi in avanti attraverso la realizzazione dell'unione doganale, mentre nel 1972 fu proposta l’idea di un’unione monetaria europea che prese corpo nel '79 con un accordo di cambio, che assunse la denominazione di Sistema monetario europeo (Sme). Nello stesso anno, il Parlamento europeo venne eletto per la prima volta a suffragio universale.
Nel 1992 con il trattato di Maastricht quella che fino ad allora era stata comunemente indicata come Cee (Comunità economica europea) diventò Unione europea (Ue), fatto che ha impresso un'autentica svolta al processo di integrazione europea.
Dopo l'abolizione definitiva dei controlli alle frontiere interne dell'UE (1998-'99) e l'introduzione effettiva, il 10 gennaio 2002, della moneta unica in 12 paesi, il successivo passo fu compiuto con la definizione di un Trattato Costituzionale necessario per assicurare il buon funzionamento dell'Unione. Tale Costituzione europea è stata firmata a Roma il 29 ottobre 2004 e ratificato da 18 stati membri prevalentemente per via parlamentare, compresa l'Italia. Il processo di ratifica però è stato interrotto il 29 maggio 2005 con un referendum popolare in cui il 54,7% dell'elettorato francese ha scelto di non sottoscrivere il Trattato; pochi giorni dopo, il 1 giugno, anche la popolazione dei Paesi Bassi si è dichiarata contraria alla sua introduzione (con il 61,6% dei voti). Mentre in precedenza l'unico stato membro a ratificare la Costituzione mediante referendum era stato la Spagna, dove il 76,8% dei votanti si era pronunciato a favore del Trattato.
Con l’approvazione di una Costituzione comunitaria si imboccherebbe la strada verso un’Europa che avrebbe una funzione totalmente differente rispetto al passato: e le attuali perplessità vertono proprio sulla funzione politica ed istituzionale dell’Unione, la quale secondo molti dovrebbe farsi organo effettivo di governo, da sostituirsi alle amministrazioni dei singoli stati. È una prospettiva che darebbe all’Europa non solo maggiore vigore economico ma anche maggiore forza politica, soprattutto nel campo delle relazioni internazionali, costituendo così un’unica voce per tutti i suoi membri.
In un panorama mondiale così disgregato e saturo di conflitti, la sua funzione sarebbe di contrasto all’egemonia statunitense, alla quale sono sottomessi numerosi paesi (anche all’interno dell’Europa stessa), avvalendosi della sua cultura millenaria e della sua storia, che ne hanno fatto un crocevia di popoli.
Ma oltre a ciò il costituirsi di un vero e proprio apparato sovrastatale europeo potrebbe risolvere anche le tensioni che persistono in zone come i Paesi Baschi, la Catalogna, l’Irlanda del nord, la Padania, l’Alto Adige, dove è maggiore l’interesse e la necessità di autodeterminazione e di affermazione della propria identità. Infatti creare un grande stato europeo non comporterebbe alcuna perdita delle identità locali, anzi una valorizzazione di queste, attraverso la costituzione di macroregioni autonome.
Forse però i tempi non sono ancora maturi per un cambiamento di tale peso, vista la diffidenza che trova ancora l’Ue in paesi come Francia e Gran Bretagna. Queste due nazioni hanno infatti un radicato sentimento di orgoglio nazionale, forti della loro storia e del loro passato splendore, che rende l’integrazione nell’Europa più difficile. Ciò nonostante dopo i recenti fatti storici e il cambio di equilibri nel Medio Oriente, si è giunti alla presa di coscienza della necessità di unificarsi sotto una stessa bandiera per combattere il terrorismo, la grande paura i questo secolo, su di un’unica linea di azione.

Francesco Mirizzi V B

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