Giuseppe ungaretti

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Testo

(1888, Alessandria d’Egitto; 1970 Milano)

Opere: Il porto sepolto (1916, I edizione, 1923 II edizione con dedica a Mussolini);
Allegria di naufragi (1919 che comprende la raccolta precedente; nel 1931 il titolo viene cambiato in “L’allegria”);
Sentimento del tempo (1933);
Il dolore (1947)
La terra promessa (1950);
Un grido e paesaggi (1952);
Il taccuino del vecchio (1960);
Morte delle stagioni (1967)
Dialogo (1968).
Inoltre traduce e legge in TV l’Odissea (1968). Tutte le sue poesie sono state raccolte in una definitiva edizione intitolata Vita d’un uomo (1969).

Poetica
L’elemento fondamentale della sua poetica è la dimensione contemporaneamente autobiografica e universale, come il titolo stesso suggerisce della sua raccolta “vita d’un uomo”: la volontà di cantare la vita di un individuo particolare che, però è anche un uomo tra i tanti e ciò consente di generalizzare l’esperienza.
Il poeta dice che la poesia non può essere definita in modo esplicativo perché essa è folgorazione. La poesia non si spiega, ma si manifesta, quando la radice del nostro essere ci si rivela in un’intuizione che ha qualcosa d’assoluto e perciò è pura. A ciò si aggiunge il lavoro linguistico per esprimere tale illuminazione. Pertanto la poesia è illuminazione che si traduce in parola attraverso un “labor limae”. Ogni poesia accosta l’unicità della parola con la sua contemporanea universalità umana, così diviene anonima. La poesia è dunque un dono, un’ispirazione folgorante che accende il poeta e gli fa trovare la parola capace di esprimere la verità profonda della realtà; la poesia è anche ricerca, studio della tradizione letteraria e riflessione critica.
La poesia di Ungaretti vuol essere anche poesia della memoria, nel senso che la parola attraversa i secoli e si carica di sentimenti e di vite diverse che, grazie ad essa continuano ad esistere, anche dopo la scomparsa degli uomini che l’hanno pronunciata.
Attraverso la memoria, la poesia restituisce il linguaggio alla sua purezza originaria e la parola poetica viene recuperata nei suoi aspetti di verginità e novità.
Essa evoca, crea la realtà.
Il poeta così penetra nella vera natura delle cosa, alla ricerca di una verità universale che scaturisce dalla verità individuale di un uomo. Solo il poeta è capace di esprimere l’inconoscibile e l’indicibile del mondo; egli vede “l’invisibile nel visibile”.

Il porto sepolto (1916)
È composto da 31 poesie, scritte tra il dicembre del 1915 e l’ottobre del 1916-
Ogni poesia riporta il luogo e la data in cui fu scritta dal poeta, mentre combatteva sul Carso. Qui il simbolismo si misura con la storia, la I guerra mondiale.
Furono proprio i sentimenti e i bisogni elementari e primari dei soldati al fronte a portare Ungaretti alla ricerca di un’espressione scarnificata, essenziale, in cui la parola viene scavata, assumendo toni d’estrema intensità narrativa. Si tratta di poesie brevissime, a volte fatte di una sola parola, rivelando l’influsso dello sperimentalismo futurista. Vengono meno la metrica e la sintassi; ci sono frequenti “a capo”, che circondano la parola di spazi bianchi e di silenzi.
Il porto è metafora di una meta irraggiungibile, di un approdo ormai “sepolto”, sommerso dalla storia; è quel posto cui il navigatore tende nel suo viaggio, ma che ormai è circondato dal mistero, lo stesso mistero che avvolge tutte le case e che spetta al poeta svelare. Ma il porto è anche quello d’Alessandria d’Egitto che per Ungaretti è il miraggio dell’Italia, luogo misterioso e affascinante, perché vi si ricava per salutare che partiva e per accogliere amici e familiari.

L’allegria (1931, 70 poesie più 4 prose divise in 5 sezioni)
Nel 1919 il titolo della raccolta era “ allegria di naufraghi” (figura retorica che si chiama ossimoro) alludeva alla volontà di ricominciare sempre, dopo ogni fallimento e sconfitta: “E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio, un superstite lupo di mare” (naufragio è la tragedia dell’uomo contemporaneo che ha smarrito la realtà, la meta).
Nella raccolta dal 1931 Ungaretti ha eliminato il complemento di specificazione perché vuol sottolineare la volontà di sopravvivenza, una positività vitale, un certo ottimismo. Le sezioni in cui la raccolta è divisa sono in ordine cronologico, in quello che lo stesso poeta definì “diario” per lasciare “una bella biografia”.
Temi della raccolta: l’io è al centro della raccolta e ciò è confermato dall’uso insistito dell’aggettivo possessivo o dimostrativo di prima persona e nella precisa indicazione di luoghi e dati.
Ma l’io si propone come simbolo di un’esperienza che è si individuale, ma anche universale, perché come ogni uomo, anche il poeta è naufrago e disperso.
Un tema importante è quello del viaggio, dell’uomo naufrago, in balia di un destino che conduce alla morte; del nomade che cerca, risalendo i suoi fiumi, il paese dell’innocenza, lontano dagli orrori della guerra. “dal momento che sono un uomo che fa la guerra, non voglio per me se non i rapporti con l’assoluto che è la morte, non il pericolo. In me non c'è odio per nessuno; c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, della precarietà della loro condizione”.
L’intera raccolta può essere considerata un diario di guerra, le cui tappe sono segnate dalle singole poesie con data e luogo di comparizione. La guerra sul Carso cruda e priva d’ogni trasfigurazione eroica diviene paradigma della situazione esistenziale dell’uomo contemporaneo che oscilla tra vita e morte. Il paesaggio (fango, alberi spogli, villaggi distrutti, trincee) penetra nell’uomo e diviene tutt’uno con il suo spirito.

Stile e linguaggio
• Demolizione del verso e della sintassi, parallela allo scavo, alla ricerca d’essenzialità della parola. Non si tratta solo di libertà ritmica, ma di scelte subordinate all’idea della poesia come frammento e folgorazione della parole come rivelatrice della sostanza nascosta del reale. La parola nella sua essenzialità porta gli uomini verso quell’innocenza perduta, quel miraggio d’ogni esule viaggiatore. Per cogliere le segrete corrispondenze tra le cose e le parole e per ridare un senso ad un mondo di cose e parole fatto solo di dolore e insensatezza, Ungaretti fa uso d’analogie, che sostituiscono i legami logico-sintattici, creando sensi nuovi. Inoltre il poeta fa uso di paratassi, cioè strutture nominali, prive di verbo, un linguaggio che non è più aulico e solenne (vedi la molta retorica fascista e l’enfasi dannunziana) né veicolo di certezze e ottimismi, ma allude ad una verità profonda nascosta sotto le maceri della realtà;
Poesie: voglia, sono una creatura, San Martino del Carso, I fiumi, Fratelli, Soldati, Mattina, In memoria, Girovago.

Sentimento del tempo (19330; 70 poesie in 7 sezioni)
Risente, sin dal titolo, dell’influenza di Bergson, per quanto riguarda la dimensione soggettiva, interiore del tempo. Mentre i futuristi concepivano il tempo come velocità, Ungaretti lo sente come durata interiore. Egli ricorre all’immagine del fiume che pur scorrendo, mantiene una fondamentale identità; il suo corpo si può percorrere anche a ritroso e le su acque si mescolano come il passato e il presente nella mente dell’uomo.
Qui Ungaretti supera la dimensione soggettiva e da voce ai conflitti universali ed eterni di tutti gli uomini. La raccolta è divisibile in 2 momenti segnati dalla città di Roma e dall’esperienza religiosa. Roma prende il posto dell’Egitto, di Parigi o del Carso e trasmette al poeta il sentimento dell’eterno, per la sua sacralità, ma anche il senso del vuoto, assenza e vertigine che traspaiono nelle opere barocche.
Il barocco è il venir meno della misura, dell’ordine rinascimentale; il dilatarsi degli orizzonti che nel 600 rivela all’uomo la sua piccolezza nello spazio infinito.
Il barocco non influenza Ungaretti solo tal punto di vista tematico, ma anche formale: certe esasperazioni formali e sottigliezze della parola rimandano alla poetica barocca, basata sulla meraviglia, conseguita con metafore ardite.
La raccolta è anche modellata come aspirazione al divino e recupero della dimensione religiosa. In questa raccolta, inoltre, Ungaretti recupera non solo i classici, ma anche la tradizione e i metri (ipotassi, il verso settenario, l’endecasillabo; un lessico aulico, la punteggiatura) si ricorre alla mitologia per riconquistare un Eden perduto (Roma).
La poesia più importante è “La madre”.

Il dolore (1947, 6 sezioni)
La raccolta nasce sotto la spinta di drammatici avvenimenti autobiografici: la morte del figlio Antonietto (1939); del fratello Costantino (1937); la II guerra mondiale il ritorno in una patria sconvolta dall’occupazione e dalla Resistenza. Il dolore individuale si riflette nel dolore collettivo della guerra. È la raccolta più amata dal poeta propri per questo.
Qui Ungaretti vuol recuperare l’uomo, sottrarlo alla precarietà non attraverso lo scavo della parola nell’abisso dell’io o l’immersione in una dimensione mistica, atemporale, ma attraverso la cruda adesione al proprio sentimento, senza alcuna consolazione.
Non è solo un recupero individuale, ma collettivo, come nella sezione intitolata Roma occupata. È una Roma minacciata dalla guerra e la distruzione, descritta con toni apocalittici, ma c’è anche la volontà del poeta di cercare una forma di solidarietà con gli altri uomini: solo la fraternità permette di superare il dolore causato dalla storia, il dolore universale.
Le poesie più importanti sono: “Non gridate più” e “Per il figli morto”.

Esempio



  


  1. Erika

    Tesina sui regimi totalitari per l'esame di terza media