Giacomo Leopardi e opere più importanti

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Testo

Vita di Giacomo Leopardi
L’infanzia: Giacomo Leopardi nacque a Recanati (nelle Marche) il 29 giugno 1798. È il primo di cinque figli, di cui due particolarmente cari al poeta: Paolina e Carlo. Il conte Monaldo, suo padre, è un amante delle lettere, è sollecito verso il figlio e ne asseconda gli studi. Dopo che egli ha in parte sperperato il patrimonio di famiglia è la madre, Adelaide Antici, donna fredda, severa e bigotta, ad occuparsi dell’amministrazione domestica. Precocemente, a soli undici anni, Giacomo compone versi poetici, le prime prose, traduce Odi di Orazio. Gli anni che seguono vedono crescere in progressione il numero dei componimenti in Italiano e Latino, le prime Dissertazioni filosofiche, una traduzione in ottave dell’Ars Poetica di Orazio. Tra le pareti di palazzo Leopardi trascorrono "sette anni di studio matto e disperatissimo" (così definiti in una delle prime lettere al Giordani), anni che compromettono irrimediabilmente la salute e l’aspetto fisico di Leopardi. In questi anni di studio impara da solo il greco e l’ebraico, e più tardi si procura diffuse conoscenze nelle lingue straniere.
Il 1815: L’avvicinamento alla poesia avviene nel 1815, con la traduzione degli Idilli di Mosco e della Batracomiomachia ("battaglia dei topi con le rane") un poemetto attribuito ad Omero (paternità erronea, contestata dal Leopardi).
Il 1816: Ma è il 1816 l’anno in cui più distintamente la vocazione alla poesia si fa sentire, pur tra le tante opere di erudizione che ancora occupano il campo, l’anno di quella che Leopardi stesso definirà conversione "dall’erudizione al bello": accanto alle traduzioni del primo libro dell’Odissea e del secondo dell’Eneide, compone un Inno a Nettuno, che finge tradotto da un originale greco, una lirica ("Le Rimembranze"), e una cantica in terzine ("L’appressamento della morte").
Il 1817: Nel 1817 si registrano nuove traduzioni e prove poetiche significative (ricordiamo in particolare l’Elegia I, che confluirà nei canti "Il Primo amore", nato dall’ardente passione ispirata al poeta dalla cugina Gertrude Cassi Lazzari). Nel frattempo prende avvio un diario d’eccezione, lo "Zibaldone dei miei pensieri", destinato ad accogliere appunti e riflessioni di vario genere fino al 1832. Ma in quest’anno Leopardi trova anche un grande amico in Pietro Giordani. Dalla immediata e reciproca stima nasceranno una durevole amicizia e una attivissima corrispondenza epistolare fondamentale per la formazione del poeta.
Il 1818: Nel 1818 Leopardi compone il primo scritto che abbia valore di manifesto poetico: il "Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica", in difesa della poesia classica; inoltre pubblica a Roma, con dedica al Monti, le due canzoni All’Italia e Sopra il monumento di Dante.
Il 1819: Nel 1819 è colpito da una grave malattia agli occhi che gli impedisce di leggere e a volte anche di pensare, tanto che più volte medita il suicidio. Tenta la fuga da Recanati, fuga che però viene scoperta, a causa del clima della città, divenuto ormai insopportabile.
Tra il 1819 e il 1821: scrive i primi idilli, mentre continua e giunge all’apice l’applicazione del poeta al progetto delle Canzoni, pubblicate a Bologna nel 1824, con una nuova dedica al Monti e un interessante apparato di Annotazioni di carattere linguistico.
Le Operette Morali:
Già dal 1820 prende avvio il disegno delle Operette morali. Attraverso una schiera di personaggi, alcuni storici (Cristoforo Colombo) ed altri fantastici e spesso personificazioni di enti astratti inanimati, sono impietosamente processati i pregiudizi sui quali si fonda il comune senso del vivere e la verità, ingrata all’uomo e per questo sempre negata, finalmente s’impone compiutamente, rivelando che la vita è un deserto, o una biblica valle di lacrime, e la natura è indifferente al destino delle sue creature.
Luglio 1820: Al luglio 1820 risale, nelle pagine dello Zibaldone, il primo disegno compiuto di speculazione filosofica in chiave ormai negativistica: lo si può considerare la pietra miliare della nuova stagione di un pessimismo che vede Leopardi gradatamente allontanarsi dall’alveo dell’ortodossia cristiana, già messa a dura prova negli anni giovanili dalle grandi esplorazioni compiute nei territori delle filosofie ed eresie antiche con il proposito di difendere i valori della tradizione cristiana, sentiti come razionali,contro le tendenze mitiche e superstiziose. L’approccio ai filosofi sensisti e illuministi (Diderot, Montesquieu …) apre il varco ad una riflessione sempre più disancorata e alla fine avversa ad ogni professione di fede, sino a posizioni di dichiarato e irriducibile ateismo e agnosticismo (cioè sospensione di giudizio di fronte a problemi che sfuggono alla possibilità umana di comprensione).
Dal novembre 1822 al maggio 1823: si colloca il soggiorno a Roma, presso gli zii materni. La capitale si rivela però una grossa delusione: mediocri i letterati e gli uomini in genere, mediocre il livello del dibattito letterario, così vivo e vario ai tempi del Monti. Solo il Neibhur, grande storico tedesco e ministro di Prussica presso la S. Sede, si interessa veramente al Leopardi e cerca di procurargli una carica e uno stipendio presso il governo pontificio: ma il disegno va a monte per i troppi sospetti nutriti dal Vaticano nei confronti del candidato.
Nel 1825: parte per Milano dove l’editore Stella gli commissiona la direzione di un’edizione completa di Cicerone, che però non si farà. Nel settembre è a Bologna, dove dimora per più di un anno, traducendo il "Manuale di Epitteto", filosofo greco dell’età di Domiziano, sostenitore di una morale di tipo stoico: la filosofia insegna a distinguere che cosa è in potere dell’uomo da ciò che trascende ogni sua libera scelta. Per l’editore Stella ancora cura un commento alle Rime di Petrarca
Nel 1826: torna alla poesia, con i versi "Al conte Carlo Pepoli", poesia fredda e grigia, sul modello, che poi resterà senza seguito, dell’epistola oraziana, e ancora cura l’edizione dei Versi, dove raccoglie la sua produzione poetica diversa dalle canzoni.
Nel 1827: esce a Milano, presso l’editore Stella, la sua Crestomazia Italiana, cioè una "scelta di luoghi insigni o per sentimento o per locuzione raccolti dagli scrittori italiani in prosa di autori eccellenti d’ogni secolo" (alla Crestomazia della prosa, seguirà una della poesia).
Nel novembre del 1828: Leopardi è a Pisa (dove compone "Il Risorgimento" e "A Silvia"), poi ancora a Firenze, poi nel novembre di nuovo a Recanati, dove lo chiamano la morte precoce del fratello Luigi e altri problemi famigliari. Ritrovare i luoghi e gli oggetti immutati della sua giovinezza suscita in Leopardi un indicibile moto di sentimenti e ricordi: ne derivano alcuni tra i Canti maggiori: Le Ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Il 1830: Dopo aver inutilmente sperato che le "Operette" vincessero il premio messo in palio dall’Accademia della Crusca (che toccò invece allo storico Carlo Botta), può egualmente partire per Firenze nel 1830, grazie ad una sottoscrizione procuratagli da alcuni amici toscani. Nel capoluogo toscano incontra Fanny Targioni Tozzetti, oggetto di una passione accesa quanto incorrisposta e ispiratrice di una serie di poesie amorose, il cosiddetto "Ciclo di Aspasia" (questo il nome sotto al quale si cela l’amata): Consalvo, Il pensiero dominante, Amore e morte, A se stesso, Aspasia.
Il 1831: Inizia nel 1831 i Paralipomeni della Batracomiomachia (cioè la continuazione della Batracomiomachia, già tradotta): operetta di genere eroicomico in ottave, ispirata ai moti patriottici di quell’anno. Le parti in causa, patrioti, truppe papaline e austriaci, vengono calati dentro una finzione zoomorfa, che li tramuta rispettivamente in Topi, Rane e Granchi. L’operetta uscì postuma nel 1845. Nel 1831 vede la luce a Firenze l’edizione dei Canti. Escono tra l’altro contemporaneamente i "Dialoghetti sulle materie correnti nell’anno 1831" del padre Monaldo (v. appunto pg. 558), qualcuno credette di poter attribuire l’opera al figlio, costringendo Giacomo a smentire la paternità di quel libro e aumentando il clima di antipatia e sospetto nei suoi confronti.
È degli ultimi anni il proposito di preparare una scelta delle massime più significative dello Zibaldone, da stampare con il titolo di Pensieri, proposito portato a compimento dall’amico Ranieri dopo la morte di Leopardi.
Nel 1836: per sfuggire alla minaccia del colera, si trasferisce alle falde del Vesuvio, dove compone due grandi liriche: Il tramonto della luna e La ginestra.
Nel 1837 improvvisamente muore, a soli 39 anni, per l’aggravarsi dei mali che già da tempo lo affliggevano.
Opere di Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi nasce a Recanati (Macerata) nel 1789, primogenito del conte Monaldo, erudito dalla mentalità ristretta, che si occupa della sua prima educazione. Vive isolato per tutta l'adolescenza nel paese natale che sente come una soffocante prigione, dedicandosi a intensi studi che gli rovinano la salute. In questi anni matura una concezione dolorosamente pessimistica del reale che esprime nello Zibaldone, ampia raccolta di ragionamenti e note filosofiche, psicologiche e letterarie, scritta tra il 1817 e il 1832. Poiché rifiuta la poesia basata sulla creazione di immagini ("poesia immaginativa"), si dedica alla "poesia sentimentale", volta alla riflessione e all'analisi degli stati d'animo. Compone i cosiddetti primi idilli (tra cui L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna), un gruppo di liriche dai toni evocativi, intrise di dolore per il cadere delle speranze e il trascorrere inesorabile del tempo. Contemporaneamente, tra il 1820 e il 1822 scrive anche varie canzoni (Nelle nozze della sorella Paolina, A un vincitore nel pallone, Ultimo canto di Saffo) in cui lamenta la tirannia del destino e le oppressive e disumane leggi universali. Finalmente, nel 1822, ottiene il permesso di lasciare la casa paterna per recarsi a Roma, ma vi ritorna quasi subito per due anni, durante i quali scrive la maggior parte delle Operette morali, dialoghi e prose filosofiche di intensa liricità in cui affronta i miti del suo pensiero: la Natura, la Morte, il Dolore, la Felicità, la Noia. Nel 1825 è a Milano, poi a Bologna e Firenze dove conosce Manzoni, quindi a Pisa: qui, interrompendo il silenzio poetico che durava dal 1821 scrive i canti Il risorgimento e A Silvia (1828). Di nuovo a Recanati compone dal 1828 al 1830 i grandi idilli (Il passero solitario, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio ecc.) dominati dal senso universale del dolore e dalla pietà per tutti i viventi, illusi e travolti dalla Natura matrigna. Di nuovo a Firenze, dopo una dolorosa delusione d'amore stringe amicizia con l'esule napoletano Antonio Ranieri, che cura la prima edizione dei Canti (41 poesie) e con lui si trasferisce nel 1833 a Napoli dove vive gli ultimi dolorosi anni. Muore nel 1837.
L'infinito
Composto fra la primavera e l'autunno del 1819, questo idillio è perfetto perché libero da intrusioni intellettualistiche. Alla sua origine non c'è né abbandono mistico, né un atteggiamento puramente contemplativo, e neppure un'emozione immediata e intuitiva. Superando una situazione concreta, il poeta trova la forza di crearsi grandi illusioni, di erigersi sopra la ragione per concepire l'infinità dello spazio e del tempo.
Parafrasi:
Sempre caro mi fu questo solitario colle
e questa siepe che sottrae alla mia vista tanta parte
del lontano orizzonte.
Ma mentre sto seduto a contemplare,
immagino nella mia mente sconfinati
spazi al di là di quella siepe e sovrumani
silenzi, e una profondissima calma
tanto che il cuore prova quasi paura. E non appena il vento
passa tra queste piante io
metto a confronto
la voce del vento con il silenzio dell'infinito: e mi viene in mente l'eterno
e il tempo passato e quello presente
e vivo dei rumori della vita. Così tra questa
immensità si annega il mio pensiero,
e naufragare è dolce in questo mare.

È il primo degli idilli pubblicati dal poeta sul "Nuovo Ricognitore" di Milano. Più che mai in questa breve composizione comunica il profondo senso di solitudine piena di dolore calmo e raccolto. Fa da sfondo all'esperienza della sua anima il paesaggio che è parte di un ambiente paesano e famigliare. La sofferenza del Leopardi acquista una risonanza cosmica, come se nella sua tristezza si esprimesse la voce dolente degli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi. La natura eterna appare serena ed impassibile di fronte al pianto e alla rassegnata malinconia dei mortali. Il luogo della riflessione del poeta è il monte Tabor di Recanati ma nella lirica appare lontano dalla realtà, ci troviamo nel mondo della fantasia, il luogo appartato ci suggerisce, però, la solitudine de poeta ed il suo isolamento. La siepe rappresenta l'impedimento, la forza che pone dei limiti invalicabili alla conoscenza dell'uomo, ma è gradita perché gli desta per contrasto, l'immagine dell'infinito spaziale e temporale, gli permette di spaziare con la fantasia. Si costruisce col pensiero spazi interminabili, che si estendono al di là dalla siepe e li riempie di un silenzio infinitamente superiore ad ogni umano silenzio. La fantasia ha dato libero spazio al sentimento ha potuto creare una pace ed una immobilità divine, approdo sognato e distacco dall'agitato ed irrequieto mondo umano. L'animo del Leopardi dell'essere finito, supera i limiti sella sua individualità e si sperde, smarrito, in quell'infinita vertiginosa vastità, che cancella ogni traccia della propria piccolezza. Il vento che passa fra le foglie e le fa stormire rappresenta un lieve sussurro se paragonato all'immaginato sovrumano silenzio. Rappresenta la storia degli uomini sullo sfondo del tempo infinito. Le età ormai scomparse (le morte stagioni) sono state un momentaneo bisbigliare di foglie mosse dal vento e di loro non è rimasta alcuna traccia. Avverrà così anche per l'epoca presente viva oggi per un attimo prima di smarrirsi e scomparire nell'immensità del tempo. Questo smarrirsi nell'immensità dell'infinito è come un naufragare in un mare aperto, soltanto in questo modo l'animo del poeta trova la sua quiete in questo immergersi nell'infinito.
Canti
Tra il 1819 e il 1821 Leopardi compone i primi idilli, un gruppo di liriche nelle quali i temi poetici assumono ampia risonanza sentimentale e dove dominano i toni della evocazione e della memoria. Anche il dolore per le speranze cadute e per l'inesorabile trascorrere del tempo si sublima nella contemplazione della natura.
Creazione: Composta a Pisa il 19 e 20 aprile 1828 pochi giorni dopo Il risorgimento; alle due poesie Leopardi allude nella lettera alla sorella Paolina del 2 maggio dello stesso anno. Silvia è il nome della protagonista dell'Aminta del Tasso e nel suo nome spesso i critici hanno adombrato la presenza di teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tisi il 30 settembre 1818: ma l'accostamento è privo di fondamento.
Metro: Canzone libera di sei strofe di endecasillabi e settenari, con rime alternate e baciate, la cui posizione è libera, come libera è anche la lunghezza delle strofe, ad imitazione del Tasso.
Parafrasi: Silvia, ricordi ancora quel tempo della tua vita quando risplendeva la tua bellezza negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi ad evitare lo sguardo altrui, e lieta e pensierosa cominciavi a vive la tua giovinezza?
Le quiete stanze della tua casa e le vie dintorno, risuonavano del tuo canto quando eri intenta ai tuoi femminili lavori, contenta pensando al bel futuro che avevi in mente. Era il maggio odoroso e tu così solevi trascorrere le tue giornate.
Io talvolta lasciando i miei studi letterari e la carte su cui scrivevo, sulle quali trascorrevo la parte migliore del mio tempo giovanile, dai balcone della casa paterna ascoltavo il suono della tua voce mentre la tua mano spedita scorreva sulla tela frutto di faticoso lavoro. E intanto guardavo il cielo sereno e le vie illuminate e gli orti e da una parte il mare lontano e dall'altra i monti. La lingua umana non può esprimere ciò che sentivo dentro di me.
Quali pensieri soavi, quali speranze, quali affetti, Silvia mia, in che modo ci appariva allora la vita e il destino! Quando mi viene in mente quella grande speranza, mi opprime un dolore acerbo e senza conforto e torno a dolermi della mia sventurata vita. O natura, o natura, perché non restituisci dopo quello che hai promesso nella gioventù? Perché così tanto inganni i figli tuoi?
Tu, prima che l'inverno inaridisse l'erbe, tenerella morivi combattuta e vinta da una malattia invincibile. E non avresti visto il fiore dei tuoi anni; non ti raddolciva la dolce lode per i tuoi capelli neri o per gli occhi tuoi innamorati e schivi, sfuggenti per il pudore che accompagna il tentativo di nascondere i primi turbamenti amorosi; né con te le compagne nei giorni festivi ragionavano d'amore.
Dopo un po' periva anche la mia dolce speranza: agli anni miei il destino negò anche la giovinezza. Ahimè come sei passata, speranza mia sempre rimpianta, amata compagna della mia giovane età. Questo è quel mondo promesso? queste sono le gioie, l'amore, le opere, gli eventi di cui tanto abbiamo parlato insieme? questa è la sorte delle genti umane? All'apparire del vero, tu misera moristi: e con la mano mostravi da lontano una nuda tomba e la fredda morte.
struttura: cinque sono i movimenti del canto:

Versi 1-14 Silvia
Rievocazione di Silvia - Il poeta si rivolge a Silvia chiedendole se ricorda ancora il tempo passato quando era splendida nella sua giovane bellezza, colta prima nell'espressione degli occhi ridenti e fuggitivi e poi nella letizia assorta del volto pensieroso rivolto al futuro. Silvia viene vista nella spensieratezza della sua giovane vita, intenta ai lavori quotidiani, al telaio, mentre il suo canto si diffonde tutt'intorno e la sua mente è occupata dal pensiero dell'indefinito e desiderato avvenire. Ma in quell'essere pensoso viè già come l'oscuro presentimento del futuro, anche se è naturale che gli uomini ricordino le persone che non ci sono più in un atteggiamento un po' triste e pensoso. Era maggio, il mese in cui sono presenti tutte le speranze, come nella fanciullezza.
Versi 15-27 Leopardi
Rievocazione di se stesso - Anche il poeta è intento ai suoi lavori quotidiani: allo studio e alle sudate carte sulle quali scrive i suoi pensieri e sulle quali impegnava e spendeva, cioè consumava, la maggior parte del suo tempo giovanile: all'improvviso viene interrotto dal canto di lei, e allora si avvicina ai balconi della casa paterna per guardare giù nella strada e sentire meglioil suono di quella voce e il familiare rumore del telaio che veniva manovrato dalle veloci ed esperte mani della ragazza. Carezzato da quei suoi, il poeta guarda allora lontano, verso il mare lontano e verso i monti che gli chiudono il vasto orizzonte non solo fisicamente ma anche umanamente. È un paesaggio fatto solo di canto e di luce, di speranza e di letizia: nessuna lingua potrebbe esprimere quello che dentro di sè allora il poeta provava.
Versi 28-39 la Natura
La Natura: vita come sventura e inganno - Che pensieri soavi e che speranze aveva il poeta! e come a lui e a Silvia, ora veramente sua nel ricordo e nel pensiero uniti dalla stessa comunanza di affetti e di dolori, appariva allora il destino, così illuminato da una attesa piena di fiducia in una sicura felicità. Ora, nella maturità, ogni volta che ricorda quelle passate e irrealizzate speranze, il suo cuore viene invaso da una angoscia senza conforto mentre l'esistenza si presenta come una irreparabile sventura. È in questa sventura che diventa inevitabile il grido contro la Natura: così mantieni le promesse che fai nella fanciullezza? La vita si regge su un inganno di fondo, contro il quale l'uomo resta comunque impotente.
contrasto - tra le promesse nella fanciullezza e l'irrealizzazione della stesse nella maturità.
contrasto - tra la Natura e l'uomo
contrasto - tra pasato e presente
contrasto - tra la cotanta speme del passato e l'acerbo e sconsolato affetto del presente
Versi 40-48 Silvia
La morte come fine - Prima che l'inverno inaridisse i fiori e l'erba nati nella primavera, e quindi prima che maturità inaridisse le dolci speranze della fanciullezza, combattuta e vinta da una mortale malattia nascosta nel suo stesso intimo, non sarebbe arrivata a godere il realizzarsi delle speranze promesse dalla natura e a provare la dolce lusinga degli elogi per la sua bellezza né con le compagne avrebbe parlato d'amore: ma il desti in agguato avrebbe spezzato la sua vita prima dell'arrivo della gioventù, del fiore degli anni.
contrasto - tra la realtà (combattuta e vinta da chiuso morbo) e il sogno (il fior degli anni, la dolce lode, gli sguardi innamorati e schivi)
Versi 49-63 Leopardi:l'apparir del vero
L'apparir del vero - Anche le speranze del poeta si sarebbero dileguate; anzi al poeta il destino ha negato perfino la fanciullezza (con i sette anni di studio matto e disperatissimo) e la giovinezza; la "speranza mia dolce" è svanita ancor prima di comparire: ora non resta che la sventura vera della vita: all'apparire del vero aspetto del mondo e della vita, spogliato dei fantasmi delle illusioni le speranze mentre una mano gli addita l'unica meta vera di ciascun uomo, cioè la morte: in essa finisce il mondo meraviglioso sperato, la gioia e l'amore insieme alle opere gloriose.
contrasto - tra le speranze e l'apparir del vero

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