Dante e la società comunale

Materie:Tesina
Categoria:Italiano
Download:462
Data:15.11.2006
Numero di pagine:8
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
dante-societa-comunale_1.zip (Dimensione: 943.55 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_dante-e-la-societ+     981.5 Kb


Testo

Falone Luca
Materia: Italiano
A.S. 2005/2006
Dante e la società comunale
Storia e politica

1. L’esperienza di Dante alla luce della situazione sociale e politica del 1300.
Dante è il massimo poeta della civiltà comunale.
Allo sviluppo della nuova letteratura in volgare contribuirono la nascita e lo sviluppo dei comuni che, particolarmente nell’Italia centrale e settentrionale, si sottrassero all’autorità feudale.
A partire dall’anno Mille, si assistette ad una ripresa della vita nelle città poiché, nei secoli precedenti, erano quasi disabitate, mentre ora cominciano a crescere per numero di abitanti attratti dal risveglio delle attività produttive.
Nel Duecento, le classi dirigenti vennero sostituite dai ceti mercantili, industriali e finanziari: inoltre cominciò a nascere anche una nuova cultura che esaltò i valori dell’iniziativa individuale, della spregiudicatezza e dell’abilità nell’ottenere successo e guadagno. Ciò non comporta tuttavia la scomparsa della cultura feudale, dal momento che tali due tendenze ebbero un riflesso anche sul conflitto tra la logica particolaristica, rappresentata dai Comuni, e quella universalistica, rappresentata dagli istituti dell’Impero e della Chiesa.
Le opere di Dante si situano al punto d’incontro di queste spinte contrastanti e ne tentano, in qualche modo, una sintesi.
Anche Firenze, teatro delle azioni politiche di Dante, era un libero Comune da oltre un secolo; infatti mentre la vecchia nobiltà feudale perdeva importanza, la nuova borghesia tendeva ad assumere il potere politico ed economico.
A Firenze, dopo il 1293, per poter svolgere attività politica divenne obbligatoria l’iscrizione ad una delle 21 Arti, cioè associazioni di categorie professionali e artigiane che escludevano l’aristocrazia dal potere. Dante stesso, che apparteneva alla piccola nobiltà cittadina, dovette iscriversi alla corporazione dei Medici e Speziali per partecipare alla vita politica della città.
La stratificata società comunale fiorentina esprimeva una forte conflittualità interna che si polarizzava attorno a due partiti: quello Guelfo e quello Ghibellino.
Il primo si appoggiava all’autorità della Chiesa, il secondo a quella dell’Impero; ma in verità il riferimento all’uno o all’altro dei due grandi Istituti Universali serviva soprattutto ad un carattere strumentale. Dopo una breve parentesi di potere Ghibellino, i Guelfi tennero ininterrottamente il potere a Firenze a partire dal 1266.
Quando Dante cominciò a partecipare alla vita politica cittadina si stava di nuovo sviluppando la rivalità intorno a due diversi schieramenti del partito guelfo: i Bianchi e i Neri.
I Bianchi capitanati dalla famiglia dei Cerchi, i Neri guidati dalla famiglia dei Donati.
Dante era un difensore dell’autonomia del Comune e dunque appoggiò il primo schieramento. Si trovò in conflitto con il Papa Bonifacio VIII che cercava di favorire i Neri. Lo scontro raggiunse la massima intensità quando Dante fu eletto Priore di Valois. Egli si recò a Roma da Bonifacio VIII per dissuaderlo ad inviare a Firenze come pacificatore il francese Carlo di Valois, ma costui entrò a Firenze ed i Neri presero il potere con il suo appoggio, condannando all’esilio Dante e i capi del partito Bianco. Dante apprese la notizia della condanna sulla via del ritorno e non poté più tornare nella città natale.
In un orizzonte dominato da una simile precarietà di alleanze, la concezione politica di Dante appare destinata alla sconfitta.
Negli anni dell’impegno politico in patria, Dante si era battuto con energia per difendere l’autonomia del Comune, cercando di porre fine alle violente discordie tra le fazioni. Gli parve che solo il potere superiore dell’imperatore potesse sconfiggere le rivalità di questa società.
Per tale ragione egli salutò con entusiasmo la politica dalla quale egli trasse spunto per comporre la propria opera politica più organica: la Monarchia.
Il De Monarchia è l’unica opera dottrinale che Dante abbia portato a termine. Composto o durante la discesa di Enrico VII in Italia (1310-1313) o subito dopo, il trattato è diviso in tre libri ed è scritto in latino (la lingua delle opere scientifiche e filosofiche, conosciuta da tutti gli intellettuali d’Europa). L’opera presenta in forma organica la concezione politica di Dante ed è soprattutto originale nell’affermazione dell’autonomia del potere dell’imperatore, come diretta espressione della volontà divina; in questo modo la sfera della politica è sottratta alla subordinazione al potere del papa (al quale è riconosciuta la sola autorità nel campo spirituale).
Tutta la sua riflessione politica si svolge nel tentativo di definire il giusto rapporto tra Chiesa e Impero: entrambi gli sembrano necessari e voluti da Dio, ma destinati ad occuparsi di due ambiti diversi e, quindi, ed essere autonomi e separati. All’Impero, che è la diretta espressione politica della volontà divina e deve guidare la società umana alla ordinata concordia, spetta il potere temporale; alla Chiesa, invece quello spirituale dovendo così rinunciare ai beni e al potere temporali.

La penisola italiana ai tempi di Dante
2. Biografia di Dante
Dante nacque a Firenze nel 1265.
La famiglia del poeta faceva parte della piccola nobiltà fiorentina di parte guelfa. Coinvolta nelle lotte interne del Comune di Firenze rimase vittima di confische di beni e di esili.
Quando nacque Dante, la sua famiglia era economicamente decaduta, ma non tanto da non permettere al poeta di condurre una giovinezza allegra e spensierata.
Assai ricca fu la vita sentimentale del poeta durante la giovinezza. Aveva nove anni quando vide per la prima volta Beatrice, figlia di Folco Portinari, che andrà poi sposa a Simone dei Bardi; la rivide a 18 anni e se ne innamorò profondamente, facendo di lei una creatura angelicata. Nel 1290 Beatrice morì all’età di 24 anni; il poeta ne fu sconvolto e, anche se trovò conforto in altri amori e nello studio della filosofia, non la dimenticò mai, anzi la idealizzò e la elevò a simbolo divino.
Nel 1295 sposò Gemma Donati, alla quale, come era usanza del tempo, Dante fu fidanzato dai genitori all’età di 11 anni; nacquero tre figli, Piero, Jacopo e Antonia, che divenne poi suora con il nome di Beatrice.
Durante la giovinezza Dante non fu soltanto uomo di cultura e poeta dalla ricca vita sentimentale; fu anche cittadino sensibile ai suoi doveri verso la città: partecipò infatti alla battaglia di Campaldino (1289) contro i Ghibellini di Arezzo, e, nello stesso anno, alla presa del Castello di Caprona contro i Pisani.
L’attività politica di Dante ebbe inizio nel 1295, l’anno stesso del suo matrimonio con Gemma Donati. Prima di quell’anno egli, come nobile, non poteva accedere alle cariche pubbliche, perché gli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella, per assicurare il governo della città alla borghesia, escludeva dalla partecipazione alla vita politica sia i nobili sia il popolo minuto.
Ci fu comunque un provvedimento che permetteva a chiunque di accedere alle cariche pubbliche a condizione che risultasse iscritto ad una corporazione di Arti e Mestieri. Dante si iscrisse allora all’Arte dei medici e degli speziali, che era aperta anche agli studiosi di filosofia e di scienza.
Quando Dante giunse al priorato, Firenze, da dove i Ghibellini erano stati cacciati definitivamente, dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento (1266), era una città guelfa già divisa in due fazioni ferocemente avverse, la fazione dei Bianchi, capeggiata da Vieri dei Cerchi, e la fazione dei Neri, capeggiata da Corso Donati. Esse non avevano vere ideologie contrapposte ma lottavano tra loro per pura ambizione di potere. Il contrasto assunse un certo colore ideologico quando il Papa Bonifacio VIII, approfittando del fatto che l’Impero era vacante ed esercitando di vicario imperiale, cercò di estendere il dominio della Chiesa sulla Toscana.
Dante all’inizio volle essere al di sopra delle parti e si sforzò di conciliare gli opposti interessi delle due fazioni, ma, di fronte alla protervia dei Neri e alla loro acquiescenza alla politica di penetrazione di Bonifacio VIII, si accostò ai Bianchi, con i quali condivideva l’ideale della libertà e dell’indipendenza del Comune.
Bonifacio VIII nel 1301 inviò Carlo di Valois a Firenze, ufficialmente come , in realtà con il compito di favorire i Neri ed assicurare ad essi il predominio nella città.
All’avvicinarsi di Carlo di Valois, Dante con altri due cittadini Bianchi fu inviato a Roma come ambasciatore per ammorbidire le pretese del pontefice, ma, mentre egli era assente, Carlo di Valois entrava in Firenze e consegnava il potere ai Neri, che immediatamente fecero le loro vendette, mandando in esilio i Bianchi.
Sulla via del ritorno da Roma, Dante fu raggiunto dall’editto con cui il podestà Cante dei Gabrielli da Gubbio, sotto l’accusa di baratteria, lo condannava alla multa di 5.000 fiorini piccoli e all’ interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Non avendo pagato la multa e non essendosi presentato al processo per discolparsi, il poeta venne condannato al rogo, se fosse stato sorpreso nel territorio del Comune .
Cominciò così per lui la vita dell’esilio.
E’difficile seguire con precisione l’itinerario di Dante durante gli anni dell’esilio, tanto esso è vario e non sempre chiaramente identificabile.
Dapprima partecipò ai tentativi dei Ghibellini fuoriusciti e degli esuli Bianchi per rientrare a Firenze con la forza delle armi.
Successivamente, venuto in contrasto per divergenze di vedute, si staccò da essi e fece . Da allora cominciò e girovagare per le corti dei signori in cerca di protezione e di pace, non senza subire a volte umiliazioni, quando era quasi ancora uno sconosciuto fuori Firenze e veniva confuso con altri girovaghi avventurieri.
Qualche signore, però, ne comprese la grandezza e lo accolse onorevolmente, ricevendo un’eterna gratitudine. Così egli immortalò Bartolomeo dalla Scala.
Quando nel 1310 Arrigo VII discese in Italia per ristabilire l’autorità imperiale, Dante si illuse di poter rientrare finalmente a Firenze, ma l’impresa dell’imperatore fallì per le opposizioni che incontrò, e la speranza del poeta si dissolse definitivamente con la morte di Arrigo a Buonconvento presso Siena nel 1313. Nel 1315 la concessione di un’amnistia a favore degli esuli pentiti fu sdegnosamente respinta dal poeta per le umilianti condizioni: i pentiti dovevano riconoscersi colpevoli, pagare una pena pecuniaria, presentarsi in veste di penitenti con la corda al collo ed il capo cosparso di cenere.
Non era neppure immaginabile che Dante – il quale si ritenne sempre innocente, esule non meritevole di quella condanna – con la fierezza del suo carattere e la coscienza della propria dignità, potesse accettare tali condizioni.
Ma questo sogno di un ritorno onorato in patria non si realizzò mai; il poeta trascorse gli ultimi anni di vita, assistito dai figli Pietro, Jacopo e Antonia, presso Guido da Polenta a Ravenna, dove morì, di ritorno da un’ambasceria a Venezia per conto del suo Signore nel 1321. Fu seppellito nella chiesa di S. Francesco della stessa città. Aveva da poco terminato il Paradiso, dedicato per riconoscenza a Cangrande della Scala.

3. Le idee politiche
Le idee politiche di Dante maturarono lentamente, in un giro di anni abbastanza lungo, che coincise praticamente con tutta la vita del poeta; esse infatti accompagnarono le varie esperienze che Dante ebbe modo di compiere.
Alla base del pensiero di Dante sta la visione religiosa della realtà, perché è questa a dare unità a tutti i fenomeni. Da tale visione dipende la concezione della storia come una manifestazione progressiva e lineare delle verità cristiane. Possiamo dividere le idee di Dante in tre filoni fondamentali:
Con l’esilio e le peregrinazioni che ne derivarono, il pensiero politico di Dante matura il rifiuto della frammentazione prodotta dall’esperienza dei Comuni e rilancia il modello universalistico. In numerosi tratti del Convivio e della Commedia, Dante afferma la legittimità completa del potere imperiale, voluto da Dio per gestire in modo migliore l’umanità. Alla lotta tra Impero e Papato, Dante sostituisce un’ alternanza di funzioni nel garantire la felicità terrena (compito dell’imperatore) e spirituale (dovere del Papa). Dante rifiuta inoltre lo spregiudicato uso del denaro che la nuova civiltà borghese ha portato.
Il problema principale affrontato da Dante sta nel rapporto tra filosofia divina (cioè la teologia) e la filosofia umana. Soprattutto nel Convivio, afferma l’indipendenza dei due campi, accettando l’unione tra fede e ragione: la fede nelle verità manifestate si accompagna alla fiducia nella provabilità razionale.
Il nucleo del pensiero linguistico di Dante consiste nella valorizzazione del volgare, innalzato alla dignità degli argomenti più illustri.
2

Esempio