Dal "Romanzo" alla novella di Tancredi e Ghismonda

Materie:Appunti
Categoria:Italiano
Download:4227
Data:12.06.2007
Numero di pagine:62
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
romanzo-novella-tancredi-ghismonda_1.zip (Dimensione: 60.04 Kb)
trucheck.it_dal-romanzo-alla-novella-di-tancredi-e-ghismonda.doc     223.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

FORMAZIONE DELLE LINGUE ROMANZE
“ROMANZO” → relativo alla “Romània” (l’insieme dei territori che facevano parti dell’Impero Romano).
Lingue Romanze: Italiano; Spagnolo; Provenzale; Francese; Sardo; Portoghese; Rumeno; Ladino.
LINGUA: Idioma parlato da una comunità molto estesa di individui.
DIALETTO: Idioma parlato da una comunità relativamente ristretta di individui.
SUPERSTRATO: Insieme dei TERMINI inclusi nelle lingue romanze, ma di derivazione Germanica.
Lingue LATINO
SUBSTRATO: Insieme delle PARLATE dei popoli antecedenti alla conquista Romana.
Nell’Impero Romano l’insegnamento latino era assicurato da una complessa rete di scuole pubbliche che garantivano l’uniformità della lingua.
Dopo il 476 d.C. con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente la scuola pubblica romana si dissolve e comincia a riemergere vari substrati linguistici presenti nelle varie aree dell’Impero. È proprio l’influenza esercitata dalle varie formi di substrato che modifica progressivamente il latino, sia al livello fonetico, sia dal punto di vista morfosintattico.
Oltre a ciò gli imbattuti germanici (che in realtà adottano quasi subito la lingua degli abitanti locali) sono portatori di una serie di elementi lessicali in gran parte legati ad attività militari.
Ciò accade perché nei regni Romano-Barbarici i germani erano gli unici a portare le armi. Sostanzialmente il superstrato è formato da circa 600 termini per lingua romanza.
WERRA → GUERRA
WARDON → GUARDARE (nel senso di fare le guardie)
W – GU – ON = ARE
Il sardo è considerato una lingua perché è parlato da una comunità piuttosto estesa di persone. Come tutte le lingue il sardo presenta delle varianti locali.
Un caso particolare è quello del ladino, quest’ultimo è una delle pre-lingue parlate e conosciute in Alto-Adige (Sud-Tirolo).
Il ladino si sviluppa come lingua romanza nelle comunità alpine formate da germani-romanizzati che in età romano parlavano il latino.
Quando tra il IV – V secolo si intensificano le invasioni da parte di popolazioni di origine germanica non romanizzate, le comunità germaniche alpine si rinchiudono nelle loro valli, rifiutando il contatto con i nuovi venuti, che consideravano estranei a loro modo di vivere.
Nel tempo queste comunità sviluppano una lingua romanza il ladino che parlata tutt’oggi.
CAUSE FONDAMENTALI DELLA MOLTEPLICITÀ DEI DIALETTI IN ITALIA
In Italia vi è un numero molto elevato di dialetti. La lingua italiana è considerata la più “conservativa” d’Europa: ciò significa che rispetto al Medioevo ad esempio, essa ha subito un evoluzione relativamente lenta. Naturalmente questo fenomeno ha una spiegazione: per secoli l’italiano è stato una lingua quasi esclusivamente scritta o parlata da un numero ristrettissima di persone.
Il linguista Tullio De Mauro nel libro “Storia linguistica dell’Italia Unita” spiega che da un’indagine compiuta negli anni immediatamente successivi all’unificazione della penisola 1861 risulta che in quell’epoca il 78% della popolazione italiana era analfabeta con punte del 90% nel meridione, inoltre solo il 3% era in grado di scrivere e parlare correttamente l’italiano.
In effetti una vera e propria diffusione della lingua italiana si avrà soltanto con il diffondersi della radio e della televisione (quest’ultima inizia le sue trasmissioni nel 1954). L’affermazione nell’uso parlato della lingua italiana è molto lento.
Un altro fattore di unificazione linguistica è stato nel II° dopo guerra il fenomeno dell’urbanesimo e delle migrazioni interne.
Per fare un esempio a Roma, nel II° dopo guerra, la popolazione cresce vertiginosamente (al massimo prima del 1945 essa arrivava un milione di persone) successivamente essa aumenta fino quasi a triplicarsi.
In genere l’urbanesimo si definisce come la tendenza da parte di vaste comunità di persone originariamente residenti nelle campagne a spostarsi, in tempi relativamente brevi, nelle città. Il fenomeno dell’urbanesimo provoca sempre lentamente dei mutamenti nell’uso della lingua: le specificità dialettali si attenuano e il dialetto si avvicina maggiormente alla lingua nazionale.
IL CASO DEL ROMANESCO
Il romanesco è un caso molto particolare di evoluzione del dialetto.
Il 1° documento in cui compare questo dialetto risale ad un periodo compreso tra VIII e IX secolo ed è l’iscrizione di San Clemente. Questa basilica si trova presso il Colosseo ed è strutturata su 3 livelli:
1. Il più profondo, sotterraneo è di età romana e consiste in un mitreo (santuario in cui si praticava il culto del Dio Mitra, divinità di origine persiana).
2. Un livello intermedio di età alto medievale in cui si trova l’iscrizione; la basilica fu distrutta dai Normanni nel 1084.
3. Il livello che attualmente si trova in superficie, costruito dopo il saccheggio e l’incendio Normanno.
L’iscrizione si trova nell’ambito di un affresco posto al livello intermedio. Esso narra un miracolo di cui è protagonista San Clemente.
Un pagano, persecutore del Santo da ordine ai suoi servi di catturarlo. Essi ritengono di averlo legato; tuttavia non riescono a trascinarlo. In realtà essi non stanno trascinando il Santo ma una pesante colonna perché in virtù di un miracolo essi vedono invece il corpo del Santo.
Colui che è responsabile della presente cattura si rivolge ai scusi redarguendoli energicamente.
Traite, traite, fili de le pute!
Trai, Aldertel, Trai!
Falite dereto col o palo, Carvoncelle.
Come si può notare il romanesco medievale, se esaminato dal punto di vista fonetico presenta delle caratteristiche molto vicine ai dialetti campani.
Tuttavia nel XVI secolo il romanesco comincia a subire un profondo processo di trasformazione. Quest’ultimo è provocato da un consistente incremento della popolazione residente in città.
Roma era il centro della cristianità e sede del pontefice; I Papi non erano tutti romani ma potevano provenire da diverse regioni d’Italia.
Ogni volta che veniva eletto un pontefice non romano si determinava un cospicuo spostamento di persone dall’area di provenienza a Roma.
I cardinali tra i quali veniva eletto dal Papa portavano con sé una complessa rete di relazioni personali.
Gradualmente a Roma finiscono per abitare gruppi di diversa provenienza regionale con cui la popolazione locale deve comunicare.
In genere coloro che arrivavano in città erano colti e tendevano ad usare sia il latino o l’italiano letterario. È così che il dialetto romanesco comincia ad avvicinarsi all’italiano letterario.
Attualmente il romanesco è il dialetto più vicino alla lingua italiana e ha gradualmente sostituito il fiorentino come modello di riferimento per ciò che riguarda l’innovazione linguistica.
Questo cambiamento è dovuto al fatto che il ruolo della televisione nell’unificazione linguistica della penisola è stato determinante: poiché la RAI è sempre stata a Roma è stato inevitabile che il modello linguistico finisse per diventare più il romanesco che il fiorentino.
L’EVOLUZIONE DEL ROMANESCO NELLA POESIA DI GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI
ER GGIORNO DER GIUDIZZIO
Cuattro angioloni co le tromme in bocca
Se metteranno uno pe ccantone
A ssonà: poi co ttanto de voscione
Cominceranno a ddì: “ffora a cchi tocca”
Allora vierà ssù una filastrocca
De schertri da la terra a ppecorone
Pe ripijà ffigura de perzone
Come purcini attorno de la bbiocca
E sta bbiocca sarà ddio bbenedetto
Che né farà dù parte, bbianca e nnera
Una pe annà in cantina, una sur tetto.
All’urtimo esscirà na sonajjera
D’angioli, e, ccome si ss’annassi a letto
Smorzeranno li lumi, bbona sera.
Come si può notare il linguaggio usato dal Belli mostra che il processo di smeridionalizzazione del dialetto romanesco è in questa fase molto avanzato. Si possono individuare alcune caratteristiche sistematiche del romanesco ancora oggi presenti.
1. Il raddoppiamento delle consonanti ad eccezione delle erre.
2. L’uso molto frequente dell’apocope (caduta dell’ultima sillaba), soprattutto nei verbi all’infinito.
3. L’uso frequente sia pure meno diffuso della aferesi in particolare con i pronomi dimostrativi (sta=questa).
L’uso dell’assimilazione regressiva (tromme=trombe o anna=anda); l’assimilazione da nd>nn è tipica di un antichissimo substrato, l’osco.
L>R
Schertri = Scheletri → Sincope: caduta della vocale interna della penultima sillaba in parole sdrucciole (che hanno l’accento tonico sulla terzultima sillaba);
“Carca” = Carica - si trova nel I° Canto Inferno di Dante.
N.B.
Nella lingua italiana così come nel dialetto romanesco vi sono oltre alle parole sdrucciole anche le parole piane e quelle tronche.
Le parole piane hanno l’accento tonico sulla penultima sillaba (es.: cartella, pantalone, cappello…);
Le parole tronche hanno l’accento tonico sull’ultima sillaba (es.: città, caffè, libertà…);
In italiano la maggioranza delle parole sono piane ed in genere nella metrica italiana tutti i versi a parte rari casi terminano con parole piane.
Sostanzialmente oltre alla variabilità del substrato nella molteplicità dei dialetti in Italia giocano anche altri fattori:
1. Le caratteristiche morfologiche del territorio italiano, che presenta lungo tutta la penisola una catena come quella degli Appennini che nel medioevo era un ostacolo notevole per le comunicazioni.
2. Con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente cessa la manutenzione delle strade e dei ponti. Le strade diventano impraticabili e alcuni ponti crollano rendendo difficili le comunicazioni.
3. nelle aree in cui erano state create delle opere idrauliche per le bonifiche ora si assiste a un processo di impaludamento.
Tutti questi elementi che abbiamo elencato contribuiscono all’isolamento delle comunità linguistiche che si sviluppano dei dialetti autonomi. Paradossalmente nell’alto medioevo erano più frequenti i lunghi viaggi (i più delle volte fatti per ragioni religiose come il pellegrinaggio) che gli spostamenti brevi: poteva capitare che un uomo non conoscesse assolutamente un villaggio che si trovava non più di 10 km ma avesse fatto pellegrinaggio addirittura in terra straniera e paradossale.
LETTERATURA AGIOGRAFICA (VIII-XII secolo)
Il termine agiografica riguarda la vita dei santi.
Agiografica → da Aghios (Aghios=Santo)
• Sequenza di Sant’Eulalia (IX sec.);
• Vita di Sant’Alessio (XII sec.);
Due tipologie di personaggio:
a) IL MARTIRE
b) L’ASCETA
Per MARTIRE si intende colui che sacrifica la sua vita pur di non rinunciare alla sua fede.
Per ASCETA si intende colui che rinuncia a tutti piaceri terreni e mortifica il suo corpo per avvicinarsi a Dio.
La prima fase di letteratura medievale in volgare ha un carattere sacro ed è la letteratura agiografica che si sviluppa soprattutto in Provenza e in Francia a partire dall’VIII secolo. Uno dei primi esempi è costituito dalla sequenza di Santa Eulalia.
Una sequenza è un componimento letterario formato da un numero relativamente limitato di versi; Spesso una sequenza è ciò che resta di un’opera più ampia è questo il caso della sequenza Santa Eulalia: sicuramente essa è una parte di un’opera agiografica più estesa.
La sequenza narra il martirio della Santa ma non ne chiarisce le promesse. Completamente diverso nel caso della vita di Santo Alessio che invece è un’opera completa in tutte le parti, essa narra la storia di un giovane nobile romano Alessio che la notte successiva alle nozze ha una crisi religiosa; Egli decide di abbandonare tutti i suoi beni, la famiglia e la città, e di condurre una vita di Asceta.
Perciò abbandonata del tutto la vita precedente, si trasferisce in Medio Oriente, in Siria e vi trascorre 17 anni vivendo in assoluta povertà. In seguito egli torna a Roma e si reca presso la casa del padre che però non lo riconosce e lo ospita come un mendicante in un sottoscala. Quando è sul punto di morire Alessio manda a chiamare il vescovo di Roma e quando quest’ultimo arriva egli apre la mano in cui teneva una piccola pergamena in cui aveva scritto la storia della sua vita. Il Papa la legge e lo riconosce come Santo.
La Chanson De Roland e il Ciclo Carolingio
Per Ciclo Carolingio s’intende l’insieme di tutte le opere di ispirazione cavalleresca che hanno come protagonisti personaggi riconoscibili alla Corte di Carlo Magno.
XI Secolo → manoscritto OXFORD
Scritto da TUROLDUS, monaco ANGLO-NORMANNO
- Manifestazione di un episodio avvenuto nel 778 e 779 a RONCISVALLE, nell’area dei PIRENEI, mentre l’esercito franco tornava in patria dopo una spedizione in Spagna.
Manipolazione-Fantastica Unità Storica
Esso diventa uno scontro tra Fu uno scontro tra CRISTIANI FRANCHI e CRISTIANI FRANCHI e “INFEDELI” MUSULMANI CRISTIANI BASCHI
Il testo della Chanson de Roland è contenuto integralmente nel manoscritto Oxford (i manoscritti in genere prendono il nome dalla località in cui avviene il loro ritrovamento) i manoscritti erano generalmente dei volumi in pergamena che veniva prodotta lavorando delle pelli di animale.
I manoscritti erano molto preziosi anche perché per ottenere ad esempio 20 fogli di pergamena di dimensioni medie erano necessari 8 pelli di animali poiché non facilmente si sacrificavano animali che potevano fornire alimenti preziosi, i manoscritti erano rari e spesso invece di creare nuova pergamena si utilizzavano più volte gli stessi volumi cancellando i testi precedentemente scritti. I testi dei manoscritti in gran parte venivano prodotti negli scriptoria che erano per lo più collocati nei monasteri infatti nell’alto medioevo e anche successivamente al 1000 gli unici a saper a leggere e scrivere correttamente erano i cosiddetti “chierici” cioè uomini appartenenti al clero o ad ordini monastici. L’autore della Chanson, Turoldus, era un monaco anglo-normanno; Lo si deduce da alcune caratteristiche linguistiche presenti nel testo. Molto insolito è il fatto che l’autore si firmi perché in genere non vi era l’abitudine di rendere noto l’autore di testi. Molto si è discusso nella possibilità che gli autori de la Chanson fossero molteplici; Tuttavia lo stile è decisamente unitario e omogeneo cosa che esclude la presenza di più autori. Quanto all’origine normanna di Turoldus occorre ricordare che i normanni erano presenti in Inghilterra dall’XI secolo e la Chanson è stata redatta alla fine di questo secolo. Il percorso seguito dai normanni in questa fase è molto particolare: Nel 911 un capo normanno aveva ottenuto in feudo dal Re di Francia la penisola armoricana (l’attuale Normandia). La concessione era stata fatta per evitare che i normanni imperversassero lungo la Senna e nelle zone circostanti saccheggiando e devastando. Nel 1066 un discendente di Rolf Guglielmo il conquistatore aveva invaso l’Inghilterra riportando una vittoria nella battaglia di Hastrings. I normanni che invasero l’Inghilterra parlavano il francese; Questo spiega perché la Chanson è scritta in francese antico.
Verità Storica e Manipolazione Fantastica
Nella Chanson de Roland il nucleo della narrazione è costituito dalla battaglia di Roncisvalle avvenuta nel 778 o nel 779 mentre l’esercito franco stava tornando in Patria dopo una spedizione in Spagna.
Secondo l’autore della Chanson la retroguardia franca sarebbe stata attaccata dagli “infedeli”cioè dai musulmani di Spagna.
In questa battaglia il Conte Rolando paladino dell’Imperatore Carlo Magno sarebbe morto combattendo eroicamente e suonando l’olifante soltanto verso la fine dello scontro per non mettere a repentaglio la sicurezza dell’imperatore.
La verità storica è diversa:
Carlo Magno aveva condotto l’esercito franco al di là dei Pirenei per una operazione di consolidamento dei confini della marca spagnola. In questa spedizione egli si trovava di fronte a un problema. Egli doveva attraversare un ampio territorio controllato dai Baschi perciò egli era giunto a stringere un accordo con i capi Baschi in base al quale l’esercito franco avrebbe potuto attraversare quei territori a patto che esso non saccheggiasse e devastasse le città Basche. Invece l’esercito franco saccheggiò e incendiò Saragozza. I Baschi quindi decisero di attuare una rappresaglia e attesero l’esercito franco nella gola di Roncisvalle tenendo un agguato. Essi attaccarono la retroguardia franca infliggendone notevoli perdite. Lo scontro quindi non fu tra Cristiani Franchi e Arabi Musulmani ma tra Cristiani Franchi e Cristiani Baschi. Il motivo della manipolazione è legato al particolare contesto storico-culturale in cui fu elaborata la Chanson. Infatti nel 1095 il Papa urbano II durante il Concilio di Clermont aveva indetto la Crociata; Nella primavera del 1096 vi era stata la prima “Crociata Popolare” guidata da Pietro L’Eremita e tra il 1096 e il 1099 si era svolta la prima crociata dei Baroni che si era conclusa con la presa di Gerusalemme.
In questo clima di scontro religioso un episodio tutto sommato secondario come quello di Roncisvalle assume un forte valore simbolico e viene manipolato proprio perché la Chanson doveva essere uno strumento propagandistico ed invitare coloro che l’avrebbero ascoltata a partecipare alla Crociata.
Non mancano altre imprecisioni storiche:
1. Il rapporto vassallatico che troviamo delineato nella Chanson non è quello tipico dell’età Carolingio, in cui non è la figura del vassallo ma quella del monarca ad assumere un rilievo preminente. È chiaro che se la figura centrale è quella di un vassallo ciò significa che il rapporto feudale rappresentato nella Chanson è più simile a quello esistente nell’XI secolo quando i vassalli avevano assunto una larga autonomia.
2. Carlo Magno nel 779 non era ancora imperatore e aveva circa 30 anni. Nella Chanson invece egli viene descritto come un vecchio imperatore.
La Fruizione della Chanson
La Chanson non veniva letta ma recitata nelle pubbliche piazze con accompagnamento musicale ed esse veniva memorizzata e recitata dai Giullari. Una prova che l’opera era destinata ad essere memorizzata è l’uso di alcuni espedienti tecnici come l’abitudine di ripetere all’inizio di una lassa l’ultimo verso di quella precedente. Poiché la Chanson veniva recitata pubblicamente il pubblico destinatario era molto eterogeneo: esso comprendeva sia rappresentanti della nobiltà, sia membri dei ceti mercantile, artigianale e popolare in genere.
La Chanson è scritta in lasse assonanzate. Una lassa era una strofa formata da un numero variabile di versi. L’assonanza è diversa dalla rima in quanto mentre in quest’ultima si deve avere una coincidenza precisa tra le vocali contenute nelle ultime due sillabe di versi successivi e vi deve essere un’identità dei nessi consonantici intervocalici (-are/-are \ amare/andare). Nell’assonanza le vocali contenute nelle ultime due sillabe di versi successivi sono uguali ma cambia il nesso consonantico intervocalico (-are/-ate \ amare/andate).
Il rapporto tra la Chanson e i Testi Sacri
Nella Chanson de Roland compaiono dei riferimenti molto chiari al Nuovo Testamento. I Paladini di Carlo Magno sono 12, esattamente come gli Apostoli di Cristo; Inoltre uno di loro è traditore (Gano di Maganza) esattamente come lo è Giuda nel Vangelo.
Inoltre la fede cristiana ha nella Chanson un’importanza fondamentale e diventa una motivazione molto forte nelle scelte dei personaggi. Combattere contro gli “Infedeli” per i Paladini Franchi significa non solo essere leali con il loro imperatore ma anche difendere la fede cristiana.
La Chanson e la Letteratura Agiografica
Nella Chanson Roland appare come un cavaliere-martire. Egli nella battaglia di Roncisvalle non solo sta difendendo i suoi compagni e il suo imperatore ma si sta sacrificando in nome della fede. In questo senso la figura di Roland ricalca quella del martire che sacrifica la sua vita per non negare la propria fede. Perciò esiste un punto evidente di contatto tra la Chanson e la Letteratura Agiografica.
Ciclo Classico
• È costituito da romanzi che prendono spunto da vicende e personaggi contenenti in TESTI CLASSICI e li RICONTESTUALIZZANO.
• I temi fondamentali sono l’AMORE e l’AVVENTURA (in questo senso AVVIENE UN RECUPERO dell’ORIGINARIA IMPOSTAZIONE del ROMANZO ELLENISTICO).
“ROMAN D’ENEAS” → Tema AMOROSO
“ROMAN D’ALEXANDRE” → Tema AVVENTUROSO
• Il ciclo funge da PRESUPPOSTO STRUTTURALE e TEMATICO per la successiva evoluzione della letteratura romanzesca.
Il ciclo classico si sviluppa sostanzialmente nel XII secolo: I personaggi che compaiono nei romanzi sono generalmente tratti dalla letteratura classica greca e romana; Essi però vengono ricontestualizzati (ciò significa che essi vengono inseriti in un contesto tipicamente medievale e quindi vengono trasformati di conseguenza). I temi essenziali di questi romanzi sono l’AMORE e l’AVVENTURA; In questo senso si ha un ritorno ai temi originari del romanzo ellenistico.
I due romanzi più significativi del ciclo classico sono il ROMAN D’ENEAS e il ROMAN D’ALEXANDRE.
Nel primo il protagonista è ENEA l’eroe troiano celebrato nell’Eneide di Virgilio (I° secolo a.C.). Tra il protagonista del romanzo medievale e quello del poema virgiliano vi sono però delle differenze. L’Enea Virgilio è un eroe destinato dal fato a portare il suo popolo sulle rive del Lazio e a porre le premesse per la futura potenza di Roma. Egli è sovrastato da questo compito e tutti gli altri aspetti della sua vita passano in secondo piano rispetto al compito che gli è stato affidato. Quando nel 4° libro dell’Eneide Enea s’innamora della Regina Fenicia DIDONE, egli è costretto ad abbandonarla perché il suo dovere ha una preminenza su tutto. Didone si suicida e questo episodio per Virgilio sarebbe stato all’origine dell’odio che avrebbe opposto i Romani e i Cartaginesi. Nel ROMAN D’ENEAS questo episodio diventa il nucleo narrativo del romanzo; Inoltre la figura di Enea viene elaborata come quella di un cavaliere medievale, sia nel modo di parlare sia nei comportamenti. Nel ROMAN D’ALEXANDRE il tema dell’avventura è prevalente, adesso si associa anche l’elemento magico che troverà un ampio sviluppo sia nel romanzo di TRISTANO e ISOTTA, sia nel ciclo Bretone.
“TRISTANO e ISOTTA”
• Romanzo “ARCHETIPICO” → funge da modello per i romanzi successivi;
• Fusione tra TEMA AMOROSO e TEMA AVVENTUROSO;
• Connubio tra AMORE e MORTE;
• Tema dell’AMORE ADULTERINO come unica possibilità di vivere veramente l’amore;
QUATTRO FONTI FONDAMENTALI
• Manoscritti OXFORD e BERNA (I° PARTE);
• “ROMAN DE TRISTAN” → BEROUL (normanno) (PARTE CENTRALE);
• “ROMAN DE TRISTAN” → THOMAS (anglo-normanno) (PARTE FINALE).
Il romanzo TRISTAN e ISOTTA è archetipico perché funge da punto di riferimento per i romanzi che comporranno il ciclo bretone. Essenzialmente le caratteristiche che vengono focalizzate in questo romanzo e che saranno riprese successivamente sono le seguenti:
1. Vi è una diversa contestualizzazione geografica; Infatti le vicende narrate non hanno più come teatro la Francia o la Spagna ma la Cornovaglia (un’area posta sud-occidentale della Gran Bretagna).
2. Avviene una fusione tra tema AMOROSO e tema AVVENTUROSO (che nel ciclo classico erano stati sviluppati separatamente).
3. Vi è un’esaltazione dell’Amore ADULTERINO come unica forma di sentimento autentico che può legare due amanti.
A proposito di questo particolare aspetto va sottolineato il fatto che esso ha delle radici concrete nel contesto socio-antropologico del tempo (si definisce socio-antropologico tutto ciò che ha attinenza con i comportamenti sociali). Infatti soprattutto nei ceti elevati, quelli nobiliari, il matrimonio era combinato per ragioni di carattere economico e politico. Le due famiglie si accordavano spesso fin da quando i futuri coniugi erano bambini e il matrimonio poteva essere celebrato quando gli interessati erano ancora adolescenti. Dato che le unioni non erano frutto di una scelta personale, l’unico modo per vivere il sentimento amoroso era al di fuori del matrimonio stesso. Questo spiega perché nei romanzi cortesi vi sia una frequente presenza di amori adulterini.
LA TRAMA DEL ROMANZO
È stato possibile ricostruire la trama originaria del romanzo di TRISTAN e ISOTTA utilizzando quattro fonti:
La parte iniziale è stata ricostruita sulla base di due manoscritti (Oxford e Berna) noti con il titolo di “FOLLIE TRISTAN” (= Il folle Tristano). La parte centrale contenente il famoso episodio della “Spada tra gli amanti” è stata invece tratta dal Roman De Tristan di Beroul un altare normanno la cui versione della vicenda presenta caratteristiche quali una forte accentuazione dell’elemento passionale e una elaborazione stilistica meno raffinata della versione di Thomas, di cui ci si è serviti per ricostruire la parte finale. La versione di Thomas autore anglo-normanno evidenzia una maggiore maturità stilistica e una superiore capacità di penetrazione psicologica di personaggi.
La vicenda narrata è in sintesi questa:
Tristano è un nobile cavaliere al servizio di Re Marco. A lui viene affidato il compito di andare a prendere in Irlanda la futura sposa di Re Marco, Isotta la bionda. Durante il tragitto che Tristano e Isotta compiono attraversando il canale che divide Irlanda dalla Cornovaglia, essi per errore bevono un filtro amoroso destinato al Re e alla sua sposa. I due perciò s’innamorano; Isotta sposa comunque il Re ma l’amore che la lega a Tristan è irresistibile e quindi i due fuggono insieme. Essi si rifugiano in una foresta e vengono visti da un nano che riferisce la notizia a Re Marco: A questo punto si colloca l’episodio della spada tra gli amanti. Il Re trova i due amanti addormentati, uno accanto all’altra, tra i due vi è la spada di Tristan. Egli vorrebbe ucciderli ma non riesce a farlo e così scambia la sua spada con quello di Tristano e il suo anello con quello di Isotta. Al risveglio i due amanti si rendono conto dell’accaduto e Tristano decide di rinunciare Isotta per non esporla ad una vita di disagi e di pericoli. Tristano parte per terre lontane dove compie mirabili imprese; Durante il viaggio conosce Isotta dalle bianche mani che decise di sposare. Un giorno però Tristano viene ferito gravemente ed intossicato dal veleno;
Egli invia il suo fidato amico KAERDIM a cercare l’ISOTTA LA BIONDA per due motivi:
Il 1° consiste nel suo desiderio di vedere la donna amata prima di morire; Il 2° consiste nella speranza che Isotta, che ha poteri taumaturgici (cioè potere di guarire le ferite), possa salvarlo.
L’accordo stretto con Kelvin prevedeva che se Isotta la Bionda avesse accettato di venire da Tristano, le vele delle navi che l’avrebbe condotta da lui sarebbero state bianche se invece Isotta si fosse rifiutata le vele sarebbero state nere.
Isotta la Bionda accetta di compiere il viaggio per rivedere Tristano e perciò le vele che vengono vistate sono bianche. Nel frattempo però il veleno ha reso ceco Tristano e perciò quest’ultimo deve chiedere a Isotta, dalle bianche mani, di che colore sono le vele. Quest’ultimamente riferisce al marito che le vele sono nere e allora Tristano muore. Quando Isotta sbarca e vede Tristano morto, muore a sua volta per il dolore.
N.B.
Il connubio tra amore e morte si ritrova anche in un dramma teatrale di Shakespeare di Romeo e Giuletta. I due protagonisti si amano nonostante l’opposizione delle famiglie; per uscire dal palazzo in cui il padre l’ha rinchiusa, Giuletta finge la sua morte ingerendo un filtro che le fa apparire morta. Ella stabilisce anche che un messaggero raggiunga Romeo per avvertirlo; Ma il messaggero non riesce a compiere la sua missione, così Romeo crede che Giuletta fosse veramente morta. Egli si reca nella cripta dove il corpo di Giuletta era custodito e si suicida con un pugnale. Quando Giuletta si risveglia e rivede Romeo morto, si suicida.
Come si può notare nel romanzo abbiamo alcune importanti variazioni rispetto alla letteratura precedente: Innanzitutto cambia l’ambientazione geografica. La vicenda non si colloca in Francia o in Spagna ma in Cornovaglia. L’elemento magico (il filtro) assume un’importanza determinante. Il tema dell’amore adulterino è uno dei nuclei fondamentali della narrazione. Tutti questi elementi sopra citati si ripresenteranno nel ciclo bretone.
CICLO BRETONE
Dal nome di Artù, Re leggendario, che vive nel castello di Tintagel,
circondato dai suoi Cavalieri (I Cavalieri della Tavola Rotonda).
Racconti Orali circolanti in Europa
(V. rilievo sul Portale della Cattedrale di Modena, XII sec.).
Romanzi di CHRETIEN DE TROYES (XIII – XIV sec.):
« LANCELOT »
« YVAIN »
« EREC ET ENIDE »
« CLIGES »
« PERCEVAL »
Il Ciclo Bretone si fonda sulle avventure di Re Artù e i suoi cavalieri. Una serie di racconti orali relativi a questi personaggi dovevano circolare in Europa almeno dall’XI secolo, infatti, sul portale della cattedrale di Modena, risalente proprio al XII sec. vi è un rilievo che rappresenta dei cavalieri che assaltano una fortezza. Sotto questo rilievo vi è l’iscrizione “Artus de Britania”.
STORICITÀ DELLA FIGURA DI RE ARTÙ
Alcune scoperte di carattere archeologico hanno consentito di stabilire che molto probabilmente la figura di Artù è realmente esistita, ma con caratteri e in un contesto profondamente differenti da quelli definiti nella legenda e nei romanzi. Artù infatti sarebbe stato un comandante romano che tra il IV e il V secolo d.C. avrebbe guidato la resistenza contro gli invasori sassoni.
I Celti che abitavano le isole britanniche erano culturalmente molto diversi dai Sassoni, popolazione che apparteneva al ceppo germanico, quindi i Celti erano profondamente ostili ai Sassoni e dal momento che Artù si batteva contro questi ultimi. I Celti si mostravano solidali con lui poiché egli difendeva i Celti contro i Sassoni e finì per diventare un eroe celtico e nella legenda. Egli perse i connotati del comandante romano per divenire un Re locale. Inoltre la sua vicenda viene spostata cronologicamente nell’Alto Medioevo.
I ROMANZI DI CHRETIEN DE TROYES
Tra il XIII e il XIV secolo un poeta francese che opera alla corte di Eleonora d’Aquitani e Luigi VII fissa le vicende essenziali degli eroi del ciclo di leggende arturiani in una serie di romanzi.
IL “LANCELOT”
Il romanzo ruota attorno le vicende di Lancillotto (Cavaliere di Re Artù) e Ginevra (Moglie del Re). I due personaggi s’innamorarono irresistibilmente: Abbiamo quindi ancora una volta il tema dell’amore adulterino.
Lancillotto è un personaggio tormentato che vive in un drammatico conflitto tra l’obbligo di fedeltà al suo sovrano e la passione che lo trascina verso Ginevra a cui egli non può sottrarsi. Nel romanzo è rappresentata con finezza di descrizione psicologica la passione che lega Lancillotto alla sua Regina e che lo spinge ad attraversare numerose prove per ottenerne l’amore. In questo caso abbiamo una sorta di rielaborazione della figura dell’Asceta in chiave Cortese. Come l’Asceta supera delle privazioni anche mortificanti per avvicinarsi a Dio così il cavaliere supera delle prove e si sottopone a privazioni per mostrarsi degno dell’amore della donna. Sia l’Asceta che il Cavaliere quindi compie un percorso di elevazione spirituale; l’obiettivo però è diverso: per l’Asceta è l’amore di Dio per il Cavaliere è l’amore della donna.
ERECET ENIDE
A differenza di quanto abbiamo visto nella Lancelot, in questo romanzo abbiamo l’esaltazione dell’amore coniugale. Erec è un nobile cavaliere della tavola rotonda e sposa per amore Elide. Ma dal momento che Erec deve partire insieme agli altri cavalieri per una nobile impresa, Elide che non vuole separarsi da lui decide di diventare anche lei cavaliere. Elide costituisce la prima figura di donna-cavaliere. Questa figura verrà ripresa nell’evoluzione della materia cavalleresca che si realizzerà tra il XV e XVI secolo. Infatti nel poema cavalleresco “Orlando Innamorato” di Matteo Maria Boiordo e nell’“Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto comparirà la figura di Brondimarte una donna cavaliere che sposerà Ruggero dando origine alla dinastia Estense (I signori di Ferrara). Un’altra figura di donna cavaliere comparirà nella “Gerusalemme Liberata” di Torpuato Tasso: in questo poema troviamo infatti la figura di Clorinda che per un tragico equivoco sarà uccisa dall’uomo che la ama.
CLIGES
Questo romanzo è stato definito l’antitristano. Cliges è un nobile cavaliere di cui è innamorata Fenice ma quest’ultima è stata promessa in sposa all’imperatore di Costantinopoli Alessio che era già avanti negli anni e che Fenice rifiutava di accettare come marito. Tuttavia per ragioni politiche Ello è costretto a sposarsi con Alessio; Tuttavia la giovane donna riesce a trovare un espediente per non unirsi al marito. Ogni sera Fenice, versa sul cibo che deve mangiare il marito un filtro magico, in virtù del quale Alessio crede di unirsi ogni notte alla moglie. Fenice così può intrattenersi con Cliges. In un asso di mastro famoso Fenice afferma che ella non ha voluto comportarsi come Isotta, che è stata di due uomini ma ha dato il cuore a uno solo. Per questo il romanzo è stato definito come un antitristano.
YVAIN
Andre Yvain è un nobile cavaliere della tavola rotonda che un giorno ingaggia un duello con un cavaliere nero e lo ferisce gravemente. Il cavaliere nero fugge e Yvain lo segue; I due arrivano al castello del cavaliere ferito dove quest’ultimo viene curato e accolto dalla moglie Loudine. Ma il cavaliere muore e Yvain che ha visto Loudine e se ne è innamorato usa un espediente magico (anello) per rendersi invisibile e poter stare vicino alla donna. Dopo il periodo del lutto Yvain si presenta a Loudine che con il tempo finisce per innamorarsene. I due si sposano ma un giorno Yvain è costretto a partire insieme agli altri cavalieri della tavola rotonda e promette a Loudine che sarebbe tornato entro un anno. Tuttavia egli non solo non riesce a mantenere la sua promessa ma subisce al suo ritorno il rifrinto di Loudine che nel frattempo aveva scoprito che Yvain aveva ucciso il suo primo marito. Yvain riuscirà ad ottenere il perdono di Loudine solo attraverso il superamento di una serie di prove e la realizzazione di mobili imprese. I nuclei fondamentali del romanzo sono:
1. La centralità della figura di Loudine: questo personaggio assume un ruolo dominante perché è lei a decidere se riaccogliere, rifiutare o perdonare Yvain.
2. La rielaborazione della figura dell’Asceta in chiave cortese: Yvain per essere perdonato per ricongiungersi alla sua amata deve imparare una serie prove e subire una sorta di penitenza e mortificazione.
Va in oltre notato il ruolo svolto dell’elemento magico (anello).
N.B.
È interessante notare che sia nel Lancelot sia nel Yvain le figure femminili sono dominanti, questo si spiega con alcuni aspetti dell’evoluzione della società cortese. Infatti quando i signori feudali partivano per la guerra erano le loro consorti ad occuparsi dell’amministrazione del feudo. Ovviamente questo significa che la donna assume un nuovo ruolo sociale e nei romanzi cortesi troviamo la trasposizione in chiave letteraria del suddetto fenomeno. La differenza con quanto emerge nella Chanson de Roland è evidente: in quest’ultima opera soltanto nella parte finale compare una figura femminile quella di Alda, la fidanzata di Roland, che viene convocata da Carlo Magno per ricevere l’annuncio della morte del paladino. L’imperatore le offre come sposo suo figlio, Alda rifiuta e muore per il dolore. L’offerta di Carlo Magno può urtare la sensibilità contemporanea ma rispiega chiaramente nel contesto sociale e culturale dell’epoca: la donna non godeva di autonomia poiché la tutela di un uomo era ritenuta fondamentale.
PERCEVAL
Il romanzo di Perceval è forse il più affascinante e enigmatico di Chretien de Troyes. Il protagonista Perceval è un giovane di origine nobile ma inconsapevole di essere tale e vive con la madre in mezzo a un bosco. Un giorno egli incontra un cavaliere della tavola rotonda che si è fermato per rifocillarsi. Ammaliato dall’immagine di questo cavaliere egli decide che un giorno diventerà esattamente come lui.
Quando ormai ha raggiunto la maggiore età Perceval abbandona la casa a Natale e la madre, e intraprende un lungo viaggio alla ricerca di esperienze che possano fare di lui un vero cavaliere.
Inizialmente egli giunge in un castello governato da un nobile signore che gli insegna tutto ciò che c’è da apprendere relativamente all’uso delle armi e sul codice cortese di comportamento. Quando Perceval ha imparato dal signore tutto questo, parte di nuovo e giunge in un’altra fortezza governata da una nobile fanciulla: Biancofiore. I due s’innamorano ma Perceval dopo un po’ di tempo decide di ripartire spinto dalla sua inquietudine. Un giorno durante il suo vagabondare assiste ad una processione in cui viene portato il Santo Graal (il codice dove avrebbe bevuto Cristo durante l’ultima Cena: ad esso si attribuivano il potere di risanare il corpo e quello di donare la suprema saggezza). Perceval non riconosce il Santo Graal e procede oltre, egli non troverà pace neppure nella fede religiosa egli infatti è destinato ad essere sempre tormentato dalla sua ansia di ricerca e dall’inquietudine. In realtà Perceval cerca se stesso: il suo continuo viaggiare è la metafora della ricerca che ogni uomo attua di se stesso e il fatto che il romanzo sia incompiuto non è casuale perché riflette l’impossibilità da parte dell’uomo di trovare veramente se stesso. Il Perceval è anche un romanzo delle occasioni mancate: il protagonista trova l’amore ma non sa riconoscerlo e abbandona Biancofiore; incontra il Santo Graal che potrebbe placare il suo tormento interiore, ma non lo riconosce e perde l’occasione che la sorte gli ha offerto.
Sintesi Perceval
I. Perceval vive con la madre in maniero posto nel cuore della solitaria foresta guasta. Passa il suo tempo lontano dal mondo civile, ignoro della società cavalleresca e delle sue regole, e persino del suo stesso nome. Così vuole sua madre, che lo vuole mantenere puro di cuore e preservarlo dai pericoli della cavalleria. Ma il destino ha preservato a Perceval un’altra vita cioè quella di intraprendere una missione che solo un cavaliere perfetto potrà portare a termine.
II. Una mattina di primavera Perceval esce dal maniero e prende il cavallo con i suoi 3 giavellotti e comincia a cavalcare verso gli erpicatori della madre. Entrato nella foresta, dopo poco, sente delle armature e dei cavalli avvicinarsi; sono dei cavalieri alla ricerca di altri 5 cavalieri ed altre 3 donzelle, ma impaurito Perceval si nasconde.
III. Accortosi di Perceval, il capo dei cavalieri, si avvicina presentandosi e domandandogli se avesse visto 5 cavalieri e 3 donzelle. Perceval, affascinato dalla splendente e raggiante armatura comincia a domandare delle vapi e armi possedute dal cavaliere senza neanche sentire la domanda di quest’ultimo.
IV. Esaurita la sua curiosità, Perceval, ascolta la domanda e decide di andare verso gli erpicatori, che forse avevano visto qualcosa. Arrivato a destinazione, Perceval, chiede agli erpicatori se avevano visto 5 cavalieri e 3 donzelle; gli erpicatori dicono di averli visti e indicano dove si sono diretti.
V. Alla vista di quei straordinari cavalieri, Perceval, abbandona la madre verso il suo scopo.
Sintesi Graal
Perceval ormai divenuto un celebre cavaliere, ha occasione di vedere il Sacro Vaso nel castello del Re Pescatore, il guardiano del Graal. Durante la sontuosa cena egli assiste ad uno spettacolo solenne quanto misterioso: un giovane che tiene in mano una lancia insanguinata attraversa la sala seguito da due valletti e due fanciulle, la prima delle quali tiene in mano il Santo Graal; ma seguendo la regola della riservatezza cavalleresca, si astiene dal chiedere spiegazioni rinunciando, di fatto, alla conquista della sapienza.
POESIA TROBADORICA
TROBAR< TROPARE (= usare tropi cioè figure retoriche);
Iniziatore della poesia Trobadorica
Guglielmo IX Duca D’Aquitania
3 Filoni di sviluppo:
• La poesia Realistica di ispirazione Giocosa;
• La poesia Amorosa (Sublimazione della componente erotica);
• La poesia di Ispirazione Moralistica e Religiosa.
La poesia Trobadorica si sviluppa soprattutto in Provenza (l’area meridionale della Francia) soprattutto nei secoli XII-XIII. Il fatto che il termine Trobar derivi da “Trovare” sottolinea la forte concentrazione retorica che poteva caratterizzare questo genere di poesia. La poesia Trobadorica si esprime soprattutto attraverso due maniere compositive Trobar Leu e Trobar Clus.
Il Trobar Leu indicava una maniera poetica caratterizzata da una certa linearità espressiva e priva di uno spessore retorico tale da renderla di difficile comprensione. Per Trobar Clus invece si intendeva una maniera poetica contraddistinta dall’uso frequente e insistito di figure retoriche complesse e di espedienti tecnico-stilistici che potevano rendere il testo di ardua comprensione. Il primo trovatore è Guglielmo IX Duca D’Aquitania (che comprendeva l’area sud-occidentale della Francia). Inizialmente Guglielmo IX sviluppa un filone improntato al realismo giocoso: il tema fondamentale è l’amore, ma in teso in senso molto concreto e passionale.
Nei testi di questo periodo Guglielmo IX inserisce riferimenti molto espliciti alle sue avventure amorose non risparmiando particolari decisivamente trasgressivi. In alcuni casi riferimenti riguardano addirittura le mogli dei suoi vassalli. Ovviamente Guglielmo IX si poteva permettere questo perché la posizione che occupava glielo consentiva. Tuttavia questo atteggiamento generò presto dei conflitti con i suoi vassalli. Questo fece si che egli mutasse linea poetica arrivando a sublimare, nei suoi componimenti successivi, l’elemento passionale ed erotico.
Nella prima fase della produzione poetica di Guglielmo IX prevale il realismo giocoso: l’amore viene rappresentato in tutti i suoi risvolti concretamente passionali e spesso l’autore fa dei riferimenti molto chiari a delle relazioni da lui intrecciate con la moglie dei suoi vassalli. Ovviamente Guglielmo IX poteva di una posizione di superiorità gerarchica che gli permetteva di essere così esplicito. Secondo il filologo tedesco Kohler il mutamento di orientamento poetico da parte di Guglielmo IX avviene perché il comportamento che abbiamo evidenziato prima aveva creato delle forti pensioni tra il Duca e i suoi vassalli. Perciò Guglielmo IX attua, nella seconda fase della sua evoluzione poetica una sublimazione dell’elemento erotico passionale: scompaiono tutti i riferimenti alla fisicità del rapporto amoroso. Infine l’ultima fase della produzione poetica del Duca D’Aquitania, improntata ad un evidente moralismo religioso si deve interpretare come un tentativo di riavvicinamento alla chiesa, con cui Guglielmo IX si era spesso trovato in conflitto per il suo comportamento trasgressivo.
“Per la dolcezza della nuova stagione” (pag.49 Tomo I)
Il componimento appartiene alla II° fase dell’evoluzione poetica di Guglielmo IX D’Aquitania, nella quale è avvenuto un processo di sublimazione dell’elemento erotico-passionale. Tuttavia nel testo sono presenti dei riferimenti alla fisicità dell’amore anche se non con il crudo realismo della fase precedente.
I. Il componimento si apre con un’immagine primaverile che costituisce un “Topos” tipico della poesia trobadorica. (Un Topos è un motivo o una situazione ricorrente nello viluppo della storia letteraria: ad esempio un topos è anche il connubio tra amore e morte che troviamo nel romanzo di Tristano e Isotta ma a distanza di secoli, anche nel dramma di Romeo e Giulietta).
II. Anche l’incertezza dell’amante, sospesa tra il desiderio e la paura di essere deluso, costituisce un topos letterario.
III. L’amore viene paragonato ad un elemento della natura, il ramo del biancospino che nella gelida notte sembra morire ma riprende vita alla luce del Sole. Il paragone svolto attraverso una figura retorica la similitudine.
N.B. Una similitudine si ha quando si collegano due termini attraverso la congiunzione “come” o attraverso le espressioni “simile a”, “similmente a” e altre forme in grado di stabilire un rapporto di comparazione. Nel caso in cui manchi questo tipo di espressione intermedia si ha una metafora.
Es.: - Quel dentista opera come un cane. – Quel dentista è un cane.
IV. In questa parte del componimento vi è un riferimento al lato passionale dell’amore quando il poeta si augura di poter ancora “mettere le mani sotto il mantello della donna”. In realtà questo gesto era usato anche nel rituale dell’investitura feudale e costituiva una promessa di protezione del Signore nei confronti del vassallo.
V. L’espressione può apparire oscura perché è densa di significati simbolici: quando Guglielmo IX dice che egli non bada al “latino ostile” intende dire che non si cura della morale imposta dalla chiesa. L’espressione è metaforica perché per indicare i chierici egli indica la lingua che essi usavano nella liturgia. Inoltre per indicare la donna amata il poeta usa un “Senhal” cioè un simbolo, un espressione con la quale il poeta intende nascondere la vera identità della donna. Nel testo la donna indicata con il termine buon vicino. Infine quando il poeta dice che alcuni si vantano dell’amore ma egli “ne ha il pezzo e il coltello” vuol dire che egli esercita concretamente l’amore. Nel rituale l’investitura feudale infatti al vassallo venivano dati un coltello e un pezzo di terra per indicare la concessione del beneficio in cambio del servizio militare.

DAL PERCEVAL:
“I cavalieri sono angeli”
L’episodio riportato nel brano ha un’importanza centrale nello svolgimento del romanzo: infatti il giovane Perceval incontra dei cavalieri della tavola rotonda e ha in particolare con uno di essi un dialogo decisivo. Sul piano narrativo l’incontro costituisce una funzione cardinale.
N.B.
Le Funzioni Cardinali sono quelle azioni che hanno delle conseguenze decisive sul resto delle vicende narrate nel testo.
Considerando il parlare come azione nel brano vi è una prevalenza di funzioni distribuzionali: nella parte iniziale invece quando il narratore descrive il paesaggio abbiamo chiaramente una prevalenza delle funzioni integrative. L’episodio viene collocato all’interno di un paesaggio tipicamente primaverile nel quale l’apparizione dei cavalieri nelle loro splendenti armature assume i connotati di un evento fiabesco quasi sovrannaturale. Infatti i cavalieri appaiono a Perceval come degli angeli, cioè come un’espressione purissima di luce e di bellezza. L’impressione che il giovane Perceval riceverà dall’incontro sarà talmente forte da decidere il suo futuro. Infatti egli farà di questi cavalieri il suo modello considerandoli come esempi di perfezione e di virtù. Fin dall’inizio Perceval è consapevole che per diventare cavaliere dovrà superare delle prove che gli consentono di avvicinarsi all’ideale di perfezione rappresentato dagli uomini che incontra nella selva.
“Al centro del mistero: i segreti del Graal”
Abbiamo già sottolineato che il Perceval è il romanzo delle occasioni mancate. Una di esse è rappresentata dal mancato riconoscimento del Graal da parte di Perceval. Il cavaliere ad una strana processione in cui viene portata una coppa: essa è aperta da un valletto che porta una lancia bianca sulla cui sommità vi è del sangue: il significato simbolico riguarda la doppia natura del Cristo divina e umana. La lancia bianca, luminosa richiama la spiritualità della natura divina mentre il sangue rappresenta la concretezza della natura umana. Il Graal appare come un oggetto che diffonde intorno a sé un sorprendente splendore. Tuttavia Perceval non osa infrangere la sua riservatezza e corre delle domande commettendo un grave errore.
Infatti successivamente alla corte di re Artù giungerà una donna dall’aspetto orribile che profetizzerà la rovina e la sventura del regno dal momento che Perceval non ha saputo riconoscere il Graal. Poiché quest’ultimo rappresentava la suprema saggezza avrebbe potuto impedire lo scatenarsi dei disastrosi conflitti che avrebbero portato alla morte dello stesso Re Artù.
Il romanzo di Chretien De Troyes è incompiuto ma esistono altri romanzi di autore anonimo che hanno come tema la ricerca del Santo Graal. Esistono due versioni sul seguito della vicenda: in una di esse sebbene Perceval si ponga alla ricerca del Graal, quest’ultima sarà alla fine trovato dal figlio di Lancilotto Galahad.
In un’altra versione è Perceval stesso che alla fine riesce a trovare il Graal e a salvare il regno, anche se ciò non impedirà che Artù muoia nell’ultima grande battaglia contro le forze del male (è questa la versione accettata nel film Exalibur).
“Quando vedo l’allodoletta movere” di Bernart de Ventadorn
Mentre nel componimento di Guglielmo IX che abbiamo esaminato vi è un riferimento evidente alla fisicità dell’amore, pur all’interno di un processo di sublimazione, nel testo di Bernart de Ventadorn ogni riferimento all’aspetto erotico passionale dell’amore scompare. L’immagine dell’allodola allude simbolicamente alla donna che viene percepita come distante e irraggiungibile, riproducendo il dislivello esistente all’interno della gerarchia feudale tra il Signore e il suo vassallo. La donna si trova nella posizione sociale normalmente occupata dal Signore mentre il poeta si trova nella condizione del vassallo. Questo particolare configurarsi del rapporto tra poeta e donna amata deriva dal fatto che molto spesso le donne cantate dai trovatori erano mogli dei Signori feudali quindi irraggiungibili. Perciò i trovatori potevano amare in senso puramente spirituale e sublimato dal momento che una relazione concreta era impossibile. Nel componimento emerge un conflitto tra desiderio e l’impossibilità di soddisfarlo.
“IO M’AGGIO POSTO IN CORE A DIO SERVIRE” di Jacopo Da Lentini (pag.56)
Il titolo come avviene in tutti i componimenti medioevali riproduce l’incipit del componimento stesso. Quest’ultimo è il primo verso. Il componimento in esame è un sonetto: questa forma metrica fu introdotta nella letteratura italiana da Jacopo Da Lentini. Si definisce sonetto regolare un componimento poetico formato da 14 endecasillabi disposti in 2 quartine e 2 terzine.
Molto spesso il sonetto veniva usato dai poeti 200 eschi e 300 eschi per polemizzare con altri letterati su questioni inerenti alla poesia.
N.B.
(A-A) Rima Baciata
(A-B-A-B) Rima Alternata
(A-B-B-A) Rima Incrociata o Chiusa
(A-B-C-A(B)-B(A)-C) Rima Ripetuta
(A-B-C-C(B)-B(C)-A) Rima Invertita
Definizione del sonetto in esame al livello metrico
Dal punto di vista metrico il componimento è un sonetto regolare formato da 14 endecasillabi disposti secondo lo schema che segue: ABAB-ABAB(Rima Alternata) CDC-DCD(Rima Alternata).
Parafrasi
Io mi sono posto in animo di servire Dio come se io potessi andare in Paradiso, nel luogo Santo di cui ho sentito parlare, dove vi sono divertimento, gioco e riso.
Non vi vorrei andare senza la mia donna, quella che ha i capelli biondi e la carnagione chiara perchè senza di lei non potrei essere felice, rimanendo separato dalla mia donna. Ma non lo dico per questo scopo, perchè io voglia commettere peccato con lei, ma per vedere il suo onesto atteggiamento, ed il suo bel viso e il suo morbido sguardo perchè per me sarebbe una grande consolazione vedere la mia donna stare nella gloria di Dio.
Analisi
Livello Stilistico:
Figure Retoriche;
Campi Semantici.
Un campo semantico è un’insieme di termini che appartengono alla stessa area di significato. Nel componimento vi è un “campo semantico” che ha una grande importanza e che ritroveremo anche nella letteratura successiva: quello del “Vedere”. Esso è formato dai seguenti termini: “veder al verso 11”, “sguardare al verso 12”, “veggendo al verso 14”. Questo “campo semantico” è rilevante perchè al centro della poesia siciliana e di quella successiva vi è la rappresentazione degli effetti che la visione della donna produce su chi la osserva. Infatti la donna non viene mai raffigurata in maniera dettagliata: se ne forniscono soltanto dei particolari molto convenzionali (capelli biondi, carnagione chiara) che troveremo anche nei poeti “stilnovisti”. La lingua utilizzata nel componimento non è quella originale: infatti i copisti toscani per rendere più comprensibili i componimenti della scuola siciliana ai lettori della regione (Toscana) modificarono toscanizzandola la lingua originariamente usata. Dal punto di vista tematico si rileva che l’amore per la donna non è il concepito in contrasto con quello per Dio: Infatti il poeta chiarisce che non vuole che la donna lo accompagni in paradiso perchè intendo commettere peccato con lei, ma perchè sarebbe felice vedere la sua donna nella gloria divina.
MERAVIGLIOSAMENTE
Al livello stilistico notiamo che nel componimento vi sono delle similitudini, al verso “4”, al verso “11”, al verso “25”, al verso “29”. Troviamo poi delle metafore ad esempio al verso “2”, al verso “28”, al verso “34”, al verso “55”;
N.B.
L’apostrofe è una figura retorica in cui il poeta si rivolge ad una entità inanimata o astratta come se si trattasse di una persona. Al livello metrico il componimento è una canzone prepetrarchesca formata da settenari (vv. Composti da sette sillabe). In genere la canzone è formata o da soli endecasillabi oppure da endecasillabi o settenari che si alternano. Perciò la soluzione scelta da Jacopo Da Lentini è piuttosto rara. Nella versione prepetrarchesca la canzone in ogni sua strofa (chiamata anche stanza) è formata da due parti: “la fronte e la sirma”. Ma sostanzialmente...
Definizione Metrica
Il componimento è una canzone formata da settenari disposti in sette stanze di cui l’ultima costituisce il “Congedo”. Lo schema interno di ciascuna stanza è il seguente: “ABC ABC (fronte rima ripetuta) DDC (sirma in rima baciata e l’ultimo verso in rima baciata con l’ultimo della fronte)”.
Commento Generale
Anche in questo componimento la figura donnesca è tracciata in modo vago e convenzionale (si nota che ha i capelli biondi come l’oro, vedi verso 60). L’attenzione si concentra sulla reazione che la visione della donna provoca nell’animo del poeta: questo spiega l’importanza del campo semantico del “vedere”. Come si può notare nella canzone in esame è avvenuto un processo di astrazione sentimentale” che comporta l’eliminazione di ogni riferimento all’aspetto fisico dell’amore. La donna finisce per essere, in questo contesto, una pura immagine mentale.
Scuola Siciliana 1230-1250
Con la definizione di Scuola Siciliana si fa riferimento a quel gruppo di poeti che si raccolgono intorno a Federico II di Svevia a Palermo. La differenza rispetto ai trovatori sono evidenti: mentre i trovatori in genere sono professionisti, i poeti siciliani sono funzionari regi che si dedicano alla poesia come svago. Mentre la poesia trobadorica era caratterizzata da una chiara politematicità (varietà di temi), la poesia della scuola siciliana è monotematica (tratta solo il tema amoroso). Questa ultima caratteristica è legata al diverso contesto politico in cui operavano poeti siciliani, cioè si spostarono di corte in corte e questo garantiva loro una maggiore libertà espressione. Infatti essi componevano anche canzoni di argomento politico. Invece i poeti siciliani operavano spesso una sola corte, quella di Federico II, un sovrano che non concedeva spazio all’opposizione politica. Questo spiega perché i poeti siciliani compogono la loro poesia esclusivamente intorno alla tematica amorosa.
Scuola Siculo-Toscana
Situazione socio-culturale nell’area toscana. Nel XIII secolo il territorio della toscana era diviso tra numerosi comuni, spesso in lotta tra loro per l’egemonia. I conflitti locali s’intrecciavano con delle tensioni di portata più ampia come ad esempio quelle esistenti tra Guelfi e Ghibellini. Questo contrasto si trasferiva sistematicamente all’interno dei vari comuni.
N.B.
I Ghibellini erano i fautori dell’imperatore del Sacro Romano Impero Germanico mentre i Guelfi erano i sostenitori dell’autonomia dei comuni. Dopo che a Firenze avvenne la cacciata dei Ghibellini con la battaglia di Montaperti nel 1260. la fazione guelfa si divise ulteriormente. I Guelfi Bianchi continuavano la tradizione autonomistica Guelfa mentre invece i Guelfi Neri ottennero il sostegno del papato da cui furono fortemente condizionati.
È noto il ruolo svolto dal pontefice Bonifatto VIII nel 1300 a Firenze quando i Guelfi Neri ebbero la meglio sui Guelfi Bianchi: il Papa fu uno dei più accaniti avversari di Dante che fu esiliato l’anno dopo.
La realtà toscana era quindi policentrica e fortemente caratterizzata dalle lotte politiche. Questo spiega la politemacità della poesia di autori come Guittone D’arezzo.
“Ahi lasso or è stagion de doler tanto”
La canzone ha una struttura particolare a strofe capfinidas. Si hanno delle strofe capfinidas quando l’ultima parola di una strofa compare di nuovo come prima parola della strofa successiva. La tecnica è stata elaborata dai trovatori provenzali e fa parte del trobar clus, termina con il quale si indica un modo di comporre una poesia caratterizzato da una notevole complessità tecnico-stilistica. Ai versi 25 e 28 compare una rima equivoca: in una rima equivoca compare un termine apparentemente identico in 2 versi ma usato con significati differenti. Ad esempio nella canzone al verso 25 la parola tanto e usata nell’espressione “pro tanto” che vuol dire a suo vantaggio, mentre al verso 28 la parola “tanto” è usata nel significato consueto.
Invece ai versi 40 e 44 la parola morte compare in una rima identica perché termini allo stesso significato.
IL MANIFESTO DELLO STILNOVO:
“Al cor gentil rempaira sempre amore” di Guido Guinizzelli
Nella seconda metà del XIII secolo si forma un nuovo movimento letterario che prende il nome di Stilnovo e i cui maggiori rappresentanti sono Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti e Dante Alighieri.
Il movimento stilnovistico presenta elementi di collegamento e di discontinuità rispetto alla scuola siciliana e siculo-toscana. Gli elementi che ricollegano lo stilnovo alle scuole precedenti si possono riassumere come segna:
1. La centralità della tematica amorosa;
2. La rappresentazione della fenomenologia che emerge nel mondo interiore del poeta di fronte alla visione della donna;
3. La sublimazione del sentimento amoroso;
4. L’adozione delle strutture metrico formali già utilizzate dai poeti precedenti.
Gli elementi di discontinuità sono invece le seguenti:
1. La presenza di una evidente base filosofico dottrinale nella poesia stilnovistica (elemento completamente mancante nelle scuole precedenti);
2. L’introduzione del concetto di “gentilezza” contrapposto a quello di “cortesia” di derivazione chiaramente feudale;
3. Nel caso di Dante l’attribuzione di una funzione salvifica alla figura della donna (ciò significa che l’amore per la donna viene considerato uno strumento per avvicinarsi a Dio e salvarsi spiritualmente.
Il manifesto dello stilnovo (cioè il testo che pone fondamenti essenziali della nuova scuola poetica) è la canzone dottrinale “Al cor gentil rempaira sempre amore” di Guido Guinizzelli.
La struttura metrica è la seguente:
si tratta di una canzone formata da 5 stanze di endecasillabi e settenari più una sesta stanza che funge da congedo.
La struttura interna di ciascuna strofa è la seguente:
ABAB (fronte in rima alternata), CDCEDE (sirma).
1^ STANZA
“L’amore torna sempre nel cuore gentile come l’uccello torna in mezzo al bosco. Né la natura ha creato l’amore prima del cuore gentile né ha creato il cuore gentile prima dell’amore: non appena vi fu il sole immediatamente vi fu anche la luce. Né essa è esistita prima del sole; e l’amore sceglie come sua sede la gentilezza così naturalmente come il calore la pone nella luce del sole”.
Commento:
Nella prima stanza viene stabilita una sorta di equivalenza tra amore e cuore gentile: il poeta ribadisce che non può esistere uno dei due elementi senza l’altro e che non è dotato di quel complesso di virtù che si definisce gentilezza.
Nella stanza compaiono similitudini che si riferiscono ad aspetti del mondo naturale: questa caratteristica emerge in tutto il componimento. Inoltre si delinea già quello che sarà il campo semantico fondamentale del testo in esame: quello della “Luminosità” (Esso è formata dai seguenti termini: “Sole” al verso 5, “Splendore” e “Lucente” al verso 6, di nuovo “Sole” al verso 7, “Clarità” e “Foco” al verso 10).
Va sottolineato il fatto che la presenza di questo particolare campo semantico è una delle caratteristiche pressoché costanti della poesia Guinizzelliana.
2^ STANZA
“Il fuoco nel cuore gentile si accende come la qualità preziosa in una pietra. Infatti questa qualità non scende dalla stella verso la pietra prima che il sole la renda una cosa mobile; dopo che il sole con la sua forza ha tratto fuori dalla pietra tutto ciò che è vile, la stella conferisce alla pietra stessa la sua qualità preziosa: allo stesso modo la donna come fa la stella insinua nel cuore reso gentile dalla natura il sentimento amoroso”.
Commento:
Per comprendere questa stanza bisogna far riferimento alle teorie contenute nei trattati medievali chiamati Lapidari. Questi ultimi erano trattati sulle qualità delle pietre preziose. Si credeva che le pietre divenissero preziose attraverso questo processo: il sole purificava la pietra grezza eliminandone le impurità e una stella conferiva alla pietra le sue particolari caratteristiche e il suo pregio. Questo spiega perché alle pietre preziose venissero attribuiti valori simbolici e precisi poteri. Il poeta fa questo paragone per dire che soltanto un cuore purificato da tutto ciò che è vile e che ha ricevuto in sé la gentilezza può provare il sentimento amoroso per una donna.
3^ STANZA – PARAFRASI
“Per tale ragione l’amore sta nel cuore gentile, per la stessa per cui il fuoco sta in cima alla torcia: esso splende secondo la sua natura chiaro e sottile e non potrebbe starvi in un altro modo, tanto è impetuoso. Così una natura malvagia si oppone in amore come fa l’acqua con il fuoco caldo in virtù della sua natura fredda. L’amore prende sede nel cuore gentile come luogo affine a lui, esattamente come fa un diamante nel ferro in mezzo alla miniera”.
Commento:
Il poeta continua ad elaborare similitudini che si riferiscono al mondo della natura e sottolinea che la natura malvagia non può provare amore perché è l’opposto dell’amore stesso. L’amore può insinuarsi solo nel cuore che è disposto ad accoglierlo. La similitudine al verso 30 si riferisce ad una credenza diffusa nei lapidari, si pensava infatti che dove c’era il ferro fosse facile trovare diamanti.
4° STANZA
Il sole colpisce il fango tutto il giorno ed esso rimane vile ne il sole perde calore; dice un uomo altero: “Sono gentile per stirpe ed io paragono lui al fango e al sole paragono la gentilezza; infatti non si deve credere che la gentilezza sia al di fuori dei cuori nella dignità ereditaria se non si ha un cuore fatto per la virtù così come l’acqua trattiene il raggio di luce, il cielo trattiene la luce e lo splendore stellare.
Commento:
È chiaro che la gentilezza è un complesso di virtù indipendenti dalla condizione sociale: un individuo è dotato di gentilezza come qualcosa d’innato; legato alla sua natura personale. In questo senso la gentilezza si mostra come un complesso decisamente diverso dalla cortesia: quest’ultima infatti è un’insieme di virtù che possiede solo chi appartiene alla nobiltà feudale. Nel mondo e nella cultura feudale gli individui si dividono in 2 gruppi: i “Nobili cavalieri” dotati di cortesia e per questo capaci di provare realmente l’amore, e i “Villani” e possono accoppiarsi tra loro come animali: questa concezione è ad esempio contenuta nel trattato dell’amore di Andrea Cappellano. Nel mondo comunale, sicuramente più “democratico” questa netta separazione, prevista nel suddetto trattato, non ha motivo di esistere: la società comunale è molto più complessa e articolata e prevede la presenza di una forte classe mercantile.
Per questo dal concetto di cortesia fortemente classista si passa a quello non legato all’appartenenza sociale. Guinizzelli infatti vive a Bologna, una ricca città comunale.
5° STANZA
L’intelligenze angelica splendono davanti a Dio più di quanto il sole splenda davanti ai nostri occhi: esse intendono il loro creatore che si trova nell’Empireo e facendo ruotare i cieli cominciano ad obbedirgli perciò al 1° impulso segue la realizzazione del comando divino: allo stesso modo la donna dovrebbe comunicare splendendo davanti agli occhi dell’uomo gentile dovrebbe dargli il desiderio di non venire mai meno all’obbedienza dei suoi comandi.
Commento:
Per comprendere questa stanza bisogna far riferimento alla concezione geocentrica allora diffusa: la terra veniva considerata immobile al centro dell’universo; intorno ad essa giravano 9 cieli mossi da intelligenze angeliche: al di là dei cieli c’era l’Empireo dove si trovava il creatore. Questa concezione cosmologica si ritrova nella Commedia di Dante.
CONGEDO (6° STANZA)
Donna Dio mi dirà: “Che cosa hai osato” mentre la mia anima sarà davanti a Lui: “Hai attraversato il cielo e sei venuto a me ed hai dato a un amore terreno l’apparenza divina: a me soltanto e alla vergine Maria si addicono le lodi: “a Lei il nome della quale cessa ogni inganno”. Io gli potrò dire” aveva sembianze angelica, come se fosse del tuo regno; non mi sono sbagliato se io ho riposto in lei il mio cuore”.
Commento:
A differenza di quanto avviene nel sonetto “Io m’aggio posto in core a dio servire”, qui appare una tensione tra amore sacro e amore profano: infatti Dio rimprovera il poeta per aver ad un amore terreno un sentimento e una devozione che spettano solo a lui. Il poeta si difende sostenendo che la donna amata ha le apparenze di un angelo perciò non ha commesso errori. Questo congedo dimostra una cosa importante: Guinizzelli crede che l’amore per la donna porti all’elevazione spirituale per l’uomo ma non costituisca la salvezza come invece sarà per Dante.
L’INCIPIT DEL SONETTO “Io voglio del ver la mia donna laudare” (a pag. 74).
Lo schema metrico di questo componimento è il seguente: si tratta di un sonetto regolare formato da 14 endecasillabi disposti secondo lo schema che segue ABAB-ABAB (quartine in rima alternata) CDE-CDE (terzine in rima ripetuta).
Il testo si divide sostanzialmente in 2 parti: una di carattere descrittivo (costituita dalle quartine) e una in cui predomina la rappresentazione (costituita dalle terzine).
Nelle quartine il poeta paragona la sua donna ad una serie di elementi naturali caratterizzati dalla luminosità; egli inoltre la paragona anche a degli oggetti preziosi (i gioielli). In questa fase abbiamo una descrizione cioè l’illustrazione di diversi aspetti del mondo naturale umano senza però che emerga alcun elemento dinamico.
Invece nelle terzine abbiamo una vera e propria rappresentazione di un azione e degli effetti che essa produce: la donna amata passa per via e con la sua bellezza e la sua virtù avvia l’animo di chi la guarda verso un percorso di perfezionamento morale. Nel componimento emerge un tema che ritroveremo nella “vita nova” di Dante: quello del saluto della “donna gentile” che eleva l’animo di chi la osserva.
Le analogie con il famoso sonetto dantesco “Tanto gentile e tanto onesta pare” sono evidenti: anche in quest’ultimo caso si ha la rappresentazione del passaggio della donna gentile per via e degli effetti che il suo saluto produce su chi la guarda (vedi p.133).
Dal punto di vista stilistico notiamo la presenza di una sincope al verso 8 “medesmo” (invece di medesimo); si nota inoltre la presenza di una antitesi ai versi 9 e 12 “gentile…vile”.
N.B.
L’antitesi è una figura retorica in cui vengono accostati 2 termini di significato opposto.
Infine al verso 11 si nota una apocope “fé” (invece di “fede”).
GUIDO CAVALCANTI e l’insostenibilità dell’amore
La concezione dell’amore che troviamo nella poesia di Guido Cavalcanti è profondamente diversa da quella Guinizzelliana. Infatti mentre per Guinizzelli l’amore per la donna eleva spiritualmente l’animo umano per Cavalcanti l’amore rappresenta una forza oscura e potente che non può essere compresa fino in fondo dall’intelletto dell’uomo. La forza insita nell’amore è talmente potente che può portare l’uomo a perdere le sue facoltà vitali. Infatti nei componimenti cavalcantiani troviamo 2 campi semantici fondamentali: quello della morte (o della distruzione) e quello del dolore. Inoltre nella poesia cavalcanti si ha un processo di teatralizzazione del mondo interiore del poeta: le reazioni psichiche dell’animo dell’amante vengono rappresentate come veri e propri personaggi che si muovono sulla scena. Per questo compare molto frequentemente la figura della personificazione nella quale ad un concetto astratto o ad un oggetto animato vengono attribuiti comportamenti umani.
“VOI CHE PER LI OCCHI MI PASSASTE ‘L CORE” (a pag.78)
PARAFRASI
Voi che attraverso gli occhi mi avete trapassato il cuore e avete detestato il mio spirito che dormiva guardate la mia vita angosciosa tanto che l’amore la distrugge tra i sospiri. Esso va menando fendenti di grande potenza al punto che le mie deboli facoltà vitali se ne vanno rimane soltanto la mia apparenza esteriore e poca voce che esprime dolore. Questa grande potenza che m’ha distrutto si è mossa velocemente dai vostri occhi gentili e mi ha gettato un dardo dentro il fianco talmente a segno giunse il colpo nel lato sinistro.
Commento:
Nel componimento sono presenti varie personificazioni: al verso 2, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 13, 14.
L’uso insistito della personificazione è funzionale al processo di teatralizzazione del mondo interiore del poeta: infatti le reazioni psichiche provate di fronte alla donna si materializzano in personaggi che agiscono come su una scena teatrale.
Nel sonetto emerge anche il complesso retroterra filosofico dello stilnovismo cavalcantiano: quando si parla di “spiriti” che van via si fan riferimenti alla “teoria degli spiriti e degli spiritelli” di Riccardo da San Vittore.
Secondo questa teoria ad ogni facoltà vitale di un individuo (la vista, l’udito, la parola) presiede uno spirito che la mette in azione: senza l’intervento di quest’ultimo la facoltà vitale non viene attivata per questo nel sonetto si dice che quando gli “spiriti” fuggono per la potenza dell’amore rimane, dell’uomo solo l’apparenza esterna svuotata da ogni segno di vita.
È chiaro che più si è ben lontani dalla concezione Guinizzelliana mentre per Guinizzelli la vista e l’amore per la donna producono un elevazione spirituale dell’individuo, in Cavalcanti essi producono invece la disgregazione interiore dell’amante. Rimane come tratto comune la presenza in tutte e due poeti del campo semantico del “vedere”.
La Ballata è una struttura metrica formata da endecasillabi oppure da endecasillabi e settenari disposti in una ripresa che ha un numero diversi inferiore alle altre strofe, da un numero variabile di stanze e da un congedo.
Una caratteristica della ballata sta nel fatto l’ultimo verso di ciascuna stanza è sempre in rima baciata con l’ultimo della ripresa.
La struttura interna di ciascuna stanza prevede una divisione in rima in seconda mutazione e volta. Per individuare questa struttura occorre calcolare il numero di versi che formano la ripresa. La volta (parte finale della stanza) ha lo stesso numero di versi della ripresa.
A questo punto ci si accorgerà non considerando la volta rimane un numero di pari di versi nella stanza: essi si dividono in prima e seconda mutazione.
“PERCH’IO NO SPERO DI TORNAR GIAMMAI”
Il componimento è una ballata formata da una ripresa e da 4 stanze di endecasillabi e settenari più un congedo di due versi. Lo schema interno della ripresa è il seguente: ABBA-AC (i primi 4 versi costituiscono una rima incrociato o chiusa. Lo schema interno delle stanze è il seguente: DEDE-EFFGGC (prima e seconda mutazione in rima alternata; volta con prevalenza di rime baciate) il verso finale di ogni stanza e del congedo è in rima baciata con l’ultimo della ripresa.
ANALISI STILISTICA
All’iniziazione del componimento e in varie altre parti di esso, il poeta si rivolge alla Ballata come se si trattasse di un interlocutore (quindi di una persona): questa figura retorica si chiama Apostrofe.
N.B.
L’apostrofe non va confusa con la personificazione: nella personificazione un oggetto inanimato o un’entità astratta si comportano come persone; nell’apostrofe invece il poeta si rivolge a un’entità astratta come se fosse una persona.
L’apostrofe nel componimento ricompare al verso 17, 27, 31, 37. Anche in questo caso troviamo i campi semantici del “dolore” e della “morte”.
Il campo semantico del dolore è costituito dai seguenti termini: “sospiri” verso 7, “dogli e paura” verso 8, “pianto e dolore”verso 16, “soffrire” verso 21-22, “sbigottita” verso 37, “piangendo e dolente” verso 38.
Il campo semantico della morte è costituito dai seguenti termini: “morte” verso 15 e 17, “distrutta” verso 21, “strutta” verso 40.
Emerge perciò la concezione tragica dell’amore che caratterizza la poesia cavalcantiana: la visione della donna ha effetti distruttivi sul mondo interiore del poeta. In realtà il componimento si fonda su una serie di artifici letterari, non è l’espressione diretta del sentimento di chi scrive. Intanto il tema essenziale è quello della lontananza della donna amata, ma esso costituisce un topos letterario, un motivo ricorrente a partire dalla letteratura provenzale. Un altro topos letterario può esser individuato nel tema dell’angoscia amorosa che sembra indurre nel poeta un presentimento di morte. Va sottolineato il fatto che la poesia stilnovistica in tutte le sue forme non è mai espressione diretta del sentimento individuale ma manifestazione di una concezione filosofica che ha delle precise basi culturali. Solo con Petrarca si potrà cominciare a parlare di poesia lirica, cioè di una poesia che esprime il reale sentire del poeta.
STILNOVISMO DANTESCO
LA VITA NOVA
La figura di Dante è in realtà molto più complessa di quanto faccia pensare la fase dello sviluppo della sua poetica che si definisce stilnovista. Essa costituisce una esperienza che viene successivamente superata da Dante; ad ogni modo il poeta fiorentino conferisce al suo stilnovismo dei caratteri del tutto particolari. L’amore per la donna assume per Dante un valore salvifico: esso diventa uno strumento attraverso il quale l’anima del poeta si eleva fino a raggiungere Dio.
In questo senso Dante si distingue da Guinizzelli che pur ammettendo la funzione di elevazione morale commessa all’amore non attribuiva quest’ultimo il potere di salvare l’individuo. Non è casuale il fatto che la vita nova (l’opera in cui appare, in tutta la sua evidenza, il carattere particolare dello stilnovismo dantesco), si chiuda con una “mirabile visione” in cui Beatrice appare nella gloria divina di una dimensione paradisiaca. I questo senso si può parlare di una prefigurazione della commedia: sarà Beatrice infatti a guidare Dante nel suo viaggio attraverso il paradiso.
EPISODIO DEL 1° INCONTRO CON BEATRICE
La Vita Nova è formata da un’alternanza tra parti in prosa e testi poetici. Questo schema è derivato dalle RAZOS delle raccolte dei “trovatori” provenzali: esse sono dei commenti in cui vengono introdotti testi poetici e si forniscono delle spiegazioni su alcuni punti particolari dei componimenti. Nella Vita Nova ritroviamo lo stesso modo di procedere. Nel 1° incontro con Beatrice notiamo subito che nel testo vi è un uso simbolico dei numeri (lo stesso avverrà nella “Commedia”). Infatti Dante afferma di aver conosciuto Beatrice quando ella aveva 9 anni. Dopo altri 9 anni vi sarebbe stato il 2° incontro. Il numero 9 è multiplo di 3, che rappresenta la trinità e ha quindi un valore sacrale. Nella Commedia ricompare lo stesso uso simbolico dei numeri ed in particolare del numero 3 e dei suoi multipli: la Commedia è formata da 3 cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso).
Ciascuna costituita da 33 canti, più un canto introduttivo. L’opera è scritta in terzine. L’inferno è formato da 9 cerchi e il paradiso da 9 cieli. Invece il purgatorio è costituito da 7 cornici: il 7 rappresenta la completezza, la perfezione (infatti i sacramenti sono 7, i peccati capitali sono 7). La settimana deriva da un particolare contenuto nella Genesi: Dio creò un mondo in 6 giorni e il 7° si riposò. Da qui si scaturisce l’idea di completezza.
TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE
ANALISI
Questo sonetto è forse il più famoso della Vita Nova e si focalizza su due temi fondamentali: quello della lode e quello del saluto. La poetica della lode ha un valore fondamentale nella Vita Nova. Infatti nelle parti in prosa si racconta che Dante per non far trasparire il sentimento che prova per Beatrice, fa credere agli altri di essere interessato ad un’altra donna (la cosiddetta donna dello schermo). Beatrice allora toglie il saluto a Dante che entra nella profonda crisi durante la quale elabora per l’appunto la “poetica della lode”. Dante infatti trova a pagamento nella sola lode della donna amata senza pretendere di essere contraccambiato. Si tratta di un ulteriore passo sulla via della completa astrazione e sublimazione del sentimento amoroso. Beatrice diventa sempre di più un mezzo attraverso il quale l’anima del poeta si purifica e si avvicina a Dio. È in questo contesto che va inserito il sonetto in esame. Come abbiamo già sottolineato esso presenta diversi punti di contatto con un componimento di Guinizzelli, “Io voglio del ver la mia donna laudare”. Però nel sonetto dantesco manca completamente la parte descrittiva che è presente nelle quartine del sonetto Guinizzelliano. Inoltre in Dante la figura della donna amata assume chiaramente una valenza salvifica e viene rappresentata come un apparizione divina. Non a caso la parola-chiave del sonetto è Pare, che compare per ben 3 volte, verso 1, 7, 12.
N.B.
Una parola-chiave è un termine che racchiude in sé il nucleo tematico fondamentale di un componimento poetico.
Dante insiste sull’effetto salvifico prodotto dalla visione e dal saluto di Beatrice.
La struttura retorica del sonetto è semplice: si nota una personificazione negli ultimi 3 versi; inoltre il campo semantico del vedere assume un rilievo particolare: abbiamo occhi e guardare al verso 4, mostrare al verso 8, mostrasi e mira al verso 9, occhi al verso 10.
La particolare rilevanza di questo campo semantico sottolinea il valore della visione della donna, capace di trasformare profondamente lo spirito di chi la osserva.
LA MORTE DI BEATRICE E LA CONCLUSIONE DELL’OPERA
Beatrice Muore e Dante entra in una profonda crisi. Passando per un luogo che egli la ricorda, Dante prova un vivo turbamento; una donna si accorge per la sua sofferenza e lo guarda in maniera compassionevole. Alla donna gentile che prova pietà per il poeta sono stati attribuiti nel tempo diversi significati simbolici: quello più comunemente accettato vede nella figura della donna pietosa l’allegoria della filosofia, che nei momenti difficili consola l’uomo consentendogli di affrontare con coraggio le sofferenza. La filosofia rappresenta quindi un conforto e un rifugio. Nell’ultima parte della Vita Nova compaiono diversi elementi che prefigurano la composizione della Commedia. Dante infatti informa il lettore di una apparizione della donna amata (mirabile “visione”) in cui egli vede Beatrice nella gloria del paradiso. A questo tema è dedicato il sonetto “Oltre la spera che più larga gira” a pag. 136-137.
OLTRE LA SPERA CHE PIÙ LARGA GIRA
ANALISI
- PARAFRASI
Oltre la sfera celeste che gira più esternamente passa il sospiro che esce dal mio cuore: un nuovo desiderio di conoscere che l’amore insinua in lui lo attira verso l’alto. Quando egli è giunto là dove desidera vede una donna (Beatrice) che riceve onori ed è immersa in una luce tale che per il suo splendore lo spirito viaggiatore la guarda ammirato.
La vede in una forma tale che quando me lo riferisce io non sono capace di comprenderlo, tanto è complesso il linguaggio con cui esso parla al cuore dolente. Quello che io capisco è che parla di Beatrice perché spesso lo nomina, e ciò lo comprendo bene donne mie care.
Nel testo sono presenti delle personificazioni: ai versi 3 e 4, al verso 5, al verso 8 e nei versi 9 a 11. Infine un’altra personificazione è ai versi 12 e 13.
Ad essere personificato è il sospiro citato al verso 2: esso rappresenta un’essenza spirituale che sale attraverso il cielo fino all’Empireo, dove si trova Dio. L’Empireo infatti si trova oltre il 9° cielo (la spera che più larga gira). È chiaro che al centro del componimento vi è la concezione tolemaica dell’universo: la terra è al centro e intorno ad essa ruotano dei cieli contenenti pianeti e stelle. Essi sono mossi per intelligenze angeliche.
Il nucleo tematico del componimento però è rappresentato dall’ineffabilità della VISIONE CELESTE: ciò che lo spirito viaggiatore vede nell’Empireo supera la capacità di comprensione dell’intelletto umano.
Per questo Dante afferma che non riesce a comprendere gran parte di ciò che gli riferisce lo spirito viaggiatore.
L’opera si conclude con un’affermazione molto significativa del poeta, che comunica al lettore che egli non parlerà più di Beatrice fino a quando egli non sarà in grado di dedicarle un’opera più degna.
“Guido i vorrei che tu e Lapo e io” (Dante)
Questo componimento dantesco fa parte delle “RIME”, una raccolta di componimenti del poeta fiorentino che ha una struttura molto diversa rispetto alla “Vita Nova”. Le differenze essenziali si riassumono nei seguenti punti:
1. Non vi è l’alternanza tra prosa e versi;
2. I componimenti non sono inseriti in una struttura organica;
3. C’è una grande varietà di toni, linguaggi e temi.
Il componimento in esame rientra nella fase “stilnovistica” dell’evoluzione della poetica dantesca. Il tema fondamentale del testo è l’amicizia che tra coloro che compongono le cerchia stilnovistica ha un’importanza particolare.
Infatti l’amicizia riesce almeno in parte dalla condivisione delle stesse aspirazioni poetiche; allo stesso tempo essa crea un senso di solidarietà rafforzato dalla convinzione di costruire un gruppo di “eletti” cioè di individui dotati di una dimensione intellettuale e spirituale superiore agli altri. Sicuramente il testo è stato scritto prima della stesura della “Vita Nova” infatti la figura di Beatrice è assente e le figure femminili che vi compaiono hanno sostanzialmente l’aspetto di elementi “decorativi” (non a caso l’aspetto che si esalta di più è la bellezza).
PETRARCA
Francesco Petrarca e l’autunno del Medioevo
La produzione letteraria di Francesco Petrarca è ricca di risvolti complessi e anche di apparenti contraddizioni: egli infatti racchiude in sé tutti i segni di un’epoca contrassegnata da una evidente compresenza tra eredità medievale e concezione moderna dell’uomo e del suo ruolo nel mondo.
Petrarca passa la sua adolescenza e prima giovinezza ad Avignone in Francia perché il Padre era al servizio della corte pontificia: infatti la sede del papato nei primi anni del 300 era stata trasferita nella città francese.
Essa vi sarebbe rimasta fino al 377 quando la sede fu di nuovo portata a Roma. Petrarca può essere considerato un protoumanista (uno dei primi umanisti) soprattutto per quel che riguarda due aspetti fondamentali:
1. Il nuovo atteggiamento nei confronti dei modelli antichi;
“Per tutto il Medioevo i modelli antichi erano stati dei punti di riferimento per quanto riguardava lo stile, l’aspetto formale; i contenuti invece erano ritenuti lontani dalla morale cristiana: i valori e il modo di vivere dei pagani non potevano essere dei modelli per i cristiani. Con Petrarca questo atteggiamento muta perché egli comincia a considerare il mondo degli antichi come fonte di ispirazione anche a livello esistenziale e morali. Quindi i valori del mondo antico vengono riacquisiti e fatti propri da Petrarca”.
2. La rivalutazione della realtà terrena che assume un valore in se, indipendentemente da una prospettiva provvidenzialistica.
“Ciò però significava vedere il mondo terreno in una prospettiva completamente diversa da quella cristiana medievale: mentre per l’uomo medievale la vita terrena è soltanto una fase di preparazione in funzione del mondo ultraterreno, per Petrarca e per gli umanisti essa ha un valore in sé e degna di essere vissuta in quanto tale.”
I Petrarca tuttavia la cultura medievale cristiana e l’apertura verso la modernità coesistono e questo dà luogo a un conflitto interiore che si esplica in varie formi.
Ascesa al monte ventoso - la parte dell’Epìstulae ad Familiares (Lettere Familiari)
Il testo narra l’ascesa al monte ventoso (esiste in Francia) effettuata da Francesco Petrarca e suo fratello Gherardo che è un religioso.
Quest’ultimo sceglie la via più ardua e più diretta per arrivare alla cima mentre Francesco sceglie la via più lunga e agevole e indugia frequentemente, attratto dalla bellezza del paesaggio. Questi due modi per affrontare l’ascesa del monte rappresentato due modi diversi di concepire il rapporto con la salvezza. Gherardo è l’erede del cristianesimo medioevale per cui la vita terrena non è altro che una fase di passaggio in vista del mondo ultraterreno.
Francesco rappresenta una nuova sensibilità e una concezione più moderna del rapporto dell’uomo con il mondo terreno.
In realtà queste due figure sono la proiezione del conflitto interiore in cui si trova il poeta, scisso tra eredità medioevale e apertura verso la modernità.
IL SECRETUM
Un’altra opera in cui emerge il dualismo tipico della poetica petrarchesca è il Secretum. Questo dialogo, scritto in latino, vede come protagonisti Sant’Agostino e il poeta stesso. I due in realtà esprimono la scissione interna alla coscienza del poeta. Sant’Agostino afferma la validità della visione cristiana e medievale del mondo in cui l’esistenza terrena non è altro che un passaggio una fase di transizione verso la vita eterna.
Per Sant’Agostino tutto ciò che è legato alla realtà mondane è illusorio. Francesco invece esprime le contraddizioni tipiche dell’uomo del suo tempo che da una parte riconosce le radici cristiane della cultura in cui vive, dall’altra invece rivaluta i valori di una esistenza chiaramente terrena aprendosi alla modernità. Sant’Agostino muove essenzialmente due rimproveri a Francesco:
quello di amare Laura e quello di mirare troppo alla gloria poetica. Tutte e due le cose infatti nella visione di Sant’Agostino, sono effimere e illusorie: l’unica realtà per cui l’uomo deve impegnare le sue energie è il raggiungimento della salvezza.
Francesco cerca di difendersi e afferma che l’amore per Laura si giustificherà con il valore e la levatura spirituale della donna. Laura appare come un essere angelico ma questo per Sant’Agostino non è un motivo sufficiente per assorbere il poeta.
La conclusione dell’opera è emblematica: Francesco non mostra un reale segno di pentimento e non è in grado di promettere a Sant’Agostino che rinuncerà per l’amore della donna e per la gloria.
Il conflitto quindi rimane irrisolto.
RERUM VULGARIUM FRAGMENTA (Frammenti di versi volgare)
SONETTO PROEMIALE (D’APERTURA)
“ERANO I CAPEI D’ORO A L’AURA SPARSI” PAG.84
PARAFRASI
Erano i capelli d’oro sparsi al vento che gli avvolgeva in mille dolci nodi e la bella luce di quei begli occhi che ore sono così privi, ardeva oltremisura, e il viso assumeva un’espressione compassionevole e non so se mi appariva vero o falso: io che portavo nel cuore l’esca amorosa, quale meraviglia se immediatamente arsi d’amore? Il suo incedere non era cosa mortale ma degno di un angelo e le parole suonavano diversamente dalla voce umana, quello che io vidi fu una spirito celeste, un sole ardente e anche se ora non fosse più così, il fatto che l’arco sia stato allentato non risana la piaga d’amore.
IMMAGINI DI LAURA NEL SONETTO
Nella “Vita Nova” di Dante, Beatrice non viene rappresentata nella sua dimensione fisica, ella appare come immagine luminosa e astratta che assume un valore soprattutto simbolico. Beatrice è un mezzo attraverso il quale Dante si avvia alla salvezza. Nel sonetto petrarchesco Laura viene rappresentata nella sua fisicità e viene anche sottolineata Nazione che il tempo esercita sulla bellezza di Laura stessa. Questo elemento è una novità rispetto alle immagini codificate dalla tradizione letteraria.
Va evidenziato il fatto che tra le due figure di donna esiste un’altra differenza: mentre per Dante, Beatrice è un veicolo verso la salvezza, per Petrarca essa è un elemento di distrazione e di allontanamento dal cammino che porta verso Dio. Si pensi a questo proposito ai rimproveri di Sant’Agostino a Francesco nel “Secretum”.
Da quanto abbiamo detto si deduce che Petrarca si allontana decisamente dalla via intrapresa da Dante.
Infine si può evidenziare il fatto che la poesia petrarchesca è molto più legata all’espressione dei sentimenti personali rispetto a quella dantesca in cui prevale l’elemento dottrinale e filosofico.
ANALISI STILISTICA
Per quanto riguarda l’aspetto metrico il componimento è un sonetto regolare formato da 14 endecasillabi disposti secondo lo schema che segue: ABBA-ABBA (quartine in rima incrociata o chiusa) CDE-CDE (terzine in rima ripetuta).
Dal punto di vista retorico sono presenti diverse figure: al verso 2 vi è una sineddoche (“mille dolci nodi” mille è un numero determinato per una quantità indeterminata); al verso 6 vi è una antitesi (“vero o falso”), mentre ai versi 7 e 8 vi sono 2 metafore. Al verso 12 vi è una ipérbole (questa figura consiste nel paragonare una determinata cosa a un’immagine che può apparire eccessiva, esagerata: in questo caso Laura viene paragonata a “uno spirto celeste, un vivo sole). Infine all’ultimo verso troviamo un’evidente metafora. Da notare un’altra antitesi che si costituisce tra la parola finale del verso 9 mortale e la parola angelica al verso 10.
Infine al verso 12 abbiamo una sincope (spirto=spirito).
In questo sonetto troviamo una caratteristica abbastanza frequente nella poesia petrarchesca l’alternanza dei piani temporali.
Infatti i verbi sono coniugati nei tempi storici (relativi alla dimensione temporale al passato) e nel tempo presente.
Relativamente alla dimensione temporale del passato troviamo i seguenti verbi: “avolgea” v.2, “ardea” v.3, “parea” v.6, “avea” v.7, “arsi” v.8, “era” v.9, “sonavan” v.11, “vivi” v.13.
Alla dimensione temporale del presente appartengono i seguenti termini: “son” v.4, “se non fosse or” v.13, “sana” v.14.
La presenza di questa alternanza fa si che il tema della memoria assume un ruolo fondamentale nella poesia tetrarchesca.
RERUM VULGARIUM FRAGMENTA (Frammenti di versi in volgare)
Nel titolo scelto da Petrarca è la parola fragmenta ad assumere un’importanza fondamentale: infatti il canzoniere non si presenta affatto come una raccolta organicamente strutturata. Essa è ben lontana dalla “architettura” di opere come la Commedia di Dante o il Decameron di Boccaccio.
In realtà i componimenti che fanno parte del canzoniere sono vari dal punto di vista tematico anche se la netta maggioranza di essi si focalizza sul tema dell’amore del poeta per Laura. L’unica vera divisione è possibile operare all’interno della raccolta è tra i componimenti “in vita e di Laura” e i componimenti “in morte di Laura”.
Ma la struttura frammentaria del canzoniere è importante anche perché rinvia ad una concezione della realtà in cui le tradizionali certezze, legate all’interpretazione religiosa del mondo, si vanno sfaldando e non costituiscono più un punto di riferimento sicuro.
Il fatto che manchi una struttura razionale e organizzata significa che la realtà appare in tutta la sua varietà ma anche nella sua incertezza.
SONETTO PROEMIALE
Non a caso anche nel sonetto proemiale, esattamente nell’incipit compare la definizione rime sparse per sottolineare la natura frammentaria della raccolta.
INQUADRAMENTO INTRODUTTIVO
Il poeta si rivolge ai suoi lettori affermando che spera di trovare comprensione in tutti coloro, che per averlo trovato, sanno cosa significa l’amore. Il poeta sembra stabilire una netta cesura tra ciò che era in passato quando era preda di illusioni e ciò che è adesso, quando ha assunto una chiara consapevolezza della vanità della sua vita precedente.
Non a caso il campo semantico fondamentale è quello dell’illusione formato dai seguenti termini: “errore” v.3, “vane e van” v.6, “favola” v.10, “vaneggiar” v.12, “sogno” v.14;
Il sonetto proemiale è stato sicuramente composto tra le ultime liriche del canzoniere: lo dimostra il fatto che esprime una posizione di consapevolezza e di pentimento rispetto alle scelte operate nel passato.
ANALISI STILISTICA
Il componimento è un sonetto regolare formato da 14 endecasillabi disposti come segue: ABBA-ABBA (quartine in rima incrociata o chiusa) CDE-CDE (terzine in rima ripetuta).
Nel sonetto vi sono delle antitesi: “piango e ragiono” v.5, “speranze e dolore” v.6, “vaneggiar e conoscer chiaramente” v.12-13, al verso 4 vi è una metafora; un’altra metafora vi è al verso 2.
La presenza insistita dell’antitesi nella poesia petrarchesca è funzionale all’espressione a conflitto interiore che attraversa l’animo del poeta e che si articola nella continua tensione tra desiderio di salvezza e attrazione per il mondo terreno.
La struttura antitetica del sonetto si manifesta anche in una disposizione particolare dei termini relativi all’illusione e di quelli relativi alla consapevolezza e al pentimento (“mi vergogno” v.11, “vergogna” v.12, “pentersi e conoscer chiaramente” v.13).
Le si fa attenzione, i termini legati all’illusione sono tutti collegati alla dimensione temporale al passato mentre quelli legati alla consapevolezza alla dimensione temporale al presente.
Infine nel componimento è presente una forte musicalità sottolineata da alcune allitterazioni (successioni di suoni simili in parole contigue): “di me medesimo meco” v.11, “vaneggiar vergogna” v.12.
“SE LAMENTAR AUGELLI, O VERDI FRONDE” PAG. 98-99
INCIPIT
Questo sonetto è stato scritto in morte di Laura; infatti nel testo sono presenti vari riferimenti al fatto che la donna amata del poeta vive ormai in una dimensione ultraterrena. Il poeta racconta di essere immerso in un paesaggio parzialmente idealizzato: in mezzo al verde al vento estivo il poeta sente il mormorare delle onde di un ruscello dalle rive fiorite e mentre egli riflette e scrive d’amore gli sembra di vedere e udire la donna amata come se fosse ancora viva. Il poeta immagina che la donna gli ponga delle domande e gli chiede perché si addolori tanto per la sua morte. Laura lo invita a non piangere perché ella morendo è entrato nell’eternità e quando ha chiuso gli occhi nel mondo terreno li ha aperti al mondo ultraterreno.
ANALISI
Dal punto di vista metrico il componimento è un sonetto regolare formato da 14 endecasillabi disposti come segue : ABAB – BABA (quartine in rima alternata) CDC – DCD (terzine in rima alternata).
Nel componimento prevalgono due tipi di percezione sensoriale: quella visiva e quella uditiva. Nella prima quartina le due percezioni sono presenti entrambe con un’evidenza maggiore della seconda (“sode” al verso 4). Nella seconda quartina le due percezioni sensoriali sono presenti tutte e due in maniera molto chiara (“veggio et odo” al verso 7).
Nelle terzine gli elementi descrittivi si dissolvano e la sostanza del componimento è più concettuale. Il testo presenta diverse antitesi ad esempio “mostrò” “n’asconde” v.6, “ciel” “terra” v.6, “chiuder” “apersi” v.14, “morendo eterni” v.13 è un ossimoro.
N.B.
Come avviene per l’antitesi, nell’ossimoro sono presenti due concetti opposti; ma mentre nell’antitesi i termini sono separati da uno o più elementi morfologici; nell’ossimoro i termini sono posti in successione e sono associati tra di loro e i significati sono associati tra loro.
Per quanto riguarda i campi semantici si nota una prevalenza del campo semantico del vedere. Sono presenti anche 2 metafore ai versi 9 e 11.
La parola eterni al v.13 può essere ritenuta parola chiave perché indica la prospettiva ultraterrena in cui Laura è ormai collocata. Infine nel componimento al v.3 è presente una onomatopea è “mormorar”.
N.B.
Una onomatopea è una figura retorica in cui il suono di una parola riproduce ciò che dalla parola è indicato. Si tratta ovviamente di una percezione uditiva.
Nel componimento compare la caratteristica alternanza dei piani temporali che in questo contesto è particolarmente significativa perché connessa al tema della memoria nei componimenti in morte di Laura si assiste ad una trasfigurazione dell’immagine della donna amata del poeta.
Laura perde ogni connotazione legata alla fisicità: è impossibile per il lettore ricostruire la figura della protagonista del sonetto, che finisce per assumere il valore di un puro simbolo.
Con la morte di Laura la tematica amorosa si associa nella poesia petrarchesca a motivi di carattere religioso: Laura non è più tentazione che di storie dalla via dalla salvezza ma un’immagine spirituale che invita il poeta a riflettere sulla precarietà della vita e sul valore della fede.
Quindi si assiste ad una evoluzione dell’immagine e del ruolo della donna amata: se prima Laura veniva raffigurata come qualcosa che teneva il poeta ha vinto al mondo terreno. Dopo la morte della donna l’amore per lei è in sentimento che eleva Petrarca al di sopra della limitatezza di tutto ciò che è umano.
IL PAESAGGIO COME PROIEZIONE INTERIORE DEL POETA
Nei poeti stilnovisti la natura viene rappresentata come elemento di paragone rispetto alla bellezza (esteriore ed interiore) della donna amata (come avviene nel sonetto “Io voglio del ver la mia donna laudari” di G. Guinizzelli). In Petrarca invece il paesaggio diviene una proiezione del mondo interiore del poeta: esso non è rappresentato oggettivamente ma viene filtrato attraverso la memoria e quindi diviene “paesaggio interiore”. Inoltre esso assume anche la funzione di un contesto idealizzato in cui risalta la luminosa immagine di Laura (come avviene nella canzone “chiare, fresche e dolci acque”).
PIANI TEMPORALI E TEMATICHE PREVALENTI
Come abbiamo sottolineato nel componimento vi sono 3 dimensioni temporali:
• quella del passato è legata al ricordo felice dell’incontro tra la donna e il poeta in un paesaggio primaverile;
• quella del presente è legata ad un sentimento di malinconica nostalgia (vedi stanza n.2) accompagnata dall’invocazione della morte come liberazione dal travaglio esistenziale;
• Infine la dimensione temporale del futuro si sviluppa nel topos letterario della donna piangente sul sepolcro del poeta: un gesto che tradisce la consapevolezza tardiva del valore dell’amore trovato dal poeta.
Anche in questo caso il paesaggio è la proiezione dell’Io del poeta: quest’ultimo si inoltra in una natura aspra e selvaggia perché sta cercando la solitudine e vuole sfuggire agli sguardi degli altri.
Infatti non desidera che la gente si accorga dei suoi sentimenti. Ma ciò non può evitare che l’amore lo insegna: attraverso una personificazione l’amore viene rappresentato come un interlocutore con cui il poeta ragiona dei suoi sentimenti.
Nel testo sono presenti varie dittologie: al v.2 “tardi et lenti” (dittologia sinonimica), al v.1 “Solo et pensoso”, al v.9 “monti et piagge”, al v.10 “fiumi et selve”;
Nel componimento vi sono anche un ossimoro al v.7 e un antitesi al v.8. Nello stesso verso vi è anche una metafora “avampi”.
P. 112
Già dall’inizio del componimento si notano evidenti analogie con altri testi come “Solo e pensoso i più deserti campi” e “Se lamentar d’augelli e verdi fronde”.
Il paesaggio infatti appare come una proiezione del mondo interiore del poeta. Inoltre la ricerca della solitudine coincide con un serrato dialogo tra Petrarca e l’amore che viene ancora una volta personificato. È esattamente la parte finale del sonetto “Solo e pensoso i più deserti campi”.
Un altro tema evidente è quello della memoria: attraversando un paesaggio aspro e desolato, il poeta riflette su se stesso e sul suo tormento amoroso; l’immagine della donna lo accompagna continuamente anche nella lontananza e nella separazione. Nel componimento viene rappresentata in maniera incisiva la scissione incisiva che attraversa l’Io del poeta: egli è conscio della sua sofferenza e dell’impossibilità di trovare serenità e a pagamento nell’amore per Laura; Tuttavia egli non sa liberarsi dal ricordo della donna né riesce a fare a meno del sentimento che pure lo tormenta.
Questa conflittualità interiore si esprime attraverso una serie di antitesi (versi 8, 24, 51, 52, 61).
La parola chiave del componimento può essere considerata il termine “Errore”, che costituisce comunque anche un campo semantico significativo.
I 3 temi fondamentali del componimento infatti sono la natura come proiezione del mondo interiore del poeta, il ricordo della donna amata che non abbandona mai Petrarca, il tema dell’amore come tormento e illusione.
Ricordiamo che il tema dell’amore come illusione compare già dal sonetto proemiale (e non è un caso che anche in quel testo il campo semantico dell’illusione sia presente).
GIOVANNI BOCCACCIO
- Il “Decameron” e “L’autunno del Medioevo”;
- Struttura “ascendente”, simile alla “Commedia” dantesca (Vittorio Branca);
- Presenza di una cornice (Sulla quale operano i Novellatori) e di un insieme di Novelle (Sulle quali viene rappresentata l’INESAURIBILE VARIETÀ DEL REALE);
- Concezione dell’amore nettamente diversa da quella → espressa dagli Stilnovisti, da Dante e da Petrarca → L’amore è espressione di una forza potente che coinvolge integralmente l’uomo;
- Tre forze animano il Mondo:
1. Fortuna;
2. Amore;
3. Ingegno.
Introduzione alla I° Giornata e l’introduzione della peste a Firenze
Il Decameron è una raccolta di novelle narrate in 10 giornate da 10 novellatori, 7 fanciulle e 3 giovani uomini. Questi ultimi si incontrano nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze. Durante la peste e che decidono di recarsi in una villa fuori città trascorrendo il tempo in narrazioni di novelle.
LA NOVELLA DI SER CIAPPELLETTO (TOMO III P.48)
I personaggi dei novellatori cercano di ricostituire un mondo ordinato e caratterizzato dalla validità di quei valori morali che erano stati travolti dall’eccezionalità della situazione a Firenze. Il codice comportamentale che viene assunto nella cornice è di tipo “aristocratico” e in qualche modo si ricollega all’etica cortese.
Nelle novelle invece la variabilità dei comportamenti e dei codici morali è notevole: infatti viene rappresentata quella complessa fase di passaggio dal Medioevo alla modernità che caratterizza la II° metà del 300. I personaggi infatti sono quanto di vario si possa immaginare: compaiono aristocratici, mercanti, ecclesiastici spesso rappresentati nelle loro diverse tipologie.
In questa realtà multiforme tre sono le forze che operano potentemente: la fortuna, l’amore e l’ingegno.
La concezione della fortuna che emerge nel Decameron è decisamente Laica: in questo senso essa si discosta notevolmente dall’idea prevalente nel Medioevo. Se infatti prendiamo il VII° Canto dell’Inferno dantesco notiamo che la fortuna viene rappresentata come una forza guidata dalla volontà divina. Ciò significa che essa viene inserita in una prospettiva provvidenzialistica: nulla accade per caso perché ogni evento rientra in un disegno divino. In Boccaccio invece la fortuna coincide con il caso e può essere favorevole e sfavorevole in maniera del tutto imprevista e irrazionale. In questo modo Boccaccio si ricollega alla concezione prevalente nel mondo romano. In rapporto dialettico con la fortuna è l’ingegno: esso è la capacità da parte dell’individuo di volgere a proprio favore le circostanze favorevoli offerte dal caso. La figura che più si distingue nell’uso dell’ingegno è il mercante.
LE DIVERSE FIGURE DEL MERCANTE NEL DECAMERON
Analisi del testo narrativo:
1. Livello dell’affabulazione:
- Funzioni (unità di minime del racconto);
- Sequenze e Macrosequenze;
- Ordine cronologico.
2. Livello dei personaggi:
- Fasci di caratterizzazione;
- Analisi Attanziale.
3. Livello della narrazione:
- Punto di vista del narratore:
- Ne sa più dei personaggi (è ONNISCIENTE);
- Ne sa quanto i personaggi (è lui stesso un personaggio e narra in I° persona);
- Ne sa meno dei personaggi (si occulta dietro i personaggi).
Funzioni:
- Distribuzionali (azioni): Funzioni Cardinali e Catalisi;
- Integrative (parti descrittive): Indizi e Informanti.
Tra le funzioni distribuzionali, quelle cardinali indicano le azioni o eventi che hanno conseguenze decisive sullo svolgimento del racconto mentre le catalisi sono azioni secondari e non hanno peso sul racconto.
È ONNISCIENTE un narratore quando:
- Inserisce Prolessi;
- Entra nella psicologia dei personaggi;
- Inserisce commenti personali.
ANALISI ATTANZIALE è l’analisi dei ruoli svolti dai personaggi:
a) Personaggi Protagonisti e Secondari;
b) Antagonista;
c) Aiutante;
d) Strumento;
e) Destinatore;
f) Destinatario;
g) Oggetto.
Il personaggio Antagonista è colui che ostacola i piani del protagonista;
Il personaggio Aiutante è colui che aiuta di sua volontà il protagonista;
Il personaggio Strumento è colui che viene usato sia a fine benefici e sia a fine ostili da altri personaggi.
Il personaggio Destinatore è colui che con le azioni decide della sorte degli altri;
Il personaggio Destinatario è colui che riceve le azioni del destinatore nel bene e nel male.
Il personaggio Oggetto è colui che viene desiderato e ottenuto.
Ser Ciappelletto → Destinatore
Frate → Destinatario e Strumento
In relazione alla novella di Ser Ciappelletto, quest’ultimo è Destinatore perchè il frate condizionandone le scelte successive.
Il frate è Destinatario perché rileva l’inganno ma è anche strumento perché viene usato da Ser Ciappelletto per trasmettere un’immagine che non è veritiera.
Le funzioni cardinali sono le seguenti:
1. La scoperta della malattia da parte del mercante;
2. La decisione di confessarsi;
3. La decisione di ingannare il frate.
Il narratore è ONNISCIENTE perché entra nella psicologia dei personaggi (ad esempio v.65-67) e perché inserisce dei commenti personali (v. 333, 338).
TEMA DELL’AMORE NEL DECAMERON
Come abbiamo già sottolineato la concezione dell’amore che emerge nel Decameron è profondamente diversa da quella che abbiamo trovato nei poeti stilnovisti e il Petrarca. Infatti mentre la concezione stilnovistica dell’amore presuppone un elevato grado di sublimazione, in Boccaccio l’amore inteso come una forza potente connessa alla natura umana, la cui realizzazione avviene anche nell’ambito della fisicità. La forza anche trasgressiva del sentimento amoroso è talmente intensa che quando essa viene ostacolata si può creare un conflitto tra il sentimento amoroso stesso e le convenzioni sociali e i codici morali a cui esse sono legate. Questo conflitto può risolversi anche in maniera tragica attraverso la morte dei protagonisti. Nel Decameron la IV° Giornata è dedicata alla narrazione di novelle che hanno come tema gli amori con esito tragico. La V° Giornata invece è dedicata agli onori che hanno esiti felici. Nella IV° Giornata è inserita la novella di Tancredi e Ghismonda mentre nella V° Giornata la novella di Federigo degli Alberighi.
LA NOVELLA DI TANCREDI E GHISMONDA
I temi della trasgressione e del connubio tra amore e morte
Ghismonda una giovane fanciulla appartenente ad una famiglia molto in vista s’innamora di un giovane di estrazione sociale inferiore. I due s’incontrano clandestinamente perché Ghismonda sa bene che il padre Tancredi si opporrebbe a questa relazione.
Per una fatalità Tancredi viene a scoprire il segreto della figlia e fa uccidere il giovane. Per dimostrare alla figlia che ormai deve rassegnarsi della perdita dell’amato, Tancredi ricorre ad un particolare presentando alla figlia la testa del giovane. Ma Ghismonda contro tutte le previsioni della famiglia si uccide a sua volta. Il padre amaramente pentito fa seppellire i due corpi insieme. Come si può vedere l’amore appare come una forza che non tiene conto delle convenzioni sociali e che anzi finisce per entrare in contrasto con esse. Se il conflitto è irrisolvibile la conclusione tragica diventa inevitabile, in questo senso l’amore viene concepito come una forza rivoluzionaria che non può essere controllata o frenata. In realtà il connubio tra amore e morte faceva già parte della tradizione narrativa dell’Occidente Medievale: basta pensare al romanzo di Tristano e Isotta. Ma si pensi anche al dramma Romeo e Giulietta di Shakespeare.
In tutti e due i casi la conclusione è tragica.
FEDERIGO DEGLI ALBERIGHI E IL SUPERAMENTO DEL CONFLITTO TRA AMORE E CONVENZIONI
Federigo è un nobile che però ha perduto quasi tutto il patrimonio: gli è rimasto soltanto un amato Falcone da caccia. Egli è innamorato di Monna Giovanna una ricca vedova. Un giorno avendo il figlio malato si reca da Federigo per chiedergli il Falcone, ma Federigo l’ha scarificato per offrirgli un degno pranzo. Monna Giovanna ammirava dalla
1

Esempio