Cristo si è fermato a Eboli: scheda libro

Materie:Scheda libro
Categoria:Italiano
Download:358
Data:05.12.2005
Numero di pagine:8
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
cristo-si-e-fermato-eboli-scheda-libro_1.zip (Dimensione: 9.58 Kb)
trucheck.it_cristo-si-+     35 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Damiana Casile

NOTIZIE SULL'AUTORE
Carlo Levi nacque a Torino nel 1902. Dopo aver studiato medicina, si unì al gruppo di giovani intellettuali riuniti intorno a Pietro Gobetti. Dedicatosi alla pittura, espose per la prima volta a Torino nel 1923; nel contempo la sua attività come antifascista lo aveva portato più volte in carcere e al confino in Lucania, che gli fu condonato nel 1936. Da questa esperienza nacque l'opera che lo rese celebre, "Cristo si è fermato a Eboli", che ha superato in Italia le venti edizioni ed è stato tradotto in tutte le nazioni.
Nel 1946 uscì "Paura della libertà", scritto alcuni anni prima durante l'esilio parigino, poi "L'Orologio"(1950), in cui è rappresentata l'atmosfera di delusione succeduta nel dopoguerra alle speranze di un rinnovamento della società italiana. Seguirono "Le parole sono pietre", "Il futuro ha un cuore antico" e "Un volto che ci somiglia".
Morì a Roma il 4 gennaio 1975.
BREVE TRAMA
L'autore narra in prima persone vicende veramente accadute, che lo vedono protagonista di un'avventura forzata in un mondo solitario e primitivo, lontano duemila chilometri da quello civilizzato, eppure appartenente allo stesso Îdannatissimo Stato', cioé l'Italia fascista del 1935.
Il racconto inizia in medias res quando, dopo aver trascorso alcuni mesi a Grassano, il confinato Carlo Levi, medico e pittore affermato, viene trasferito in Lucania, a Gagliano; questo paese di montagna "ai confini del mondo conosciuto", circondato dalle desolate e brulle valli dell'Appennino calabrese, è abitato solo da cafoni, contadini poveri- ignoranti superstiziosi- sfruttati- incompresi- cattolici solo per bisogno- vittime dello Stato fascista. Il letterato che giunge qui sconvolge la loro vita abitudinaria e tediosa, ed essi lo accolgono benevolmente, come se fosse una divinità; persino le autorità fanno a gara per invitarlo a cena e propiziarselo, perché tutti gli attribuiscono un grande potere.
Levi infatti è straniero, acculturato, buono d'animo, e conosce la medicina e le arti; la sua figura di uomo potente mette in suggestione gli umili personaggi del villaggio che cercano in lui un protettore e una guida; quello che doveva essere il nemico dello Stato diviene così il migliore amico dei contadini e della borghesia locale. Al suo cospetto tutti, dal podestà alla vecchia più rozza, si mostrano benevoli e ospitali, sicché egli trova presto una comoda sistemazione.
Dopo essersi ambientato e aver scoperto che anche nei cafoni, sotto l'aspetto brutale e le mani rovinate dal lavoro, ci sono uomini bisognosi d'aiuto, il Poeta prende coraggiose decisioni e diviene il medico del paese. Egli svolge la sua attività gratuitamente, ma col massimo impegno, e ottiene il rispetto e l'amore reverenziale di tutti: i bambini lo accompagnano a pitturare, trasportandogli gli attrezzi del lavoro e fanno a gara per portare quelli più pesanti; le donne gli sorridono sdentate e lo vorrebbero come ospite per qualche sera; la domestica Giulia lavora per lui tutto il giorno e ama essere comandata; il podestà e le famiglie più illustri del paese lo accontentano nei suoi desideri perché questi prenda le loro parti nella guerra tra clan...
Il paese è infatti diviso in cosche che detengono il potere e cercano ogni mezzo per affermarsi l'una ai danni dell'altra; alla base ci sono odii che risalgono alla notte dei tempi, ma che non si sono mai affievoliti, e che piccole scaramucce rinforzano notevolmente: un letterato come Levi è certamente un prezioso aiuto per il prestigio della famiglia e per il benessere di Gagliano.
Levi, durante i suoi mesi di esilio, conosce a fondo la società contadina e può valutare con un'ottica nuova la politica del fascismo, che allora aveva appena iniziato la campagna d'Africa.
Gagliano è un paese alienato dalla realtà del resto d'Italia; qui non sono giunte la medicina, l'istruzione, l'industria e neppure la religione nel vero senso del termine. I contadini sono braccianti indigenti per destino, e neanche l'America li potrà mai rendere benestanti: privi di cultura, essi hanno però una furbizia innata, la furbizia contadina, assai simile all'istinto degli animali. L'istruzione obbligatoria qui non è arrivata, nelle scuole si impara soltanto a osannare il Duce e le sue camicie nere, né il governo centrale ha interesse che avvenga altrimenti, perché una massa ignorante è inoffensiva.
Le medicine sono così costose, che possono essere acquistate solo dai galantuomini, e i pochi farmacisti esistenti approfittano dell'ignoranza dei cafoni per aumentare i prezzi; per Gagliano è come se non fossero mai esistiti né Copernico né Galileo, né Edison né Meucci, né Ippocrate né Jenner. La malaria imperversa perché le condizioni igieniche sono davvero pessime e gli ambienti delle foreste diboscate, divenute paludi malsane, sono i più favorevoli per la proliferazione dei batteri.
Levi si occupa di curare i malati, e nonostante la carenza di mezzi, riesce benissimo nel suo lavoro: desta così l'invidia degli altri medici del paese, incapaci ma altezzosi e avidi, che inviano numerose lettere a Matera per denunciare il fatto che un confinato eserciti una professione senza licenza. L'ottusità del podestà e i provvedimenti di una burocrazia lontanissima dai veri problemi della gente impediscono allo scrittore di continuare la sua opera benefica e un uomo , il primo da quando Levi è giunto laggiù, muore. I contadini si ribellano, vorrebbero sfogare gli odii repressi e tenuti troppo a lungo nascosti dietro a un'apparente indifferenza, ma ancora una volta Levi prende il comando della situazione e riporta la pace. I contadini cercano allora nuove vie di espressione, e trovano quella più efficace nal teatro: vengono organizzati spettacoli che mettono in ridicolo il podestà e Roma intera, ma nulla muta; soltanto la malattia che colpisce il figlio di don Luigino offre l'occasione (per la verità si tratta quasi di un ordine) perché Levi torni a curare la povera gente.
Il lavoro dei braccianti prosegue sempre uguale per tutto l'anno: spaccarsi la schiena per poche lire, che finiranno certamente nelle tasche dei galantuomini o dei farmacisti, per i fuochi dei giorni di festa o per il sanaporcelle, un vero chirurgo degli animali che, passando una volta sola ogni anno, offre uno spettacolo cruento quanto singolare mentre rende sterili le scrofe di tutta la contrada...
In paese ci sono piccole botteghe di artigiani, che lavorano poche ore al giorno e ben tre parrucchieri, dei quali però soltanto uno lavora effettivamente. Si tratta di un giovane che, migrato in America, è il simbolo di tutti quelli che partirono in cerca di fortuna: tutti coloro che migrarono si arricchirono, spedirono beni preziosi alle proprie famiglie (Gagliano è infatti rifornita di coltelli e rasoi così all'avanguardia che nel resto dell'Italia non sono ancora arrivati), non si integrarono mai nel paese ospitante e tornarono in patria, proprio a Gagliano. Si sposarono, fecero figli e ben presto la ricchezza si dissipò, sicché essi si ritrovarono più poveri di prima ma con numerose bocche in più da sfamare... Chi nasce contadino non potrà mai cambiare la propria condizione, almeno fintanto che non muterà l'Italia intera.
Per i cafoni non esiste neanche una fonte di consolazione o di speranza in un futuro migliore; la religione non è arrivata a Gagliano, perché si è fermata prima, così come il progresso, la Storia (quella vera, che porta con sé rivoluzioni e personaggi celebri), e lo stesso tempo, che lì non scorre mai. I cafoni sono bestie dimenticate da Dio e dagli uomini; in Lucania nessuno giunse mai, se non per conquistare e depredare, e perfino Cristo non volle occuparsi dei suoi figli più negletti: Cristo si è fermato a Eboli , tra Salerno e l'Appennino.
I cafoni non si battezzano, se non quando stanno per morire, non vanno a messa, non conoscono le preghiere e raramente si rivolgono a Dio. E come potrebbero, visto che sembra così lontano e indifferente, e persino i preti sono dalla parte dei potenti e non li aiutano in alcun modo. Sono gli anni del Concordato, per il quale Stato e Chiesa si spartiscono il potere, temporale e politico: non ci si stupisca dunque se i preti sono opulenti e avidi, pretendono imposte per terreni incolti e si fanno pagare per celebrare le messe, durante le quali non sono in grado di predicare nulla di costruttivo. L'unico modo per attirare la gente in Chiesa è trasformare la messa in uno spettacolo, come ha intenzione di fare don Liguari alla fine del romanzo, facendo suonare a Levi l'organo...
Nella tradizione contadina si è fatta invece strada una vastissima epopea che ha per argomento il brigantaggio (i briganti erano eroi perché agivano contro lo Stato) e una interminabile serie di miti e di superstizioni curiose: a Gagliano molte donne sarebbero delle streghe in grado di preparare filtri d'amore o di morte; i bambini morti senza essere battezzati diventerebbero monachicchi, spiritelli dispettosi e dannati; tre spiriti veglierebbero ogni notte sulle misere case, perché non vengano assalite dai lupi, ma occorre fare attenzione a non calpestare quello sulla soglia, perché si spazientirebbe e non ritornerebbe mai più...
Sono veramente molte le superstizioni cagionate da paura e ignoranza che regolano i mores dei contadini; sono le loro leggi e nessuno le mette in discussione, perché frutto di secoli di tradizione; e più sono curiose e particolareggiate, più meritano il rispetto del lettore.
Così tra queste nullità s'annega il pensier di Levi, sempre più affezionato ai suoi amici e sempre più consapevole della loro situazione; la vita in paese trascorre monotona, movimentata solo da occasionali motivi di festa (come Natale, Carnevale o altre feste religiose) o dall'incontro con viandanti e artigiani di passaggio. Levi si dedica alla sua pittura, scrive lettere alla famiglia (ma con la censura del pettegolo podestà), riceve la visita di una sorella, parte per Torino grazie a un permesso limitato a pochi giorni, scrive un trattato con le risoluzioni (fittizie e allora utopistiche) per i problemi di Gagliano, ritorna a Grassano per qualche giorno e riceve numerosi inviti dai personaggi più illustri del luogo. E quando un giorno riceve la notizia di essere libero e di potere tornare a casa, (a cagione di una grazia concessa dopo la conquista di Addis Abeba), lo fa a malincuore e senza fretta, ripromettendosi di tornare a Gagliano per riscoprire quello che ormai era anche il suo mondo.
Ma non vi fece mai ritorno, neanche dopo tanti anni.
COMMENTO
Le doti di Carlo Levi, eclettico personaggio, come scrittore sono notevoli. Nel racconto egli inserisce abilmente aneddoti, riflessioni, fatti storici e inventati, paesaggi dai toni tristi e sbiaditi, descritti con una tale ricchezza di particolari da far pensare a dei veri quadri. Tuttavia ciò che sta più a cuore all'Autore è rendere un vasto pubblico consapevole della realtà meridionale dei contadini del latifondo, una realtà così lontana da noi se pureppure poco distante nello spazio e nel tempo, e anzi ancora attuale: perché se oggi il Mezzogiorno è arretrato lo si deve in gran parte a una lunghissima serie di problemi che rimasero irrisolti sin dal 1861. Oggi si può constatare come la politica del crai=domani, termine che nel linguaggio locale raccoglie un'intera filosofia esiziale di vita: "domani si vedrà, domani sarà meglio, tutto si risolverà da sé; e se questo non accadrà, io non potrò fare niente per cambiare ciò che è rimasto sinora immutato".
Nel periodo in cui fu scritto e pubblicato, il libro doveva apparire sicuramente come
un' accusa alla società italiana in generale, senza distinzione di partito; lo scopo era quello di far conoscere una realtà quasi inverosimile a uomini che, per generazioni, non avevano voluto aprire gli occhi e sensibilizzare così l'opinione pubblica. E proprio quando tutti riponevano la propria fiducia nello Stato, Levi individuave in questo una delle cause del sottosviluppo. Lo Stato non può esistere se non si ha ben presente che questo è creato innanzitutto per difendere gli individui, senza distinzione: altrimenti lo Stato fa soltanto da freno per lo sviluppo. Lo Stato non deve identificarsi con le tasse, né con gli aiuti economici a fondo perduto, ma con un ente che regolamenta e distribuisce per investrire nel futuro,tenendo conto delle esigenze differenti da luogo a luogo.
Bisognava risolvere tre differenti problemi: integrare la civiltà cittadina con quella antitetica e ostile della campagna; impiantare industrie e dare lavori sicuri ai disoccupati, per diminuire la miseria e conseguentemente le malattie; riformare sapientemente le leggi, che non devono essere fisse e immutabili, ma calibrate per ogni situazione.
Sono passati cinquant'anni; niente più cafoni, né fascismo, né malattie... ma qualcosa è rimasto. Sono quei grandi problemi che, a causa di uomini di potere talvolta corrotti e della mentalità sbagliata della gente, si ritovano ancora oggi; si tratta soprattutto dell'avversione per lo Stato, che una volta vedeva contrapposti il re d'Italia e i briganti, oggi il Parlamento e i mafiosi.
Ho apprezzato l'opera di Levi, che certo non mi ha né divertito né appassionato, ma piuttosto lasciato riflettere su questioni complesse. La vicenda non è movimentata, e la scena si svolge pressocché sempre a Gagliano; l'Autore procede nel racconto per analogie e fa ampie digressioni, che durano intere pagine e fanno perdere le fila del discorso. E' sempre necessaria una viglie attenzione del lettore: mi è infatti capitato più volte di dover rileggere interi pezzi per comprendere ciò che avevo appena letto.
Il libro mi ha riportato alla mente Fontamara di Ignazio Silone, con il quale ho trovato molte analogie. L'opera di Levi è però più riflessiva e approfondita, quella di Silone coinvolge invece maggiormente il lettore grazie alla più intensa successione dei fatti.

Esempio