Colloquio con Parini: La delusione storica

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Categoria:Italiano

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Testo

Il Colloquio con Parini: la delusione storica
Ier sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando nel sobborgo orientale della città
sotto un boschetto di tigli. Egli si sosteneva da una parte sul mio braccio, dall'altra sul suo bastone: e
talora guardava gli storpi suoi piedi, e poi senza dire parola volgevasi a me, quasi si dolesse di
quella sua infermità, e mi ringraziasse della pazienza con la quale io lo accompagnava. S'assise sopra uno
di que' sedili ed io con lui: il suo servo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio più dignitoso e
più eloquente ch'io m'abbia mai conosciuto; e d'altronde un profondo, generoso, meditato dolore a chi
non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo della sua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi e
per la nuova licenza. Le lettere prostituite; tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente
vilissima corruzione: non più la sacra ospitalità, non la benevolenza, non più l'amore figliale - e poi
mi tesseva gli annali recenti, e i delitti di tanti uomiciattoli ch'io degnerei di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore d'animo, non dirò di Silla e di Catilina, ma di quegli animosi masnadieri
che affrontano il misfatto quantunque e' si vedano presso il patibolo - ma ladroncelli, tremanti,
saccenti - più onesto insomma è tacerne. - A quelle parole io m'infiammava di un sovrumano furore,
e sorgeva gridando: Ché non si tenta? morremo? ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore. - Egli
mi guardò attonito: gli occhi miei in quel dubbio chiarore scintillavano spaventosi, e il mio dimesso e
pallido aspetto si rialzò con aria minaccevole - io taceva, ma si sentiva ancora un fremito rumoreggiare cupamente dentro il mio petto. E ripresi: Non avremo salute mai? ah se gli uomini si conducessero
sempre al fianco la morte, non servirebbero sì vilmente. - Il Parini non apria bocca; ma stringendomi
il braccio, mi guardava ogni ora più fisso. Poi mi trasse, come accennandomi perch'io tornassi
a sedermi: E pensi, tu, proruppe, che s'io discernessi un barlume di libertà, mi perderei ad onta
della mia inferma vecchiaia in questi vani lamenti? o giovine degno di patria più grata! se non puoi
spegnere quel tuo ardore fatale, ché non lo volgi ad altre passioni?
Allora io guardai nel passato - allora io mi voltava avidamente al futuro, ma io errava sempre nel
vano e le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla; e conobbi tutta tutta la disperazione
del mio stato. Narrai a quel generoso Italiano la storia delle mie passioni, e gli dipinsi Teresa
come uno di que' geni celesti i quali par che discendano a illuminare la stanza tenebrosa di questa
vita. E alle mie parole e al mio pianto, il vecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo. - No, io
gli dissi, non veggo più che il sepolcro: sono figlio di madre affettuosa e benefica; spesse volte mi sembrò
di vederla calcare tremando le mie pedate e seguirmi fino a sommo il monte, donde io stava per
diruparmi, e mentre era quasi con tutto il corpo abbandonato nell'aria - essa afferravami per la falda
delle vesti, e mi ritraeva, ed io volgendomi non udiva più che il suo pianto. Pure s'ella - spiasse tutti
gli occulti miei guai, implorerebbe ella stessa dal Cielo il termine degli ansiosi miei giorni. Ma l'unica
fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentare la libertà
della patria. - Egli sorrise mestamente; e poiché s'accorse che la mia voce infiochiva, e i miei sguardi
si abbassavano immoti sul suolo, ricominciò: - Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili
imprese; ma - credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte;
e l'altro quarto a' loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente fortunato e crudele per aspirare a questa
gloria, pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte le età, e questo giogo della
nostra patria non ti hanno per anco insegnato che non si dee aspettare libertà dallo straniero? Chiunque
s'intrica nelle faccende di un paese conquistato non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia.
Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende
il sacrificio della virtù. E allora? avrai tu la fama e il valore di Annibale che profugo cercava
per l'universo un nemico al popolo Romano? - Né ti sarà dato di essere giusto impunemente. Un giovine
dritto e bollente di cuore, ma povero di ricchezze, ed incauto d'ingegno quale sei tu, sarà sempre
o l'ordigno del fazioso, o la vittima del potente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservarti incontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai altamente laudato; ma spento poscia dal pugnale
notturno della calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da' tuoi amici, e il tuo sepolcro degnato appena
di un secreto sospiro. - Ma poniamo che tu superando e la prepotenza degli stranieri e la malignità
de' tuoi concittadini e la corruzione de' tempi, potessi aspirare al tuo intento; di'? spargerai tutto
il sangue col quale conviene nutrire una nascente repubblica? arderai le tue case con le faci della
guerra civile? unirai col terrore i partiti? spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai con le stragi
le fortune? ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri come tiranno.
Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall'intento, dalla fortuna; chiama
virtù il delitto utile, e scelleraggine l'onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi, conviene
o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata
fortuna reprimere in te la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento
della tua superiorità, e della conoscenza del comune avvilimento? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a puntellare il tuo trono, di filosofo
saresti fatto tiranno; e per pochi anni di possanza e di tremore, avresti perduta la tua pace, e confuso
il tuo nome fra la immensa turba dei despoti. - Ti avanza ancora un seggio fra' capitani;
il quale si afferra per mezzo di un ardire feroce, di una avidità che rapisce per profondere, e spesso di una
viltà per cui si lambe la mano che t'aita a salire. Ma - o figliuolo! l'umanità geme al nascere di un
conquistatore; e non ha per conforto se non la speranza di sorridere su la sua bara.
Tacque - ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: O Cocceo Nerva! tu almeno sapevi morire incontaminato.
- Il vecchio mi guardò - Se tu né speri, né temi fuori di questo mondo - e mi stringeva
la mano - ma io! - Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisionomia si raddolciva di soave conforto, come s'ei lassù contemplasse tutte le tue speranze. - Intesi un calpestio che s'avanzava verso di
noi; e poi travidi gente fra' tigli; ci rizzammo; e l'accompagnai sino alle sue stanze.

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