Biondello e Ciacco

Materie:Appunti
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Testo

ROBA ANTONELLA VACANZE DI NATALE 2005

VIII Giornata, IX Novella de: “Il Decameron”
di Giovanni Boccaccio.
ANALISI
In tutta l’ottava giornata sotto il reggimento di Lauretta, si parla delle beffe che i cittadini si scambiano vicendevolmente durante il giorno.
Nella nona novella, sullo sfondo di una Firenze attiva spiccano due personaggi: Biondello e Ciacco che, sfruttando il comune difetto della ghiottoneria, si burlano a vicenda. Questi sono due Fiorentini, cittadini di quella Firenze un po’ reale e un po’ immaginaria, dove l'impegno per la burla sembra tenere un luogo importantissimo, forse, superiore a quello di ogni altra impresa.
Si parla, qui, di uno scherzo, fatto e ricambiato: Biondello manda il golosissimo Ciacco - con la falsa previsione di mangiare storioni - a pranzo da Corso Donati dove questi non trova che poveri cibi, e lo stesso Ciacco - per vendetta – paga un rigattiere perché vada da Filippo Argenti, fingendosi amico di Biondello, e gli chieda del vino per far baldoria con degli amici; questo suscita contro Biondello la furia manesca di Filippo Argenti.
Entrambi si burlano dell’altro ma la beffa di Biondello, sgorgata da un estroso gusto di piacevolezza, è innocente; mentre quella di Ciacco è ben architettata. L’innocuo scherzo del primo, accende in quest’ultimo una sete di rivalsa che ha quasi la crudezza di certe vendette cittadine in cui un nonnulla accende una rissa.
È, quindi, una novella “di intreccio” in cui la figura più felicemente disegnata è quella di Biondello “piccoletto della persona, leggiadro, molto e più pulito che una mosca, con una cuffia in capo, con una zazzerina bionda e per punto senza un capel torto avervi, il quale quel medesimo mestiere usava che Ciacco.”
Questo ritratto, in cui Biondello è rappresentato come un uomo molto preciso, pettinato a puntino, serve a mettere in maggior risalto lo scempio che, di lui, farà Filippo Argenti.
Quest’ultimo è “un uomo grande e nerboruto, forte, sdegnoso” e facilmente irritabile che è descritto nella fierezza della sua collera nei confronti di Biondello.
Altro personaggio di fondamentale importanza è Ciacco “ uomo ghiottissimo quanto alcun altro fosse giammai, e non possendo la sua possibilità sostenere le spese che la sua ghiottornìa richiedea, essendo per altro assai costumato e tutto pieno di belli e di piacevoli motti, si diede ad essere, non del tutto uom di corte, ma morditore, e ad usare con coloro che ricchi erano e di mangiare delle buone cose si dilettavano; e con questi a desinare e a cena, ancor che chiamato non fosse ogni volta, andava assai sovente.”che è vittima dello scherzo di Biondello e artefice della seconda burla nei confronti di quest’ultimo.
A far da sfondo alla vicenda vi è la spiccante determinazione dei personaggi, individuati in un mondo d’intelligenza e di finezza: Ciacco, pur goloso, è "assai costumato e tutto pieno di belli e di piacevoli motti", Biondello è "piccoletto nella persona, leggiadro molto e più pulito di una mosca".
C'è, insomma, in entrambi, l'implicito riferimento ad un'aria di cortesia, di una superiore educazione nella quale le burle e gli accanimenti non turbano una fondamentale compostezza dello spirito e anzi rivelano - indipendentemente dall'esteriore svolgersi della vicenda - una fondamentale inclinazione a quell'esercizio delle virtù spirituali sulle quali si innestano le idealità umanistiche di Giovanni Boccaccio.
L'attenzione dello scrittore sembra, qui, entrare nell’interiorità dei personaggi limitandosi però ad enunciare dei puri e semplici impulsi. Si tratta insomma di semplici moti, di stimoli all'azione, rapidamente additati dallo scrittore, e non mai analizzati e descritti. La realtà di questi sentimenti viene fuori dalle azioni, o comunque da atti esterni.
Si pensi a Ciacco: il sentimento che lo anima è quello della vendetta, un certo ridente dispetto; ma questo sentimento non è analizzato, e quasi neppure indicato, e prende rilievo solo dall'azione che mira a quel « vitale bisogno dell'offeso di ristabilire la partita del dare e dell'avere, di ritrovare in un'azione compiuta ai danni dell'offensore e il più perfettamente simmetrica all'ingiuria ricevuta, il peso della propria personalità e il proprio equilibrio nel giuoco della vita ».
Più che l'esplorazione diretta dei sentimenti, ha rilievo nel Decameron la manifestazione indiretta, impulsiva o ragionata, da parte dello stesso personaggio della sua disposizione interiore.
C'è così il riso e il pianto, e c'è soprattutto il parlare.
Indimenticabile è certo sorriso o riso dei personaggi decameroniani: « Biondello, vedutolo, il salutò, e ridendo il domandò clienti fosser state le lamprede di messer Corso... »,« E poi che dopo molti dì, partiti i lividori del viso, cominciò di casa ad uscire, avvenne che Ciacco il trovò e ridendo il domandò:
“Biondello, chente ti parve il vino di messer Filippo?”».
E forse anche più significative sono le lacrime di Biondello strappato dalle mani di Filippo Argenti « Biondello piangendo si scusava... ».
Se molto si piange e si ride nel Decameron, soprattutto molto si parla. E la parola va dal conciso motteggiare, all'impiego di parole senza senso, al fluire rapido di battuta in battuta, al dignitoso discorso che si compone tra le pieghe maestose di un abito solenne, all'argomentare filosofeggiante delle parlate.
L'intelligenza è sempre messa in moto da questi impulsi passionali, un'intelligenza più o meno sottile, più o meno alta, ma sempre pronta a intervenire e guidare le azioni. E queste azioni, a loro volta, si combinano con altre azioni di altri personaggi e danno luogo a contrasti o gare. In sostanza il realismo del Boccaccio è un realismo funzionale, espresso dai particolari.
Non è alla realtà direttamente che il Boccaccio rivolge il suo sguardo appassionato, non è in essa il centro del suo interesse, il motivo della sua poesia. Questa, abbiamo visto, si riassume nella contemplazione dell'arte del vivere, un'arte di vita che tuttavia accoglie in sé, un senso acuto del concreto e del reale. Questo realismo, tutto interno e costitutivo della sua poesia, non va disgiunto da una visione ideale, poiché idealità e realtà sono pur sempre inscindibili in ogni autentica opera di poesia.

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