Ariosto

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Testo

Umanesimo
Il nome d’Umanesimo deriva da “studia humanitatis”, espressione con cui Cicerone definisce gli studi delle lettere che promuovono la formazione culturale e spirituale dell’uomo. Esso designa quel periodo (corrispondente al secolo XV) in cui il rinnovato culto dell’antichità classica si accompagna ad un rinnovato fervore di vita spirituale e morale.
L’Umanesimo dà vita ad un’imitazione dei modelli classici, così esclusiva che, nella prima metà del 400, si rinuncia persino a scrivere in volgare per adottare il latino.
Si noti che lo studio dell’antichità classica comprende non solo l’antichità latina, ma pure l’antichità greca, in conseguenza anche della caduta di Costantinopoli (1453), che richiamò parecchi ecclesiastici e dotti greci in Italia.
Altro carattere fondamentale dell’Umanesimo è il naturalismo che si esprime in una visione più concreta della vita che porta a realizzare un tipo d’umanità più libera e spregiudicata, al di fuori d’ogni trascendenza medievale.
E’ da tenere presente che, in questo periodo, si diffuse il fenomeno del mecenatismo, sia presso i principi, che presso i pontefici.
Una notevole importanza assunsero poi le Accademie, risorte nel periodo umanistico, secondo il costume greco e platonico:
- Accademia fiorentina: filosofia platonica
- Accademia romana: archeologia
- Accademia pontaniana: studi letterari
-
Luigi Pulci
(Firenze 1432 - Padova 1484)
Luigi Pulci nacque in un'antica e nobile famiglia che, malgrado le difficili condizioni economiche, aveva un profondo culto per le lettere. Intorno ai diciassette anni andò a fare lo scrivano per un signore, e poi combatté le angustie finanziarie attraverso incarichi e commissioni da parte di Lorenzo de’Medici che lo proteggeva, e che tra il 1467 e il 1472 lo mandò in missione a Camerino e a Roma. Passato al servizio di Roberto Sanseverino, svolse per lui incarichi di fiducia a Bologna, Milano, Venezia.
L'opera per la quale il suo nome occupa un posto preminente nella letteratura comica del primo Rinascimento è il Morgante, poema in ottave. Cominciò a comporlo intorno al 1460, avendo in mente di nobilitare la materia di un rozzo cantare dell'inizio del Quattrocento, l'Orlando; ma nel corso della lunga elaborazione scaturì l'estro bizzarro, caricaturale e vivo dell'autore, trasformando la favola del paladino e la folla dei personaggi e delle situazioni in un universo popolato da esseri scaltri e vagabondi, pronti ai mille espedienti, e che egli rappresentò con un misto d’ironia e simpatia, in un linguaggio che si rifà alla tradizione comica e popolare toscana e che abbonda d’inventive espressioni inusuali.
Morì improvvisamente e fu sepolto senza funerale religioso, a causa dell'atteggiamento scettico e scanzonato che aveva sempre avuto nei confronti della religione.

Matteo Maria Boiardo
(Scandiano, Reggio Emilia 1441-1494)
Matteo Maria Boiardo trascorse la fanciullezza a Ferrara e, dopo aver perso sia il padre sia il nonno con cui aveva vissuto, assunse il titolo feudale legato alla contea familiare di Scandiano, di cui iniziò a disporre assieme al cugino Giovanni. Entrò così in rapporti con il principe Ercole, governatore di Modena, e iniziò a frequentare la corte estense che aveva il suo centro a Ferrara. Per conto del principe si occupò di testi classici, ed elaborò poesie latine ad imitazione di Virgilio, ma ben presto si dedicò alla poesia volgare con il canzoniere Amorum libri tres, composto e rielaborato dal 1469 al 1476, scritto in onore della nobildonna Antonia Caprara. Intanto svolse attività diplomatica a Roma e a Napoli, ed ebbe incarichi amministrativi (come capitano di Modena) tra il 1480 e il 1483.
Boiardo maturò in questo periodo l'intenzione di scrivere un poema di genere cavalleresco che risultasse anche un omaggio encomiastico alla stirpe estense. L'idea, favorita dall'interesse che il nobile pubblico di Ferrara tributava alla tradizione cavalleresca, in particolare arturiana, si concretizzò nel 1483 con l'Orlando innamorato. Si tratta di un poema cavalleresco che mescola elementi del ciclo carolingio e bretone, al quale l'autore aggiunse in seguito solo una parte di un terzo libro rimasto incompiuto.
Per il suo contenuto avvincente e insieme concentrato in alcuni motivi (la perenne fuga d’Angelica) e temi ricorrenti (l'amore, l'attrazione per il fiabesco, la nostalgia per l'universo della cavalleria), l'Innamorato ebbe gran successo, testimoniato dalle numerose continuazioni dell'opera (l'Orlando furioso) e dai suoi rifacimenti.

Rinascimento
Il Rinascimento è la maturità della cultura umanistica in pieno 500. Se l’Umanesimo si preoccupò di studiare filologicamente i classici e di proporli come modelli ineguagliabili d’imitazione e in ossequio a questi adottò il latino come lingua scritta, il Rinascimento inizia invece una vera e propria rielaborazione in forma originale dei contenuti tradizionali dei modelli classici e ritorna definitivamente al volgare, che con Ariosto assurge a lingua nazionale.
Tale rielaborazione dell’antichità classica viene ora intesa in senso competitivo, grandioso, monumentale: perciò in prosa si ha il ciceronianismo (teoria e corrente letteraria che propone la lingua e lo stile di Cicerone come modello esclusivo nella prosa latina), in poesia il petrarchismo (imitazione dello stile del Petrarca; corrente poetica che s’ispira alla lirica del Petrarca).
Più sviluppato è anche il senso estetico, l’esaltazione per il mondo dell’arte e della cultura. “arte per l’arte”.
Altri caratteri particolari del rinascimento sono:
- Antropocentrismo, ossia l’esaltazione dell’essere umano e delle sue potenzialità;
- Mecenatismo, specialmente presso i pontefici Giulio II e Leone X, che inaugurano il “secolo d’oro”;
- Vasta diffusione della cultura grazie all’invenzione della stampa;
- Classicismo, ossia volontà di adeguare i modelli classici alla lingua volgare, cercando effetti d’eleganza, equilibrio, e misura. Si accompagna a tale fenomeno la codificazione di norme sempre più rigide in campo letterario.
Non si possono tuttavia ignorare anche altre componenti del rinascimento italiano, in particolare espressioni d’anticlassicimo e plurilinguismo.
Il platonismo è l’interpretazione della filosofia platonica come modello per la concezione della realtà del tempo. La filosofia di Platone postula al di là dle mondo reale l’esistenza di un mondo ideale, di forme perfette ed eterne.

Ludovico Ariosto
(Reggio Emilia 1474- Ferrara 1533)
La vita
Ariosto rappresenta la tipica figura dell’intellettuale cortigiano del rinascimento, ma al tempo stesso nei confronti di tale ambiente è mosso da sentimenti di rifiuto e polemica.
Il poeta proveniva da una nobile famiglia: il padre era funzionario al servizio degli Estensi ed era comandante della Guarnigione militare di Reggio Emilia. In questa città nacque Ludovico l’8 settembre 1474. Dall’84 il padre si stabilì a Ferrara, con vari incarichi amministrativi, e in tale città Ludovico intraprese i primi studi. Tra i 15 e i 20 anni frequentò corsi di diritto all’Università di Ferrara, ma contro la sua vocazione, soltanto per obbedire al padre. Lasciati gli studi poco graditi, si dedicò ad approfondire la sua formazione letteraria e umanistica, di cui fu frutto la sua produzione di liriche latine.
A Ferrara Ariosto strinse legami d’amicizia con Pietro Bembo, né subì l’influenza, indirizzandosi verso la poesia volgare. La morte del padre, nel 1500, lo mise di fronte alle necessità della vita: dovette occuparsi del patrimonio familiare, dovette assumere la tutela dei fratelli minori e cercare di accasare le sorelle. Per far fronte alle necessità familiari dovette anche accettare cariche ufficiali da parte degli Estensi. Nell’autunno 1503 entrò al servizio del cardinale Ippolito, figlio del duca Ercole I, con incarichi molto vari, che andavano dalle missioni politiche e diplomatiche a minute incombenze pratiche. Come il poeta stesso afferma nelle Satire, questo tipo d’incarichi gli sembrava disdicevole alla sua dignità di letterato ed in contrasto con la sua vocazione agli studi e alla poesia, che esigeva quiete e raccoglimento. Per aumentare le entrate assunse la veste di chierico in modo da poter godere di benefici ecclesiastici. Nel frattempo si occupò degli spettacoli di corte, scrivendo a tal fine due commedie, La Cassaria (1508) e I Suppositi (1509).
A causa dei rapporti tesi con il nuovo duca Alfonso I, ed il papa Giulio II, Ariosto dovette recarsi più volte, tra il 1509 e il 1510, come ambasciatore a Roma, correndo anche rischi personali per il carattere irascibile e violento del pontefice.
Nel frattempo strinse rapporti con ambienti fiorentini, ed in particolare con il cardinale Giovanni de’Medici. Quando questi divenne papa con il nome di Leone X, nel 1513, Ariosto credette che fosse giunta l’occasione di ottenere gli incarichi ambiti, che gli consentissero una vita più agiata e tranquilla; ma le sue aspettative andarono deluse, e dovette adattarsi a restare a Ferrara, con un magro beneficio in più. A Firenze aveva stretto un legame con una donna sposata Alessandra Benucci; nel 1515 il marito morì ma, Ariosto la sposò in segreto, per via degli ordini minori, solo anni più tardi.
Nel 1516 pubblicò la prima edizione dell’Orlando Furioso e la dedicò al cardinale Ippolito, il quale però non dimostrò di apprezzare l’opera come il poeta si attendeva. Nel 1517 il cardinale impose ad Ariosto di seguirlo, ma il poeta rifiutò, passando al servizio del duca Alfonso. Nel 1522 questi gli affidò un difficile compito, quello di governatore della Garfagnana. La lontananza dalla sua città però gli pesava, ma soprattutto gli causavano fastidio le incombenze pratiche, che gli impedivano di dedicarsi alle occupazioni più amate, la poesia e gli studi. Tornato a Ferrara nel 1525, riprese ad occuparsi degli spettacoli di corte, scrivendo una nuova commedia, la Lena, e riprendendone un’altra scritta nel 1520, il Negromante.
Il poeta, circondato dagli affetti familiari si era sistemato in una modesta casa in contrada Mirasole, dove continuò a lavorare alla revisione stilistica e all’ampliamento del Furioso. Morì nel 1533.
Ariosto nelle Satire, si è compiaciuto di lasciare di se l’immagine d’uomo amante della vita sedentaria, placida e contemplativa. Ariosto fu uomo accorto e saggio, che manifestò eccellenti doti pratiche nel destreggiarsi tra gli intrighi della vita cortigiana del tempo, e dimostrò capacità politiche e diplomatiche negli incarichi da lui assunti.
Le opere minori
Le commedie
Tra i compiti d’Ariosto d’intellettuale cortigiano vi era anche l’allestimento di spettacoli per le feste di corte. Per tali spettacoli si utilizzavano inizialmente traduzioni e adattamenti di testi comici latini, ma in seguito si passò anche all’elaborazione di testi originali in volgare. Ariosto inaugurò questa nuova tradizione, con due commedie fatte rappresentare alla corte di Ferrara, La Cassaria nel carnevale del 1508, I Suppositi in quello dell’anno successivo. Questi due testi costituiscono l’inizio e il modello di tutta la successiva produzione di commedie del’500. Pur rivolgendosi a soddisfare i bisogni del pubblico Ariosto mirò egualmente ad un’altra dignità artistica, e nell’elaborazione dei suoi testi guardò i modelli classici. Mentre le commedie latine erano in versi, Ariosto scelse in un primo tempo la prosa.
La Cassaria si svolge in una città greca, Metelino, ed è caratterizzata dalla serie di trovate astute di molti servi, che si susseguono con intenso dinamismo. I Suppositi si fonda su una serie di scambi di persona e sugli equivoci che ne nascono; la novità sta nel fatto che la scena è in Ferrara e vi è una fitta rete di riferimenti a realtà e luoghi cittadini ben noti agli spettatori.
Nel 1520 Ariosto inviava al papa Leone X Il Negromante, ideato nel 1509; la commedia fu poi nuovamente rielaborata nel 1529 con l’aggiunta di nuove scene. Al dinamismo dell’intreccio e delle trovate comico-furfantesche si sostituiscono intenti di satira di costume: al centro della vicenda vi è, infatti, un la figura di un mago imbroglione, e Ariosto prende da essa lo spunto per ridicolizzare con laico scetticismo le credenze irrazionali e la magia.
Nella Lena Ariosto insiste sul tema dell’interesse economico, rappresentato soprattutto dalla ruffiana che dà il titolo ala commedia. Fitti sono i riferimenti alla realtà ferrarese, con spunti satirici nei confronti della disonestà e corruzione di uno stuolo di personaggi della corte estense. Vi è quindi una visione disincantata e amara dell’uomo, che appare mosso da interessi utilitaristici e meschini. Vi è inoltre Gli studenti, commedia ambientata nel mondo universitario.
Negli ultimi anni Ariosto ritornò anche su due testi più antichi, che erano in prosa, riscrivendoli in versi, con modificazioni rilevanti nella struttura, soprattutto per La Cassaria. Accanto ai testi teatrali può poi essere collocato l’Erbolato, che è una “cicalata” in prosa di un ciarlatano che magnifica le virtù delle sue erbe medicinali.
Le satire
Tra il 1517 e il 1525 Ariosto scrisse sette satire in forma di lettere in versi indirizzate a parenti ed amici. Anche per questi componimenti vi erano dei modelli classici, le Satire e le Epistole d’Orazio. La satira antica in origine permetteva di toccare i più vari argomenti, senza un ordine prefissato. Orazio nell’età augustea aveva fissato il modulo della satira come libera e svagata conversazione, in cui l’autore può toccare gli argomenti più diversi.
La Satira I è indirizzata al fratello Alessandro, ed in essa l’autore spiega le ragioni per cui ha rifiutato di seguire in Ungheria il cardinale Ippolito suo signore.
La Satira II è rivolta al fratello Galasso, e contiene una rappresentazione critica e polemica della corte papale.
La Satira III, dedicata la cugino Annibale Malaguzzi, tratta della condizione del poeta nel nuovo servizio del duca Alfonso, e r ribadisce con vigore la sua esigenza d’autonomia dalla corte. In questa satira è inserita la favola del pastore e della gazza.
La Satira IV, destinata a Sigismondo Malaguzzi, descrive le difficoltà del suo compito di governatore della Garfagnana, il rimpianto dell’attività letteraria interrotta, la nostalgia della sua città e della sua donna.
La Satira V, ancora rivolta, ad Annibale Malaguzzi, è una disamina dei vantaggi e degli svantaggi della vita matrimoniale.
Nella Satira VI, indirizzata a Pietro Bembo, Ariosto chiede all’illustre letterato consigli per l’educazione del figlio Virginio, ed esalta, seguendo una tradizione umanistica, la funzione incivilitrice della poesia.
Nella Satira VII, dedicata a Bonaventura Pistofilo, il poeta motiva il suo rifiuto di andare a Roma come ambasciatore, ed esprime il suo amore per il “nido ferrarese”. In questa satira è inserita la favola della zucca e del pero.
La struttura di questi componimenti è quella della chiacchierata alla buona, che trascorre disinvoltamente, talora senza apparenti connessioni, tra i più vari argomenti, mescolando spunti autobiografici, ricordi, riflessioni generali sulla natura e sul comportamento degli uomini. La struttura è intimamente dialogica: il poeta vi dialoga continuamente, con se stesso, con i destinatari, con interlocutori immaginari. Il discorso risulta quindi un fitto intreccio di voci, che propongono prospettive diverse sul reale.
I temi centrali delle Satire sono la condizione dell’intellettuale cortigiano, i limiti e gli ostacoli che essa pone alla libertà dell’individuo, l’aspirazione ad una vita quieta ed appartata, lontana dalle ambizioni e dalle invidie della realtà di corte, dedicata agli studi, ai voli della fantasia e agli affetti familiari, il fastidio per le incombenze pratiche che costituiscono l’ostacolo dell’esercizio poetico, la follia degli uomini che si danno ad inseguire oggetti vani, la fama, il successo, al ricchezza.
L’atteggiamento dell’autore è ironico, ma raramente ha punte d’asprezza polemica: in genere è pacato, misurato, tollerante, di una tolleranza che nasce dalla consapevolezza della comune “follia” degli uomini.
Il tono svagatamente conversevole delle Satire dà ragione dello stile in cui sono scritte: uno stile colloquiale, volutamente prosaico ed in certi tratti apparentemente disadorno, che non si arresta dinanzi alle realtà più dimesse e “impoetiche” ed impiega largamente modi di dire della lingua parlata.
Nel complesso le Satire sono un’opera che ha un’importanza fondamentale e costituisce una chiave preziosa per penetrare nel mondo del capolavoro; in esse in fatti vi si trova quello impalpabile atteggiamento ironico, che dle Furioso è la caratteristica saliente.
L’Orlando furioso
Le fasi della composizione
Intorno al 1505 Ariosto mise mano alla composizione di un poema cavalleresco, l’Orlando furioso. La materia cavalleresca era molto amata nella corte ferrarese e aveva già trovato espressione, pochi decenni prima, in un capolavoro, l’Orlando innamorato di Boiardo, che aveva incontrato grande successo. Nella sua opera Ariosto si collega direttamente a quella boiardesca, riprendendo la narrazione esattamente al punto in cui il poeta l’aveva interrotta e proseguendola con nuove avventure. Una prima edizione dell’Orlando furioso, in 40 canti, era terminata nell’ottobre 1515, e vide la luce a Ferrara nel 1516. Appena uscita quest’edizione, il poeta si mise subito al lavoro per correggerla e limarla. Una seconda edizione usci nel 1521, senza cambiamenti di gran rilievo, con qualche aggiustamento, qualche taglio, e con una complessiva revisione linguistica. Già in queste prime due edizioni il poema ebbe un gran successo. Insoddisfatto, tuttavia, Ariosto si accinse ad una nuova e più radicale revisione dell’opera. Una terza edizione del poema apparve infine nel 1532. La revisione fu in primo luogo linguistica: adeguò la lingua ai canoni classicistici che erano stati autorevolmente fissati dal Bembo nel 1525 con le Prose della volgar lingua: una lingua pura e levigatissima, che si rifaceva rigorosamente al fiorentino dei classici trecenteschi.
La prima edizione rivelava un Ariosto ancora radicato in una tradizione cortigiana municipale; l’edizione del 1532, invece, vede ormai un poeta pienamente inserito in un orizzonte letterario nazionale.
La revisione però riguarda anche i contenuti: vi sono aggiunte cospicue d’interi episodi. Più fitti inoltre sono i riferimenti a fatti della storia contemporanea; a causa di questi ampliamenti il numero dei canti fu elevato a 46 ed equilibri strutturali furono spostati creando nuove simmetrie. Non solo, ma determinarono un clima diverso, più cupo caratterizzato da pessimismo sulla Fortuna e l’azione umana e da tematiche negative, quali il tradimento, la violenza, la tirannide, in cui si possono cogliere i riflessi del progredire della crisi italiana fra il 1516 e il 1532.
La materia e il pubblico del poema
Continuando il poema interrotto da Boiardo, Ariosto riprende la materia cavalleresca che già aveva avuto tanta fortuna sul suolo italiano. Di tutta la tradizione romanzesca precedente Ariosto dimostra una puntuale conoscenza, dimostrata da rimandi a figure e ad episodi di testi francesi e italiani. Anche nel Furioso si opera quella fusione tra materia carolingia e arturiana. I personaggi sono quelli della tradizione carolingia ma, gran rilievo hanno sia il motivo amoroso sia quello fiabesco e meraviglioso, tipico della materia arturiana.
Alla materia romanza sia aggiungono poi infinite reminescenze della letteratura classica, di Virgilio, d’Ovidio e di tanti altri autori antichi: e può trattarsi d’interi episodi ricalcati, di rimandi mitologici, o di semplici riecheggiamenti di versi o di clausole stilistiche. In questo, Ariosto si rivela poeta del pieno rinascimento e utilizza la sua formazione umanistica. Una ricerca sulle “fonti” del Furioso, ha messo in luce le infinite e intricate radici del poema. Le “fonti” sono solo spunti, suggerimenti iniziali, che poi Ariosto assimila alla sua visione di vita ed amalgama nell’organismo del poema, che è profondamente originale. Il poema è pensato come opera d’intrattenimento, indirizzata ad un pubblico di cortigiani e persone colte. Esso presenta ancora i caratteri della trasmissione orale, del racconto rivolto a viva voce ad un pubblico fisicamente presente dinanzi al poeta. In realtà quella della comunicazione orale per l’Orlando furioso è ormai solo una convenzione, un ammiccamento dell’autore ai suoi lettori, un’allusione ai modi della narrativa dei canterini di piazza, che al pubblico di corte erano ben noti.
Il Furioso è opera già interamente pensata per la diffusione attraverso la stampa. Ciò significava che il pubblico non era più costituito in primo luogo dalla cerchia ristretta dell’ambiente in cui l’opera era nata, ma era ormai il pubblico nazionale, formato dall’insieme delle persone colte di tutti i centri della penisola.
L’organizzazione dell’intreccio
Come già nell’Orlando innamorato, anche nel Furioso s’intrecciano le vicende di numerosissimi eroi; ed Ariosto riprende l’espediente boiardesco di interrompere improvvisamente la narrazione, in un momento cruciale, per passare a narrare la vicenda di un altro personaggio. Nel Furioso anzi questo procedimento diventa sistematico, dando luogo ad un calibratissimo congegno narrativo: il narratore porta avanti in parallelo il racconto di più vicende contemporaneamente, troncandole e riprendendole, conducendo numerosi fili narrativi ad intersecarsi tra di loro, per dividersi poi nuovamente. Questo procedimento è stato definito dalla critica entrelacement. Nel tessuto narrativo sono inoltre inserite delle novelle, raccontate da vari personaggi: si tratta dunque di racconti nel racconto, che hanno con la vicenda generale un rapporto simile a quello delle novelle del Decameron con la “cornice”.
Ogni canto presenta un esordio in cui la voce narrante, prima di riprendere la file dell’intreccio, traendo spunto dai casi dei personaggi si abbandona a considerazioni morali sul comportamento umano in generale, aprendo spesso, con un modulo che ricorda le Satire, un dialogo con gli ipotetici destinatari.
Tra gli innumerevoli fili narrativi che compongono l’intreccio del Furioso, l’autore stesso, nel Proemio, ne indica tre principali:
1) La guerra mossa dal re africano Agramante a Carlo Magno sul suolo di Francia;
2) L’amore d’Orlando per Angelica e l’inesausta quanto vana ricerca della donna amata, che si risolve nella scoperta dle suo tradimento e dello sposalizio con Medoro, nella follia dell’eroe e nel suo finale rinsavimento, grazie ad Astolfo che ha recuperato il suo senno con un viaggio sulla luna;
3) Le vicende di Ruggiero e Bradamante, divisi da infinite peripezie, che si concludono con la conversione di Ruggiero al cristianesimo e con le nozze, da cui avrà origine la casa estense.
Un’altra interprestazione sostiene che all’interno del poema ci sia una forza centrifuga (che porta i paladini lontano dalla guerra) opposta ad un forza centripeta (rappresentante il senso del dovere, che richiama i paladini a combattere sotto le mura di Parigi). Questa divisione da al poema uno schema molto più mobile:
- Canto I – XIII⇒ forza centrifuga, il tema principale è l’amore: appare Angelica e i paladini la inseguono abbandonando Parigi;
- Canto XIV – XIX ⇒ forza centripeta, intonazione guerresca;
- Canto XX – XXXIX ⇒ forza centrifuga, inizia la pazzia d’Orlando, si celebrano le nozze tra Angelica e Medoro, Astolfo va sulla luna, rinsavimento d’Orlando.
- Canto XL – XLVI ⇒ riappare la forza centripeta che riporta i paladini a Parigi, viene decretata la vittoria dei cristiani e la sconfitta dei saraceni.
Il motivo dell’“inchiesta” e la struttura del poema.
La critica più recente ha notato che anche al centro del Furioso, come già nei romanzi cavallereschi precedenti, vi è il motivo dell’“inchiesta”: ciò che muove la vicenda e suscita le imprese dei cavalieri è la ricerca di un oggetto. Ma mentre nei romanzi arturiana medievali la ricerca si caricava di sensi mistico - religiosi, nel Furioso l’”inchiesta” assume un carattere del tutto profano e laico. Tutti i personaggi desiderano e ricercano qualche cosa, una donna, l’uomo amato, un elmo, la spada, un cavallo. Ma il desiderio è vano, gli oggetti ricercati deludono sempre le attese e appaiono irraggiungibili, l’“inchiesta” risulta sempre fallimentare e inconcludente.
Il motivo dell’inchiesta si dichiara sin dall’apertura dle poema, nel canto I che è subito percorso da un movimento incessante, con la fuga d’Angelica nella selva e la serie di continui incontri con paladini che si pongono al suo inseguimento, lasciando la ricerca d’altri oggetti, un elmo, in cavallo. Così simbolo del motivo dell’inchiesta fallimentare è l’episodio del palazzo d’Atlante, in cui vari cavalieri sono attirati dal mago col miraggio ingannevole degli oggetti da loro desiderati, e si aggirano senza sosta in una sorta di labirinto senza uscita.
L’inchiesta si traduce in un movimento circolare, che non approda mai ad una meta e ritorna sempre su se stesso,ad indicare il carattere ossessivamente ripetitivo della ricerca. Il moto circolare e l’azione ripetitiva rendono metaforicamente il senso della ricerca inappagata e della sua frustrante inanità. L’inseguire vanamente questi oggetti delusori costituisce per i personaggi uno sviarsi, un errore, altro termine chiave del poema: che può essere errore in senso materiale, l’errare, l’allontanarsi fisicamente, ma anche morale e intellettuale: il desiderio ossessivo e insoddisfatto può trasformarsi in follia.
Una funzione essenziale ha nel poema l’organizzazione dello spazio. Si tratta di uno spazio vastissimo, che svaria dalla Francia alla Penisola Iberica all’Italia, al nord dell’Europa, al vicino e all’estremo Oriente, all’Africa. La concezione dello spazio è estremamente indicativa a rivelare la concezione del mondo di un autore.
Lo spazio del Furioso è uno spazio del tutto orizzontale: il movimento dei cavalieri avviene sul piano di una perfetta orizzontalità, nella dimensione puramente terrena. Può sembrare un’eccezione il viaggio d’Astolfo sulla luna, ma solo apparentemente, in quanto la luna non è che il complemento della terra, il suo rovescio speculare: di fatto, quindi, Astolfo non abbandona mai realmente il piano orizzontale della terrestrità. Il mondo del Furioso è dunque un mondo tutto immanente, che ignora o mette tra parentesi la trascendenza. Il Furioso riflette la concezione laica che è propria del Rinascimento.
Quello del Furioso è quindi uno spazio aperto al desiderio e alla scelta umani, ma anche labirintico e frustrante. In esso domina l’azione capricciosa e imprevedibile della Fortuna.
L’organizzazione del tempo è analoga a quella dello spazio. Il tempo non è lineare, ma anch’esso labirintico: poiché sono molteplici i fili narrativi che si succedono sull’asse sintagmatico del racconto; infatti, questi sono in realtà contemporanei oppure fatti raccontati successivamente sono precedenti, o viceversa. E’ un tempo aggrovigliato che torna costantemente su se stesso; la stessa idea di un mondo labirintico e molteplice scaturisce dalla struttura dell’intreccio narrativo.
Labirinto e ordine: struttura narrativa e visione del mondo.
Come dall’organizzazione dello spazio e del tempo, anche da questa struttura emerge l’immagine di un reale labirintico, infinitamente vario e molteplice, mutevole e imprevedibile. L’impressione che il poema rende è quella di un cosmo perfettamente ordinato e armonico. In primo luogo l’entrelacement, non dà mai il senso di un accostamento casuale, ma appare sempre inserito in un disegno organizzativo rigoroso, che la lucida mente del poeta regola dall’alto, con perfetto dominio e perfetta consapevolezza registica. Il poeta stesso nel corso del racconto più volte enuncia il principio dell’unità che vi deve essere nella molteplicità, della sapiente armonizzazione della varietà di fili narrativi, di materiali e di toni che sono presenti nel poema.
C’è qui l’idea di un armonizzazione concertante delle varie vicende e delle varie materie trattate, imprese guerresche e amori, eventi tragici e intermezzi maliziosi e comici; e vi si rispecchi il principio caro alla poetica rinascimentale, dell’artista che nella sua opera è come Dio nel mondo, perfetto dominatore della sua creazione.
In secondo luogo le intricate e multiformi vicende della trama si vengono a comporre in equilibrate architetture e geometriche simmetrie. Le più evidenti sono quelli che s’instaurano tra le due “inchieste” principali del poema: Orlando cerca la donna amata, Bradamante cerca l’uomo che ama.
Inoltre se la materia cavalleresca dà l’impressione, come si osservava, di una struttura aperta, capace di espandersi all’infinito per addizione d’avventure su avventure, per il ricominciare ininterrotto della sequela di vicende, in realtà tutti i filoni narrativi principali arrivano ad una conclusione.
Alla struttura aperta dle romanzo cavalleresco, ad un centro punto dell’intreccio, comincia a sostituirsi una struttura completamente diversa, quella chiusa e compatta che è propria dell’epica classica. Una serie d’indizi testimonia la volontà da parte del poeta, del recupero della struttura epica.
Nella visione pessimistica d’Ariosto la pluralità del reale e il caos del mondo retto dall’arbitrio capriccioso della Fortuna non sono dominabili. L’uomo che si muove dentro questa realtà, inseguendo le infinite possibilità che gli si offrono, è destinato allo scacco, a non raggiungere mai gli obiettivi. Il poeta, creando l’universo fantastico del poema, costituisce un simulacro, un modello del mondo, che è dominabile intellettualmente, passibile di essere strutturato in ordine perfetto: Ariosto, consapevole di non poter dominare la realtà, ne domina almeno razionalmente il simulacro artistico attraverso l’organizzazione formale dell’opera. Se il mondo è caos, contraddittorietà, mutevolezza, rovesciamento continuo delle attese, gioco d’apparenze ingannevoli, il poema che n’è il simulacro può essere ridotto all’ordine, chiuso in una struttura limpida e simmetrica. Se nella realtà l’uomo è soggetto a forze capricciose e incontrollabili e va incontro all’inevitabile delusione, all’errore, alla follia, nell’universo della finzione, l’uomo artista è appunto come Dio, che può esercitare un controllo totale sulla sua creazione.
La materia cavalleresca e l’ironia
Dietro le avventure meravigliose si manifesta un lucido intento conoscitivo, un autentico impegno intellettuale, che è profondamente agganciato alla realtà, e rivela un atteggiamento liberamente critico nei confronti degli uomini e della società, che è affine a quello delle Satire. La vera materia del Furioso è costituita da una moderna concezione della vita e dell’uomo, e che pertanto Ariosto trasforma il poema cavalleresco in “romanzo contemporaneo”, nel romanzo cioè delle passioni e delle aspirazioni degli uomini del suo tempo.
Proprio perché sempre accompagnato da questa ferma volontà di riflessione sul reale, l’abbandono al piacere del meraviglioso romanzesco in Ariosto non può essere totale. Di qui nasce il procedimento dello straniamento, che è costante del Furioso. Esso consiste in un improvviso mutamento nella prospettiva da cui è presentata la materia, nell’allontanarla e nel guardarla con occhio estraneo, in modo da impedire l’immedesimazione emotiva nel mondo narrato e in modo da costringere anche il lettore a guardare personaggi, situazioni e sentimenti come da lontano,e quindi a riflettere su di essi con atteggiamento critico. Un simile effetto è ottenuto con vari procedimenti. Quello usato nel Furioso è la limitazione dell’omniscenza: il narratore ostenta una imperfetta conoscenza dei fatti, giocando deliberatamente a limitare il proprio statuto di omniscenza. Fingendo di non avere dati certi, e di essere costretto a formulare ipotesi, il narratore si allontana così dai fatti narrati, mette in piena evidenza il suo sorridente distacco. Questi procedimenti di straniamento sono tra gli strumenti principali dell’ironia ariostesca, che implica sempre una forma di distacco dalla materia, uno sguardo da lontano, sornione e disincantato.
Un procedimento affine allo straniamento, e sempre veicolo di ironia, è l’abbassamento. Si è detot che per Ariosto i valori cavalelereschi non sono più praticabili, sono solo una realtà remota da guardare con distacco. Questo induce Ariosto ad abbassare leggermente la dignità epica ed eroica idei personaggi, portandoli ad un livello più prosaico e familiare, e facendo così emergere al di sotto delle apparenze di cavalieri e delle dame gli uomini e le donne comuni, con i loro limiti e i loro errori. Questo abbassamento può scaturire dal semplice montaggio della scena, dall’oggettivaità di fatti raccontati. In altri casi invece l’abbassamento è prodotto da un intervento del narratore, mediante l’uso di paragoni e similitudini prosaiche, che determinano un contrasto con la qualità dei personaggi.
Proprio abbassando i personaggi eroici alla realtà quotidiana e familiare e rivelando in essi l’uomo comune, questo procedimento trasforma la materia epica cavalleresca in punto d’avvio della riflessione sulla natura del reale e sul comportamento degli uomini.
Il pluralismo prospettico e la narrazione polifonica
Nel poema, ogni certezza e ogni acquisizione non è mai definitiva, ma viene superata con un procedimento di correzione continua, che rende sempre reversibile la lettura. Viene a crearsi in tal modo un pluralismo prospettico, che è uno dei caratteri salienti del Furioso. Nel corso della narrazione diversi modi di giudicare un fatto o un comportamento possono alternarsi, senza che mai si imponga un giudizio definitivo, univoco e incontrovertibile. Nel poema si manifestano varie voci, portatrici di varie prospettive sul reale, di vari orientamenti ideologici, tutte in perfetta autonomia, senza che l’autore intervenga a fissare una prospettiva privilegiata. L’Orlando furioso possiede insomma i caratteri formali tipici della narrazione polifonica. Questo pluralismo prospettico dominate nel Furioso è il corrispettivo speculare di quel mondo infinitamente molteplice e vario di cui il poema vuole essere il simulacro.

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