ALFIERI GOLDONI LEOPARDI FOSCOLO

Materie:Riassunto
Categoria:Italiano

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Testo

INDICE:
ALFIERI
GOLDONI
GIACOMO LEOPARDI
FOSCOLO
ALFIERI
VITA:Alfieri nacque il 16 gennaio del 1749 da una ricca famiglia di nobiltà terriera. Andò in accademia doveperò poi uscì seguendo il grand tour e compì numerosi viaggi per l’Italia e l’Europa. Il giovane non si spostava indotta dalla curiosità di vedere e di conoscere luoghi ma è spinto da una smania di febbrile movimento, da un’irrequietezza continua, che non gli consentiva di fermarsi in un luogo. Alfieri è un ribelle per antonomasia , disprezza le masse non aristocratiche. La depressione è ulteriormente accresciuta da un tristo amore, una relazione con una marchesa che non andò bene. Nel 1755 Alfieri colloca la svolta fondamentale, l’illuminazione destinata a dare un senso alla sua vita. Lui aveva abbozzato una tragedia (Antonio e Cleopatra) e egli scopre che potrà proiettare i propri sentimenti nella poesia così da trovare un superamento dei propri tormenti con la tragedia. Comincia a studiare la lingua italiana. Muore a Firenze il 1803.
ILLUMINISMO E ALFIERI: le basi degli studi di Alfieri sono ancora illuministe, ma verso quella cultura prova una confusa insofferenza. Il freddo razionalismo scientifico per lui soffoca il “forte sentire” cioè l’urgenza de3lle passioni. Alfieri esalta la passionalità sfrenata, senza limiti. Alfieri è mosso da uno spirito religioso che si manifesta in un’oscura tensione verso l’infinito. Alfieri porge un giudizio negativo verso la classe borghese perché ha solo un interesse materiale ma anche verso la massa.
IDEE POLITICHE: anche le idee politiche sue hanno una matrice illuministica. Nel pensiero di Alfieri si scontrano due entità mitiche e fantastiche cioè la tirannide e la libertà. Da un lato c’è un bisogno di di un affermazione totale dell’io, dall’altra la percezione di forze oscure che nell’io stesso si pongono a questa espansione e la corrodono. Si delinea un titanismo alfiriano cioè la volontà di andare contro le regole cioè lo scontro tra l’io e la realtà esterna. Titanismo = pessimismo. Alfieri tutto sommato resta un aristocratico, quindi in questa ultima parte della sua esistenza il suo accentuiamo diventa maggiore perché arriva ad esaltare quelli che sono i privilegi dei nobili perché non ha nessuna affinità con i valori borghesi. Tuttavia possiamo trovare un elemento positivo che è il concetto di nazione cioè la riscoperta delle proprie radici culturali e storiche, che ogni letteratura farà nell’arco del romanticismo. Per l’Italia è una questione ancora più pressante perché non esiste la nazione italiana mentre esiste da secoli una nazione Francese, Inglese perché da secoli hanno tenuto l’unificazione, mentre la situazione italiana è che ci sono una miriade di saterelli in gran parte dominati dagli stranieri . Il concetto di nazione è uno dei principi fondamentali del romanticismo. In questo contesto l’Alfieri si augura proprio questa avversione contro la Francia possa suscitare nel popolo italiano una coscienza nazionale e quindi in questo modo l’Italia possa tornare una nazione libera. Auspicando questo il poeta diventa un poeta vate cioè colui che profetizza il futuro. L’Alfieri profetizzava che l’Italia, partendo da questa avversione per tutto ciò che è francese, potrà un giorno riscattarsi dalla schiavitù dello straniero. Come poeta vate quindi sarà esaltato non solo dalla generazione che lo succede subito ma anche dai poeti romantici anche se in realtà questa è una pezza che gli è stata cucita addosso, comunque questo concetto di nazione è un concetto senz’altro nuovo e innovativo, rispetto al cosmopolitismo illuminista, quindi non più l’uomo al centro del mondo ma l’uomo che appartiene ad una nazione e soprattutto sente di appartenerci.
LA POETICA TRAGICA: il destino di Alfieri è diventare un poeta tragico e quindi canalizzare in questa forma di espressione artistica tutto questo groviglio di sentimenti e di aspirazioni che lui sente dentro di se. Tra l’atro egli esalta il forte sentire, la passionalità, l’indulgenza dei sentimenti, contrapponendoli alla ragione, e tutto questo nella tragedia trova la forma più alta perché la tragedia proprio come genere letterario è una rappresentazione teatrale, in cui vengono messi in evidenza fortissime tensioni e altrettanto forti sentimenti. Prima consapevolezza dell’Alfieri cioè capisce un senso alla propria esistenza, per dare sfogo alla propria inquietudine, a questa passionalità che sente vibrare dentro di se, la scrittura tragica è la forma letteraria più idonea. Un altro motivi che induce Alfieri a questa scelta è che l’Alfieri visto che voleva costruire le proprie tragedie, i propri personaggi eccezionali, in un certo senso trasfonde in essi quella che è la sua percezione del proprio io, quindi i suoi personaggi non sono altro che il riflesso del suo carattere, di questa sua passionalità, non sono personaggi ambigui ma hanno caratteristiche ben delineate. Un altro motivo è una sfida, cioè scrivere tragedie è una sfida perché non esisteva nella tradizione letteraria italiana una serie di autori di grande peso in ambito della tragedia, l’unico che aveva scritto tragedie prima di Alfieri era Federico della Valle, ma non certo con l’elevatura che successivamente raggiungerà Alfieri. Invece in Francia nel secolo precedente abbiamo avuto autori del peso di Rastin e Cornei. Quindi la sfida consisteva nel raccontare un genere che in Italia non aveva tradizioni, non aveva fino ad ora prodotto grandi tragediografi nella nostra letteratura. Un altro motivo è la difficoltà nell’elaborare tragedie perché di per sé la tragedia è un genere alto anzi il più alto, quindi serve una perfetta padronanza degli strumenti espressivi quindi è una sfida anche dal punto di vista formale. Proprio per l’insieme di questi motivi diciamo che l’Alfieri era quasi obbligato a scrivere la tragedia, non avrebbe potuto scrivere altra forma letteraria.
COME E’ STRUTTURATA LA TRAGEDIA ALFIERIANA: non esistono modelli di riferimento nella nostra letteratura di grande peso quindi lui guarda la tragedia francese. Tuttavia Alfieri muove alcune critiche alla tragedia ovvero 1) le lungaggini cioè Alfieri rimprovera alla tragedia francese per esempio l’eccessivo numero di personaggi che rallentano l’azione e quindi rallentano anche l’interesse del pubblico 2) l’eccessivo sentimentalismo quindi lo scadere un po’ nel patetico, nel sentimentale 3) l’intreccio troppo elaborato quindi poco verosimile 4) l’eccessiva musicalità dei versi. Secondo Alfieri le caratteristiche della tragedia devono essere 1) la tragedia divisa in cinque atti ma piena e niente divagazioni, deve essere ben chiara la vicenda 2) l’azione si chiarisce attraverso il dialogo tra i personaggi principali, non ci devono essere personaggi principali che fanno solo da sfondo 4) l’intreccio non complicato 5) niente lungaggini, non si deve eccedere troppo nel sentimentalismo. La stessa rapidità che deve essere attuata nella struttura della tragedia deve essere attuata nello stile, quindi uno stile breve e coinciso, pratico ed essenziali quindi battute molto brevi. Nei confronti dell’eccessiva musicalità della tragedia francese, Alfieri contrappone questa incisività, addirittura giunge all’estremo opposto quindi uno stile antimusicale, aspro.
LA DISCIPLINA CLASSICA: a differenza degli autori preromantici e poi ancora romantici Alfieri rispetta le unità ipotetiche. Sono comparse nel 500 quando è stato rinvenuto il testo della poetica di Aristotele, che tra le altre cose stabiliva questa regole compositive per la tragedia. Unità di tempo, di luogo e d’azione. 1) Unità di tempo cioè la tragedia deve svolgersi nell’arco di una sola giornata 2) Unità di luogo cioè ci deve essere una scena fissa 3) Unità d’azione cioè l’azione deve essere unitaria cioè non ci devono essere azioni che possono sviare l’attenzione dello spettatore dalla vicenda principale. L’Alfieri ha usato queste regole, però non è solo una semplice esecuzione di regole, in realtà questa attenzione alle regole serve per dare un certo rigore, una certa disciplina a questo suo mondo interiore così tormentato, così appassionato ed infatti dice che nel rispetto di queste regole può trovare una specie di catarsi. L’elaborazione di ogni tragedia si articola in tre momenti ovvero “ideare, stendere, verseggiare”. Ideare significa scegliere l’argomento, scegliere i personaggi, distribuire questo argomento nell’arco dei cinque atti in cui si compone la tragedia. Stendere che significa stendere la vicenda ovvero la prosa. Verseggiare ovvero trasformare dalla prosa in versi con specifiche caratteristiche.
L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA TRAGICO: nelle sue prime tragedie si nota il sogno di grandezza sovrumana, lo slancio titanico di affermazione dell’io al di là di ogni limite e ostacolo, che connota l’orientamento spirituale del giovane Alfieri. Il pessimismo di Alfieri è visto come una sfiducia per l’uomo che non sa risolvere questi dilemmi che lo attanagliano.
FILIPPO: in questa sua tragedia si vede la contrapposizione tra l’uomo e il tiranno. Il tiranno è Filippo II e il miser uomo cioè il suo antagonista è il figlio Torpedo. Questa contrapposizione tra il tiranno e il pover uomo si ripropone, pur con personaggi diversi, anche nelle tragedie successive ad eccezione di due che sono considerati i vertici della produzione classica alfieriana cioè il “Saul” del 1782 e la “Mirra” del 1784.
Saul: questo conflitto che nelle tragedie precedenti era espresso da due personalità (il miser uomo e il tiranno) che si contrapponevano, adesso è incentrato su due facce della personalità del protagonista quindi il conflitto è all’interno del personaggio principale, cioè da una parte il senso di debolezza nei confronti della sorte avversa, dall’altra la volontà di affermazione di se che si concretizza nel gesto estremo cioè il suicidio del re che si uccide con la sua spada piuttosto di finire nelle mani dei nemici.
Alfieri riscopre, in particolare in Mirra, alcuni aspetti dei sentimenti umani in particolare gli apsetti domestici.
Mirra: è innamorata del proprio padre e quindi questa passione che lei non ha fatto nulla per far sorgere dentro di se, e che pure la travolge fino ad annientarla, è una specie di doppia personalità; quindi da una parte c’è una passione amorosa che tenta in tutti i modi di contrastare, ma senza riuscirci perché alla fine si uccide, dall’altra pare il freno morale cioè la consapevolezza che questo sentimento è un sentimento peccaminoso perché va contro le regole della morale. Amore contro morale. Mirra esce sconfitta da questo scontro perché alla fine si ucciderà.
GOLDONI
Carlo Goldoni nasce il 25 febbraio 1707 a Venezia, da Giulio e da Margherita Salviani. A nove anni raggiunge il padre medico, a Perugia e qui inizia gli studi presso i Gesuiti. Dal ‘23 al ’25 è allievo del Collegio Ghilisieri di Pavia e frequenta la facoltà di Giurisprudenza, ma a causa di una violenta satira, «Il Colosso», diretta contro le famiglie della nobiltà pavese, è costretto ad abbandonare la città. Nel ’31, la morte improvvisa del padre lo obbliga a riprendere gli studi interrotti e a laurearsi in legge a Padova. Dopo qualche anno di mediocre pratica dell’avvocatura e di viaggi in numerose città, si stabilisce a Milano e nel ’34, ha occasione di incontrare il Capocomico Giuseppe Imer, per il quale, negli anni successivi, scriverà intermezzi comici, tragedie e tragicommedie. Nel ’36 sposa a Genova Nicoletta Conio. E’ solo nel ’38 che Goldoni si dedica alla commedia e scrive Momolo Cortesan, in cui la parte del protagonista era scritta quasi per intero, dando così inizio alla «riforma tecnica» che lo condurrà in seguito ad abbandonare per sempre l’improvvisazione della Commedia dell’Arte. Nel ’47 conosce Gerolamo Medebach, che a Venezia teneva Compagnia a Sant’Angelo, e si convince a collaborare con lui. In questo periodo nascono: La vedova scaltra, La putta onorata, Il cavaliere e la dama. Nel ’50 scommette col pubblico di sfornare 16 commedie in un solo anno; promessa che manterrà, dando vita tra le altre, a: La bottega del caffè, Il bugiardo e Pamela. Nel ’53 nasce la Locandiera, proprio al termine del periodo che lo vede al fianco di Medebach. Nel periodo successivo assume un impegno di 10 anni con il teatro SanLuca e qui mette in scena alcuni capolavori come Il campiello, I rusteghi, La trilogia della villeggiatura, Le baruffe chiozzotte Alcuni insuccessi e l’ormai irriducibile disputa con Gozzi, convincono il commediografo ad abbandonare Venezia e raggiungere Parigi, invitato dal Tèâtre-Italien, per il quale però dovrà riprendere a scrivere «a soggetto». Nel novembre del ’71 il Bourru bienfaisant viene rappresentato alla Comédie Italienne, e suscita l’ammirazione di Voltaire. Sempre a Parigi scrive, in francese, le sue Memorie, iniziate nell’84 e pubblicate nell’87. Luigi XV gli accorda una modesta pensione annua, che però gli sarà tolta nel ’92, in piena Rivoluzione. Muore quasi in miseria a Parigi, nel 1793, il giorno prima della restituzione, da parte dell’Assemblea costituente, della pensione regia. Usando termini moderni, si potrebbe affermare che Goldoni è un conservatore incline al progressismo. Dotato di cultura non vastissima, ma di ingegno raffinato e di grande buonsenso e amore per la vita, si connota come letterato investito del compito di traghettare il suo pubblico da un momento storico e culturale ad un altro, per mezzo, soprattutto, di quella «riforma» che si attua con un graduale abbandono della Commedia dell’Arte. Tale processo di rinnovamento avviene con la progressiva eliminazione di tutti gli elementi fantastici e inverosimili -le maschere, i lazzi, gli zanni o servi- e dell’improvvisazione, la quale sarà sostituita da una completa scrittura delle parti degli attori. La «riforma», aldilà dell’aspetto tecnico, pure fondamentale, si presenta anche come riforma ideologica, infatti i personaggi goldoniani, durante il corso della sua produzione artistica, diventano sempre più realistici, le storie più verosimili, e la borghesia rappresentata in scena prende il sopravvento –così come nella vita reale- sulla ormai irrequieta e vacillante aristocrazia. Tale cambiamento storico-politico però, non dobbiamo dimenticarlo, non si realizza in modo indolore, e la nobiltà veneziana, ormai consapevole della propria decadenza, tenta strenuamente di conservare privilegi e potere. In questa complessa situazione, Goldoni si vede costretto a trasformare in toscani o napoletani, i nobili che intendeva ridicolizzare, in modo da evitare le reazioni della censura veneziana. Interessante altresì, è il ritorno di Goldoni alla «classicità»: egli infatti fa in modo che le sue opere si svolgano nello stesso luogo e nello spazio temporale di un giorno, e che l’intreccio principale non venga affiancato da altre narrazioni parallele (unità di azione). Infine, a fianco del rinnovamento tecnico e di quello ideologico, nelle commedie di Goldoni, si realizza anche un cambiamento linguistico, spesso criticato e discusso: egli infatti passa con gradualità, dal plurilinguismo al monolinguismo, riscrivendo talvolta le sue commedie in «toscano», che però fu considerato troppo scolastico, convenzionale e non appartenente alla lingua viva. Molto diverso è invece il suo veneziano, che conosce perfettamente, e che pur risultando come un compromesso tra il linguaggio colto di una parte della popolazione e quello spontaneo e vivace di un’altra, non perde mai aderenza alla vita reale.
L’obbiettivo di Goldoni era quello di scrivere opere che siano verosimili ovvero dove i spettatori possano riconoscersi. I caratteri goldoniani sono sempre radicati in un contesto sociale molto concreto e precisamente delineato, che incide in modo profondo sulla loro conformazione psicologica. Le commedie di Goldoni possono essere divise in commedie di “carattere” intese a delineare una figura e le commedie “di ambiente” intese a descrivere un particolare settore della vita sociale. C’è un rapporto dinamico tra individuo ed ambiente. Goldoni rifiuta l’improvvisazione della vecchia commedia dell’arte, o meglio gli attori improvvisavano ma grazie a dei canovacci.
Goldoni incontrò inevitabilmente degli ostacoli e delle difficoltà sia da parte degli attori abituati a recitare con le maschere e “all’improvviso” sia dal pubblico che subito restò sconcertato dalle commedie “realistiche” di Goldoni in cui non ritrovava più gli intrighi complicati che lo avvincevano, le maschere a cui era tanto affezionato ed i lazzi che lo divertivano. Goldoni iniziò a stendere per intero solo la parte del protagonista, solo più tardi arrivò a scrivere una commedia in cui tutte le parti erano scritte venivano conservate le maschere ma con sottile abilità, esse venivano conservate dall’interno in modo che sotto la maschera cominciava a delinearsi un carattere individuale. Al termine di questo processo di maturazione anche le maschere vennero eliminate.
Nelle commedie di Goldoni il “Mondo” è essenzialmente la società Veneziana dove il potere è in mano ad una stretta cerchia di famiglie nobili. Un personaggio molto rappresentato da Goldoni è il mercante che si presentava ancora sotto la maschera di Pantalone ma assume gia una sua concreta fisionomia. La mercatura è utile al mondo, l’uomo vile è quello che non sa riconoscere i suoi doveri, la nobiltà è colpita dalla critica Goldoniana in quanto è superba e prepotente.
La lingua italiana era in realtà uno strumento essenzialmente letterario impiegato nella comunicazione scritta o ufficiale. Le lingue di uso comune erano i dialetti quindi un problema per Goldoni era quello in che lingua scrivere le sue commedie. Lui usa un italiano povero, convenzionale e piatto, senza rilievo ne colore. La lingua di Goldoni rivela consistenti residui dilettali. Quando si rivolge al pubblico della sua città ovvero Venezia uso il dialetto veneziano.
MONDO E TEATRO:
in questo testo goldoni ripercorre essenzialmente l’itinerario che lo ha condotto alla riforma della commedia. Prende le mosse della sua prepotente irresistibile vocazione teatrale manifestatasi sin dalla giovinezza, che lo ha indotto a dedicarsi interamente alla professione di poeta. Insiste poi sul fatto che in tutti i momenti della sua vita il suo animo era fisso al teatro per cui tutta la sua esperienza era immagazzinata al fine di acquisire una materia da cui ricavare argomenti per composizioni sceniche. A questo punto si inserisce il quadro polemico della commedia italiana ancora dominata dai comici dell’Arte. Gli aspetti negativi che goldoni sottolinea di tale tipo di teatro sono la grossolanità delle arlecchinate, la materia scandalosa, la costruzione degli intrecci, che piacevano solo ad un pubblico plebeo e rozzo suscitando il fastidio di quello più colto. Ciò che Goldoni salva della commedia dell’Arte sono quegli elementi che già vanno nella direzione del suo gusto realistico. Lui nel scrivere i suoi libri non si è inspirato ad altri autori o ai libri in cui vengono elencate delle regole di composizione ma si è ispirato a questi 2 libri che sono il mondo e il teatro (La realtà della vita e il meccanismo del mondo teatrale che lui conosceva già da giovane)che sono alla base della sua riforma.Libro del mondo: dimostra tanti caratteri di persone che li attrae al naturale che gli sembra fatto apposta per scrivere delle graziose e costruttive commedie. Vuole dare degli insegnamenti morali ma non per questo deve trascurare il gusto del pubblico l istruire ma divertendo. Goldoni rifiuta ogni forma di purismo ovvero ad un ideale di lingua pura consacrato dai modelli classici.
LA LOCANDIERA:in questa commedia si può vedere la presenza di tenui legami alla commedia dell’Arte, ma sono questi che fanno risaltare la distanza che separa la scrittura drammatica Goldoniana dagli scenari della commedia dell’Arte. Mirandolina non è più un ruolo o una maschera fissa ma è un carattere nelle sue multiformi sfumature, come tutti gli altri personaggi.
GIACOMO LEOPARDI
VITA:
Giacomo Leopardi nacque il 29 giugno 1798 a Recanati, paese che si trova tra il mare e la collina ed è uno dei paesi più arretrati e questa è la prima forma di infelicità di Leopardi. La famiglia poteva essere considerata tra le più cospicue della nobiltà terriera marchigiana, ma si trovava in cattive condizioni patrimoniali tanto da dover osservare una rigida economia per conservare il decoro esteriore del rango nobiliare. Leopardi aveva una madre dura, severa che non ha nessun sentimento affettivo versi i figli. Per la madre l’importante era mantenere la facciata esteriore cioè mantenere un certo distacco con il resto della popolazione e questo provocava il distacco di Leopardi di altri coetanei e lui poteva solo guardare dall’alto della sua camera i bambini che giocavano. Leopardi fu istruito inizialmente da precettori ecclesiastici, ma non avendo più nulla da imparare da essi si chiuse nella biblioteca paterna dove continuò da solo i suoi studi per 7 anni i quali contribuirono a peggiorare le condizioni di salute. Imparò in breve tempo il latino, il greco e l’ebraico. Secondo lui lo studio poteva coprire la mancanza di affetto da parte della famiglia. Tra il 1815 e il 1816 si attua quella che lui chiama la sua conversione “dall’erudizione al bello” cioè abbandona le aride minuzie filologiche e si entusiasma per i grandi poeti come Omero, Virgilio e Dante. Un momento importante per la sua formazione intellettuale fu l’amicizia con Pietro Giordani uno degli intellettuali più significativi di quegli anni, di orientamento classicista. In lui vedeva un sostituto della figura paterna. Nell’estate del 1819 tenta la fuga da Recanati ma il tentativo fallì. La conseguenza è l’aver capito la nullità di tutte le cose che diviene il nucleo del suo sistema pessimistico. Questa crisi del 1819 segna un altro passaggio quello “dal bello al vero”, dalla poesia di immaginazione alla filosofia e ad una poesia nutrita di pensiero. Comincia a scrivere molte note nello Zibaldone, una sorte di diario intellettuale avviato due anni prima dove lui scrive appunti, riflessioni filosofiche, letterarie, linguistiche. Lo Zibaldone è il punto di partenza per capire l’autore, è una specie di diario intimo cioè è una storia dell’anima. Nel 1822 può uscire da Recanati e vedere il mondo esterno, si reca a Roma. Ma l’uscita tanto desiderata si risolve in una cocente delusione. Secondo lui è “tutta una grande Recanati”. Tornato al suo paese natio nel 1823 si dedica alla composizione delle “Operette morali” a cui affida l’espressione del suo pensiero pessimistico. Sono una serie di dialoghi che il poeta immagina ci siano tra personaggi anche immaginari. Inizia qui un periodo di aridità interiore. Nel 1825 gli si offre l’occasione di lasciare la famiglia e di mantenersi con il proprio lavoro intellettuale, una serie di collaborazioni con un editore milanese. Soggiorna così a Milano e Bologna, poi va a Firenze e poi ancora a Pisa. A Pisa, grazie alla dolcezza del clima e ad una relativa tregua dei suoi mali, ebbe un risorgimento della sua facoltà di sentire e di immaginare. Qui scrive una lettera dove sente dentro di se riconoscere la voglia di scrivere. Nella primavera del 1828 scrive “A Silvia” che apre la serie dei “grandi Idilli”. Le necessità economiche e le suo condizioni di salute lo costrinsero a far ritorno a Recanati. Per il poeta questo ritorno è visto come un grande dolore. Nell’aprile del 1830 accettò una generosa offerta degli amici fiorentini e lascia così Recanati per non farvi più ritorno. Comincia una nuova fase della sua esperienza intellettuale. A Firenze fa anche l’esperienza della passione amorosa per una ragazza. La delusione subita ispira un nuovo ciclo di canti, il cosiddetto “ciclo di Aspasia”, è una delle più famose Eterie perché era insieme a Pericle. A Firenze stringe una fraterna amicizia con un giovane napoletano, Antonio Ranieri, e con lui fa vita comune fino alla morte. Dal 1833 si stabilisce a Napoli col Ranieri. Qui entra in polemica con l’ambiente culturale dominato da tendenze idealistiche e spiritualistiche, avverse al suo materialismo ateo. Al polemica prende corpo soprattutto nell’ultimo canto “La ginestra” che era uno sorte di suo testamento spirituale. A Napoli muore nel 1837, dove viene sepolto temporaneamente.
IL PENSIERO
Al centro della meditazione di Leopardi si pone subito un motivo pessimistico, l’infelicità dell’uomo. Restando fedele ad un indirizzo di pensiero settecentesco e sensistico il quale afferma che le nostre conoscenze derivano dalle nostre sensazioni, identifica la felicità con il piacere, sensibile e materiale. Ciò va inteso in senso religioso e metafisico, come tensione verso un’infinità divina al di là delle cose contingenti, ma in senso puramente materiale.
LA TEORIA DEL PACERE: afferma che l’uomo ha dentro di se un desiderio infinito e quindi essendo infinito non può trovare appagazione cioè non può essere soddisfatto perché nessun desiderio è infinito ne per intensità ne per durata.
La natura, che in questa prima parte viene vista come madre benigna, che è attenta al bene delle sue creature. La natura pone un rimedio all’uomo che è quello dell’immaginazione e delle illusioni grazie alle quali lei ha nascosto all’uomo le sue misere condizioni.
Il progresso della civiltà che è stato fatto grazie alla ragione, ha allontanato l’uomo da quella condizione privilegiata, inoltre ha fatto vedere a lui il “vero” rendendolo così infelice.
• La prima fase del pensiero di Leopardi è costruita su questa contrapposizione tra natura e ragione, antichi e moderni. . A questo tema si ricollega il fatto che il fanciullo è più felice dell’uomo e l’uomo antico è più felice di quello moderno perché sia il fanciullo che l’uomo antico sono più dotati di fantasia e quindi più capaci di illudersi. La colpa dell’infelicità dell’uomo è da attribuirsi a lui stesso poiché si è allontanato dalla giusta via che aveva tracciato la natura benigna.
Scaturisce di qui la tematica civile e patriottica che caratterizza le prime canzoni leopardiane, e ne deriva anche un atteggiamento titanico. Di qui prende vita il pessimismo storico di Leopardi.
• In una fase intermedia del suo pensiero Leopardi attribuisce la responsabilità del male al fato. Un esempio è nel “Dialogo della natura e di un Islandese” (dove in poche parole l’uomo chiede alla natura il perché la fatto nascere se deve vivere così infelicemente). Leopardi concepisce non più la natura come madre benigna e provvidente, ma come meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature. L’uomo e la sua sofferenza e la sua distruzione è essenziale per la conservazione del mondo. Questa non è più una concezione finalistica ma meccanicista e materialista. Quindi si passa da Madre benigna a Madre matrigna. Muta anche il senso dell’infelicità umana che prima era vista come assenza del piacere; ora ha un senso materialistico cioè l’infelicità è dovuta soprattutto ai mali esterni a cui nessuno può sfuggire come le malattie, elementi atmosferici, vecchiaia, morte ecc……
Al pessimismo storico della prima fase subentra il pessimismo cosmico secondo il quale
l’infelicità non è più legata ad una condizione storica e relativa dell’uomo, ma ad una condizione assoluta, diviene un dato eterno e immutabile di natura. Oramai l’ideale di Leopardi non è più l’eroe antico, ma il saggio antico la cui caratteristica il distacco dalla vita. Questo è l’atteggiamento che caratterizza le “Operette Morali”.
• In momenti successivi tornerà in Leopardi l’atteggiamento di protesta, di sfida al fato e alla natura, di lotta titanica.
LA POETICA DEL “VAGO” E “INDEFINITO”
X poetico si intende il contenuto e la forma delle opere di un poeta. X poesia si intende il risultato della poetica.
La teoria dl piacere da una parte costituisce il nucleo germinale della sua filosofia pessimistica, dall’altro è il punto d’avvio della sua poetica, della concezione della poesia. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l’uomo può figurarsi piaceri infiniti mediante l’immaginazione. Cioè che stimola l’immaginazione è tutto ciò che è vago, indefinito, lontano, ignoto e quindi provoca piacere. Nelle pagine dello “Zibaldone” Leopardi passa minuziosamente in rassegna in chiave sensistica tutti gli aspetti della realtà sensibile che per il loro carattere indefinito, possiedono questa forza suggestiva. Questi sono la teoria del suono, dell’antico ecc…
Qualsiasi cosa di vago e di indeterminato da l’idea di indefinito e quindi suscita piacere.
TEORIA DEL PIACERE: qualsiasi cosa di vago e di indeterminato da l’idea di indefinito e quindi provoca piacere.
TEORIA DELLA VISIONE: afferma che è piacevole, per le idee vaghe che suscita, la vista impedita da un ostacolo come una siepe o un albero. Sono piacevoli a vedersi perché suscitano l’immaginazione.
TEORIA DEL SUONO: Leopardi elenca una serie di suoni che sono vaghi e quindi indefiniti e quindi provocano piacere come una canto che va a poco a poco allontanandosi, un canto che va all’esterno quando una stanza è chiusa, il vento tra le fronde ecc…Erano suoni che arrivavano tutti sfumati quindi erano poeticissimi.
IL VAGO, L’INDEFINITO E LE RIMEMBRANZE DELLA FANCIULLEZZA: da fanciulli quello che ci colpisce è sempre qualcosa di vago e di indefinito e non si può esprimere a parole quello che si sente. Da grandi quando rivedremo le stesse cose vaghe e indeterminate non ci colpiranno più come prima cioè proviamo un piacere circoscritto, un piacere determinato e non tendente all’infinito.
L’ANTICO: è un elemento che suscita in noi sensazioni sublimi perché l’antico non è eterno ma noi i confini non li distinguiamo e quindi suscita in noi una tendenza verso l’infinito e quindi provoca piacere. Il moderno non suscita idea di infinito ne quindi piacere.
INDEFINITO E INFINITO: fa alcuni esempi che sembrano suscitare idea di indefiniti come la campagna, o un filare d’alberi.
IL VERO è BRUTTO: il presente che equivale al vero è circoscritto e quindi è brutto perché non puoi immaginarlo di quello che è realmente.
PAROLE POETICHE: suggerisce una serie di parole poeticissimi che suscitano in noi idee di vago, indeterminato come lontano, notte, antico…
RICORDANZA E POESIA: i ricordi che determinano la bellezza di immagini in una poesia derivano non solo da oggetti reali ma a volte anche da altre poesie. Cioè noi troviamo piacere nel leggere la poesia non solo per il contenuto specifico ma anche per altre poesie che si collegano.
LA RIMEMBRANZA: le immagini citate prima, quelle che provocano piacere, provocano piacere appunto perché la maggior parte evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. La poesia non è che il recupero della visione immaginosa della fanciullezza attraversala memoria.
LE OPERETTE MORALI E “L’ARIDO VERO”
CHIUSA LA STAGIONE DELLE Canzoni e degli Idilli inizia per Leopardi un periodo di silenzio poetico. Egli stesso lamenta la fine delle illusioni giovanili, lo sprofondare in uno stato d’animo di aridità e di gelo, che gli impedisce ogni moto dell’immaginazione e del sentimento. Per questo si dedica soltanto all’investigazione dell’”arido vero”.
Le operette morali sono prose di argomento filosofico. Leopardi vi espone il sistema da lui elaborato ricavando dallo Zibaldone. Molte operette sono dialoghi tra persone reali o immaginarie.
I temi del pessimismo sono: l’infelicità inevitabile dell’uomo, l’impossibilità del piacere, la noia, il dolore, i mali materiali che affliggono l’umanità.
IL RISORGIMENTO E I GRANDI IDILLI DEL 28-30
Il lungo periodo di silenzio poetico e di aridità inferiore si è concluso. Il poeta assiste ad una sorte di risorgimento che indica la rinascita. Scrive in questo periodo i “grandi idilli” di cui facevano parte “Il risorgimento”, “A Silvia”, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. I temi sono: la rimembranza cioè la memoria che recupera le illusioni, le speranze giovanili; la predilezioni per suoni e aspetti vaghi e indefiniti per la natura.
Il linguaggio ha una sorte di atteggiamento più distaccato quindi il linguaggio è più pacato con accenti molto dolci.
POESIE
DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE:
- fa parte delle operette morali dove vi è un pessimismo cosmico.
- Sono delle riflessioni sotto forma di dialoghi di personaggi storici e inventati.
- Vi è uno stato di infelicità di tutti gli esseri viventi.

L’INFINITO:
- è un idillio.
- L’infinito non è definibile (immensità spazio temporale), non c’è nulla di metafisico non in senso religioso.
- Estasi vista come esperienza vissuta dai santi quando si uniscono con l’infinito religioso, ma per Leopardi ha un significato più materiale.
LA SERA DEL DÌ DI FESTA:
- Ci sono 2 aspetti della ricordanza ovvero il ricordo storico cioè della Roma antica (distruzione dei grandi imperi) e il ricordo personale cioè il ricordo della fanciullezza.

FOSCOLO
LA VITA:
Foscolo è nato in un isola dello Ionio chiamata Zacinto, che allora era sotto il dominio della serenissima. La madre di Foscolo era greca. La nascita in questa isola favorirà la direzione del Foscolo in direzione della cultura classica. La famiglia si trasferisce s Spalto così il Foscolo comincia a studiare. Però poi gli muore il padre e cominciano le difficoltà economiche che travaglieranno tutta l’esistenza del Foscolo. La famiglia si trasferisce poi a Venezia e Foscolo raggiunge la madre e comincia ad essere interessato alla cultura Italiana e comincia a leggere e a comporre aiutato da una relazione con una gentildonna Veneziana che lo introduce nel mondo degli intellettuali Venezia. Da punto di vista economico le condizioni del Foscolo continuano ad essere precarie e lo saranno per quasi tutta la sua esistenza. Però lui si vanta di queste sue condizioni precarie. Dal punto di vista politico il Foscolo è un ardente sostenitore delle idee della rivoluzione francese tanto che quando Napoleone fece la prima campagna in Italia accoglie con grande entusiasmo questa iniziativa tanto da scrivere addirittura un ode “A Bonaparte Imperatore” e prima per sfuggire ai sospetti della repubblica della serenissima si era rifugiato nei colli Euganei, un analoga vicenda a quella del protagonista del suo romanzo epistolare “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”. In questa opera viene fatto un ritratti ideale di quelle che erano le aspirazioni, i sentimenti, le sensazioni di un Foscolo da giovane. Si può parlare quindi di un Foscolo Ortisiano e di un personaggio Didimeo (opera che il foscolo scrisse nella sua maturità). Quando Napoleone cedette Venezia all’Austria per Foscolo cadde il mito di Napoleone. Foscolo era giovane a quell’epoca, quindi lasci Venezia e si rifugia a Milano. Qui ha un incontro molto significativo con il vecchio Parini con il quale Foscolo ama discutere sedendosi sotto un tiglio (questo episodio viene riportato pari pari nell’Ortis e anche qualche verso nei Sepolcri). Con Parini il Foscolo condivide l’amore per la patria e poi le attività morali (il Foscolo è una personalità che non scende a compromessi a costo anche di rimetterci). Conosce Parini ma conosce anche alcuni personaggi come Vincenzo Cuoco e Monti. Foscolo però ha bisogno di trovare un’occupazione che gli garantisca il minimo per poter almeno vivere e quindi entra nell’esercito, inoltre ebbe una lunga serie di relazioni amorose. Per 2 anni va in Francia e qui conosce una ragazza inglese con cui avrà una figlia (Floriana)di cui Foscolo ignorerà l’esistenza fino a che lei non sarà grande e lo cercherà. Dopo essere rientrato in Italia ha un incontro con Ippolito Piedemonte e iniziò a lavorare sui “Sepolcri”. Nel 1808 ottenne la cattedra di eloquenza all’Università di Pavia. Qualche anno dopo fece uno spettacolo teatrale “L’Aliace” nella quali molti, nella figura di Agamennone, videro la figura di Napoleone. Foscolo abbandona Milano e si trasferisce a Firenze in una villa nei colli fiorentini dove compone il poemetto “Le Grazie”. Firenze è la terza città a cui Foscolo si sente legato. La prima è la sua città natale Zacinto, la seconda è Venezia e la terza è Firenze sia xkè vi ha vissuto un periodo di tranquillità sia xkè secondo lui è privilegiata rispetto alle altre perché ha dato gli altari ad altri personaggi famosi. Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, Foscolo tornò a Milano, dove gli venne offerto la direzione di una rivista culturale, non accetta questo incarico e va in esilio prima in Svizzera poi a Londra dove però comincia a condurre una vita sempre più misera. Per sopravvivere si da ad una attività di saggista e di traduttore. Grazie a questo lavoro di traduttore fa premettere ad una traduzione di un opera di un autore inglese una notizia intorno a Didimo Fierico e qui traccia un ritratto di se molto diverso da quello tracciato nell’Ortis. Fa un ritrattato di se molto pacato, molto maturo in cui le passioni sono tenute a freno. Muore nel 1827 in un villaggio vicino a Londra.
LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS:
è un romanzo di un genere molto particolare, si tratta di un romanzo epistolare cioè composto da lettere. Un opera che ha avuto un componimento abbastanza travagliato perché inizialmente avrebbe dovuto essere intitolato in modo diverso cioè “Laura” che era il nome della protagonista, poi però la prima composizione dell’Ortis viene interrotta. È un opera giovanile alla quale però il Foscolo ha lavorato più volte nel corso della sua vita. In questo romanzo epistolare ci sono delle opere scritte dallo stesso Lorenzo cioè la prefazione e la conclusione, chiaramente Ortis non poteva scrivere una conclusione perché si era suicidato, quindi Lorenzo racconta gli ultimi momenti di vita del suo amico Jacopo. L’esempio a cui si rifà il Foscolo è “I dolori del giovane Werther” di Ghote. Le similitudini con questa opera sono la storia di un amore infelice, si avverte che Ortis si suicida perché la donna da lui amata non potrà mai essere sua perché gia promessa ad un altro. Però accanto a questo tema amoroso ne abbiamo un altro altrettanto importante cioè il conflitto tra l’intellettuale e la società in cui vive. Questo sarà un tema molto caro agli scrittori romantici.
La vicenda ricalca molto da vicino la vicenda personale di Foscolo. → Jiacopo è un giovane patriota che dopo la cessione di Venezia all’Austria col trattato di Campoformio si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni. Qui si innamora di Teresa ma il suo amore è impossibile perché è gia promessa ad Odoardo, che è l’esatta contrapposizione di Jacopo, uomo avaro e banale, freddo e razionale, tanto quanto l’eroe è impetuoso e appassionato. La disperazione amorosa e politica porta Jacopo ad un pellegrinaggio per l’Italia. La notizia del matrimonio di Tersa lo riporta nel Veneto: rivede ancora una volta la fanciulla amata, si reca a visitare la madre e poi si uccide. ←
Ci sono delle somiglianze con il romanzo di Gothe ma ci sono anche delle differenze come: il giovane Werther esprime tutta la sua estraneità tanto all’aristocrazia quanto alla borghesia da cui tra latro proviene perché dell’aristocrazia non può entrare a far parte perché questa classe si è chiusa a difesa dei propri privilegi, ma non si sente neppure facente parte della borghesia perché non ne condivide i valori. Mentre invece x il giovane Ortis il dramma è quello di non avere e non sentire sua una patria. Questo perché il tempo in cui furono scritte le due opere è diverso. Il giovane Werther fu scritto prima della rivoluzione quando si pensava che qualcosa potesse cambiare, il Giovane Ortis è stato scritto dopo la rivoluzione e quindi esprime tutta l’ammirazione dell’autore per un rinnovamento.
Il romanzo si conclude con il suicidio, da intendere come estremo gesto di affermazione di se sia pure in senso mitistico. La morte è intesa in senso materialistico: foscolo non è religioso, x lui la morte è la fine di tutto xkè la natura non è altro che un ciclo inesorabile di nascita – morte – trasformazione della materia in cui anche l’uomo è inserito. L’uomo è materia, quindi per un materialista la morte è la fine di tutto. La morte è il nulla eterno. Proprio perché la morte è la fine di tutto abbiamo una concezione mitilista cioè questo senso di sfiducia, pessimismo che pervade l’animo dell’uomo con la consapevolezza che tutto ha un termine che è la morte. Però a questa concezione mitilistica dell’individuo si contrappone la ricerca di valori umani che consentano all’uomo di dare un senso alla propria esistenza. I valori sono l’amore, la poesia, l’amicizia, l’amor di patria. Sono umani, non religiosi, o meglio di una religione umana che Foscolo chiama religione delle illusioni.
LE ODI E I SONETTI:
emergono subito 2 temi principali cioè quello della bellezza rasserenatrice cioè la bellezza che è in grado di diffondere serenità negli uomini afflitti; e quello della poesia esternatrice cioè la poesia è un qualcosa che consente che questi valori, queste aspirazioni non siano stati dimenticati. La poesia vince di mille secoli il silenzio, la poesia rende eterno l’uomo (es: Omero ed Achille). Vi è anche il tema del sepolcro illacrimato cioè una tomba su cui qualcuno piange per te e in questo modo ricordandosi di te, impedisce che tu muoia per sempre. Questa è un’illusione ma è un illusione che da un senso alla nostra vita, è per questo che il Foscolo teme tanto di morire in terra straniera perché ha paura di avere una tomba illacrimata cioè sulla quale nessuno piangerà.
Nel 1803 Foscolo pubblica le “Poesie” che comprendevano solo 2 odi e 12 sonetti. Le due odi “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All’amica risanata”, risalgono al periodo di scrittura dell’Ortis. Al centro delle odi vi è il vagheggiamento della bellezza femminile, trasfigurata attraverso la sovrapposizione delle immagini di divinità greche. Il poeta vuole riprodurre i canoni della contemporanea pittura o scultura neoclassica sia per quanto riguarda i temi sia per quanto riguarda lo stile. Mentre la prima ode conserva maggiormente un carattere di omaggio galante e settecentesco alla bella donna, la seconda ode ha più alte ambizioni di rasserenare l’animo inquieto degli uomini ed anche sulla funzione esternatrice della poesia che canta la bellezza. I sonetti sono 12 e i più importante sono “Alla sera”, “In morte al fratello Giovanni”, “A Zacinto”. In essi la classica forma del sonetto è reinventata in modi fortemente originali. Ma vi sono anche ripresi i temi centrali dell’Ortis come la proiezione del poeta in una figura eroica, sventurata e tormentata, il conflitto con il reo tempo presente, il nulla eterno come unica alternativa, l’esilio come condizione politica ed esistenziale, l’impossibilità di trovare un terreno stabile su cui poggiare (che si traduce nell’impossibilità di trovare un rifugio consolante nella famiglia), l’illusione della sepoltura lacrimata, il rapporto con la terra materna e con il mito antico, il valore eternatore della poesia. Sono temi già presenti nell’Ortis ma che poi saranno ripresi nel Carmi Sepolcri. I temi più importanti sono quello della bellezza rasserenatrice cioè la bellezza che è in grado di diffondere serenità negli uomini afflitti; e quello della poesia esternatrice cioè la poesia è un qualcosa che consente che questi valori, queste aspirazioni non siano stati dimenticati. La poesia vince di mille secoli il silenzio, la poesia rende eterno l’uomo (es: Omero ed Achille). Vi è anche il tema del sepolcro illacrimato cioè una tomba su cui qualcuno piange per te e in questo modo ricordandosi di te, impedisce che tu muoia per sempre. Questa è un’illusione ma è un illusione che da un senso alla nostra vita, è per questo che il Foscolo teme tanto di morire in terra straniera perché ha paura di avere una tomba illacrimata cioè sulla quale nessuno piangerà.
LE GRAZIE:
A questo progetto poetico Foscolo lavorò a più riprese senza mai portarlo a compimento, lavorandovi fino alla morte. Foscolo fornisce un disegno delle Grazie nella Dissertazione londinese. Il progetto originato di un inno unico viene ad articolarsi in tre inni, dedicati rispettivamente a Venere (dea della bella natura), Vesta (custode del fuoco eterno che anima i cuori gentili), Pallade (dea delle arti consolatrici della via e maestra degli ingegni). Le Grazie sono dee intermedie tra cielo e terra che hanno avuto il compito di suscitare negli uomini sentimenti più puri ed elevati attraverso il senso della bellezza inducendoli a superare la feroce bestialità che è nella loro natura originaria.
Il Foscolo adotta in questa opera una linea specificatamente neoclassica quindi ricompare il tema della bellezza rasserenatrice cioè la bellezza che ha come compito quella di rasserenare gli animi inquieti degli uomini. Poi si parla anche di melodia pittrice che sembrerebbe un controsenso xkè come fa una melodia quindi un suono ad essere pittrice cioè qualcosa di materiale…i versi devono essere melodiosi cioè avere una loro armonia ma al tempo stesso essere significativi nella descrizione quindi devono suscitare immagini nitide, incisive tali da poter competere con la raffigurazione fatta dalle arti figurative talaltro l’inno alle grazie è dedicato a Antonio Canova che proprio in quegli anni stava scolpendo il cubo marmoreo delle grazie quindi lo stesso tema che il Foscolo affronta nella sua opera. Per cui si parla di poesia allegorica e lo si può vedere molto bene nel velo delle grazie. La poesia allegorica serve per esplicitare in immagine concetti astratti. Nel volo delle grazie, il velo viene tessuto perché le grazie possano tornare sulla terra e in esso vengono incisi quelli che sono i valori dello spirito umano quindi l’aspetto materno, l’aspetto coniugale, l’ospitalità che si deve dare agli stranieri, il senso dell’amicizia attraverso però delle immagini quindi delle allegorie. Tutto questo fa pensare però ad un allontanamento dalla realtà contemporanea dell’autore. In effetti anche nelle grazie sono evidentissimi i richiami a quella che era la situazione che lui aveva già definito in altra sede “reo tempo” cioè il periodo in cui viveva. In questo contesto ancora una volta si ribadisce il concetto della poesia che ha questo compito, quello di assieme alla bellezza, rasserenare gli animi degli uomini. Il neoclassicismo e il romanticismo sono due correnti che possono coesistere all’interno dello stesso autore addirittura all’interno della stessa opera. Sarebbe sbagliato dire che le Odi e le Grazie sono due opere neoclassiche del Foscolo, I Sepolcri e I Sonetti sono due opere romantiche del Foscolo, perché in effetti queste due tendenze parlano tutte e due della stessa matrice che è appunto la sua insofferenza nei confronti del “reo tempo” cioè del tempo storico in cui lui si è trovato a vivere. Quindi da una parte abbiamo questa tensione tra l’io e il mondo che meglio emerge nei Sepolcri, dall’altra il tentativo di trovare soluzione a questa lacerazione, a questa contraddizione in un’armonia superiore. Questa è la soluzione che viene proposta nelle arti.
I SEPOLCRI:

GLI ALTRI SCRITTI DEL FOSCOLO:
Il Didimo Chierico tratta un ritratto del Foscolo prematuro. Foscolo aveva già tracciato un suo ritratto ideale di se nell’opera “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”. Infatti Ortis rappresentava molto il Foscolo giovane, allo stesso modo la notizia intorno a Didimo Chierico che lui premette ad una traduzione di un opera inglese, ma che in realtà e il semplice ritratto di un Foscolo maturo, un Foscolo più disincantato, più esaltato, riguardo alla realtà contemporanea senza più quel vigore, quella passione che lui l’aveva caratterizzato in età giovanile, ma comunque anche questa opera non è altro che una proiezione del Foscolo stesso così come lo era stato Ortis.
FOSCOLO CRITICO:
Foscolo è il primo ad inaugurare la critica storicistica cioè gli autori e le loro opere letterarie sono fissi ed inseriti in un preciso contesto storico, sociale ed economico. Quindi le opere d’arte e gli artisti non sono dei punti a caso ma sono prodotto di un preciso contesto storico culturale che gli influenza e questo contesto storico culturale è a loro volta influenzato dalla loro presenza. qi autori e le loro opere letterarie sono fissi ed inseriti in un preciso contesto storico, sociale ed economico.quitato Ortis.
ROMANTICISMO
In verità il termine romanticismo non esiste o meglio sarebbe più giusto parlare di romanticismi ovvero di diversi modi in cui alcuni costanti sia in campo tematico che in campo formale, vengono pio di volta in volta nelle varie letterature realizzate. Il Romanticismo inteso come un unico movimento in realtà è un astrazione. Esistono autori romantici, opere romantiche, tendenze romantiche, ma di volta in volta diverse nelle varie letterature. Si deve distinguere il romanticismo come preciso momento storico e culturale o romanticismo come categoria perenne. In passato la critica letteraria aveva parlato di romanticismo classicismo come categorie dello spirito cioè come momenti che si ripresentano ciclicamente nella storia della nostra cultura, quindi si può parlare anche di un romanticismo medioevale per la presenza di alcune caratteristiche che si ripetono nel romanticismo storico. Per categorie perenni dello spirito si intende, nel classicismo quando prevale l’armonia, l’equilibrio, la compostezza formale, nel romanticismo quando prevale tutto il contrario quindi la stravaganza, la passionalità, il sentimento (ad esempio il barocco potrebbe appartenere alla categoria del romanticismo). Foscolo considera i movimenti culturali come frutto di un preciso contesto storico quindi i movimenti romantici sono frutto di un particolare momento storico cioè il passaggio tra 500 e 800 tralaltro ci sono movimenti preromantici quindi già alla fine del 700 in Germania e Inghilterra si formarono dei movimenti che preannunciarono il romanticismo. In Germania la rivesta Ateneum e il movimento degli Sturber, in Inghilterra la poesia sepolcrale e lo spianesimo. Sono movimenti che apriranno la strada al romanticismo, romanticismo che poi si sviluppa anche in Francia e in Italia però con un ritardo rispetto ai paesi nordici. Tuttavia possiamo evidenziare una serie di costanti cioè ci sono dei temi e delle modalità espressive che ritroviamo all’interno dei vari movimenti romantici.
ASPETTI COMUNI DEL ROMANTICISMO EUROPEO:
Le tematiche negative cioè c’è una predominanza di espressioni artistiche che puntualizzano una concezione negativa della realtà. Sono, in primo luogo, l’insofferenza, l’impossibilità di trovare una tranquillità (tema dello sradicamento), il fascino dell’occulto, l’attrazione verso l’infinito (il contrasto io - mondo).
Queste tematiche, che pure vi erano sparse anche prima, ma si concentrano tutte in questo contesto storico culturale del Foscolo. Le caratteristiche, in questo contesto storico-economico, che hanno determinato l’insorgere delle tematiche negative sono il “crollo dell’antico regime” quindi dobbiamo vedere oltre che l’abbattimento dell’assolutismo monarchico, anche lo stravolgimento di un concetto di gerarchie sociali che era stato accettato per secoli perché vi era un preciso disegno divino a partire addirittura dal medioevo. Ogni uno doveva stare al proprio posto perché vi era un preciso disegno divino. Questo concetto è continuato ad esistere.
LE GRANDI TRASFORMAZIONI STORICHE: Quindi la rivoluzione francese non solo abbatte le idea della monarchia assoluta, ma anche scardina un ordine sociale che era rimasto saldo per secoli. Alla luce di queste trasformazioni vengono ad emergere concetti nuovi come per esempio il concetto della sovranità popolare, sovrano governa per volontà dei sudditi (è quello che porta alla monarchia costituzionale, quindi non è più un potere assoluto quello del re ma è un potere condizionato da una carta costituzionale). L’altro concetto è l’idea di uguaglianza dove gli esseri umani, in quanto tali, hanno uguali diritti indipendentemente dal loro ceto sociale.
La rivoluzione industriale portò ad degli effetti non sentiti subito, ma con l’andare avanti del tempo. Le trasformazioni più evidenti sono per prima cosa l’affermazione della borghesia, xkè è lasciata alla classe borghese l’avvio di questo processo produttivo chiamato rivoluzione industriale, di conseguenza vengono presi in considerazione dei valori (valori della libertà borghese) che prima non erano considerati poiché di struttura molto minore, es: l’intraprendenza, l’abilità negli affari, la spregiudicatezza. Quindi c’è una trasformazione anche della mentalità che viene ulteriormente marcata dalla trasformazione del concetto di spazio e quindi la nascita delle ferrovie e quindi le merci che prima dovevano spostarsi monto lentamente, con molti intralci all’interno delle nazioni in quali erano, adesso cominciano a viaggiare molto più velocemente. Ma il mercato non può assorbire le merci prodotte illimitatamente e ciò determina delle crisi cicliche dagli effetti rovinosi sull’economia e sulla vita quotidiana delle popolazioni. Oltre alle crisi cicliche, altri aspetti della nuova realtà sembrano sfuggire al dominio dell’uomo. Sul mercato i prezzi delle merci sembrano mossi versa l’alto o il basso da forze misteriose, le cose, gli oggetti sembrano assumere una vita diabolica schiacciando l’uomo, togliendoli iniziativa ed autonomia. Il nuovo sistema produttivo industriale crea una forte antagonista che non appare controllabile cioè la massa degli operai sfruttati che si contrappone al sistema sociale. L’ostilità, l’antagonismo si manifestano in molti modi o con la rivolta violenta o con lo sciopero ecc… Oltre a sconvolgere gli aspetti politici e sociali tradizionali, la nuova realtà aggredisce anche la natura. L’industria danneggia il paesaggio e lo contamina.
IL ROMANTICISMO COME ESPRESSIONE DELLA GRANDE TRASFORMAZIONE MODERNA:
l’epoca di grandi trasformazioni tra 700 e 800 è quindi percorsa da tensioni lacerante. Se si considera che le tematiche negative e le tensioni sono compresenti nello stesso periodo, appare difficile non collegare tra loro le due serie di fenomeni: la letteratura sembra interpretare le paure, le ossessioni, le angosce della sua età. Si può dunque formulare l’ipotesi che il romanticismo nel suo vasto processo complessivo sia l’espressione non soltanto della delusione storica dell’illuminismo e della rivoluzione, ma di tutto il grande moto di trasformazione di quella età con le contraddizioni che esso genera. La delusione non è che uno dei momenti di quel processo che ha radici più profonde e più lontane.
L’INTELLETTUALE E LE CONTRADDIZZIONI DELL’ETA’:
in genere l’artista è più sensibile nel cogliere le tensioni de suo periodo rispetto al cittadino comune. In sistemi sociali del passato, l’intellettuale o faceva parte dei ceti egemoni, o era da essi cooperato come cortigiano o protetto. La sua funzione era quella di elaborare l’idrologia dei gruppi dominanti e di mediare il consenso verso il potere. Ora, con l’avvento del nuovo sistema borghese, l’intellettuale perde in genere la sua posizione privilegiata. Ora l’intellettuale è un declassato, posto ai margini del corpo sociale. Ciò di norma genera in lui frustrazione, rabbia, risentimento verso la società. L’artista in quanto tale è portatore del valore della bellezza disinteressata. Questo valore in altri sistemi sociali poteva coincidere con i valori della classe dominante. L’artista è visto come un individuo improduttivo, inutile o meglio come colui che ha solo il compito di intrattenere e divertire. Egli si sente così incompreso ed umiliato, accumula perciò altro risentimento, altri motivi di conflitto con la società. Ciò lo induce ad atteggiamenti di rivolta. Ma questo conflitto con la classe da cui esce accresce in lui il senso di colpa dell’essere diverso e accentua ancora i suoi atteggiamenti di rivolta. Un terzo motivo di conflitto è originato dall’istaurarsi del mercato dei prodotti intellettuali. L’opera d’arte diviene una merce che si scambia sul mercato, che ha un prezzo. Il fatto che sul mercato sia segnato un prezzo all’opera è visto come quasi un sacrilegio. Non solo, ma se l’artista vuole vendere sul mercato, deve assecondare i gusti di quel pubblico che lui disprezza. Anche per questo l’artista ha l’occhio più furbo nel cogliere le contraddizioni della realtà in cui vive xkè tali contraddizioni le sente su se stesso. Da questa conflittualità nascono le famose tematiche negative. Partendo dagli atteggiamenti degli intellettuali si può individuare un denominatore comune delle diverse manifestazioni del Romanticismo europeo cioè l’inquietudine, il rifiuto, la fuga, la rivolta dinanzi ad una realtà sentita come negativa.
I TEMI DEL ROMANTICISMO EUROPEO:
il romanticismo di presenta in primo luogo come esplorazione dell’irrazionale, di quella parte della realtà sommersa in una zona d’ombra. L’età dell’illuminismo razionalistico si riconosceva nell’immagine della luce, il romanticismo predilige la notte, la tenebra, che sono metafore dell’irrazionale. Il sogno e la follia sono i due grandi motivi romantici, declinati in infinite forme nello svolgersi della letteratura europea dell’800. essi costituiscono dimensioni alternative all’esistenza normale, grigia e piatta, i canali attraverso cui l’io entra in contatto con il mistero, l’ignoto e l’indicibile. Questa esplorazione dell’irrazionale, da origine ad un soggettivismo esasperato. Il romantico tende a sprofondare negli abissi dell’interiorità, concepita come unica realtà esistente. Il mondo esterno non esiste, è solo una proiezione dell’io. Il soggettivismo, il rifiuto della realtà esterna e della razionalità che la regola, si traducono poi in una tensione verso l’infinito, in un insofferenza per ogni limite e costruzione, nell’ansia mistica di superare le barriere del reale per attingere ad una realtà più vera che è al di là di esse, in cui l’io si identifica con la totalità. Di contro al materialismo, all’ateismo o al deismo illuministici, il Romanticismo segna un netto ritorno alla religiosità e alla spiritualità, che si manifesta in vere e proprie conversioni alla religione tradizionale. In questa dimensione si affaccia con urgenza attraverso le pagine di tanti scrittori romantici, l’immagine del principe delle tenebre, del signore del male, Satana, a cui viene tributato un culto segreto e blasfemo. Il male esercita un fascino prepotente sull’anima romantica. Secondo i romantici il Sonno della ragione produce mostri. È lo stato d’animo che i romantici tedeschi definiscono Sehnsucht, termine intraducibile che però è stato reso come “desiderio del desiderio”. Questa inquietudine spinge l’anima a protendersi sempre al di là del luogo e del momento presenti. Oltre alla fuga negli abissi dell’interiorità si ha così anche una fuga nel tempo e nello spazio attraverso l’immaginazione. Si può avere infatti un esotismo spaziale che consiste nel vagheggiare luoghi lontani e ignoti, resi affascinanti dalla lontananza, dalla diversità (es: Oriente, Mari del Sud). In tal caso due sono le mete più caratteristiche, il Medio Evo mistico, oppure l’Ellade antica vista come paradiso perduto di serenità. Qui si parla di esotismo nel tempo. L’altrove vagheggiato non è mai un luogo o un tempo che corrisponda a coordinate reali, ma sempre un luogo o tempo immaginario, mitico. Ed è contrapposto al presente come luogo/tempo immune dallo squallore. Anche il mondo infantile è visto come un paradiso perduto di innocenza e di gioia, una stagione privilegiata in cui il rapporto con le cose è fresco e immediato e in cui il sogno e l’immaginazione alla squallida realtà ne costituiscono una più bella. L’infanzia può essere quella individuale ma anche quella collettiva dell’umanità. il mito dell’infanzia è dato dalla spontaneità e autenticità. Il primitivo sopravvive solo in paesi remoti, si ritorna al terreno dell’esotismo si può constatare quanto si era anticipato, cioè i miti romantici si organizzano in un sistema, in cui ogni elemento si lega agli altri. In una luce simile è visto il popolo, fanciullesco e ingenuo, dotato di una fantasia naturalmente poetica, depositario dell’anima originaria e spontanea della nazione.
GLI EROI ROMANTICI:
l’eroe romantico può essere il ribelle solitario che, orgoglioso della sua superiorità spirituale e della sua forza, si erge a sfidare ogni autorità per affermare la sua libertà (titanismo). Oppure può essere la vittima, colui che proprio dalla sua superiorità e reso diverso dall’umanità comune, e per questo è incompreso ed escluso, ma impoverisce la sua vita nei sogni senza mai riuscirli a tradurre in azione ed esprimere il rifiuto con la solitudine, sino all’estremo gesto del suicidio (vittimismo). Da questi due atteggiamenti nascono altre figure come per esempio il nobile fuorilegge che spinto dalla sua sete di infinita libertà e grandezza, calpesta le leggi umane e si erge a sfidare Dio, compiendo terribili delitti, e per questo è destinato ad essere gravato da una maledizione. Sul versante opposto, quello del vittimismo, si colloca la figura dell’esule, l’uomo senza radici, che un destino avverso spinge a vagare senza sosta lontano dalla patria. Una variante può essere la figura dello straniero. Ma il conflitto arriva a rappresentarsi direttamente: anche il poeta è una delle figure mitiche predilette dalla letteratura romantica. Egli è il genio, un’anima privilegiata dotata di intelligenza e sensibilità superiori, attraverso la bocca parla della divinità stesa. Proprio per questo non può essere compreso nella massa degli uomini mediocri e resta escluso dalla società.
IL ROMANTICISMO “POSITIVO”:
alla tematica negativa e malata è stato contrapposto un romanticismo “positivo”, quello teso ai grandi ideali, all’impegno civile e patriottico, quello che riscopre la positività della storia e delle tradizioni nazionali e popolari. Il romanticismo sente con grande intensità il senso della nazione. Ogni nazione è come una grande individualità, come un’anima che contraddistingue la sua peculiare identità, lo spirito del popolo. Questa anima si è formata attraverso le vicende storiche vissute da quel popolo. È questo il senso della storia romantico, che si contrappone all’antistoricismo razionalistico. La storia è intesa come l’insieme di momenti e di processi che cono in relazione tra loro, cultura come prodotto di un periodo storico.
LA CONCEZIONE DELL’ARTE E DELLA LETTERATURA:
la poetica classicista si fondava essenzialmente sul principio di “imitazione della natura”. Siccome la natura è immutabile, parimenti immutabile è anche l’arte (cioè il bello ideale). Una volte raggiunto il culmine della perfezione non resta che cercarlo di riprodurlo. Deriva di qui il principio dell’imitazione letteraria cioè comporre significa imitare dei modelli consacrati, che si fonda sul possesso di certi strumenti tecnici e sul rispetto di precise regole rigidamente codificate, all’interno di un sistema di generi consacrati dalla tradizione. Ogni opera ha il suo stile e no si può mescolare, di conseguenza si ha la codificazione di generi letterari cioè regole alle quali gli scrittori devono attenersi. Il prodotto deve essere poi accuratamente rifinito sino ad essere portato alla perfezione formale. È un ideale artistico supremamente aristocratico. Gli altri suoi caratteri fondamentali sono l’idealizzazione e la selezione. Si ha cioè una netta separazione tra gli stili: tragico e comico, sublime e quotidiano, non devono mai esser mescolati nella stessa opera.
La poetico romantica rifiuta decisamente le regole, i modelli e i generi. La poesia non è esercizio razionale e artigianale, ma libera ispirazione individuale. Il concetti di aspirazione allude ad uno spirito, di conseguenza l’arte non è imitazione ma espressione della soggettività libera e irripetibile dell’individuo. Di qui, contro il principio di imitazione, il culto dell’originalità. Il poeta deve dire ciò che non è ancora mai stato detto e deve trasfondere nell’opera il suo inconfondibile carattere individuale. Di qui ancora il culto della spontaneità e dell’autenticità. Il sentimento del poeta deve trovare espressione immediata. Per questo alla compostezza armonica del classicismo si preferisce la disarmonia, la dissonanza ecc.. Legata a questa idea dell’arte come espressione della spontaneità individuale è quella della molteplicità dei gusti a seconda delle condizioni storiche. Infatti quello che potrebbe essere bello oggi magari domani non lo potrebbe essere; questo va contro il bello ideale. Ma ne deriva anche un allargamento dei confini del poetico. Il romanticismo inserisce elementi della vita che prima non c’erano, quindi una realtà concreta non idilliaca, anche se questa risulta brutta.
IL MOVIMENTO ROMANTICO IN ITALIA E LA POLEMICA COI CLASSICISTI:
la pubblicazione di un articolo di Madame de Stael nel 1816, invitava gli italiani a uscire dal loro culto del passato, aprendosi alle correnti più vive della letteratura europea moderna. L’articolo suscitò subito violente reazioni dei classicisti. Nel coro si distinsero le voci di intellettuali come Pietro Giordani, ecc… Oltre a ribadire il carattere immutabile ed eterno dei principi artistici, questi classicisti erano mossi anche da sinceri intenti patriottici e si erigevano a difesa delle tradizioni culturali italiane. Alcuni intellettuali romantici intervennero a difesa dell’articolo controbattendo le accuse dei classicisti. Alcuni esponenti significativi erano Ludovico di Breme, Pietro Corsieri, Giovanni Berchet. I romantici affermavano l’esigenza di una cultura rinnovata e moderna che si rivolgesse anche al popolo. Per questo occorreva mettere da parte la mitologia classica, che era ormai soltanto patrimonio di un elite. Era dunque necessario abbandonare un linguaggio aulico, proprio della tradizione letteraria italiana, che era praticamente una lingua morta, incomprensibile al più, e liberarsi dell’impaccio delle regole e dei generi che ostacolavano le aspirazioni del poeta. Le loro posizioni erano molto moderate, affermavano che le finzioni della fantasia, se non posano sulla reale natura delle cose e degli uomini, sono un abuso della mente. Il loro obbiettivo era una letteratura che si ispirasse la “vero” e fosse equidistante dai vuoti formalismi dei classicisti. Qui si parla di moralità dell’arte cioè l’arte deve essere uno strumento x migliorare la realtà, contribuendo al progresso della società.
In Italia una classe borghese in senso moderno, attiva, intraprendente sul piano politico ed economico non vi era ancora. Ma nei primi anni della restaurazione il processo di formazione di questa nuova classe dirigente era ormai avviato. Non è un caso che gli intellettuali del Conciliatore (conciliare il vecchio al nuovo), abbiano preso parte alle cospirazioni politiche e siano stati colpiti duramente dalla repressione che seguì i moti del 20-21 subendo il carcere e l’esilio. Le differenze tra Romanticismo Italiano e Romanticismo Europeo sono: quello italiano era espressione di un momento costruttivo di crescita della società italiana, sui conflitti e sulle lacerazioni prevaleva lo slancio ideale, ottimistico di chi era impegnato a costruire una nazione moderna e civile, lo scrittore italiano non era ancora in conflitto con la società o meglio se i motivi di conflitto erano già presenti essi erano spinti in secondo piano dal fatto che il letterato rivestiva un ruolo positivo nel ruolo sociale. Il romanticismo in Italia e il Risorgimento coincisero e per questo motivo non poterono avere posto in Italia se non di riflesso, quelle tematiche negative che negli altri paesi erano l’espressione del conflitto tra l’intellettuale e il contesto sociale. Non vi era rottura, ma continuità tra romanticismo italiano e illuminismo; il programma del Conciliatore non solo ricorda in più punti quello del Caffè ma vi fa riferimento. Tuttavia i Romanticismo lombardo non è semplicemente una seconda fase dell’Illuminismo del Caffè: il movimento ha caratteri nuovi, che lo collocano a buon diritto nel clima romantico. In primo luogo gli uomini del Conciliatore possiedono un nuovo senso della storia, lontano dall’astrattezza del razionalismo; infine sono ormai liberi dall’illusione di una possibilità di collaborare con i governo assoluti illuminati per promuovere riforme dall’alto, hanno orientamenti decisamente liberali e sono fiduciosi nell’azione autonoma del popolo che deve portare ad una profonda trasformazione dell’assetto politico.
Buttare giù una scaletta che evidenzia quelli che sono i concetti che mano a mano il Foscolo analizza in questa lettera. con frasi breve e concatenata logicamente una all’altra e poi faccio il riassunto.
Foscolo fa giungere Jacopo a Ventimiglia che è al confinane della Liguria, perché Ortis aveva deciso di restare li in Francia, si era la meta privilegiata di molti poeti italiani. Giunto però sul limite del confine, ha cominciato a rifletter su quelle che sono le sorti del mondo ed arriva a conclusioni negative e pessimistiche e decide pertanto di tornare indietro e giungere ancora una volta sui colli Euganei, di rivedere Teresa e ….
• Alfine…. Dalla parola sopore che significa sonnolenza, stanchezza emerge il tema del sonno, pace e morte.
• Notare l’interazione ovvero il ripetersi dell’avverbio di negazione non, non, non perché è un paesaggio dove non compare un elemento di vita, non c’è ne un bue ne una catapecchia ne una casupola, non c’è albero e non c’è pietra quindi una natura inospitale.
• Paragona la fenditura nella roccia ad una bocca aperta.
• La natura siede….La natura vista come un’immensa figura di donna che attrae e al tempo stesso ferisce.
• Pertinace significa molto ostinata, avarizia ha il significato che aveva un tempo nella lingua toscana ovvero ”varo” significava avido cioè colui che desiderava avere sempre di più non come lo intendiamo noi adesso nel senso di tirchio. → ostinata bramosia delle altre nazioni, è una metafora per indicare che l’Italia è oggetto di espansione da parte di altri stati, quindi superano i suoi confini come gli hanno superati i varie riprese nel corso della storia. sforza della concordia cioè la capacità di riunire tutti i suoi figli cioè gli Italiani per un fine comune cioè liberare l’Italia dallo straniero cioè quello con cui aveva confidato in precedenza cioè Napoleone. Foscolo volentieri avrebbe sacrificato la sua vita per questo scopo ma cosa può solo la sua persona.
• L’antico gloria è il terrore che ispiravano i nemici delle legioni romane, cioè lui adesso va ricordando la loro gloria passata cioè l’impero romano, e queste glorie del passato fanno ancora di più risaltare la nostra spregevole schiavitù del momento. Ovvero noi non dobbiamo ricordare del nostro glorioso passato ma vergognarci del nostro attuale stato di servitù dallo straniero.
• Mentre noi ricordiamo i nostri grandi eroi del passato i nostri nemici calpestano i loro sepolcri cioè calpestano la patria nella quale sono sepolti.
• Verrà poi un giorno che noi perderemo tutta la nostra sostanza, i nostri averi e verremmo fatti simili a dei schiavi domestici, o addirittura paragona la schiavitù del tempo. Però questi nuovi padroni apriranno i sepolcri di questi grandi del passato per disseppellirli perché viene preceduto un tema centrale del “carmin sepolcro” cioè le urne e le tombe dei grandi uomini del passato devono servire da testamento per i popoli. Mentre il nostro glorioso passato adesso ci inducono a insuperbirci questo passato ma non ci inducono a risvegliarci per una riscossa nazionale.
• Gli uomini sono inseriti come tutte le cose in un circolo di nascita, morte e trasformazione della materia quindi anch’essi vivono di questo destino dell’universo che muove tutte le cose. Loro credono di agire secondo la loro volontà ma in effetti sono mossi da questo destino.
• Quella che noi chiamiamo storia, sono in effetti eventi che riguardano uno spazio molto ristretto riguardo quello che è la vita del pianeta terra.
• Pari alle stagioni….Paragona la storia alla vita dell’uomo.
• Una nazione quando diventa grande lo fa sopraffacendo ad una altra nazione e quindi cibandosi dei cadaveri di un’altra nazione.
• L’impero romano ha cercato ovunque imperi da abbattere, imponendo le proprie idee, incatenando popoli libri finché non trovarono più dove poter portare i loro eserciti e quindi ritorcevano la loro violenza contro se stessi.
• Tutte le nazioni hanno una loro età cioè nascono, muoiono e si trasformano come l’uomo cioè sono inserite anch’esse in questo ciclo.
• Le nazioni che sono dominatrici adesso domani saranno dominate.
• L’uomo è un lupo nei confronti degli altri uomini cioè l’uomo è di carattere violento e cerca di prevalere sugli altri uomini.
• Razza degli eroi.
• Gli uomini fanno parte dello stesso meccanismo.
• La compassione è la sola virtù.
• Speranza nel sonno eterno della morte.

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