"Ultimo canto di Saffo" di Leopardi

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Testo

Commento “Ultimo canto di Saffo”

L’ “Ultimo canto di Saffo” è la seconda delle due canzoni filosofiche dopo “Bruto il minore” scritte da Leopardi. Nella prima stanza, Saffo si trova sulla rupe di Leucade, qualche attimo prima di gettarsi e porre fine alla sua vita. Ilo tema predominante è quello del rapporto fra la natura e Saffo che, in questo caso, rappresenta tutti gli uomini. Quando lei era giovane (e quindi c’erano in lei le illusioni) la natura era in sintonia con lei, mentre adesso, con la caduta delle illusioni, la natura le è diventata avversa. Questo duplice rapporto è rappresentato dall’uso del pronome di prima persona plurale “noi” e dalla struttura della stanza, che si apre e si chiude con l’antitetico parallelismo fra la quiete del paesaggio lunare e la furia della natura in tempesta (placida notte e ira de l’onda).
Nella seconda e nella terza stanza, il tema dominante è il contrasto fra la bellezza della natura e la bruttezza di Saffo che si chiede il perché di tutto questo. La risposta non va ricercata nell’individuo, ma nel comune e universale destino dell’umanità, nella colpa tragica di esistere. Nell’ultima parte della terza strofa, inoltre, quando afferma che l’umanità apprezza le gesta e le opere di chi è bello, Leopardi opera una critica nei confronti del Neoclassicismo, ribadendo il fatto che non sempre la bellezza esteriore coincide con la virtù interiore.
L’ultima stanza, infine, è all’insegna della morte. Da notare la simmetria fra i concetti di morte e di silenzio espressi rispettivamente all’inizio e alla fine del canto. Essi connotano la morte della poetessa, in modo particolare come morte della voce poetica; infatti, gli Inferi rapiscono e imprigionano il prode ingegno, cioè la stessa facoltà poetica di Saffo. Centrale è invece l’augurio di Saffo a Faone, la quale gli augura una vita felice. Come sappiamo, per Leopardi la felicità si ha solamente nel periodo della fanciullezza, quindi la felicità potrà solamente essere fittizia.

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