"Se questo è un uomo": scheda libro

Materie:Altro
Categoria:Italiano

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Data:18.07.2005
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Testo

PERO ELISABETTA
CLASSE 3AI
L’autore e le sue opere
Primo Levi é nato a Torino nel 1919. I suoi antenati erano ebrei piemontesi provenienti dalla Spagna e dalla Provenza. Nel 1934 si iscrive al Liceo “D'Azeglio”, istituto che ha ospitato docenti illustri, oppositori del fascismo (Monti, Antonicelli, Cosmo, Bobbio e molti altri ) e in prima Liceo ha come professore d'italiano Cesare Pavese. Nel 1937 si appassiona alla letteratura di testi scientifici e si iscrive al corso di chimica all'università di Torino. Negli anni seguenti vengono proclamate le leggi razziali in Italia, egli però continua i suoi studi riuscendo a laurearsi con pieni voti e con lode nel 1941. Nel frattempo il padre si ammala e così Levi è costretto a lavorare per sostenere la famiglia. Nel 1942 entra a far parte del Partito d'azione clandestino, un gruppo segreto per la lotta contro il fascismo. Levi si unisce a un gruppo di partigiani operante in Val d’Aosta, ma il 13 dicembre 1943 è arrestato con altri compagni e portato nel campo di concentramento di Carpi-Fossoli. Nel febbraio del 1944 il campo di Fossoli viene preso in gestione dai tedeschi che avviano Levi e altri prigionieri su un convoglio ferroviario con destinazione Auschwitz. Qui per la prima volta si sente ebreo, diverso. Per tutta la durata della permanenza nel Lager, Levi riesce a non ammalarsi, ma contrae la scarlattina proprio quando nel gennaio 1945 i tedeschi, sotto l’avvicinarsi della truppe russe, evacuano il campo abbandonando gli ammalati al loro destino. Gli altri prigionieri vengono rideportati verso Buchenvald e Mauthausen e muoiono quasi tutti. Levi vive per qualche mese a Katowice, in un campo sovietico di transito : lavora come infermiere. Nel giugno inizia il viaggio di rimpatrio. Con i suoi compagni percorre un itinerario attraverso la Russia Bianca, l’Ucraina, la Romania, l’Ungheria, l’Austria. E’ questa l’esperienza che Levi racconterà ne “La tregua”.
In Italia trova lavoro presso una fabbrica di vernici . E’ ossessionato dalle traversie subite e scrive febbrilmente “Se questo è un uomo”. Nel 1947 il dattiloscritto viene rifiutato dalla casa editrice Einaudi ma pubblicato dall’editore De Silva in 2500 esemplari. Il libro ha buone accoglienze critiche ma scarso successo di vendita. Solo nel 1956 il libri viene pubblicato dall’editore Einaudi : da allora non cesserà di essere ristampato e tradotto. Incoraggiato dal successo di Se questo è un uomo” , inizia la stesura di “La tregua”, diario dell’avventuroso viaggio di ritorno dalla prigionia. Il libro viene pubblicato da Einaudi nel 1963 ed ottiene accoglienze critiche molto favorevoli, e in settembre vince il Premio Campiello.
Tra il 1964 e il 1967 scrive vari racconti che vengono pubblicati su “Il Giorno” e poi raccolti in un volume intitolato “Storie naturali”.
Sempre nel 1967 Levi cura una versione teatrale di “Se questo è un uomo” che viene messa in scena al teatro stabile di Torino, e si basa sulla versione radiofonica già realizzata.
Nel 1971 raccoglie una seconda serie di racconti, “Vizio di Forma”, nel 1975 raccoglie le sue poesie in un volume dal titolo ”L’osteria di Brema” e nel 1978 pubblica “La chiave a stella”, storia di un operaio montatore piemontese che gira il mondo a costruire tralicci, ponti, trivelle petrolifere, e racconta incontri, avventure, difficoltà quotidiane del proprio mestiere. Nel luglio “La chiave a stella” vince il premio Strega.
Nel 1981 prepara per Einaudi un’antologia personale, cioè una scelta di autori che hanno contato particolarmente per la sua formazione personale . Il volume esce con il titolo “La ricerca delle radici”. Sempre nello stesso anno pubblica “Lilit e altri racconti”
Nel 1982 pubblica “Se non ora, quando ?”, con immediato successo. Il romanzo vince il Premio Viareggio e il Campiello.
Nel 1984 pubblica una raccolta di poesie “Ad ora incerta” e nel 1985 un volume dal titolo “L’altrui mestiere” , una raccolta di scritti apparsi sulla “Stampa”
Nel 1986 pubblica “I sommersi e i salvati”, riflessioni sull’esperienza del Lager, e “Racconti e saggi” raccolta delle collaborazioni con il quotidiano “La stampa”.
L’11 aprile 1987 muore nella sua casa di Torino.
Trama in sintesi del romanzo
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi
Il libro narra le esperienze dell’autore nel periodo in cui fu deportato dai nazisti nella Seconda Guerra Mondiale nel lager di Buna-Monowitz nei pressi di Auschwitz. La vicenda inizia dall'arresto avvenuto la notte del 13 dicembre 1943 fino al momento della liberazione dal Lager la mattina del 27 gennaio del 1945. Le esperienze sono presentate dallo scrittore con il metodo dell’intreccio, perché la narrazione degli eventi è lineare ma spesso l’autore ci fornisce anticipazioni su ciò che accadrà (è già accaduto) al personaggio. L’autore utilizza quindi più modalità per raccontare la sua vicenda: quella del resoconto, in cui gli avvenimenti ci sono esposti nella loro successione cronologica; quella dell’accostamento dei fatti ad idee più generali sulla condizione umana e quella di impianto diaristica adottata nelle ultime pagine, che è più adatto a raccontare gli ultimi eventi. La testimonianza che Levi ci affida attraverso le pagine del suo libro non è altro che una lunga meditazione sull'opera di annientamento della personalità umana da parte dei nazisti, cosa che è il primo obiettivo dei campi di sterminio.
Dopo averci narrato come fu catturato dai fascisti e condotto nel campo di concentramento, e dopo averci descritto attraverso pagine altamente drammatiche come gli ebrei internati nel campo accolsero l'annuncio della deportazione Levi affronta la descrizione del viaggio che lo conduce dalla piccola stazione di Carpi, in Italia, ad Auschwitz nell'Alta Slesia. Giunti a destinazione, il meccanismo dell'annientamento si mise subito in moto: fu il primo episodio di una lunga serie di eventi analoghi il cui unico scopo fu di giungere, per gradi, alla totale eliminazione dei deportati. Coloro che furono in grado di essere utilizzati come mano d'opera furono condotti ai campi di lavoro; tutti gli altri, vecchi, inabili, bambini e tutti coloro che non erano adatti al lavoro manuale vennero portati nelle camere a gas. Coloro che si “salvarono” da questa prima eliminazione vennero spogliati (anche della dignità) e vennero rivestiti con casacche a righe e zoccoli, gli venne inoltre tatuato sul braccio sinistro un numero che da quel momento prese il posto del loro nome. Tutti gli internati furono trasferiti durante il giorno presso una fabbrica di gomma, dove svolsero un lavoro massacrante. I piú deboli presto furono stroncati dalla fatica, dalle privazioni, dalle malattie e dal freddo. All'interno del Lager governavano il privilegio, l'ingiustizia, il sopruso, l'abilità personale, l'astuzia; chi non aveva abilità da sfruttare non poteva sopravvivere a lungo. All'interno di questo quadro vengono descritte alcune figure umane, ferocemente o pietosamente tratteggiate dall'autore a seconda dei casi, che incarnano modelli umani veramente esistiti in tempo di guerra. Dopo non molto tempo Primo Levi venne assegnato al kommando chimico, che lo esonerava dalle fatiche massacranti sostenute fino a quel momento. Ma questo non gli impedì di passare mesi contrassegnati da patimenti nonché da un'altra " selezione " prima di entrare a far parte del laboratorio e poter cominciare a nutrire la speranza di superare un altro durissimo inverno. Nel frattempo hanno inizio i bombardamenti degli Alleati sull'Alta Slesia ed anche la fabbrica è colpita. Costretti a lavorare fra la polvere e le macerie, costantemente esposti ai pericoli delle incursioni aeree nonché fatti oggetto da parte dei loro oppressori e aguzzini di una raddoppiata ferocia a causa della tragedia che incombe sulla Germania, i deportati subirono tutto il peso di una situazione che diventava ogni giorno sempre piú insostenibile. L'autore in maniera del tutto inaspettata e quando ormai aveva rinunciato a sperare, fu destinato al laboratorio dove trascorse gli ultimi mesi di prigionia, in un ambiente riscaldato e a contatto con materiali e strumenti che gli ricordavano i suoi studi e la sua professione. In questo periodo avvenne la prima stesura di “Se questo è un uomo” e fu proprio nel raccoglimento consentitogli dal laboratorio che egli avvertì per la prima volta la necessità di sopravvivere per poter testimoniare, nonché la possibilità di dare un senso alle sofferenze patite ed una giustificazione alla propria esperienza rendendone partecipi gli altri attraverso un libro di memorie. Il fronte russo si stava avvicinando, i tedeschi erano ormai consapevoli della catastrofe imminente e si apprestarono a far evacuare i campi di sterminio e a distruggere gli impianti. Era il gennaio 1945. Questi ultimi drammatici avvenimenti ci sono narrati sotto forma di diario. L'autore, che nel frattempo era ricoverato nelle baracche adibite ad ospedale, assistette alla partenza dei suoi compagni. Morirono tutti durante un’interminabile marcia attraverso la Germania, mentre i malati, abbandonati a se stessi, rimasero nel Lager devastato, senza cure, né acqua, né cibo, ad una temperatura di venti gradi sotto zero, decimati dal tifo, dalla difterite, dalla dissenteria. Levi è tra i pochissimi che riuscì a sopravvivere e le pagine conclusive del libro ci danno la cronaca allucinante di quello che accadde in quei terribili dieci giorni e precisamente dal 19 gennaio al 27 gennaio del 1945. Quando all'alba del 27 gennaio arrivarono i russi, lo spettacolo che si offre ai loro occhi fu quello terrificante dei cadaveri che erano accumulati sulla neve e dei pochi superstiti che si aggiravano come spettri fra le rovine del campo.
I personaggi del romanzo
Oppressori:
Erano rappresentati dai tedeschi che avevano praticato una politica di razzismo e di eliminazione della razza ebrea a favore di quella ariana. Gli ufficiali e i soldati, che devono controllare il campo ed eseguire l’ordine di eliminazione dei prigionieri “in esubero”, non vengono descritti nel loro aspetto fisico, sono pochi e si vedono di rado. L’autore li presenta senza un volto e una propria identità non fornendo elementi caratterizzanti, così non si possono riconoscere singolarmente e diventando una massa “indefinita”, invisibile, lontana. Gli unici elementi che lo scrittore ci fa presente riguardano l’abbigliamento e le loro urla nell’impartire gli ordini: portavano stivaloni neri e indossavano degli elmetti che non permettevano di vedere i loro occhi e il loro viso, tanto da risultare tutti uguali e indeterminati. Quando eseguivano i comandi imposti avevano l’aria indifferente di chi non fa altro che il suo lavoro e se gridavano lo facevano con tono monotono.Primo Levi ne presenta uno in particolare. Si chiamava Pannwitz ed era l’ingegnere del comando di chimica. Possedeva tutte le caratteristiche del tipico uomo appartenete alla razza ariana: era magro, alto, biondo, aveva gli occhi e il naso come tutti i tedeschi dovevano avere. Ogni suo gesto sottolineava la sua convinzione di trovarsi davanti ad un genere che era opportuno sopprimere, non senza aver controllato che non contenesse informazioni utili.

Oppressi:
Erano i prigionieri del campo. Erano centinaia e centinaia e distinti in tre categorie: i criminali, i politici e gli ebrei; indossavano tutti la stessa divisa a righe, ma questa veniva contraddistinta con dei particolari diversi: dei triangoli di vario colore per i criminali (verde) e i politici (rosso), mentre una stella ebraica, rossa e gialla per gli ebrei. L’appartenenza ad uno dei tre gruppi determinava anche la condizione di vita all’interno del Lager.
I criminali rappresentavano le “comunità” che meglio vive all’interno del campo: avevano un potere riconosciuto sugli ebrei perché le SS erano in numero esiguo e all’interno del campo non erano molto presenti e godevano di determinati privilegi. Generalmente possedevano una carica, sia pur modesta e si comportavano con brutalità inaudita. Il termine “politico” si applicava anche a reati come furto e danno di funzionari del Partito, quindi i politici qui indicati erano criminali comuni mentre quelli veri vivevano in un altro campo.
Gli ebrei rappresentavano il numero più elevato di prigionieri presenti nel Lager, al loro interno era presente un ulteriore suddivisione tra i piccoli numeri e grossi numeri, i primi erano i vecchi de campo, ai quali ognuno portava rispetto; erano quelli che potevano affermare “..me ne intendo di varie cose…” perché potevano contare su numerose conoscenze e considerarsi dei mercanti di professione all’interno della “Borsa”. I grossi numeri erano i nuovi arrivati e, agli occhi degli anziani, si comportavano in modo comico perché non conoscevano ancora le abitudini del Lager: si poteva convincerli a lasciare in “custodia” la gamella di zuppa, oppure gli si poteva vendere un cucchiaio per tre razioni di pane.
Per riuscire a vivere per un lungo periodo ben presto i comuni Häftling dovevano diventare più spietati e accorti, altrimenti in breve tempo si diventava un Muselmänner, termine attraverso il quale i vecchi del campo chiamavano i deboli, i votati alla selezione perché si abbandonavano al ricordo della propria casa, della famigli, non hanno conoscenze, non se la sapevano cavare da soli. Nel Lager ci si trovava proprio in questa condizione: essere solo uno contro tutto e tutti, in quanto nessuno ti porgeva la mano nel momento de bisogno o necessità, si doveva far affidamento sulla propria coscienza, sulle proprie riserve spirituali, fisiche e pecuniarie per avere maggiori probabilità di sopravvivenza. Un esempio di Muselmann è Null Achtzen. Era un pericolo: non risparmiava le forze per il giorno successivo, eseguiva ogni ordine che gli veniva imposto, “..non possiede la rudimentale astuzia dei cavalli da traino,, che smettono di tirare un po’ prima di giungere all’esaurimento: ma tira e spinge finché le forze glielo permettono…”, è per questo motivo che nessuno voleva trovarselo come compagno di lavoro.
Raramente ad alcuni ebrei veniva offerta una carica di privilegio: costui diventa odioso e crudele con i prigionieri che gli erano affidati, perché sapevano che altrimenti qualcun altro più spietato gli sarebbe subentrato.
Comunque, generalmente i comuni Häftling dovevano affidarsi alle proprie forze. Primo Levi presenta a questo proposito quattro prigionieri che, in modi differenti, sono riusciti a sopravvivere.
Schepschel: vive in Lager da quattro anni, non è molto robusto e neppure coraggioso o astuto, ma è riuscito a “vivere” attraverso degli spiccioli e saltuari espedienti: riuscendo a procurarsi un po’ di “capitale - pane” si fa concedere in affitto i ferri del ciabattino del Block e lavora per conto proprio, oppure va a cantare e ballare davanti alla capanna degli operai slovacchi.
Alfred L.: aveva capito prima degli altri che per ottenere del rispetto e una posizione prominente, che otterrà poi nel Kommando Chimico, non doveva essere trascurata la propria immagine: le mani e il viso erano sempre perfettamente puliti, possedeva una divisa adatta alla propria corporatura e ogni quindici giorni lavava la propria camicia; con i compagni si comportava sempre “…con la massima cortesia compatibile con il suo egoismo, che era assoluto, …”. Il suo era un progetto di lungo periodo perfettamente riuscito, accompagnato però da distaccati rapporti con gli altri.
Elias: era un nano, non più alto di un metro e mezzo, con una muscolatura perfetta, ma con una testa sproporzionata rispetto al corpo. Non si conosce il suo passato e neppure la sua età, sa parlare solamente il polacco e l’yiddisch ed è un grande oratore e mimo. In poco tempo tutti si prodigano a proteggerlo, ed è per questo che non teme le selezioni. È un individuo che meglio può sopravvivere nel Lager: la sua costituzione fisica gli permette di resistere ad ogni lavoro, mentre la sua pazzia gli permette di non abbattersi anche nelle situazioni peggiori.
Henri: era un ragazzo di 22 anni, intelligentissimo, parlava francese, tedesco, inglese e russo, aveva un’ottima cultura scientifica e classica. I lineamenti del viso e del corpo erano delicati, i suoi occhi sono neri e profondi, non aveva ancora la barba. Il fratello era morto in Buna l’anno precedente e da quel momento aveva reciso ogni vincolo d’affetto. Per sfuggire all’annientamento i metodi da seguire sono tre: l’organizzazione, la pietà, il furto. È l’organizzatore del traffico inglese, ma per commerciare con gli stessi si avvale della pietà: è un sentimento presente nelle coscienze di ognuno di noi e anche in coloro che volevano ucciderli.
Essendosi procurato con questo metodo numerosissime conoscenze il ricorso al furto è molto limitato.
Il risultato di questo processo di selezione vide sopravvivere i medici, i sarti, i ciabattini, i musicisti, i cuochi, insomma tutti i prigionieri che, in qualche modo, erano riusciti a conquistarsi una conoscenza o un’amicizia tra le autorità del campo, che venivano chiamate generalmente Prominenz, sostantivo che sta ad indicare i Kapos, i cuochi, gli infermieri, qualche SS.
Tempo delle vicende
La realtà storica in cui vive l’autore è quella nazifascista della seconda guerra mondiale durante la quale milioni di persone furono deportate nei campi di concentramento. In questo periodo di terrore erano state abolite la libertà di parola e di stampa. Le uniche verità accettate in Germania ed in Italia erano quelle proclamate dai due rispettivi leader dell’epoca: Adolf Hitler e Benito Mussolini. Erano quindi frequenti le insurrezioni di movimenti che erano contrari al governo e che non vi appartenevano (i partigiani). A questi movimenti aderirono molte persone e le loro azioni furono utili alle Nazioni Unite ed agli altri paesi europei opposti all’Asse per combattere la Germania e i paesi ad essa alleati. Un compito molto importante dei paesi liberatori fu quello di liberare e salvare i superstiti dei campi di concentramento, ormai ridotti ad un numero abbastanza esiguo se si pensa a tutti quelli che furono deportati. Per cinque anni il campo di concentramento di Auschwitz suscitò terrore tra gli abitanti dei paesi occupati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.
Al termine della campagna del settembre 1939 la città di Oswiecim e le città situate furono annesse al Reich. Nello stesso tempo i nazisti cambiarono il suo nome in Auschwitz. Già verso la fine del 1939 nell'Ufficio del Comando Supremo delle SS e della Polizia a Wroclaw era nata l'idea della creazione di un campo di concentramento. La proposta di creazione di questo campo fu motivata dall'affollamento delle prigioni esistenti in Slesia e dalla necessità di una nuova ondata di arresti di massa tra la popolazione polacca della Slesia e del Governatorato Generale. Il campo di concentramento di Auschwitz fu fondato nel 1940 come luogo di reclusione per i prigionieri politici polacchi. Successivamente i nazisti iniziarono ad usarlo per deportarvi prigionieri provenienti da tutta l’Europa, principalmente ebrei, ma anche sovietici e zingari. Praticamente poi tra i detenuti vi era gente di ogni nazionalità.
Spazio delle vicende
Gli ambienti di cui ci parla l’autore sono principalmente due: il treno del viaggio di andata ed il lager.
Riguardo il treno fa una descrizione molto accurata della struttura dei vagoni, che sono molto stretti, scomodi e non igienici. I deportati sono costretti a viaggiare accalcati senza muoversi. L’odore dei deportati non sembra già più umano perché durante il lungo viaggio essi non hanno modo di lavarsi se non con l’acqua piovana. Il legno è freddo a causa della temperatura molto bassa e della pioggia. I deboli corpi dei deportati infatti sono esposti alle intemperie che non sono altro che un prologo a ciò che dovranno subire.
Del lager di "Buna" (dal nome di una gomma sintetica che dovrebbe essere prodotta in tale luogo) abbiamo una descrizione molto accurata per la struttura ma anche per il significato che comporta per i detenuti. E sicuramente questo secondo aspetto è il più importante per l’autore e per il lettore. Ogni caratteristica del luogo acquista un significato simbolico per Primo Levi; per esempio il fango, in cui sono costretti a camminare quotidianamente i detenuti, sprofondandoci, è il simbolo della perdita della dignità di uomini. Ma ogni cosa a cui i detenuti sono sottoposti ci fa pensare alla perdita della dignità umana. Per quanto riguarda la spazio reale il campo è suddiviso in questo modo: è composto da baracche (Blocks), ognuna con un compito differente.. E’ presente un’infermeria, il Ka-be, dove sono ricoverati i malati o i feriti e c’è pure un centro chimico dove Primo andrà a lavorare durante il suo ultimo periodo di prigionia. Nei block più importanti stanno le SS, in quelli meno importanti stavano i detenuti. Ma anche fra i detenuti c’erano delle profonde divisioni, che influivano nella disposizione delle persone nei block. Nelle baracche era un grande problema anche dormire perché le brande erano piccole e perciò più persone dovevano dormire nello stesso letto. L’inconveniente era poi più grave quando il di branda era malato oppure aveva problemi di incontinenza. Non vi erano bagni ed i deportati dovevano arrangiarsi con dei secchi che dovevano poi essere svuotati a turno.
Temi fondamentali dell’ opera
I temi trattati nel libro sono vari. Innanzitutto si affronta l'argomento del genocidio di milioni di ebrei deciso dai gerarchi nazisti per eliminare tutti i nemici del "Reich". L'argomento non viene affrontato con toni di accusa o di odio nei confronti dei tedeschi. In un arco di tempo limitato, circa due anni, Levi ci presenta la vita all'interno di uno dei tanti campi di concentramento che furono istituiti. Ecco allora che il romanzo si presenta come la storia di un uomo all'interno della Storia. Quella che siamo venuti a conoscere è solamente un'esperienza di una persona tra milioni che ne hanno vissuta una simile. Levi è stato fortunato ad uscirne vivo, ma chissà quante altre storie si sarebbero potute conoscere.
Viene presentato il processo di disumanizzazione attuato dai nazisti che a lungo andare ha tolto ai prigionieri ogni umanità, portandoli a far prevalere gli istinti primitivi su sentimenti come la solidarietà, l'amicizia, la pietà, per sopravvivere non essere annientato. Alcuni ci sono riusciti, altri sono morti.
Questo meccanismo fu attuato attraverso piccoli accorgimenti che, giorno dopo giorno, portarono ad una umiliazione della persona e al suo deperimento fisico e psicologico. Tutti i prigionieri hanno il capo rasato, indossano la stessa lunga palandrana ed uno strano cappello. Gli abiti e le scarpe non sono della loro misura e a nulla servono i ricambi della camicia e delle scarpe perché la loro sostituzione era acconsentita solo ai primi dieci che si presentavano. Non possiedono più nulla, hanno perso ogni bene, come una fotografia, una vecchia lettera, un fazzoletto, che era parte di loro e aveva un particolare valore sentimentale. Non ha senso alzarsi ogni mattina, rifare il letto, lavarsi, obbedire senza possibilità di obbiezione, il cibo era una brodaglia che a lungo andare provocava a tutti problemi, quale la diarrea, e che non dava all’organismo il nutrimento necessario per vivere. In questo mondo i valori erano invertiti, la legge era “..a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto…”, l’ingiustizia fa da padrona.
L’obbiettivo che si erano proposti i nazisti fu raggiunto: questi uomini, se si potevano chiamare così, erano persone vuote, ridotte a sola sofferenza fisica e morale, senza dignità o scrupolo perché non hanno più nulla per cui valga la pena di lottare. Solo le persone che, nonostante tutto, non hanno perso loro stessi possono sopravvivere perché per la maggior parte non ha più senso la vita o la morte.
L’autore durante la narrazione fa delle considerazioni sulla condizione dell’uomo nel mondo del campo non viene preso pero’ in considerazione solamente il prigioniero, ma anche il soldato nazista. Entrambi non possono considerarsi uomini. Non hanno libertà, il primo perché è prigioniero di un mondo che lo vuole sterminare e non ha nessun rispetto per la sua diversità, il secondo perché deve solamente eseguire gli ordini che gli vengono imposti senza poter controbattere o rifiutarsi.
Messaggio dell’ autore :
Nonostante tutto quello che l’autore ha sofferto in questa situazione, ha speranza nel futuro, nelle nuove generazioni alle quali il romanzo è indirizzato. Avverte di stare sempre attenti, non può bastare il fatto che il nazismo sia stato sconfitto, perché quello che nella storia è accaduto una volta può ancora ripetersi e nessuno può essere sicuro che l’incubo non si ripeta.
Passi salienti
1. Capitolo “Ottobre 1944” da pagina 110 a 115. “Con tutte le nostre…”.
In questo brano l’ autore concentra la propria attenzione sulla descrizione della selezione effettuata ad Auschwitz nell’ inverno 1944,con lo scopo di eliminare tutti i prigionieri piu’ deboli per lasciare spazio ai nuovi arrivati.La notizia dell’ imminente selezione si propaga con rapidita’ nel lager.Una domenica pomeriggio i prigionieri delle varie baracche vengono fatti spogliare e sfilare all’ aperto davanti ad un sottufficiale delle SS che,in pochi attimi,decide il loro destino.
Ho scelto questo brano in quanto la narrazione degli avvenimenti e’ accompagnata da una costante riflessione di Levi:la lotta quotidiana per la sopravvivenza non lascia spazio al pensiero.L’uomo e’ ridotto a uno stato bestiale e finisce per rinunciare a cio’ che avrebbe dovuto distinguerlo dagli animali:riflessione,l’ uso della ragione.Levi analizza la psicologia dei prigionieri: puo’cosi parlare de “L’ insensato pazzo residuo di speranza inconfessabile”che continua ad essere presente nei deportati,del senso di pieta’ nei confronti degli altri prima della selezione,di venire a sapere chi si e’ salvato e chi terminera’ la vita nella camera a gas.
2. Dal capitolo “Il viaggio”da pagina 16 a 18 e,al capitolo “Sul fondo” da pagina 19 a 21. “Venne a un tratto…” ..
Ho pensato di unire questi due brani perche’ mi sembra che essi si debbano sviluppare senza soluzione di continuita’ dato il loro contenuto e la lorio struttura.Essi contengono il racconto commovente dell’ arrivo al lager del gruppo di ebrei di cui fa parte il narratore,la riflessione sulla demolizione dell’ uomo operata nei lager,la drammatica consapevolezza degli eventi narrati si sovrappone continuamente al puro racconto dei fatti.Le vittime non potendo capire la situazione nella quale sono state proiettate,sembrano a mio parere,assistere ad uno spettacolo troppo assurdo per esser vero”Tutto era silenzioso come in un’ acquario ed in certe scene dei sogni” inconsapevoli di quanto stava per accadere loro.
3. Poesia iniziale : (vedi punto trama opera)
Approfondimenti personali
AUSCHWITZ-BIRKENAU
Il maggiore campo di concentramento nazista, assurto a simbolo della tragedia dell‘olocausto. Situato nei pressi della cittadina di Auschwitz (polacco Oœwiêcim) a circa 32 km a sudovest di Cracovia nella Polonia meridionale, fu allestito nel 1940 per ordine del capo delle SS Heinrich Himmler per essere utilizzato come campo di sterminio. A partire dal 1942 vi trovò piena realizzazione la "soluzione finale della questione ebraica", ovvero il genocidio scientificamente pianificato ed efficientemente perseguito degli ebrei. Si calcola che almeno un terzo dei circa sei milioni di prigionieri eliminati dai nazisti nel corso della seconda guerra mondiale trovò qui la morte nelle camere a gas o perì di stenti, di sevizie, di malattia, di fame o a causa degli esperimenti del famigerato Josef Mengele, il medico nazista soprannominato "l'angelo della morte"; insieme agli ebrei subirono la stessa sorte polacchi, prigionieri di guerra sovietici, zingari e omosessuali.
Il complesso concentrazionario, che si estendeva su una superficie di 42 km2, comprendeva un campo base, Auschwitz I, costruito nel 1940 e destinato in un primo tempo ai prigionieri politici; il campo di Birkenau (Auschwitz II), edificato nell'inverno 1941-42, dove funzionavano a pieno ritmo quattro camere a gas e altrettanti forni crematori; vari campi satelliti denominati Auschwitz III (Buna-Monowitz), dove tra il 1940 e il 1945 furono internate circa 405.000 persone destinate ai lavori forzati: tra i pochi che riuscirono a sopravvivere vi furono circa un migliaio di ebrei polacchi, salvati dalle camere a gas per l'intervento dell'industriale tedesco Oskar Schindler.
Nel novembre del 1944, di fronte all'avanzata delle truppe sovietiche, Himmler ordinò di far cessare le esecuzioni e di distruggere camere a gas e forni crematori. Quando il 27 gennaio l'Armata Rossa varcò l'entrata del lager, su cui campeggiava la famosa scritta Arbeit macht frei (Il lavoro rende liberi), nel campo si trovavano circa 7600 sopravvissuti; circa 58.000 prigionieri erano già stati evacuati dai nazisti e in gran parte perirono nella marcia forzata verso la Germania. Tra i sopravvissuti vi fu lo scrittore torinese Primo Levi, che raccontò le condizioni di vita dei deportati ad Auschwitz nel suo capolavoro Se questo è un uomo.1

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