"Il Cigno" - S. Vassalli

Materie:Tema
Categoria:Italiano
Download:375
Data:20.03.2007
Numero di pagine:3
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
cigno-vassalli_1.zip (Dimensione: 6.3 Kb)
trucheck.it_il-cigno--s-vassalli.doc     26.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

RELAZIONE “IL CIGNO”

Il Cigno, u Cignu: così è chiamato Raffaele Palizzolo, "galantuomo" palermitano, d’origine non aristocratica ma borghese, deputato al parlamento italiano e consigliere d’amministrazione del Banco di Sicilia, asceso economicamente sfruttando i soldi dei risparmiatori per giocare in borsa, ma poi caduto in disgrazia a causa di un solo grande errore: non intestare le vincite ad un prestanome ma a se stesso.
Il caso Palizzolo era poi arrivato addirittura fino al presidente del consiglio di quel tempo (siamo nel 1893), il marchese di Rudinì, il quale aveva dato ad Emanuele Notarbartolo, già direttore dell’istituto bancario da tredici anni, il ruolo di garante per ristabilire la legalità all’interno della banca siciliana. Il commendatore Notarbartolo era divenuto così custode di segreti scottanti, truffe e illeciti vari commessi con il denaro del Banco e con il tacito consenso dell’ex governo Crispi.
Questo romanzo è, appunto, la storia dell’omicidio Notarbartolo, accoltellato sul treno che lo portava a Palermo, e delle susseguenti vicissitudini politiche e giudiziarie di quello che è generalmente considerato il primo delitto di mafia nella storia d’Italia e della Sicilia.
Sembra di assistere ad una scena tratta da un copione antico e, al tempo stesso attuale, ma sempre invariato. "Il Cigno", infatti, conduce il lettore ad un'incursione in una società dove elementi diversi sembrano contraddirsi nella loro storicità: vi sono aspetti socio-culturali (costumi, modo di pensare, di parlare e di agire) che raccontano di una società che si è sicuramente evoluta; altri elementi, invece, testimoniano atteggiamenti ed azioni del mondo mafioso che sembrano ripetersi immutati dopo cento anni, tanti quanti separano la vicenda principe del romanzo dai nostri giorni.
E’ un libro che parla d’ambiguità, di un mondo dove i confini tra bene male non vengono mai delineati. Persino la ripartizione dantesca del libro sembra ricalcare l’illusione ascendente di una verità che è sempre diversa a secondo della prospettiva d’osservazione; di una realtà dove non sopravvivono certezze, in quanto esistono “verità all’inferno e bugie in paradiso”.
Il romanzo è, appunto, diviso in tre Scene (Inferno/1893-1894; Purgatorio/1896-1899; Paradiso/1901-1904) e un Epilogo. Nella prima parte del libro, l’omicidio Notarbartolo viene narrato come un inferno, senza speranza d’espiazione e di perdono e senza peraltro lasciare intendere chi vi si trovi dentro: se la vittima, descritta come un onesto perdente, o se i carnefici che si sentono seriamente minacciati dall’onestà del marchese Notarbartolo e, di conseguenza, si convincono di essere esse stesse vittime di un infame che intralcia i loro obiettivi. Nella seconda parte del libro inizia il processo giudiziario dove l’attesa della sentenza è paragonabile all’espiazione angosciante del purgatorio. E proprio qui, sospesi tra giustizia e ingiustizia, i confini tra bene e male diventano ancora più indefiniti: la corruzione, i finti testimoni, l’intreccio tra politica, istituzioni e mafia, la strumentalizzazione dei mass media… assumono contorni positivi o negativi a secondo di chi li interpreta. Il Paradiso finale non è quello celestiale della Grazia ma quello materiale della vittoria politica e personale. Undici anni dopo il delitto, infatti, Palizzolo venne assolto in seguito a tre processi. Alla fine si convinse persino di essere stato lui la vittima del sopruso e, dunque, di essere un vero e proprio eroe nazionale.
L’assoluzione del Cigno è, quindi, un paradiso per i vincitori. Ma chi sono i veri vincitori? I giudici che assolvono per mancanza di prove? Lo stesso Palizzolo che, infine, nell’Epilogo, è descritto come un povero pazzo, emarginato politicamente? Il popolo siciliano che viene indotto ad individuare nell’“eroe processato” il simbolo del pregiudizio del Nord contro il Sud? Di un’informazione che non riesce ad usare la forza delle parole come dovrebbe? Di una storia siciliana dove le idee sono state sempre mortificate dai fatti? Di una Sicilia che sarebbe rimasta un Paradiso « se un Tribunale dello Stato non fosse arrivato a certificare, con una sua sentenza, che esiste un’associazione segreta chiamata Mafia, che soltanto in Sicilia, commetterebbe soprusi, furti, assassini ed ogni altro genere di delitti »?
Per la verità, inoltre, nel corso della lettura, sorge il dubbio che l’autore, accanto ad elementi storici, inserisca elementi romanzati e spesso surreali. Il Cigno, per esempio, è veramente esistito o il personaggio descritto è una caricatura del reale? Il profilo del Crispi è esagerato rispetto ad una fama positiva sopravvissuta nelle pagine di storia e persino negli stradari cittadini?
Ma soprattutto, la domanda che più ci si pone è: sono veramente passati 100 anni? Sebastiano Vassalli racconta un antico delitto impunito, un interminabile processo, affaristi e politicanti che diventano veri e propri eroi nazionali, in contrapposizione a “eroi borghesi” che vengono ammazzati e facilmente dimenticati. Tuttavia, sembra storia d’oggi.

Esempio