il mito di orfeo e la quarta georgica

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Testo

VIRGILIO
Il tema di fondo delle Georgiche virgiliane è costituito dal rapporto fra uomo e natura. Per quanto il poema sia inteso in apparenza a dare consigli pratici agli agricoltori, esso è ben più di un poema didascalico nel senso stretto del termine.
La quarta Georgica presenta un suo specifico problema: l’apicoltura.
Essa, ancor più del tre libri che la precedono, dimostra un interesse solo marginale per la precettistica pratica in sé.
Nonostante l’amplissima diffusione dell’apicoltura nel mondo antico le cognizioni scientifiche sulle api rimasero incerte e addirittura erronee. La scienza antica si fermò alla constatazione della sterilità dell’ape operaia, e tale constatazione avvalorò, in sede letteraria e speculativa, il mito della castità delle api come testimonianza della loro natura diversa, superiore.
Altro fondamento per la mitizzazione dell’ape fu la rigorosa fedeltà dello sciame al rex, il forte senso di comunità e gerarchia dominante nell’alveare. L’ape incarnava dunque il modello di purezza e di civiche virtù.
La metafora che descrive la società delle api nei termini della società umana è l’elemento su cui si impernia la prima metà del libro. È proprio da questo che prende risalto il significato della seconda metà: le api non sono gli uomini; la metafora non regge. E nel momento in cui viene meno la metafora irrompe in primo piano la vicenda umana, carica dei suoi valori e dei suoi dolori.
L’amore asessuato delle api viene a porsi in contrasto con l’appassionato amore che è peculiare della sensibilità dell’uomo. L’amore delle api è rivolto interamente alla produttività: non vi è passione ma solo operosità. La loro vita è posta al servizio dei fini della natura
La tragedia di Orfeo narrata nella seconda parte del libro è per contro la tragedia dell’uomo e della civiltà. A differenza delle api, l’uomo non può riconciliarsi con le condizioni postegli dalla natura, si rifiuta di accettare quanto di ineluttabile vi è nell’esistenza, sfida la morte stessa, e vintala perde i frutti della vittoria a causa del suo furor.
Il venir meno del desiderio sessuale non rappresenta per l’uomo un riconciliarsi con i proponimenti della natura, ma reca disperazione e morte.
Nel suo commento al poema Servio afferma che la seconda parte del libro, che contiene l’episodio di Aristeo e di Orfeo, fu inserita da Virgilio in un secondo tempo per sostituire un passo preesistente che tesseva le lodi del poeta Cornelio Gallo, l’amico diletto a cui aveva dedicato anche la X ecloga. Servio asserisce che Virgilio attuò tale modifica quando Gallo, dopo essere stato nominato governatore dell’Egitto, morì suicida perché era incorso nell’ira di Augusto. Fu lo stesso Augusto ad invitare Virgilio a sostituire tale elogio con il mito di Aristeo oppure con il mito di Orfeo.
La notizia di Servio ha dato luogo a molte discussioni, e da alcuni è stata perfino messa in dubbio, poiché ci si è chiesti il motivo per cui Virgilio eliminò l’elogio di Gallo dalle Georgiche e non fece lo stesso con la decima ecloga.
Secondo Ritcher l’apparente incongruenza si spiega supponendo che le Georgiche, terminate verso il 30 a.C., non fossero ancora state pubblicate alla richiesta di Augusto di togliere l’elogio di Gallo. Perciò tale eliminazione fu possibile, mentre sarebbe stata odiosa e difficilmente attuabile la soppressione della X ecloga, dato che l’intera raccolta delle ecloghe era di pubblico dominio.
È più plausibile la possibilità che l’elogio del poeta amico di Virgilio fosse sostituita dalla favola di Orfeo, poiché essa è trattata molto più brevemente che la favola di Aristeo, perciò corrisponderebbe meglio alla probabile estensione del soppresso elogio.
È da notare che la rievocazione del celebre mito di Orfeo è inserita da Virgilio, con tecnica alessandrina, all’interno della narrazione del mito di Aristeo. Il punto di connessione è costituito da una variante della saga di Orfeo che solo in Virgilio è attestata, ma che presumibilmente non fu inventata dallo stesso Virgilio: Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, avendo perduto tutte le api, si rivolge alla madre la quale lo conduce alla dimore del dio marino Proteo, perché gli riveli la causa della sua disgrazia. Proteo rivela che la perdita delle api è punizione divina di una grave colpa di Aristeo: egli, preso d’amore per la ninfa Euridice, moglie del cantore Orfeo, la inseguì causandone la morte. Orfeo non si rassegna, effonde ogni giorno il suo doloroso canto e osa scendere sin nel sotterraneo regno dei morti. Le divinità infernali, commosse dal canto, gli concedono di ricondurre sulla terra Euridice, a patto che ella lo segua ed egli non s volga mai a guardarla durante il cammino. Ma, in prossimità dell’uscita, il folle amore fa dimenticare a Orfeo la condizione impostagli: si volta indietro e la giovane donna è costretta a ritornare nelle tenebre dell’Ade. Orfeo disperato piange la sua amata, perduta per la seconda volta. Le donne di Tracia lo assalgono e lo sbranano, ma anche allora la sua testa, staccata dal corpo, ripete senza sosta il nome di Euridice. Aristeo, conosciuta la causa della sua punizione, per consiglio della madre offre vittime alle ninfe compagne di Euridice, autrici della morte delle sue api, e dalle viscere dei buoi sacrificati, vede sorgere immensi sciami di api.
Orfeo è un individuo profondamente umano, che ama, che soffre e che muore. E ciò che gli sopravvive è ciò che è stato generato dalle su sofferenze e dal suo amore, quel grido rivolto all’amata perduta che trova eco nel mondo naturale, un mondo che sussiste oltre l’umano dolore (vv. 523-527).
Considerato sotto questo aspetto, l’episodio di Orfeo viene ad assumere un più vasto significato, e solleva la complessa questione di quanto il finale virgiliano non venga a inficiare l’ostinata speranza di una conciliazione tra passionalità e operosità.
Brooks Otis fa rilevare molto a proposito le differenze stilistiche fra l’episodio di Orfeo e quello di Aristeo della seconda parte del libro: lo stile dell’episodio orfico è empatico, gravido di sentimento di umana simpatia; quello di Aristeo è obiettivo, meno passionale, meno partecipe e meno coinvolgente. Secondo Segal, Otis non trae da questa riflessione la logica conclusione che Virgilio si propone di far simpatizzare il lettore con Orfeo, cosa che non fa con Aristeo. Non si tratta solo del fatto che l’esito tragico è più commovente di un lieto fine: è che le sofferenze di Orfeo investono tutta la complessità della condizione umana, e quindi sollevano questioni molto più profonde. Aristeo è omologo al mondo naturale, a quelle api che alleva e che considera la gloria e l’orgoglio della vita umana. Egli porta a compimento i piani della natura, ed è in ciò soccorso dalle forze primordiali di questa.
Orfeo ci è mostrato per conto nella sua inequivocabile umanità. Non vi è nessun accenno a una sua discendenza divina. Egli assume su di sé tanto l’azione che l’espiazione. Aristeo non fa quasi nulla senza venire aiutato.
Il netto contrasto fra i due eroi rende conto in qualche misura della problematica conclusione dell’episodio di Orfeo. Proteo termina la sua narrazione della vicenda di Orfeo, dopodichè, senza alcuna soluzione di continuità, Virgilio riprende a narrare la storia di Aristeo in prima persona.
Una simile brusca transizione potrebbe rafforzare questo voluto contrasto, nell’intento di rendere la differenza fra i due eroi quanto più netta possibile.
La contrapposizione tra i due personaggi è di capitale importanza per intendere il significato della quarta Georgica. È su queste due figure che fanno perno le tematiche ricorrenti del poema, come ad esempio l’interazione fra controllo dell’uomo sulla natura e riaffermazione dell’indipendenza di questa. In essi trova espressione l’opposizione tra solete lavoro e prodigio. È per questo che uno dei due personaggi è figura rustica e l’altro è un artista.
Queste opposizioni trovano un punto d’incontro solo in un terzo personaggio. È attraverso la figura di Proteo che i due eroi si ritrovano simbolicamente faccia a faccia nel contesto della narrazione, e che i loro destini separati e opposti si intrecciano. Proteo rappresenta la vera chiave di volta dell’essenziale differenza tra i due eroi mortali e i diversi atteggiamenti che in loro si incarnano.
Per quanto riguarda lo sviluppo narrativo in sé, Proteo è superfluo. La madre di Aristeo, Cirene, afferma che Proteo fornirà le necessarie istruzioni pratiche , ma quando egli sguscia via all’improvviso, sarà Cirene a fornire di fatto i praecepta. Ella sapeva dunque sin dall’inizio il da farsi, e non aveva alcun bisogno di Proteo.
Altre devono essere quindi le ragioni che inducono Virgilio a introdurre la figura di Proteo, e a farne la voce narrante della toccante storia di Orfeo.
In primo luogo la sua funzione di narratore lo pone in un rapporto diverso rispettivamente con Aristeo e con Orfeo. Nei confronti di Aristeo egli viene a porsi nel ruolo di dell’ accusatore.
Nei confronti di Orfeo, invece, egli ha un atteggiamento calorosamente simpatetico e colmo di commiserazione.
Il trattamento riservato a Proteo da Aristeo ci fornisce un accenno a un tratto della sua indole che lo differenzia da Orfeo.
Aristeo è l’intraprendente uomo d’azione; la sua aggressione a Proteo rispecchia simbolicamente il fiducioso operare dell’uomo nei confronti dei misteriosi poteri della natura.
Nel suo più gentile approccio verso il mondo, Orfeo si situa,per contrasto, all’estremo opposto di Aristeo. Egli non cerca di usare la natura per i propri fini, né esercitare una qualsiasi azione su di essa.
Questa differenza è essenziale per intendere il significato della quarta Georgica. Esso si esprime con forza nella similitudine dell’afflitto usignolo a cui Virgilio, verso la fine del suo racconto, paragona Orfeo in preda al proprio cordoglio (vv. 511-515).
Particolarmente significativi sono i versi 512 e 513, nei quali l’uccello è visto come vittima del solerte operare dell’uomo sulla natura, impersonato dal durus arator. Il rapporto tra uomo e natura ci viene mostrato dal punto di vista della natura, non dell’uomo.
Le sofferenze di Orfeo non sono però dovute interamente ad Aristeo. Anch’egli a suo modo sta pagando per un torto commesso. La causa profonda della sua infelicità risiede in quella parte della sua natura che resta irrequieta, nel furor che fa sì che egli si volga, perdendo con ciò Euridice, egli svela la sua affinità con Aristeo: la mancanza di quella fiducia nei processi della natura. Con tutta la sua irruenza Aristeo possiede ancora qualcosa di tale fiducia . è per questo che egli riesce nel suo tentativo di >(la rigenerazione delle api), laddove Orfeo fallisce nel suo (il riportare in vita Euridice).
La confidentia di Aristeo nei confronti di Proteo è riscattata da quella semplicità che si era manifestata nel suo fanciullesco cordoglio per la morte delle api.
E ciò che egli chiede è in fin dei conti in armonia con le leggi della natura, che prevedono l’avvicendarsi di morte e rigenerazione. Orfeo affaccia invece esigenze che risultano in contrasto con tali leggi. L’irruenza di Aristeo si volge dunque al servizio della natura. Orfeo invece cerca solo appagamento al suo bisogno personale e tipicamente umano, quello dell’amore da cui le api di Aristeo vanno immuni.
Attraverso il contrasto con Aristeo, Orfeo si riconnette dunque, sempre per contrasto, con le api della prima metà del libro.
Né Aristeo né Orfeo possono proporsi come modelli impeccabili di un corretto rapporto con la natura. Le matrone cicorie che fanno a pezzi Orfeo non sono oggetto di pura e semplice condanna, non commettono semplicemente un omicidio, ma eseguono un atto religioso raffermando le leggi della natura.
Un’ altra critica del comportamento di Orfeo è implicita nei versi che precedono immediatamente la descrizione della sua morte (516-519). L’accostamento di quel nulla Venus con la sterile desolazione dell’inverno è rivelatrice. La ripulsa da parte di Orfeo di Venere, la forza vitale, lo associa con la sterilità invernale. È in un simile desolato paesaggio che egli cerca rifugio per sfuggire a Venere e per consumare i restanti giorni della sua vita vedovile.
Alcuni studi evidenziano l’importanza dei raffronti omerici. Molti parallelismi sono stati rilevati più volte, ma, a parere di Segal, l’elemento di ironia che vi è sotteso non ha sempre ricevuto l’attenzione che merita.
Alcuni hanno accostato lamento di Aristeo che perde le proprie api con il lamento di Achille che piange la perdita di Briseide. In realtà, secondo Segal, Achille costituisce un prototipo improbabile per una divinità agreste minore che ha a che fare con le api. Messe accanto alla passionale indignazione dell’eroe epico, le lamentele di Aristeo appaiono infantilmente petulanti.
L’intensità di sentimento con cui Achille vive la perdita di Briseide, si addice più a un Orfeo che non a un Aristeo.
Quando Aristeo raggiunge sua madre Cirene in fondo al mare, le Nereidi che lo attorniano stanno cantando >. La digressione introdotta dalle Ninfe è costituita dalla stria dell’adulterio di Marte e Venere, quella stessa cantata da Demodoco nel libro VIII dell’Odissea. Il contenuto della digressione ha non minore importanza del generico richiamo letterario, poiché subito dopo veniamo a conoscenza di un tentativo di adulterio le cui conseguenze saranno tragiche.
Il richiamo più importante all’Odissea sta nel suggerimento che Cirene da ad Aristeo e in ciò che ne consegue, il convegno con Proteo.
Come Menelao nell’Odissea, Aristeo ha un tempestoso incontro con il Vecchi del Mare. Aristeo si può accostare anche a Odisseo per il suo sollecitare consiglio da una divinità (Cirene,Circe) e per il conseguente intraprendere un pericoloso viaggio allo scopo di consultare un veggente (Proteo, Tiresia). Sia Menelao che Odisseo seguono il suggerimento di una divinità femminile. Ma nessuno dei due eroi omerici è carci delle gravi responsabilità di Aristeo. Menelao e Odisseo sono vittime di peripezie della navigazione che sfuggono la loro controllo; Aristeo è colpevole (anche se indirettamente) di aver soppresso una vita umana. Risulta così che il modello achilleo adombrato all’inizio dell’episodio sembra essere quello più appropriato.
Al pari di Achille, Aristeo è dapprima vittima di una sorta di cecità morale. Fino a che Proteo non gli dice della morte di Euridice, egli non mostra alcuna consapevolezza di ciò che ha commesso, né mostra poi alcun rimorso.
Le molteplici associazioni con remoti eroi mitici ottengono l’effetto di estraniare il lettore da Aristeo. La vicenda di Orfeo risulta così essere più umana.

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