Il mimo e Callimaco

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Categoria:Greco

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Testo

IL MIMO
Il mimo, una breve scenetta volta a riprodurre bozzetti di vita quotidiana e rappresentata in forma quasi improvvisata, dovette essere una consuetudine tipica del mondo popolare. Nella forma originaria esso non ha raggiunto dignità letteraria e quindi è andato perduto insieme con l’occasione nella quale veniva rappresentato (festività locale, festa per il raccolto, etc…). Tali prodotti a volte giungono, grazie all’impegno di un autore, a divenire un prodotto letterario, seppure marginale. Ciò è avvenuto, a cavallo tra il V e IV secolo a.C. con Sofrone, le cui scenette avevano incontrato l’interesse di Platone proprio per la loro caratteristica essenziale, quella di riprodurre il dialogo. Nello stesso ambito, esistono resti papiracei di testi contenuti frammenti di scenette di argomento vario. Esistono poi opere letterarie di alta stilizzazione formale che ricorrono a modalità proprie del mimo: si tratta di alcuni testi di Callimaco e di Teocrito, ai quali si aggiungono i componimenti di Eroda.
Sotto il nome di Eroda o Eronda sono giunti alcuni componimenti, definiti, probabilmente per il metro adottato (il coliambo o giambo scazonte), Mimiambi, ossia Mimi in metro Giambico. Quasi nulla si ricava dalle fonti sull’autore, vissuto nel III secolo a.C.; forse di origine siracusana, ebbe una conoscenza non solo letteraria del mondo ionico:dell’ambiente ionico imita il dialetto e che quindi fanno pensare a un’operazione letteraria che vuole riagganciarsi alla tradizione dei giambografi arcaici, soprattutto Ipponatte. I nove mimiambri sono noti da un papiro di proprietà del British Museum (I secolo d.C.). Si tratta di testi di estensione variabile contenenti brevi scene di vita quotidiana cittadina. Situazioni rappresentate e personaggi, tutti di estrazione borghese, fanno immediatamente pensare alla commedia nuova, trasportata in una situazione diversa. Ma la ricercatezza linguistica e il gusto per la descrizione dei personaggi fanno piuttosto pensare che Eroda abbia voluto tentare la via della sperimentazione, utilizzando un materiale ancora poco sfruttato. Il pubblico poteva essere molto vario e i Mimiambi saranno stati fruibili in più maniere; dal grado zero della teatralità della lettura a tavolino da parte de dotto, alla rappresentazione scenica vera e propria a cura di due o più attori.

T30: Al santuario di Asclepio
due amiche si sono recate al santuario di Asclepio per presentare al Dio in cambio di una grazia ricevuta un gallo e una tavoletta votiva. Nel tempio vengono dunque venerate anche Asclepio e numerosi dei minori. Il campo di intervento, la salute, è tanto importante da giustificare i numerosissimi segni di devozione. Nel tempio ci sono numerosi ex voto, opera di artisti famosi. La presenza di queste raffigurazioni marmoree provoca l’ammirazione delle amiche. Il gusto per la vivace descrizione delle opere d’arte è un segnale della vicinanza tra l’autore e la poetica ellenistica, per la quale ekfrasis è l’elemento distintivo.
T31:il commercio, ovvero l’arte di negoziare
una donna, conduce alcune amiche da un calzolaio di sua conoscenza. Buona parte del mimo è dedicata all’attivazione del calzolaio per dare migliore impressione alle amiche della donna e la donna che fa le raccomandazioni al calzolaio per fare bella figura alle amiche. Si tratta quindi di una situazione quotidiana.

CALLIMACO
Vita di poeta alla corte dei Tolomei
Le notizie sulla vita di callimaco sono piuttosto scarse. Nasce a Cirene intorno al 310 a.C. Per un certo periodo è impegnato come grammatico e letterato nei pressi di Alessandria. Nell’ambito del Museo e della biblioteca egli mette a frutto la sua preparazione letteraria e la arricchisce con la conoscenza diretta del patrimonio di testi acquisiti dalla biblioteca. Il suo intervento filologico altamente professionale è alla base dei pivakes, ossia le “schede” che redige per ciascuno degli autori e dei testi esaminati, organizzando le opere per settori e adottando un criterio adeguato. Di tale opera, rimangono scarse testimonianze e i titoli di qualke studio di interesse letterario, antiquario, storico-erudito, mitologico, geografico e scientifico. Callimaco non diviene mai direttore della biblioteca (prostates): nel periodo in questione troviamo Zenodoto, Apollonio Rodio, Eratostene
All’attività di studioso, si accompagna quella di poeta. Callimaco viene favorito poi da Berenice, sposa di Tolomeo III Evergete, in virtù della comune origine.
La produzione in versi
Una tradizione difficile
La tradizione degli scritti di Callimaco è rimasta relegata essenzialmente alla forma papiracea. Solo gli epigrammi e gli inni sono stati trasmessi su codice: i primi perché inclusi nelle antologie confluite nel manoscritto della raccolta oggi nota come Antologia Palatina, i secondi perché compresi in una raccolta innografica più vasta.
Tra il 1910 e il 1935 la scoperta e la successiva edizione di numerosi papiri hanno permesso agli studiosi di ricostruire criticamente il testo di alcune tra le opere in versi più significative
La poesia erudita degli Aitia
Si può dire che gli Aitia (origini) dovevano presentarsi come una raccolta di elegie in 4 libri il cui filo conduttore era costituito dalle domande che il poeta rivolgeva alle Muse sulle “origini” di miti, leggende, festività tradizione locali, etc… Esso presenta infatti un contenuto apertamente meta letterario ed è sicuramente il più ampio stralcio della produzione greca in cui l’oggetto della trattazione è la poesia stessa. Dopo il prologo Callimaco introduce un sogno, con il quale si richiama esplicitamente all’investitura poetica di Esiodo. Le singole elegie risultano in realtà perfettamente compiute e garantiscono, singolarmente, l’esigenza di costruire una poesia erudita di alta raffinatezza stilistica. Unico vero filo conduttore dell’opera è proprio il ricorso alla tematica dotta, che pone al centro della poesia il mito eziologico locale e/o secondario.
È impossibile riassumere il contenuto degli Aitia ma si può soltanto esemplificarlo tramite alcuni degli argomenti affrontati: un epinicio per Berenice II, vincitrice in una corsa di carri alle Nemee; la fondazione delle città siciliane; l’episodio di Aconzio e Cidippe. Nel testo frammentario degli Aitia inoltre, gi studiosi hanno riconosciuto gli indizi di due diverse edizioni, alla seconda delle quali Callimaco avrebbe aggiunto il prologo e la Chioma di Berenice, originariamente pubblicata come elegia a sé stante.

I giambi
I papiri hanno restituito anche il testo, molto frammentario o, in alcuni casi, il solo argomento, di tredici componimenti in metri giambici. L’uso del giambo è il loro tratto distintivo: il metro è infatti sapientemente variato e ha fatto pensare a un progressivo distacco dalle forme tradizionali. L’innovazione consiste piuttosto nella scelta di non riutilizzare i toni propri dei giambo grafi di età arcaica, il biasimo e l’attacco, optando per argomenti vari. La modalità della trattazione si caratterizza per la mescolanza di toni seri e comici (serio comico)
Il giambo I ha per protagonista Ipponatte. Il giambo II è la reinterpretazione di una favola sugli animali parlanti condannati da Zeus a perdere la parola per aver chiesto al dio di bandire la vecchiaia. Il giambo III informa che il componimento costituiva una critica al presente. Il giambo IV contiene un contrasto tra 2 avversari su questioni letterarie in forma allegorica: a scontrarsi sono un ulivo e un alloro.
Gli inni
Gli inni di Callimaco, giunti in una raccolta contente anche gli inni omerici, quelli orfici e quelli di Proclo, sono generalmente considerati frutto di un lavoro poetico al quale l’autore si è accostato presto per continuare a praticarlo con il progredire della sua attività. I sei componimenti ( a Zeus, Ad Apollo [ci mescola il mimo], ad Artemide, a Delo, Per i lavacri di Pallade, A Demetra) sono scritti in esametro, anche se in un caso, il distico elegiaco (Per i Lavacri di Pallade)
Una poesia raffinata e dotta: l’Ecale e gli epigrammi
L’Ecale si tratta di un poemetto incentrato su un aspetto marginale della vicenda mitica di Teseo e della sua lotta contro il toro che devastava il territorio di Maratona. Il giovane Teseo, sfuggito al tentato avvelenamento da parte di Medea e riconosciuto dal padre Egeo, si reca a Maratona dove un terribile toro sta devastando il territorio. Per l’improvviso scoppiare di un temporale trova ospitalità presso la misera abitazione di una vecchietta, Ecale. Il giorno successivo cattura il toro, ma quando torna dalla sua ospite la trova senza vita. Ne celebra dunque gli onori funebri, istituendo un demo per ricordarne il nome e consacrando un santuario a Zeus Ecaleios. Eziologia e strutture narrative nuove si mescolano in un’opera che è una vera provocazione all’epica tradizionale e costituisce un singolare esempio di un prodotto tipico della poesia ellenistica: l’epillio, utilizzato dai poeti successivi, anche in lingua latina.
Nella ricerca di una poesia raffinata e dotta, Callimaco trova nell’epigramma uno strumento perfettamente adeguato.
La poesia, la poetica e la polemica letteraria
La poesia alessandrina e il ruolo di Callimaco
La rinnovata dimensione del corpus callimacheo, la forte valenza meta letteraria, sono altrettante conferme del ruolo centrale che egli riveste nello sviluppo e nella definizione della poesia e della poetica alessandrina. Il primo di tali elementi è la dottrina: l’interesse erudito diviene parte integrante di una poesia che nasce nel quadro di una cultura organizzata attorno alle biblioteche e al potere monarchico e con il compito di sistemare e catalogare.
L’eziologia, ossia la ricerca dell’origine delle cose (aition) che nasce dall’attività di studioso e di dotto, è dunque uno degli assi portanti della poesia di Callimaco, in modo programmatico negli Aitia, ma diffusamente anche nei Giambi, negli Inni, nell’Ecale. Nell’inno Per i Lavacri di Pallade la cornice culturale della festività racchiude l’aition della cecità di Tiresia, mentre nell’inno A Demetra la celebrazione della dea apre e chiude la narrazione della vicenda favolistica della mostruosa fame di Erisittone. Il racconto tratto con ogni probabilità da un motivo di orine popolare si mescola in Callimaco con gli elementi tipici della poesia innodica. La fusione di inno e racconto popolare si risolve nella raffigurazione grottesca del protagonista che divora insaziabilmente tutto ciò che ha di fronte. Il sottile gioco di Callimaco va dall’originale ricomposizione di elementi di provenienza varia alla pratica e alla contaminazione di generi diversi. Per tale via giunge alla costituzione di un corpus poetico all’insegna della varietà contenutistica e formale, perfettamente rispondente alle esigenze del dotto alessandrino fattosi poeta. Nella “doppia Anima” di Callimaco il gioco dell’innovazione comincia già probabilmente con le prime prove poetiche e prosegue in tutte le sue opere. Negli Inni si riconosce il dialogo che egli instaura con la tradizione: i suoi canti non hanno nulla a che fare con l’occasione rituale; rispettano la forma metrica tradizionale, salvo abbandonarla per il distico elegiaco; optano per dialetti diversi (ionico i primi quattro; dorico il V e il VI). Il primo componimento dei Giambi è esemplare per comprendere il sottile gioco su cui si basa l’arte allusiva di Callimaco: il poeta, infatti, introduce come interlocutore Ipponatte.
I Giambi rappresentano ottimamente la necessità del poeta di variare nella metrica, nei contenuti e nei toni.
Poesia oggetto di poesia
i tre distici del frammento 28 ribadiscono il rifiuto per l’opera di grandi dimensioni, lo stesso che guida il giudizio di Callimaco critico letterario ad apprezzare la Nannò di Mimnermo e a criticare Antimaco di Colofone, autore della Lide.
A ciò si aggiunge investitura poetica da parte delle Muse e immediatamente dopo il prologo degli Aitia.
Dai versi di Callimaco emerge infatti una forte tendenza ad affermare le proprie scelte criticando quelle altrui. È pero estremamente difficile decofigicare con esattezza i termini della questione e capire quali fossero i reali protagonisti del dibattito, i versi conclusivi dell’inno Ad Apollo hanno fatto pensare che l’avversario di Callimaco fosse Apollonio Rodio (nelle Argonautiche dice “ un fiume di parole”)
La polemica aveva come retroterra le convinzioni estetiche di Aristotele, che aveva negato alla poesia la capacità di indagare il fatto storico e aveva affermato le caratteristiche basilari di un’opera: compiutezza, unità, continuità, estensione. Callimaco si dichiara contrario a tali regole. Non a caso le critiche dei Telchini, i demoni che impersonano i poeti avversari nel prologo degli Aitia, si appuntano proprio contro il fatto che, a loro parere, tali caratteri non sarebbero presenti nella poesia callimachea.

Lingua e stile
La cifra stilistica di Callimaco è senza dubbio la raffinatezza, accompagnata da un magistrale riuso della tradizione letteraria. Potenzia le risorse espressive della parola grazie al riuso della lingua omerica e al peculiare ricorso ai dialetti letterali, alla precisione nell’uso dell’esametro e all’impiego di metri inconsueti in relazione al genere (gli encomi e gli epinici in forma di elegia), ad una lingua di tono medio ma fortemente variata che garantisce l’originalità grazie alla novità degli abbinamenti, ad un oculato gioco fonico.
La fortuna di Callimaco
Callimaco e più in generale la poesia ellenistica, hanno rappresentato un passaggio obbligato tra letterati latini e tradizione. Per questo motivo molto di quanto è stato prodotto tra il II e il I secolo a.C., tra Grecia e Roma, si può comprendere solo attraverso la lezione callimachea. Il processo di assimilazione della cultura greca a Roma interessa generi e autori diversi. Senza l’esperienza callimachea sarebbe impossibile comprendere il sogno in funzione di investitura poetica, ma anche la varietà di metri e di lingua delle prime forme di satira. La poesia dei neoteroi, inoltre, muove chiaramente dai principi della poetica callimachea. L’epillio callimacheo, peraltro, ha costituito il modello di autori di lingua greca, ma è anche alla base di nuove forme poetiche in lingua latina: in particolare delle originali forme epiche di Ovidio. L’enunciazione dei principi della propria poetica è, come si è visto, parte integrante della produzione callimachea. In epoca augustea la stessa cosa può dirsi per Orazio, che dissemina i propri versi di riflessioni meta letterarie dalle quali traspare l’eco di Callimaco. Attraverso l’esperienza della poesia in lingua latina la lezione di Callimaco ha varcato i secoli. Il naufragio delle sue opere ha fatto sì che, in realtà, i poeti delle età successive abbiano avuto presente i principi ispiratori della sua poesia in modo mediato, senza sapere a chi dovessero i fondamenti del dibattito che ha appassionato e continua ad appassionare chi si dedica alla poesia. Ogni volta, dunque, che un poeta fa confluire nei suoi versi una riflessione su come intende la poesia, rende omaggio a Callimaco, sia consapevolmente sia in nome dell’acquisizione di un principio entrato a far parte della tradizione.

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