Callimaco

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Testo

Callimaco è stato , a quanto sappiamo , il primo poeta a essere anche editore della sua opera. Questa innovazione nasce dall’esigenza di costruzione attenta della singola opera che sta alla base di ogni futuro liber poetico. Callimaco mostra di aver voluto costruire un vero e proprio monumento letterario , una specie di personale enciclopedia, che mira a sostituire la grande poesia epica da lui tanto disprezzata. Callimaco fu e restò un poeta d’ elite, che ebbe fortuna soprattutto nel mondo romano. L’avvento dei regni ellenistici infranse definitivamente la figura dell’intellettuale organico alla polis , di cui Atene era stato l’esempio più illustre. Per di più l’affermazione definitiva della scrittura e l’uso del libro staccarono l’opera dall’occasione esterna . L’opera letteraria diventò libro. Venendo a mancare il legame con l’occasione il poeta fu portato a elaborare il proprio prodotto con maggiore libertà . Ogni composizione diventò un nuovo spazio letterario all’interno del quale potevano coesistere e contrapporsi , ciascuno con la sua individualità, diversi registri , che rinviavano a generi diversi . E Callimaco teorizzò esplicitamente i suoi nuovi metodi con novizia di particolari : lo fece negli Inni , negli Aitia, nei Giambi. Nessun altro poeta greco si concesse tanta metaletteratura come lui : molte sono le composizioni e le sezioni programmatiche . Callimaco fu princeps elegiae, secondo la definizione di Quintiliano ; fu impegnato nel rinnovare la teoria e la prassi poetica ; e al tempo stesso fu filologo erudito.

La fonte principale per la biografia di Callimaco è la voce del lessico bizantino Suda. Callimaco nacque a Cirene poco prima del 300 a.C. . La sua attività letteraria si svolse sotto il regno di Tolomeo Filadelfo e nei primi anni di quello di Tolomeo Evergete. La data della morte ci è ignota. Ebbe stretti legami con i Tolomei e lavorò lungamente nella Biblioteca di Alessandria ,della quale però non fu mai bibliotecario. Si può credere che la sua influenza a corte si rafforzasse con il regno dell’evergete che aveva sposato Berenice. Callimaco fu dunque poeta e letterato di corte: scrisse carmi celebrativi per Arsinoe, sorella e moglie del Filadelfo, e per la sua concittadina Berenice.

Dell’opera di Callimaco ci sono pervenuti integri soltanto i6 inni e 63 epigrammi . Di altre opere ci sono pervenute frammenti più o meno ampi, sia attraverso i papiri sia attraverso la tradizione indiretta. Dei numerosi scritti in prosa abbiamo soltanto una parte del trattato sui Tarmata.

Attraverso la conclusione dell’Inno ad Apollo era nota l’avversione di Callimaco per il poema epico di grande estensione
Il prologo degli Aitia non soltanto ha confermato la scelta della finezza e la ricerca dell’originalità, ma ha consentito di precisare meglio i termini della polemica contro quelli che Callimaco chiama Telchini, con il nome di una stirpe di demoni tradizionalmente collocati a Rodi. Al canto continuo viene preferito quello che si conclude in pochi versi. Callimaco si pone in totale antitesi rispetto alla posizione peripatetica e i suoi avversari, che ad Aristotele si rifacevano, gli contestavano la brevità e la mancanza di unità. Ai modelli che per Aristotele erano canonici (i due poemi omerici e alcune tragedie), Callimaco oppone, sempre nel prologo degli Aitia, la poesia di Esiodo. L’apprezzamento per Esiodo, che sarà costante nella cultura alessandrina, implica una scelta di veridicità e comporta anche una professione di realismo.

La datazione degli inni rimane assai incerta. Ad eccezione dell’Inno V, Per i lavacri di Pallade, gli altri Inni sono composti in esametri che rispettano leggi ignote all’esametro omerico. Sia l’innovazione metrica del V Inno sia la linguistica del V e del VI rientrano nella volontà di innovare infrangendo le leggi dei generi, Anche sotto il profilo tematico gli Inni del V e VI presentano evidenti infrazioni agli schemi tipici dell’inno clètico, cioè di invocazione.
Va detto comunque che non essendo condizionato dal legame con l’occasione, Callimaco può permettersi di introdurre in tutti gli Inni elementi estranei alla tradizione. Tra i più importanti sono le disquisizioni litografiche ed erudite, i bozzetti di vita quotidiana, le scene eroicomiche. Nell’Inno di Zeus il poeta utilizza come cornice di riferimento un immaginario simposio di poeti eruditi.
L’Inno di Zeus(I) innesta nella struttura tipica dell’inno (nascita del dio, sue funzioni ecc.) un dettagliato catalogo dei fiumi dell’Arcadia fatti sgorgare da Rea al momento del parto, due discussioni, su problemi litografici e un elogio di Tolemeo Filadelfo.
L’Inno di Apollo (II) si immagina composto per le feste Carnee di Cirene, che il canto ambiguamente accompagna e descrive: ambiguamente, perché apparentemente l’inno si presenta come accompagnamento di un rito reale, mentre si tratta di una composizione letteraria, quanto mai lontana dagli inni culturali della tradizione corale.
L’Inno si sofferma come di consueto sulle sfere funzionali del dio, dedicando particolare spazio all’attività di fondatore di città. Callimaco ne trae spunto per narrare la fondazione di Cirene e per rievocare le azioni dei primi coloni.
L’Inno di Artemide (III) introduce l’elenco delle prerogative della dea attraverso una scenetta di vita quotidiana trasferita nel mondo divino: un affettuoso dialogo tra Zeus e la dea bambina.
La maggior parte dell’Inno a Delo (IV) descrive il vagabondare di Latona perseguitata da Era e alla ricerca di un luogo dove partorire Apollo e Arteidime. Come Latona, anche Delo vagava per il Mediterraneo e si fermò soltanto dopo il parto di Latona. Apollo consiglia poi alla madre di sceglier l’isola di Asteria. L’isola è mobile nel mare e poi, fissatasi, si chiamerà Delo.
I lavacri di Pallade (V) si immagina cantato in occasione della cerimonia argiva del bagno della statua della dea nelle acque dell’Inaco. Racconta della storia di Tiresia accecato da Arena per aver visto la dea nuda mentre si bagnava nella fonte di Ippocrène.
L’Inno a Demetra (VI) ha come cornice la processione del canestro con i doni alla dea. Racconta di Erisìttone che abbatte il pioppo sacro alla dea e per questo viene punito.

Gli Aitia (racconto delle origini) sono una raccolta di elegie in distici elegiaci in quattro libri, che riscostruiscono le origini di culti, usanze, nomi ecc… Il riferimento al prologo della Teogonia di Esiodo, che si .legge nel cosiddetto Prologo dei Telchini, implica una importante scelta di campo in fatto di poetica antiepica.
Nei primi due libri le elegie erano presentate come risposte delle Muse alle domande del giovane poeta al quale erano apparse in sogno.
L’autorità delle Muse presenta il poema come vero erede dell’epos, al quale si sostituisce come ampia enciclopedia del mito. E il mito, indagato poeticamente come se fosse storia antica, costituisce la base su cui è nata la storia e su cui si fonda il presente: questo è il senso dell’Aition.
Nel libro III era collocata l’elegia dedicata alla novella di Aconzio e Cidippe. Aconzio, innamorato di Cidippe, incide su una mela un giuramento che la lega a sé. Cidippe legge le parole incise sulla mela e, quando sta per sposarsi ad un altro uomo per volontà del padre, cade ammalata. Il matrimonio non viene celebrato e, a ogni nuovo tentativo, la febbre si ripresenta. Il padre consulta l’oracolo di Apollo che gli rivela la verità e acconsente alle nozze tra Cidippe e Aconzio. Lo stratagemma inventato da Aconzio ed il legame magico che si crea col giuramento sono motivi tipici della novella popolare.
Nel IV libro trovava posto la Chioma di Berenice. Berenice aveva offerto un ricciolo perché il marito, Tolomeo III, tornasse vincitore dalla guerra con la Siria. La scomparsa del ricciolo dal tempio diede spunto all’astronomo Conone per dare il nome di Chioma di Berenice ad una costellazione da lui scoperta. Callimaco introduce il ricciolo che racconta il suo viaggio nel tempio di Arsinoe-Afrodite e poi la sua trasformazione in costellazione. Catullo ne diede una libera traduzione nel carme 66.

I Giambi riuniscono ,secondo un preciso progetto ,composizioni scritte in momenti diversi,ma destinate a formare un tutto organizzato. Il libro era composto di17 carmi. La varietà tematica è molto grande : una simile accozzaglia di generi è un inedito assoluto e lo si può giustificare con una volontà compositiva del liber poetico assolutamente nuova. Ma un posto di assoluto rilievo tiene la discussione di poetica (o metapoesia) . Nel Giambo I Ipponate raduna i dotti di Alessandria nel Serapeion e , per invitarli alla concordia, racconta loro la storia della coppa di Bàticle, che doveva essere assegnata al più saggio dei sette Sapienti e che, dopo essere passata dall’uno all’altro,fu consacrata da Talete ad Apollo. Ipponatte-personaggio annunzia nel Giambo I la novità del giambo callimacheo. Il libro dei Giambi è in realtà un vero e proprio esperimento letterario, dove l’invettiva personale propria del genere è integrata dal richiamo frequente alla morale popolare e dove vengono toccati gli argomenti più vari. E’ quindi evidente che la polyèideia di Callimaco non è la stessa di Ione : Callimaco non soltanto impiega metri diversi, ma dà vita a nuove e audaci combinazioni di forme , elaborando gli schemi della tradizione letteraria con una libertà che il poeta di Chio non poteva avere.

L’ ècale è un epillio(piccolo epos),che ci mostra l’abilità di Callimaco a rinnovare profondamente il genere epico nella forma e nel contenuto. Il mito narrato riguarda un episodio marginale delle gesta di Teseo. L’eroe ,alla ricerca del terribile toro che devastava la zona di Maratona, viene sorpreso da un temporale e trova ospitalità verso una vecchia di nome ècale. Il giorno seguente Teseo riesce ad abbattere il toro,ma, ritornando nella casa della vecchia ,la trova morta. Per onorarne la memoria, istituisce il nuovo demo di ècale e dedica un tempio a Zeus ecaleio. Si tratta di un racconto eziologico, che espande una materia tipica degli Aitia e la inserisce in una struttura narrativa epica. L’aition compare alla fine,quasi per sdrammatizzare l’epos e riportarlo al livello della realtà. Il vero personaggio centrale è ècale , che è umile e conduce vita umile, è un epos che è antiepos. L’innovazione di Callimaco incide in profondità anche sul tessuto linguistico: la raffinatezza linguistica si unisce alla semplicità che nasce dall’osservazione della vita quotidiana.

Non tutti gli epigrammi attribuiti a Callimaco sono considerati autentici. Gli epigrammi, di argomento votivo, sepolcrale e pederotico, presentano in alcuni casi innovazioni linguistiche e metriche.

Della lingua di Callimaco e del suo stile, oltre a quanto si è già detto, resta da aggiungere in sintesi che è un poeta esametrico (ed elegiaco) che scrive in lingua omerica aggiornata alle forme e alla produttività della Koinè ellenistica.
Quanto alla lirica, Callimaco da una parte sperimenta vari tipi di strofe epodica (nei Giambi) e dall’altra “traduce” in verso recitativo forme che erano tradizionalmente destinate alla lirica.
La fortuna di Callimaco a Roma fu immensa.

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