Apollonio Rodio, Menandro, Callimaco testi

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Testo

TESTI ETÀ ELLENISTICA
APOLLONIO RODIO: GLI ARGONAUTI
PROEMIO
molte sono le novità di questo proemio, in equilibrio fra strutture tradizionali e innovazioni.
L'invocazione ad Apollo, indicato come motore dell'azione, sostituisce quella canonica alle Muse, presente alla fine del proemio( doppia invocazione); inoltre il modo con cui Apollonio si rivolge al dio evoca le movenze dell'inno, non dell’epos, e contiene una decisa sottolineatura soggettiva tale da assegnare alla personalità dell'autore un rilievo ignoto all’aedo, che attribuiva alle Muse il compito di cantare e si riservava quello di semplice strumento dell'ispirazione divina.
Apollonio e ribadisce la portata innovativa del suo poema (v 18-22) quando contrappone se stesso agli antichi cantori della saga argonautica. Anche il breve accenno alle cause che hanno determinato l'impresa costituisce in qualche modo una violazione del codice epico, che prevedeva l'inizio del racconto ad azione già avviata: questo è un procedimento mutuato dai prologhi della tragedia di Euripide, con lo scopo di contrapporre subito il protagonista al suo antagonista e di delineare fin dall'inizio il carattere anomalo dell'impresa, imposta da un sovrano crudele e passivamente subita dall'eroe.
LA CONTESA TRA I LA E IDMONE
la sera che precede la partenza, gli argonauti fanno sacrificio ad apollo e poi banchettano. Alla loro allegria fa da contrasto l'atteggiamento di giasone, che se ne sta pensoso avvertendo tutto il peso del proprio compito: questa logorante incertezza, che nasce dall'incapacità di trovare possibili vie d'uscita, caratterizzerà il personaggio e la sua impresa per l'intero poema.
Però c'è chi non accetta l'idea di ubbidire a un uomo così sfiduciato: questi è l'arrogante Ida, figura tradizionale di guerriero, contrapposta a quella di Giasone, caratterizzata da una ubris che lo spinge ad affermare la propria autosufficienza rispetto all'aiuto divino e a irridere gli oracoli.
Egli ha il suo antagonista in Idmone, un veggente, che non tollera il tono tracotante del compagno né il blasfemo giuramento da lui pronunciato sulla propria lancia, oggetto di un vero e proprio culto idolatrico che sostituisce quello degli dei.
In Ida il poeta ha voluto semplicemente raffigurare, con una punta di parodistica ironia, il prototipo dell'eroe omerico, il cui valore tende sconfinare appunto in uno smisurato orgoglio. Campione dei valori tradizionali Ida non può comprendere i tormenti di Giasone, che vive invece la sua condizione di capo dell'impresa come angosciante solitudine.
Apollonio ci mostra l’inadeguaglianza di Ida, che incita Giasone ad agire con più forza, e l’antieroismo di Giasone.
Alla fine c’è tematica tipica: i compagni cercano di frenare la disputa.
LA PARTENZA DA LEMNO
approdati nell'isola di Lemno, prima tappa della loro navigazione, gli argonauti vi si trattengono più a lungo del previsto, unendosi alle donne di quella terra le quali vedono negli stranieri l'unico mezzo per tramandare il potere(topos tipico: l'isola di Lemno è una comunità di donne perché gli uomini sono stati uccisi per prendere il potere; però le donne hanno bisogno degli uomini per tramandarlo).
Regina di questa singolare comunità è Ipsipile, ora compagna di Giasone: anche l'eroe sembra aver dimenticato la missione.
L'unico che non si è lasciato irretire dei vantaggi di quella situazione è Eracle che assume il compito di richiamare i compagni al loro dovere. Eracle è molto offeso perché, essendo un eroe classico, non accetta che le donne comandino.
I greci così riprendano il mare tra il pianto delle donne. La dio viene menzionato attraverso una metafora di carattere erotico(estraneo al genere epico tradizionale): api= argonauti, fiori= donne.
È presente un topos tipico: il figlio visto come ricordo del padre.
Apollonio utilizza materiali mitici di varia provenienza: la storia delle donne di Lemno ricorda quelle delle Dnaidi, ma il motivo dell'eroe trattenuto in un'isola dal fascino ammaliatore di una donna è di chiara acendenza odissiaca(circe, calipso).
questa ennesima dimostrazione di debolezza da parte di Giasone aggiunge un ulteriore elemento alla caratterizzazione del personaggio, in quest'occasione surrogato da Eracle nelle sue funzioni di capo; tutto lascia intendere che il fortissimo eroe avrebbe forse finito per assumere il comando se un imprevedibile destino non gli avesse precluso di giungere alla meta. Inoltre il rapporto Giasone\ipsipile prefigura quello tra l'eroe e Medea e questa funzione prolettica dell'episodio è in qualche modo confermata dalla sua collocazione durante il viaggio di andata anziché di ritorno.
IL RAPIMENTO DI ILA
gli argonauti sono giunti presso la foce del fiume kios, in misia. Qui imbandiscono un banchetto però Eracle si inoltra in una vicina serva per fabbricarsi un remo con un grosso tronco d'albero. Intanto ila, il giovinetto da lui amato, si allontana per cercare una fonte da cui attingere acqua; giunta una sorgente viene scorto dalla ninfa che abita in quelle acque e rapito da essa, invaghita dalla sua bellezza. Inconsolabile, Eracle comincia a esplorare palmo a palmo i luoghi circostanti ma non trova nessuna traccia dell'adolescente scomparso e grida tutta la sua disperazione. la rabbia di Eracle le è la caratteristica principale del suo personaggio: egli è l'eroe dell'eccesso simile ad Achille. Vi è l'idea classica dell'amore visto come monomania: se non è appagato crea una grande disperazione. All'alba gli argonauti salpano senza di lui.
Questo episodio ha la funzione di escludere Eracle e da un'impresa destinata a concludersi modo assai poco epico: infatti egli, il più forte tra gli eroi greci, non avrebbe mai accettato di ricorrere all'aiuto di una donna, come invece fece Giasone. Apollonio però piega l'esigenza strutturale a finalità di carattere artistico e incastona del tessuto della narrazione un vero e proprio epillio, dotato di una sua autonomia e caratterizzato da motivi, quali l’eros e il paesaggio, tipici della letteratura ellenistica.
IL PASSAGGIO DELLE SIMPLEGADI
tra le tante imprese affrontate da Giasone i suoi compagni c'è il rischiosissimo attraversamento delle rupi vaganti delle Simplegadi che separano il Mar Mediterraneo dal mar Nero. Quest'impresa rappresenta emblematicamente il contrasto fra la perizia tecnica di cui gli eroi devono dar prova e la resistenza opposta dalle forze della natura. Queste rocce inoltre simboleggiano il confine fra il mondo civilizzato e quello barbarico.
Solo l'intervento di Atena salva la nave di argo dalla catastrofe.
Nella fase finale del passaggio gli argonauti piombano in quella rassegnata impotenza che è il Leimotiv di tutta l'impresa e diverrà addirittura totale durante il viaggio di ritorno.
Il passaggio viene prima percepito, sentito; quando lo vedranno saranno colti da un grandissimo terrore.
Le rocce vengono descritte in modo molto dettagliato.
La colomba riesce a fare anche se con fatica = segno che ce la faranno anche loro.
Tiphis e eufemo si comportano con grande coraggio: tiphis capisce che non bisogno porsi alle onde mentre eufemo incoraggia i compagni a remare più forte perché la corrente era troppo potente.
La nave si incastra tra le rocce.
Immagine plastica di Atene che compare per salvare gli argonauti: classico intervento del deus ex machina, tipico della tragedia ma non dell'etica, che sottolinea l'impotenza dell'uomo di fronte alla forza della natura.
Le rocce così si fermano e si avvera la leggenda.
tiphis cerca di confortare Giasone il quale però è tormentato da un'angoscia infinita: egli sente la responsabilità di tutti i compagni, una responsabilità che lo schiaccia.
IL SOGNO DI MEDEA
con l'animo già sconvolto dalla passione, ma ancora razionalmente inconsapevole di essa, Medea ha assistito al colloquio tra Giasone e suo padre, e ora è atterrita al pensiero della tremenda prova imposta all'errore. All'inizio non sa darsi ragione di tanta angoscia e vorrebbe convincersi che il greco è solo un estraneo: ma nello stesso istante i suoi veri sentimenti prorompono incontenibili.
Nella notte successiva il riposo della fanciulla è turbato da sogni che le preannunciano un futuro segnato dal lacerante conflitto fra l'amore per lo straniero e i vincoli che la legano ai suoi genitori e alla sua terra. Nel sogno la realtà di ciò che sta per accadere è deformata solo in alcuni particolari, che riflettono le pulsioni dell'inconscio di Medea: nel sogno,in quanto proiezione dei suoi desideri, che sia lei stessa ad aggiornare i tori tradisce la decisione ormai presa di aiutare l'eroe, così come il fatto di vedersi eletta ad arbitra nella contesa fra gli argonauti e suo padre riflette drammaticamente la sua consapevolezza di essere chiamata compiere una scelta esistenziale che implica il rifiuto di un mondo, quello barbarico, e l'accettazione di un altro, civilizzato del quale Giasone è l'espressione.
Nel monologo che segue torna a manifestarsi il contrasto fra passione e ragione in cui i propositi di fedeltà alla patria e alla condizione di vergine sono contraddetti dalla consapevolezza ormai piena del sentimento. Trovato un fragile alibi del dichiarato proposito di voler aiutare l'eroe solo per salvare i figli della sorella Calciope( i figli avevano seguito il padre frisso in grecia e ora facevano parte degli argonauti. per questo morivo, che considerava un vero e proprio tradimento, eeta aveva minacciato di punirli), Medea tuttavia è trattenuta continuamente dal pudore ( che le impedisce di recarsi dalla sorella. scontro fra 2 forze: vergogna e desiderio. Alla fine estenuata perde i sensi.
Similitudine tra Medea e una vedova per esprimere il suo dolore.
TORMENTO NOTTURNO
il prorompere devastante della passione assume i connotati di una veglia angosciosa. Il motivo del contrasto fra la quiete notturna che avvolge tutte le cose e l'insonne tormentarsi di un personaggio si specializza in funzione descrittiva della patologia amorosa. In Apollonio esso assume una malia particolare fatta di sensazioni visive dove l'agitazione che pervade Medea è paragonata a un fenomeno fisico di rifrazione = similitudine tipica dell’età ellenistica. Apollonio fa vedere la sua cultura anche in campo scientifico oltre che letterario. apollnio inoltre ci mostra le sue conoscenze mediche (v 762..) provenienti da 2 medici: eurofilo e rasistrato.
Dopo un lungo monologo, in cui il solito contrasto fra amore e pudore si manifesta in modo più violento, l'idea di un gesto estremo appare alla fanciulla l'unica via d'uscita possibile: decide di farla finita in quello stesso momento e le sue mani corrono allo scrigno dove custodisce i filtri magici, il cui ambiguo nome designa sia i rimedi sia i veleni che danno l'eterno oblio.
Tuttavia prende poi il sopravvento il disperato attaccamento alla vita e alle gioie della giovinezza e desiderio dell'alba non si identifica più con quello di porre fine alla notte di tormento ma diviene soprattutto smania di rivedere il volto di Giasone, di potergli finalmente rivelare il proprio sentimento e di rassicurarlo sull'aiuto che intende dargli.
L'agognato sorgere di una nuova luce segna la svolta definitiva della sua esistenza. I primi chiarori del giorno illuminano il volto di un'altra Medea, donna matura pronta a sacrificare tutto e tutti sull'altare della sua irrefrenabile passione.
L'INCONTRO DI MEDEA CON GIASONE
Medea attende l'arrivo di Giasone al tempio della dea Hecate. L'ingresso in scena delle dell’eroe è scandito da una similitudine nella quale la sua bellezza sfolgorante è accostata quella di Sirio, astro luminosissimo a cui fu paragonato lo stesso Achille.
Segue la descrizione dei devastante effetti della vista dell'uomo amato ha su medea: l'enumerazione patologica di sintomi trova il suo modello canonico nella celebre sindrome di saffo. Il lungo discorso di Giasone risulta invece costruito secondo programmato schema retorico, così da suonare freddamente cortese e essenzialmente rivolto ad accattivarsi le simpatie della fanciulla in vista dell'aiuto.
Giasone tende innanzitutto dare di sé un'immagine positiva rimarcando la propria sincerità e augurandosi che essa viene ricambiata.
Poi passa lusingare la sua interlocutrice, indicando il lei l'unica persona che può salvarlo dalla morte certa e prospettando la gratitudine la fama che otterrebbe presso le donne degli argonauti.
Introduce poi a sostegno delle sue parole un notissimo exemplum mitico, quello di Arianna che per aver aiutato Teseo ebbe il privilegio di dare il suo nome alla costellazione. In realtà l'eroe tace la parte meno favorevole del mito, quella che vede la stessa Arianna abbandonata dall'amante e che prefigura, con una prolessi, il destino di Medea.
Giasone tace anche le motivazioni passionali che spinsero la figlia di minosse a tradire suo padre per aiutare l'uomo di cui si era innamorata.
Il discorso si conclude con un riferimento alla bontà d'animo che traspare dall'aspetto di Medea, e il dolcissimo che sorriso illumina il volto della fanciulla segna modo evidente la vittoria dell'abilissimo oratore, ma anche quella dell'amore sottolineata dagli sguardi ardenti che alla ormai apertamente rivolge Giasone.
Dopo aver istruito minuziosamente l'eroe sullo svolgimento della prova su come superarla, Medea non può trattenere le lacrime al pensiero del distacco che seguirà alla conquista del vello; quindi chiede a Giasone notizie sulla sua patria lontana e lo mette in guardia dal nutrire eccessiva fiducia in un rabarbaro ignaro del rispetto che si deve ai patti giurati. Poi vede Giasone ormai tornato in patria immemore del favore da ella ricevuto. Però l'eroe la rassicura promettendole che se un giorno ella dovesse giungere nella sua patria, la farebbe sua legittima sposa: queste parole le danno una gioia indicibile, ma il pensiero del prezzo che dovrà pagare per realizzare il suo sogno la fa rabbrividire.
L'UCCISIONE DI APSIRTO
impadronitosi del vello d'oro Giasone sfugge insieme ai suoi compagni, portando con sé anche Medea. Al loro inseguimento si gettano i Colchi, comandati da Apsirto fratello di Medea, che riescono a raggiungerli nell'alto Adriatico. per evitare lo scontro Giasone viene a patti con i suoi avversari, garantendosi il possesso del vello in cambio dell'impegno di lasciare Medea. La fanciulla però rifiuto di assecondare l'amante e si dichiara disposta ad attirare Apsirto in un tranello per consentire a Giasone di ucciderlo. Medea fa così sapere al fratello che vuole parlargli da sola; il giovane cade nella trappola e di notte si reca al tempio di artemide dove la sorella lo abbandona spietatamente alla spada dell'amante, paragonato a un macellaio. Similitudine famosa: fratello = bambino ingenuo, Medea = torrente insidioso.
Prima di morire però Apsirto macchia la veste di Medea con il suo sangue risolvendo così il contrasto fra pudore e amore che aveva caratterizzato la vita di Medea e il suo primo incontro con Giasone. Morto apsirto, giasone gli taglia le estremità del cadavere, secondo un rito tradizionale, per evitare che il defunto si potesse vendicare. Da questo momento ella si lascerà sempre dietro una traccia cruenta. Il poeta stesso è consapevole che con quel delitto La fanciulla ha reciso l'ultimo legame con il suo passato e ha optato definitivamente per una nuova esistenza. Quasi a sottolineare che l'episodio costituisce appunto una nuova fase nella vicenda del poema, Apollonio ricorre al modulo tipico epico della protasi per annunziare al lettore l'argomento del canto.
Il brano si conclude con un mito eziologico che spiega la ragione del nome delle popolazioni di quell’isola: assirti, da apsirto.

CALLIMACO
AITIA
PROEMIO
i primi versi contengono una vera e propria enunciazione di poetica, per la quale callimaco identifica i suoi avversari con i Telchini, mitici demoni che gettavano il malocchio sui loro avversari. La principale accusa che si rivolgeva a Callimaco era quella di scrivere componimenti brevi non essendo in grado di cimentarsi con il più impegnativo poema epico. Il poeta non smentisce l'affermazione ma contesta la spiegazione che essi ne danno, innalzando l'esiguità della poesia a canone fondamentale della propria concezione artistica e motivando rifiuto dell'epica tradizionale con precise ragioni estetiche. Per far ciò egli ricorre a una serie di immagini che contrappongono il suo modo di far poesia a quello dei tradizionalisti: il melodioso usignolo e canora cicala la-stridula gru e asino ragliante; pesante carro-agile cocchio che percorre cammini mai calpestati.
Per la prima volta si fa riferimento al fatto che le opere si dovevano leggere, segno del cambiamento dell'età ellenistica.
Il poeta fa un riferimento a mimnermo ,sottolineando come venga ricordato che i suoi brevi componimenti e non per il suo poema elegiaco dedicato alla sua donna amata.
LA STORIA DI ACONTIO E CIDIPPE
elegie ad argomento amoroso, contiene molti motivi per i nati a essere ripresi dagli autori di romanzi antichi. Il giovane Acontio s'innamora perdutamente della bella Cidippe il suo consiglio dello stesso eros ricorre a un ingegnoso espediente per conquistarla. Così ogni volta che stanno per essere celebrate le nozze di Cidippe con uno dei pretendenti scelti dal padre, essa si ammala misteriosamente finché un oracolo non rivela la verità e i due giovani possono finalmente unirsi in matrimonio.
Questa novella non indulge mai a toni patetici e sentimentali. Callimaco racconta la romantica storia dei due giovani conservando sempre un ironico distacco rispetto alla materia rappresentata, fino all'uso di una terminologia clinica nella discrezione della malattia che assale cidippe.
GIAMBI
LA CONTESA FRA L'ANNO NELL'ULIVO
nel corso di un alterco fra callimaco e un suo avversario viene chiamato ad arbitro un certo Simo. Stizzito per il non richiestointervento, il poeta narra una deliziosa favola, inserita nel contesto giambo, di tipo esotico, che vede due piante rivendicare ciascuna a se stessa il primato nel mondo vegetale, vantando i rispettivi meriti nei confronti del genere umano. Un rovo cresciuto nelle vicinanze interviene per invitare i contendenti alla moderazione e alla concordia ma è aspramentre redarguito dall’ alloro che lo considera solo miserabile cespuglio. Questa conclusione era rivolta a Simo il quale, essendo solo un barbaro, non aveva i titoli per mettersi sullo stesso piano di due greci, quali erano callimaco e il rivale.
L’apologo, tutto costruito sul vivace dialogo tra le due piante, riesce a ritagliarsi una propria autonomia artistica rispetto alla cornice, mettendo in evidenza le capacità mimetiche del poeta e la sua sottile vera ironica. L'alloro e l'ulivo sono rispettivamente i simboli di due opposte concezioni della poesia e dell'arte, l'una retorica l'altra semplice ed elegante. Non mancano i riferimenti eruditi a riti e celebrazioni religiose che vedono l'impiego liturgico delle due piante.
ECALE
IL RITORNO DI TESEO
sulla via del ritorno da maratona Teseo s'imbatte in alcuni contadini: costoro stanno per darsi alla fuga ma l'eroe li rincuora facendosi riconoscere come figlio del loro re Egeo e incaricandoli di recar a quello la notizia del suo prossimo arrivo in città. Allora tutti intonano il canto di vittoria e gettano foglie su Teseo in segno di onore, mentre le donne gli incoronano il capo con fasce: quest'ultimo particolare ha valenza di vero e proprio aition, per l'usanza di fare lo stesso con gli atleti.
Nel brano l'attenzione del poeta si concentra soprattutto sull’atteito stupore dei contadini dinanzi ai due protagonisti della titanica lotta e sul momento in cui la tensione viene spezzata dalle parole di Teseo, trasformandosi in atmosfera di giubilo, intonando il peana, il canto di vittoria innalzato al dio Apollo, invocato come guaritore o liberatore.
MENANDRO
L’ARBITRATO
UN GIUDIZIO IMPROVVISATO
la scena in cui compaiono Davo e Sirisco che si scontrano per dirimere la contesa sulla proprietà degli oggetti preziosi trovati con il neonato è funzionale all’intera vicenda: tramite essa Menandro mete in moto la successione di eventi che condurranno al riconoscimento della paternità del piccino, e al ricongiungimento dei coniugi momentaneamente divisi.
La lunga scena presenta molte situazioni tipiche della nuova commedia che per gioco di coincidenze finiscono con il risolversi felicemente con la gioia di tutti.
Il ruolo maggiore nell’episodio è quello di Sirisco, personaggio positivo sotto tutti gli aspetti contrapposto al pastore Davo, preoccupato solo di trarre qualche ricchezza dagli oggetti del bambino. Il discorso di difesa del bambino è ricco di artifici retorici e di dotte citazioni da tragedie ben note al pubblico. Per motivi scenici il primo oratore è colui che perde (sarebbe il contrario) e questo da la possibilità di alzare progressivamente il tono con cui Sirisco sostiene le sue argomentazioni.
UN PADRE PER UN TROVATELLO
la scena è dominata da Abrotono, la cortigiana con cui Carisio vuol far credee di avere una relazione per punire la moglie del supposto adulterio. La donna, offesa, esce casualmente da casa per sfogare il proprio malumore proprio mentre Onesimo si rivela assillato dal sospetto che un anello di quelli appartenenti al bambino sia di proprietà del suo padrone. Abrotono prende in mano la situazione in nome di buoni sentimenti nei confronti del bambino e della madre sconosciuta. L’indagine è semplice: essendo presente il giorno della violenza, e sapendo quindi l’accaduto, Abrotono si finge ora la vittima dell’aggressione ( in realtà Panfile) mostrando a Carisio l’anello strappato allo stupratore. Se lo riconoscerà, sarà la prova che egli è il padre del bambino.
L’obbiettivo della donna non è quello di perseguire un profitto personale ma è quello di liberare dall’infelicità una donna sfortunata.
Lo sforzo che Menandro fa per sottolineare le sfumature del carattere e dare voce ai sentimenti fornisce una splendida descrizione della donna. Malinconicamente legata al ricordo della sua vita da ragazza Abrotono non ha indurito il proprio generoso e sensibile animo a causa delle umiliazione dovute a quell’esistenza. A Onesimo tutto ciò sembra esagerato ma è proprio questa varietà di caratteri che fa risaltare maggiormente quelli positivi e più umani.
UN UOMO IN CRISI
passo in cui Carisio, grazie all’anello che gli è stato mostrato, ricorda di essere anch’egli responsabile di un identico gesto di violenza verso una sconosciuta e scopre di avere così generato un figlio bastardo. Il rimorso per aver giudicato con un metro morale ben diverso quanto accaduto alla moglie e il proprio disinvolto comportamento prima delle nozze esplode in un disperato atto di autoaccusa che viene preparato dal monologo del servo Onesimo: uesti irrompe in scena estremamente preoccupato, temendo di dover pagare in qualche modo le conseguenze.
Ma la sua grettezza mentale gli impediscono di comprendere che la collera di XCarisio nasce dal confronto fra la colpa involontaria della moglie e la sua che ha compiuto consapevolmente: premessa indispensabile per ristabilire con lei il rapporto. Se infatti dovesse perdonare panfile, ciò lo porrebbe su un livello superiore, cosa inammissibile in Menandro che vede il matrimonio come completo e pieno solo se paritario in senso affettivo.
Nel monologo di Carisio, ancora inconsapevole che suo figlio è anche figlio di Panfile, si percepisce la sconfitta di una mentalità e di un modo di vivere “borghesi”. L’ultima parte del passo mostra un Carisio battagliero e deciso a ricostruire un solido rapporto affettivo con la moglie.

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