Apollonio Rodio

Materie:Appunti
Categoria:Greco

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Testo

APOLLONIO RODIO

E’ l’autore emblematico della nuova cultura. Cosa succede all'epica? Accanto all’epillio, quella tradizionale continua, è quella che deve partecipare ad agoni, che però non interessa i dotti: è un livello più basso, ha un pubblico molto vasto e probabilmente diffusione orale. Di questo filone non abbiamo nulla (solo una serie di titoli e autori).
Apollonio Rodio è autore delle “Argonautiche”, che però fa parte della nuova epica; fra i titoli che abbiamo dell’epica tradizionale sappiamo che altri due scrissero le “Argonautiche”, uno scrisse “Imprese di Eracle”; un altro “I fatti di Tebe”; un altro “Versi su Dioniso”. Ci sono anche poemi epici di argomento storico, su Alessandro e i suoi successori.
L'epica tradizionale continua su due filoni:
1) mitico: tradizionale, con Dioniso, Tebe e gli Argonauti (è quello più seguito);
2) storico: ce n’era stato uno sulle guerre persiane, ora si celebra la storia di Alessandro. È un filone meno prolifico e meno ampio, ma prosegue anche questo.
I dotti ellenistici rifiutano il μεγα βιβλιον: essi propongono un componimento in 4 libri secondo il canone aristotelico. E' quello che fa Apollonio Rodio, è l'unico rappresentante dell'epica nuova; questa è la risposta del dotto all'epica. Apollonio compone un poema epico, di argomento epico, secondo le nuove regole.
Da dove viene il nome Rodio? Alcuni dicono che significa che sia nato a Rodi; altri ad Alessandria, e che si sia trasferito poi a Rodi; comunque non importa. La tradizione sosteneva che dopo aver scritto le Argonautiche le avrebbe lette ai dotti ellenistici e soprattutto a Callimaco, di cui era l’allievo prediletto, e che l'aveva fatto diventare direttore della Biblioteca. Si diceva che Apollonio, avendo scritto un μεγα βιβλιοιν, avesse ricevuto insulti da Callimaco, che invece si aspettava qualcosa di più simile alla sua poetica, e che poi se ne fosse andato a Cos o a Rodi a riscrivere un’opera, Ibis, dove avrebbe scritto di tutti i colori su Callimaco. Anche Ovidio aveva scritto un’Ibis contro qualcuno (non si sa bene chi). È strano però che sia stata scritta contro Callimaco! Non sappiamo di preciso a chi fosse rivolta, ma non certamente verso Callimaco. Infatti si è capito che Callimaco non aveva dissapori con Apollonio, citando come prova il prologo degli Aιτια dove parla dei Telchini, tra i quali non c’era Apollonio. Chi sostiene la versione dell’odio dei due, dice che i Telchini erano definiti ignoranti, e Callimaco non poteva certo definire ignorante un suo allievo. L’opera di Apollonio se era un poema epico rispondeva totalmente alla nuova poetica teorizzata da Callimaco: non poteva prendersela con lui! Già il Colonna ha notato solo il primo libro presentava delle correzioni, gli altri no, allora sostenne che quello che Apollonio aveva fatto leggere ai dotti non era l’intera opera, ma solo il primo libro; la definisce una προ εκτωσις π non una prima edizione, ma pre-edizione. Dopo averla letta a Callimaco e agli altri, operò 4 modifiche (a 4 versi), fa una “correzione d'autore”, cioè rende i versi più belli.
Perchè solo un libro ha delle correzioni? Appunto perché è una pre-edizione, prima di pubblicarlo ha voluto sentire le opinioni; gli altri invece escono solo una volta finiti, e non sappiamo quali siano state le correzioni. Lo stesso fatto ci sono state solo 4 correzioni significa che l'opera era stata accolta bene, se no l'avrebbe modificata di più, o non l’avrebbe pubblicata del tutto.
Le poche correzioni fanno pensare ad una lettura solo del primo libro, e ad un'accoglienza positiva, come se gli siano stati dati solo alcuni suggerimenti per migliorare questi 4 versi. Quindi non c’è stata una grana tra i due!
Poi si può definire μεγα βιβλιοιν un'opera in 4 libri? La struttura dell'opera e i cambiamenti che apporta sono congruenti con la nuova poetica teorizzata da Callimaco, in più rende anche onore a Callimaco in una parte dell'opera. Per la struttura e le caratteristiche non può non essere piaciuta a Callimaco! Deve esserci stata una confusione: quando parla di μεγα βιβλιοιν, Callimaco attacca l'opera epica tradizionale; l'epica di Apollonio corrisponde alle caratteristiche della nuova poesia, quindi non può aver irritato Callimaco. Apollonio probabilmente se ne sarà andato altrove non per una lite con Callimaco, come voleva la tradizione, ma per i fatti suoi, non ne sappiamo il motivo, comunque non ci fu nessuna lite fra i due. Il fatto che Callimaco non lo metta fra i Telchini è una prova, Apollonio non è nemico della vera arte, è stato suo allievo!

Le Argonautiche
Le Argonautiche nascono dallo stesso soggetto di poemi tradizionali, il mito di andare a prendere il Vello d'oro nella Colchide; Apollonio ne ha fatto un poema totalmente nuovo, avendo presente Omero, rispetto al quale opera continue modifiche. Mostra che si sta mettendo in gara con Omero. Una prova è che in Omero l'aurora sorge 27 volte con lo stesso aggettivo: ποδοδακτυλος; in Apollonio nasce sempre 27 volte, ma sempre con aggettivi o espressioni diverse: dimostra che è possibile modernizzare Omero, nella sua epoca le formule non hanno più ragione di esistere.
Il mito degli Argonauti era conosciuto, ma non aveva mai costituito l'argomento per un poema epico, era lontano dagli interessi dell’epica perché non aveva un vero eroe, non esprime valori. Ora questo mito va bene perché:
• Ora l'Oriente è conosciuto
• Medea è una maga: la maga prima era una figura negativa, ma con la crisi della religione, la magia prende il sopravvento. C’è interesse per la magia, e il mito mostra la figura di una maga.
Ora che c'è interesse per l’esotico e per la magia, il mito va bene, è perfetto per l’epoca. Apollonio lo tratta alla nuova maniera.
L’amore di Medea
I primi due libri si ispirano all’Odissea: visita gli stessi luoghi di Odisseo, li riprende per emulare Omero, per mettersi in gara con lui. Il terzo libro stranamente ha una nuova invocazione alla musa (la musa della poesia amorosa); si stacca perché per la prima volta si fa dell’amore argomento di un poema epico. Anche Nausicaa e Calipso erano innamorate, però erano episodi brevi e senza grosse conseguenze, invece qui è l’amore a muovere la trama, è un sentimento studiato in Medea, che arriva a tradire il padre e la patria per amore. Medea ha influenzato Virgilio, ma è sproporzionato: Virgilio dedica a Didone 1/12 dell’opera, Apollonio ¼! L’amore non era mai stato argomento di un poema epico perché non rientrava nei valori, poi non era mai stato cantato nella sua genesi, ma solo come dato di fatto, e omosessuale, ora la famiglia è l’unico luogo dove si vive, quindi acquista importanza e bisogna studiarlo in tutte le sue fasi. L’amore di Didone non aveva bisogno di intervento divino perché i due erano fatti l’uno per l’altra; che nell’Eneide finisca male e qui no non è importante, anche perché nel mito Medea poi finisce male, Apollonio non ha bisogno di scriverlo. L’amore di Medea e Giasone deve essere profetizzato da Eros perché i due non hanno niente in comune. È descritto con una notte insonne, Medea è lacerata nell’animo tra Giasone e la famiglia: Medea ne vede le conseguenze, esce sconfitta da questa notte di tormenti, con la contraddizione sottolineata dalla critica neoidealista, oggi sminuita ma non giustificata: Medea è ritratta con profondità, con un notevole studio psicologico, ma è descritta come una ragazzina che si innamora per la prima volta e non ne è preparata: c’è ingenuità. Questo stona applicato ad una maga: sarà anche giovane, però è una maga potentissima, che conosce tutti i filtri e controlla la natura. È la persona meno adatta a provare sentimenti che la possano dominare, non dovrebbe essere preda di una passione. Apollonio non fonde queste due personalità, ma presenta prima Medea che cede all’amore, poi compare la maga: sono due facce inconciliabili, due piani diversi in due momenti diversi. Virgilio non fa quest’errore: Didone non è ingenua, ma ha esperienza e c’è senso del dovere che lotta contro l’amore.
La figura di Giasone
Giasone è diversissimo da Enea! Il Rossi sostiene che Enea abbia delle indecisioni: ma è solo perché in Enea lottano il vir e il pater. In Giasone non c’è niente che lotti, è totalmente fallito. Didone si innamora della sofferenza di Enea, che ha responsabilità pari alle sue, c’è comprensione prima dell’amore. Medea invece è diversa da Giasone perché Giasone non esiste! Non è più un’epoca di eroi, non si può creare un eroe. Medea non è un eroe, lotta e perde con l’amore, poi non si trasforma in un eroe, ma ha dei trucchi che può dare a Giasone. Giasone dell’eroe ha solo l’aspetto: bello, alto, biondo, occhi azzurri: Medea è colpita dalla bellezza, non dalla personalità che non ha. Giasone è descritto come monosandalos = un sandalo solo o ne perde uno attraversando un ruscello. Apollonio gli attribuisce quest’aggettivo che ha un significato particolare: ha dimenticato un sandalo nell’Ade e dovrà andare a riprenderlo presto n sfortunato. Non ha casa, né patria, né regno. Anche Odisseo è sfortunato, ma è un eroe; il momento non permette di trasformare la sfortuna in eroe. Al momento di scegliere il capo della spedizione, lui cede il posto ad Eracle, eroe riconosciuto. Nella prima parte il comando di Eracle guida la spedizione, poi si toglie perché Ila, il suo eromenos, in una sosta viene rapito dalle ninfe, così va a cercarlo. Eracle ha accettato la direzione della spedizione, però quando un fatto personale lo coinvolge, molla la spedizione.
In una gara trovano il re Amato che sfida tutti i suoi ospiti a gare di pugilato; tra i vari eroi con Giasone c’è Polluce, il protettore dei pugili, e lui vince la gara. L’unico caso in cui è Giasone a risolvere la situazione è quando si trovano nell’isola di Lenno, dove ci sono solo donne, perché hanno ucciso tutti gli uomini. La regina si innamora di lui grazie al suo fascino irresistibile: Giasone risolve i problemi quando di tratta di essere bello. Qui si inserisce un altro mito: Giasone ha amato anche questa oltre a Medea; infatti in un’opera di Ovidio ci sono 2 lettere a Giasone: una è di Medea dopo essere stata abbandonata, l’altra è di una regina, anche lei abbandonata da Giasone.
Il viaggio segue le tappe di Odisseo nei primi due libri; nel terzo parla dell’amore, nel quarto c’è il ritorno → per variare, cambiano tappe, si dirigono verso il nord, attraverso fiumi e terre. Al ritorno si fermano presso Circe, cugina di Medea, che purifica Medea dal fatto che, quando il padre di Medea aveva mandato i suoi fratelli per seguirla, lei aveva attirato il fratello in trappola perché Giasone lo potesse uccidere (di nuovo è stata lei a risolvere la situazione). Circe la purifica, pare che qui si sposino. Poi tornano a casa: c’è una visione circolare: tornano dove sono partiti, non come nell’Odissea dove il punto di partenza è diverso da quello di arrivo. Però qui non è il cerchio come espressione massima di telos, completezza, non è una conclusione, ma il tornare dove sono partiti è annullare la funzione del viaggio.
Argonautiche vs poemi omerici
La differenza con l’Odissea e i poemi omerici si nota anche confrontando gli inizi di Iliade e Odissea con quello delle Argonautiche: nei primi versi di Iliade e Odissea sono già presenti gli eroi, Achille e Odisseo, invece qui presenta prima la vicenda, l’invocazione alla musa è messa alla fine. È più forte la voce del poeta: nell’Iliade e nell’Odissea era la musa a cantare o narrare le vicende, Apollonio invece dice “io canto un racconto”: è molto più forte; là era la musa che cantava e il poeta aiutava, aveva solo la funzione di comporre, qui invece è lui che canta.
Gli dei e gli eroi
Nell’Iliade tutto era voluto dagli dei, non c’era azione che gli dei non avessero deciso, pesato, discusso, c’era qualcosa dall’alto che guidava l’azione degli uomini, l’uomo non aveva responsabilità. Anche nell’Odissea c’era una lotta tra Odisseo e gli Dei, Atena continuava a fargli cambiare aspetto, ha fatto sì che Nausicaa lo accogliesse etc.: l’intervento degli dei era costante. Le Argonautiche hanno gli dei perché li vuole il poema epico, ma sono dei ormai morti. Anche in Virgilio i concili degli dei sono deboli, poco sentiti, previsti dal genere letterario, ma non hanno molto senso. Apollonio Rodio vive in mondo dove gli dei sono in crisi, anche l’inno ad Apollo con cui inizia è obbedire ai dettami del genere letterario. Il poema epico prevedeva che ci fossero: era cosa voluta dal genere letterario e necessaria per far innamorare Medea, però Apollonio li vede in modo adatto alla sua epoca. Era deve andare a far innamorare Medea di Giasone, e per non andare da sola si porta dietro Atena. Pensano insieme a cosa fare, Era decide di far innamorare Medea, poi le due vanno da Afrodite e le spiegano il piano. Sono umane, Atena, dea che personifica il logos per eccellenza, ci pensa e non ha idee; quello che era il suo vanto, la verginità, diventa un limite; Afrodite si stava pettinando, riceve le amiche e si lamenta come una madre che non sa più cosa fare con il figlio che non le ubbidisce. Apollonio descrive una scena della buona società, riproduce le ripicche e le piccole gelosie alla corte di Tolomeo.
Come Omero elencava le navi, Apollonio fa il catalogo degli eroi. Quelli di Polluce non c’erano nell’Odissea; nell’incontro di pugilato descrive la radura nel bosco come un locus amoenus, è strano! è facile che chi perde muore: non è proprio il luogo adatto per un locus amoenus! Probabilmente era l’unica opportunità per inserire un locus amoenus. poi ci sono le arpie, già presenti in Omero, verranno riprese nell’Eneide: l’indovino tormentato dalle arpie rivela come passano attraverso le Simplegadi, già citate da Euripide nel prologo, e anche da Ennio. Poi c’è una variante del mito: un naufragio prima di giungere da Medea. Ci sono alcuni pezzi che non c’erano in Omero: è perché ci sono zone nuove, esplorate, che all’epoca di Omero non si conoscevano. Poi ci sono le Sirene, Scilla e Cariddi, i Feaci come nell’Odissea, da cui riprende anche l’avventura della tempesta che li porta in Libia, e poi grazie ad Apollo tornano a casa. Conclude con un’invocazione ad Apollo, proprio com’era cominciata. Quando cita Omero lo fa da erudito; ci sono motivi eziologici: sfoggia la sua cultura, tipico dell’ellenismo.
Critica ad Apollonio
La parte migliore comunque non è la magia → trasformazione della materia, tipico di un mondo che non ha più un punto di riferimento solido. Quando parla di Circe, Omero la definisce θεα, dea, non dà importanza alla magia; Apollonio invece sottolinea la magia di Medea, il fatto che sia una maga. Non c’è mai lotta, Giasone non usa mai la spada ma gli artifici di Medea. La parte migliore è invece la descrizione dell’amore lirico, che comunque non è epica. C’è la novità dell’inserimento di qualcosa di nuovo, accettato dal mondo, ammira la contaminazione di un genere con un altro. Riprende Omero anche da un punto diverso: di fronte alle formule, agli aggettivi sempre uguali per facilitare la memorizzazione, Apollonio cambia sempre gli aggettivi. Riprende i paragoni, arricchendoli (come faceva anche Teocrito). Per tanto tempo si è dato questo giudizio su Apollonio: Omero è grande, pur avendo delle carenze (Quintilano dice ETIAM HOMERUS DORMITAT), ha dei punti piatti, banali; Apollonio invece è sempre costante, uguale a se stesso, ma è mediocre (questa è la critica dell’Anonimo del Sublime). La critica moderna invece sostiene che in Apollonio c’è uniformità tecnica, ma salva i quadretti, gli episodi, che sono validi in sé, mentre le parti del raccordo sono meno perfette, non è uguale a se stesso! Ci sono parti valide e parti meno.

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