La terra

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Testo

La struttura interna e le caratteristiche fisiche della Terra
DENSITÀ DELLA TERRA: la densità di un corpo è il rapporto tra la sua massa e il volume che occupa. Nel caso della Terra, il volume si può calcolare utilizzando la misura del raggio terrestre, mentre la massa si determina a partire dal valore dell’accelerazione di gravità e utilizzando le legge di gravitazione universale. La densità media della terra è di 5.5·10³ kg/m³. Il dato è molto significativo perché la densità media della crosta terrestre si aggira intorno ai 2.7 g/cm³, valore inferiore rispetto al valore medio. Questa discrepanza indica che i materiali nella zona centrale della Terra sono molto più densi di quelli più superficiali.
I geologi hanno verificato che la densità dei silicati, i minerali che costituiscono la crosta, aumenta al crescere della pressione, ma non può raggiungere valori tanto elevati quanto quelli previsti per la zona centrale della Terra. Hanno formulato quindi l’ipotesi che al centro della Terra vi siano materiali molto diversi dai silicati, come i metalli. Tale ipotesi è confortata dallo studio delle meteoriti provenienti dallo spazio: in molte di esse è presente un’abbondante percentuale di ferro e nichel e ciò significa che questi elementi metallici erano abbondanti nella regione del Sistema Solare in cui si è formato il nostro pianeta. I geologi ritengono che la Terra sia costituita da tre strati diversi tra loro per composizione e densità: crosta (costituita da silicati), mantello (costituito da silicati ultrafemici e ossidi metallici) e nucleo (formato da ferro mescolato ad altri metalli).
Una zonazione di questo genere deriva forse da una decantazione dei materiali della Terra, che nelle fasi iniziali si sarebbero separati secondo la densità: i materiali più densi sarebbero sprofondati verso il centro, mentre quelli meno densi (silicati) si sarebbero spostati verso l’esterno. Questa ipotesi è stata considerata valida grazie ai dati forniti dagli studi sulle modalità di propagazione delle onde sismiche.
LE SUPERFICI DI DISCONTINUITÀ ALL’INTERNO DELLA TERRA: analizzando i sismografi sono state scoperte diverse superfici di discontinuità lungo le quali le onde sismiche subiscono brusche variazioni di velocità e direzione. Esse avvengono quando le onde passano da un blocco roccioso con una determinata composizione litologica (rocce granitiche o basaltiche) a un altro con una composizione litologica molto diversa (rocce ultrafemiche), oppure nel passaggio da uno strato a un altro in un diverso stato fisico.
Le due principali discontinuità identificate sono:
→ discontinuità di Mohorovicic (o di Moho): separa la crosta dal mantello. Lungo questa superficie le onde P e le onde S accelerano bruscamente. I materiali che si trovano al di sotto di tale discontinuità sono solidi, come i materiali della sovrastante crosta, ma hanno rigidità e densità differenti. La discontinuità di Mohorovicic è stata osservata un po’ ovunque. Non è una superficie sferica, ma ha un andamento sinuoso e presenta una serie di curvature che sembrano l’immagine speculare dei rilievi superficiali: la Moho si trova più in profondità nelle regioni in cui si osservano rilievi elevati come le Alpi e la catena himalayana, mentre si avvicina molto alla superficie in corrispondenza dei fondali oceanici.
→ discontinuità di Gutenberg: è la superficie di separazione tra mantello e nucleo. Si trova a una profondità regolare e costante di 2900km, ed è una superficie sferica. In corrispondenza di questa di discontinuità la velocità delle onde P diminuisce sensibilmente, mentre le onde S vengono fermate completamente. Per spiegare questa brusca diminuzione di velocità delle onde P e la scomparsa delle onde S , bisogna ipotizzare che il nucleo all’esterno sia costituito da materiali allo stato fuso con una composizione differente da quella del mantello.
Una discontinuità minore è la discontinuità di Lehmann, che indica il passaggio dal nucleo esterno al nucleo interno. Le onde P che attraversano il nucleo vengono in parte riflesse, e in parte rifratte, subendo una brusca accelerazione, dovuta la passaggio da un mezzo fuso a un mezzo più elastico e denso, probabilmente solido. Il nucleo è quindi fluido nella parte esterna.

LA STRUTTURA INTERNA DELLA TERRA: tre strati separati dalle discontinuità di Moho e di Gutenberg
→ la crosta: involucro esterno sottile e rigido del nostro pianeta. Non è omogenea per composizione e per spessore. Lo spessore della crosta è massimo in corrispondenza dei continenti (crosta continentale),mentre si riduce a pochi kilometri dai fondali oceanici (crosta oceanica).
• Crosta continentale: composta da rocce sialiche, ricoperte da una coltre di sedimenti che raggiunge in alcune zone uno spessore di 5 km. La struttura è molto complicata e variabile da regione a regione, si trovano rocce magmatiche, sedimentarie e metamorfiche di età diverse. La presenza di catene montuose, di faglie, di vulcani, di sismi indicano che la crosta continentale ha una storia lunga e travagliata, segnata dall’azione di fenomeni endogeni imponenti. Le regioni più deformate corrispondono alle catene montuose, lungo le zone più recenti, la crosta continentale appare ancora instabile, tormentata dall’attività vulcanica e sismica.
• Crosta oceanica: sommersa dalle acque degli oceani e ha uno spessore di pochi kilometri. La crosta oceanica ha una composizione più femica rispetto alla crosta continentale e una densità più elevata. Presenta una composizione e una struttura molto più uniformi e regolari di quella continentale, in quanto è costituita da tre strati sovrapposti: uno strato superficiale di sedimenti, uno strato di basati,e uno strato di gabbri. Lo strato di sedimenti è sottile e di spessore variabile. Lo strato dei basalti ha uno spessore di 2km ed è in continuità con il sottostante strato di gabbri. I due strati hanno la medesima origine: si sono formati da un’intensa attività magmatica effusiva (basalti) e intrusiva (gabbri) a partire dallo stesso magma. La crosta oceanica è molto più giovane di quella continentale, le aree instabili sono concentrate lungo le dorsali e in corrispondenza degli archi insulari.
La crosta oceanica e la crosta continentale formano un involucro continuo; intorno a ciascun continente vi è una piattaforma che è formata da crosta continentale. Al limite esterno di questa piattaforma si osserva una ripida scarpata, che rappresenta il vero confine tra crosta continentale e crosta oceanica.
→ il mantello: compreso fra le due discontinuità e ha uno spessore considerevole. Si possono individuare due mantelli: uno superiore in cui si distinguono strati con proprietà differenti, e uno inferiore più omogeneo.
• Il mantello superiore: si estende fino ad una profondità di 700km ed è formato da rocce ultrafemiche che hanno composizione molto simile a quella delle peridotiti.
• Il mantello litosferico (sottostante la Moho): rigido e più denso della crosta ed è in stretta continuità con la crosta sovrastante. Se è diversa la composizione crosta e mantello litosferico si comportano come un unico, rigido blocco e reagiscono agli eventuali sforzi come un tutt’uno. A questo involucro esterno (crosta+parte rigida del mantello superiore) viene dato il nome di litosfera.

strato rigido ed elastico, ha uno spessore diverso in corrispondenza delle aree continentali e oceaniche.

1.Astenosfera: strato del mantello entro il quale la velocità delle onde sismiche si riduce considerevolmente. Essa non è uno strato completamente fuso, ma uno strato plastico nel quale i materiali si comportano come una poltiglia. Non sembra vi sia differenza di composizione tra l’astenosfera e il mantello litosferico e non sembra vi sia continuità tra litosfera e astenosfera: a una zona rigida (litosfera) si oppone una zona duttile in cui le rocce possono rompersi facilmente (astenosfera). L’astenosfera si estende fino a 250 km. Nelle aree oceaniche si avvicina alla superficie terrestre, mentre sotto i continenti scende in profondità. Dal punto di vista chimico l’astenosfera ha una composizione simile al mantello litosferico.
2.Mesosfera: profondità di 350 km dove si osserva una discontinuità, in corrispondenza della quale le onde accelerano: ciò dipende da un cambiamento dell’organizzazione cristallina delle sostanze presenti. Questa discontinuità cambierebbe la fase mineralogica: la composizione chimica dei minerali resterebbe la stessa, mentre cambierebbe la struttura dei minerali.
A circa 700km di profondità si osserva un nuovo incremento della velocità delle onde sismiche,e si passa dal mantello superiore a quello inferiore.
• Mantello inferiore: cambiamento di composizione mineralogica. In questo strato sarebbero presenti soprattutto ossidi femici, più densi dei materiali sovrastanti, e la densità dovrebbe aumentare gradualmente, fino alla transizione con il nucleo.
→ il nucleo: occupa la zona compresa tra il centro della Terra e la discontinuità di Gutenberg (costituisce più del 14%del volume totale della Terra). Ha una densità elevatissima. Per parlare della natura del nucleo si passa per congetture: in passato si riteneva che il nucleo contenesse solo ferro o al più nichel, oggi si reputa la presenza di altri elementi meno pesanti, come silicio, zolfo o ossigeno perché la densità di un nucleo di solo ferro, o di ferro e nichel, sarebbe maggiore dei valori calcolati. All’interno del nucleo la discontinuità di Lehmann distingue il nucleo interno da quello esterno.
• Nucleo esterno: si comporta come un fluido, costituito da ferro e nichel e altri elementi più leggeri come silicio e zolfo. Ha uno spessore di 2270km.
• Nucleo interno: si comporta come un solido, costituito essenzialmente da una mescolanza di nichel e ferro, sarebbe a una temperatura prossima al punto di fusione, ma per l’elevatissima pressione di fronte a sollecitazioni improvvise si comporta come un solido.
LA TEMPERATURA ALL’INTERNO DELLA TERRA: sulla superficie del nostro pianeta, la temperatura risente delle variazioni diurne e stagionali. A partire dalla profondità di 15/30 m la temperatura aumenta di circa 3°C ogni 100 m di profondità. L’aumento di temperatura in funzione della profondità prende il nome di gradiente geotermico. Il valore del gradiente geotermico non è uguale in ogni punto della Terra, ma varia per la presenza di magmi, acque termali ecc. Se la temperatura in profondità continuasse ad aumentare secondo il gradiente geotermico, essa dovrebbe essere di circa 87000°C e di 200000°C al centro della Terra. Se così fosse, il nostro pianeta dovrebbe essere per la massima parte allo stato fuso. E ciò è in contrasto con i dati ricavati dallo studio delle onde sismiche, secondo le quali solo il nucleo è allo stato fluido. L’aumento della temperatura con la profondità non rispetta il gradiente geotermico. Si stima che al centro della Terra le temperature siano comprese tra 4000°C e 4500° C.
IL FLUSSO GEOTERMICO: l’attività vulcanica, la produzione di magmi, i terremoti implicano l’esistenza di un calore interno, fonte di energia per i processi di natura endogena. La Terra emette nello spazio più calore di quanto ne riceva complessivamente dal Sole. Il flusso geotermico, cioè la quantità di calore emessa da una unità di superficie in 1s, è in media di 1,5 µcal/cm²/s (valore molto piccolo). Il valore del flusso geotermico non è costante sulla superficie terrestre. Nelle aree continentali non è molto elevato, ma nelle aree geologicamente giovani è doppio rispetto alle regioni più antiche e inattive dal punto di vista sismico e vulcanico. Sui fondali oceanici, il flusso geotermico è elevato in corrispondenza delle dorsali oceaniche e diminuisce allontanandosi da esse. In corrispondenza delle fosse oceaniche si registrano valori minimi.
IL CALORE ALL’INTERNO DELLA TERRA: le fonti del calore all’interno della Terra sono probabilmente due:
→ Calore primordiale: deriva dall’energia gravitazionale, convertita in energia termica durante gli stadi iniziali della formazione del pianeta. I geofisici pensano che durante le fasi di accrescimento e concentrazione della massa iniziale della Terra si sia sviluppata un’enorme quantità di energia che avrebbe portato alla fusione di tutti materiali presenti. La Terra avrebbe assunto l’attuale struttura e successivamente si sarebbe raffreddata diventando un corpo solido, nel quale è rimasta immagazzinata una parte del calore primordiale. Questo calore si è in parte conservato perché i materiali solidi che costituiscono buona parte del volume della Terra hanno una bassa conducibilità termica e disperdono all’esterno il calore molto lentamente.
→ Radioattività naturale della crosta e del mantello: fonte principale del calore che la Terra dissolve all’esterno. Tra gli elementi presenti nelle rocce si trova sempre una piccola frazione di isotopi radioattivi
(isotopi = atomo nel cui nucleo ci sono uno o più elettroni; radioattivi = atomi il cui nucleo è instabile; hanno la proprietà di trasformarsi spontaneamente in atomi di elementi diversi, emettendo radiazioni ad alta energia e particelle.) con un periodo di semivita (tempo necessario affinché la metà dei nuclei instabili di un campione radioattivo si trasformino in isotopi stabili) molto lungo. La radioattività della crosta è importante soprattutto nelle aree continentali. I valori del flusso geotermico che si riscontrano sui fondali oceanici non possono essere giustificati considerando soltanto i fenomeni radioattivi che avvengono nella crosta, perché le rocce dei fondali (basalti) contengono una percentuale di elementi radioattivi troppo bassa.
Si ritiene che il calore rilasciato dalla Terra provenga in massima parte dal mantello che contiene una minore percentuale di sostanze radioattive, ma ha una massa molto più grande della crosta, perciò nel suo complesso può produrre una quantità di calore abbastanza elevata.
Secondo i geofisici il calore viene trasmesso dal mantello alla litosfera per convenzione (fenomeno tipico dei fluidi posti a contatto con una sorgente di calore che li riscalda in modo non uniforme).
Il fluido a contatto con la sorgente di calore aumenta la sua temperatura, si espande e riduce la sua densità; di conseguenza tende a salire, spostando lateralmente il materiale freddo e denso che, invece, tende a scendere. Nel fluido si insinuano delle celle termiche connettive con correnti ascendenti di materiali caldi e correnti discendenti con materiali freddi. I moti convettivi sono molto frequenti nei liquidi e nei gas,ma in condizioni particolari si possono verificare anche nei solidi. Molti solidi a temperatura elevata possono diventare plastici e comportarsi come fluidi viscosi, perdendo in parte il comportamento rigido.
Secondi i geofisici nel mantello vi sono le condizioni per l’instaurarsi di moti convettivi, poiché nel mantello vi sono regioni più calde e regioni più fredde.
I geofisici ritengono che le differenze di temperatura tra le parti più profonde e quelle più superficiali del mantello provochino il riscaldamento di volumi ingenti di materiali che diventano plastici, generando correnti ascendenti che raggiungono la litosfera in corrispondenza delle dorsali. Il materiale caldo verrebbe poi spinto lateralmente e si raffredderebbe diventando più denso e successivamente il materiale freddo e denso, sprofonderebbe per tornare nel mantello, in corrispondenza delle fosse oceaniche.
Le celle convettive del mantello contribuiscono i modo significativo al raffreddamento terrestre e che siano la causa dei valori anomali del flusso geotermico registrato sui fondali.
IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE: la Terra possiede un campo magnetico. Il campo magnetico terrestre può essere ben descritto immaginando che al centro della Terra si trovi una barra magnetica, dotata di due poli e inclinata, rispetto all’asse terrestre. Il polo nord magnetico coincide con il nord del Canada, e il polo sud magnetico è localizzato ad una latitudine di 68°S. Dal polo sud escono le linee di forza del campo che si chiudono poi entrando nel polo nord. Il campo magnetico terrestre si estende anche al di sopra della superficie terrestre, con un’intensità che diminuisce con la distanza dal pianeta. La regione di spazio che circonda la Terra in cui risiede l’azione del campo geomagnetico è detta Magnetosfera e costituisce una specie di scudo protettivo contro le radiazioni cosmiche. In qualunque luogo della superficie terrestre è possibile misurare la direzione e l’intensità del campo magnetico.
Per stabilire la direzione delle linee di forza del campo magnetico si può utilizzare una bussola, uno strumento in cui è presente un ago magnetico, libero di orientarsi in qualsiasi direzione dello spazio. L’ago calamitato assume sempre posizioni parallele alla direzione delle linee di forza del campo magnetico che agisce in quella località, indicando la direzione del polo nord magnetico.
L’intensità, cioè la forza esercitata punto per punto sulla superficie terrestre dal campo magnetico, può essere rilevata con uno strumento particolarmente sensibile, il magnetometro. Sulla superficie terrestre, il campo geomagnetico ha un’intensità dell’ordine dei 50 gauss, un valore molto piccolo.
Il campo magnetico terrestre non è costante e stabile nel tempo: esistono variazioni della direzione e dell’intensità a breve periodo, che dipendono da fenomeni astronomici, e variazioni a lungo periodo, che hanno origine internamente alla Terra. Tra le variazioni temporali di origine interna, le più importanti sono le inversioni di polarità (il polo nord e il polo sud si scambiano di posizione). La causa di tale inversione è incerta. Come conseguenza dell’inversione del campo magnetico alcuni scienziati ritengono che nel corso di tale inversione il magnetismo sia quasi nullo e che in questi momenti la Terra perda gran parte dello scudo magnetico che l’avvolge e la protegge dal bombardamento dei raggi cosmici, che sono dannosi per gli esseri viventi. C’è chi ritiene che un bombardamento cosmico di una certa entità possa provocare mutazioni, se non addirittura l’estinzione di intere specie di esseri viventi. Più l’intensità del campo magnetico è elevata, più il clima è rigido.

LE ROCCE SONO DOCUMENTI MAGNETICI: alcune rocce possiedono una magnetizzazione propria. Queste rocce contengono minerali ferromagnetici, cioè minerali che possiedono una magnetizzazione stabile che mantengono, indipendentemente dall’esistenza di un campo magnetico esterno. I minerali ferromagnetici più noti sono la magnetite e l’ematite, due ossidi di ferro.
La magnetizzazione permanente viene acquisita dal minerale al momento delle formazione della roccia e viene successivamente conservata. Il minerale perde la magnetizzazione permanente solo se viene riportato a una data temperatura, il Punto di Curie, il cui valore varia a seconda della natura della sostanza.
Le modalità attraverso cui una roccia acquisisce una magnetizzazione permanente possono essere diverse, ma dipendono da un unico fattore: deve essere presente un campo magnetico esterno, capace di indurre un orientamento ordinato dei campi magnetici associati agli atomi dei minerali ferromagnetici. In condizioni naturali, la magnetizzazione permanente viene indotta dal campo magnetico terrestre esistente al momento della formazione della roccia.
Le condizioni ideali si realizzano nelle fasi di raffreddamento di una lava effusa o di un magma. Quando la temperatura scende sotto il punto di Curie, nei cristalli dei minerali ferromagnetici che si stanno formando nella massa ancora fusa, gli atomi che prima si muovevano in modo casuale si ordinano istantaneamente, formando domìni magnetici con magnetizzazione precisa, orientati cioè secondo la disposizione del campo magnetico terrestre presente al momento. I cristalli dei minerali ferromagnetici diventano piccole calamite i cui campi magnetici sono orientati tutti nello stesso modo. Una volta che la roccia ha acquisito una particolare magnetizzazione, questa si conserva permanentemente.
La magnetizzazione permanente delle rocce magmatiche è detta magnetizzazione termorimanente: tra le rocce magmatiche che hanno una TRM significativa le più importanti sono i basalti.
Alcune rocce sedimentarie possono presentare una magnetizzazione permanente, detta magnetizzazione detritica rimanente (acquisita durante il processo di sedimentazione, quando i detriti e frammenti molto piccoli, cadono nell’acqua del mare e tendono a depositarsi secondo il campo presente durante la fase di sedimentazione). La DRM è più debole della TRM. La magnetizzazione permanente è un documento che permane nel tempo e una roccia conserva la sua magnetizzazione che ha un orientamento corrisposto a quello del campo magnetico terrestre presente al momento della sua formazione. Questo magnetismo fossile è dotto: paleomagnetismo.
Con il paleomagnetismo si è potuta scoprire l’inversione di polarità del campo geomagnetico. La presenza di masse rocciose consistenti con una magnetizzazione permanente crea un piccolo campo magnetico locale, che si sovrappone al campo terrestre alternandone il valore. Si registra con gli strumenti un’anomalia magnetica, cioè un valore del campo magnetico terrestre diverso da quello previsto teoricamente. Se il valore registrato è più elevato di quello previsto teoricamente, l’anomalia è positiva, se invece i valore è inferiore l’anomalia è negativa. Questo perché i due campi magnetici (terrestre e quello della massa rocciosa) si sommano vettorialmente.
In tutti i continenti si è scoperto che in sequenze di colate laviche sovrapposte in ordine di età si alternano periodicamente anomalie negative (quando la polarità del campo magnetico è inversa rispetto a quella attuale) e positive (quando il campo magnetico ha la medesima direzione di quello attuale).
Utilizzando metodi radiometrici è possibile stabilire l’età delle rocce esaminate e datare gli eventi di inversione magnetica. Si è costruita così una scala cronologica dalla quale si può rilevare che i cambiamenti di polarità non si verificano con periodicità regolare e sono frequenti. Si distinguono lunghi periodi detti epoche magnetiche, durante i quali prevale un particolare tipo di orientamento; all’interno di ciascuna epoca si verificano brevi inversioni, chiamate eventi magnetici. Quando la polarità di un periodo magnetico è uguale a quella attuale si parla di polarità diretta o normale, nel caso contrario si parla di polarità inversa.
Gli studi paleo magnetici sono stati utili anche per capire se le grandi strutture della litosfera hanno subito in passato spostamenti rispetto alla loro posizione geografica originaria.
Le anomalie magnetiche possono essere causate anche da movimenti della litosfera, che modificano l’orientamento di grandi masse rocciose dotate di una magnetizzazione permanente.
In base ai diversi tipi di movimento e ai fenomeni che li caratterizzano, si distinguono tre tipi di margine:
• margini divergenti o costruttivi: lungo le quali si crea una nuova litosfera oceanica . Coincidono con le dorsali
• margini convergenti o distruttivi: lungo i quali le zolle contigue sono sospinte l’una contro l’altra. Coincidono con le fosse oceaniche o con le catene montuose recenti
• margini conservativi: lungo i quali le zolle scivolano l’una accanto all’altra. Coincidono con grandi faglie a scorrimento orizzontale
I MARGINI DIVERGENTI: la formazione dei bacini oceanici: i margini di placca sono regioni attive, lungo le quali si realizzano situazioni geodinamiche differenti. Come condizione di partenza, immaginiamo che la litosfera sia un involucro continuo sotto il quale si realizzano correnti ascendenti urtano la litosfera, si creano i margini costruttivi delle placche. Il processo si realizza per tappe graduali. La litosfera viene inarcata e si assottiglia fino a fessurarsi. Il materiale proveniente dall’astenosfera fonde nella zona di frattura, generando un magma fluido e femico. Il magma così formato in parte solidifica in profondità, originando rocce intrusive femiche (gabbri), in parte risale fino alla superficie. Si forma così una dorsale, dalla quale fuoriesce lava basaltica. La lava che giunge all’esterno si raffredda e, solidificando, chiude la fessura. La massa fluida rimasta all’interno continua a spingere ed esercita una trazione sui due blocchi di litosfera a lato della fessura. I blocchi cominciano ad allontanarsi l’uno dall’altro e la fessura si riapre. La fessura viene quindi continuamente riaperta e poi rinsaldata dal magma che si raffredda. La trazione determina la formazione di faglie parallele alla crosta della dorsale. Poiché ogni nuova risalita “spinge” le colate precedenti, già solidificate, da un lato e dall’altro della dorsale, ne consegue che proprio in corrispondenza delle dorsali oceaniche si crea una nuova crosta, che si raffredda, viene allontanata dalla dorsale e sostituita dal nuovo materiale che fuoriesce. Si forma perciò un fondale oceanico che si espande. Man mano che la crosta solidifica si allontana dalla dorsale e viene ricoperta da uno strato di sedimenti che via via aumenta di spessore. Il raffreddamento provoca una graduale contrazione della crosta, che diviene più densa e sprofonda maggiormente nell’astenosfera. Così ai lati della dorsale, troveremo una crosta che invecchia e degrada verso profondità sempre più maggiori. La velocità di espansione non è costante.
Nella regione della Great rift valley africana dove la crosta è appena inarcata e si sta fratturando,si originano profonde fosse. I rift continentali vengono interpretati come margini divergenti in uno stadio embrionale. Un oceano in fase matura è l’Oceano Atlantico,il cui fondale si allarga di alcuni centimetri all’anno.
I MARGINI CONVERGENTI: quando due zolle entrano in collisione: i margini convergenti sono i margini lungo i quali le zolle a contatto entrano in “collisione”, vengono cioè spinte una contro l’altra e si verificano fenomeni di compressione. I fenomeni che si osservano sono diversi. Possiamo riconoscere tre diverse situazioni:
1. collisione tra litosfera continentale e litosfera oceanica
2. collisione tra due porzioni di litosfera oceanica
3. collisione tra due porzioni di litosfera continentale
1. Se la litosfera continentale di una zolla entra in collisione con la litosfera oceanica di un’altra zolla, la litosfera oceanica, più densa, tende a piegarsi e a immergersi sotto la zolla continentale meno densa, dando origine a un fenomeno di subduzione. Tre eventi caratterizzano i margini su cui si verifica la subduzione:
• formazione di una fossa oceanica
• attività sismica intensa lungo il piano di subduzione
• formazione di archi vulcanici sul margine della zolla continentale
La fossa oceanica segna il limite tra le due placche. Lo scorrimento della placca in subduzione si realizza lungo un piano inclinato, che si immerge sotto la placca continentale. Quando la placca giunge a una profondità di circa 100-150 km, lungo il piano di subduzione, la litosfera e il mantello sovrastante fondono parzialmente, generando grandi quantità di magma. Contemporaneamente nella zona di contatto tra due margini, i materiali rocciosi che restano in superficie vengono deformati e subiscono intensi fenomeni metamorfici. Nel corsi di questo processo, una parte dei magmi solidifica in profondità, un’altra parte raggiunge la superficie e alimenta numerosi vulcani che nel loro complesso costituiscono un arco vulcanico. Ciò porta a un ispessimento notevole della crosta terrestre in quella zona e si forma una vera e propria catena montuosa.
Le zone di subduzione sono sottoposte a sforzi notevoli, perciò sono caratterizzate da fenomeni sismici molto intensi.. i margini continentali che si trovano in prossimità di una linea di subduzione sono sede di terremoti violenti e presentano catene montuose recenti, lungo le quali sono numerosi i vulcani ad attività esplosiva (margini continentali attivi).
2. Il fenomeno della subduzione si verifica anche quando la litosfera oceanica di una zolla viene sospinta contro la litosfera oceanica di un’altra zolla. In questo caso una delle due placche (più rigida e fredda) scivola sotto l’altra e si forma una fossa in pieno oceano. I magmi prodotti dalla fusione parziale della zolla che va in subduzione risalgono attraverso la litosfera dell’altra e danno origine a un vulcanesimo sottomarino. Gli edifici vulcanici che ne derivano possono emergere come isole e formare un arco vulcanico insulare. Le varie isole a poco a poco vengono saldate fra loro, anche per l’accumulo di detriti. Si forma così una zona di crosta di tipo misto che è destinata d accrescersi finché rimane attiva la subduzione.
3. Quando entrano in collisione le porzioni continentali di due zolle, non si verifica una subduzione. Né una né l’altra zolla possono infossarsi nell’astenosfera, perché hanno una densità troppo bassa. I sedimenti che si erano accumulati si piegano, si fratturano, scorrono gli uni su gli altri accavallandosi, fino a costruire una catena montuosa.
Quando il fondale oceanico che separa le due regioni continentali si chiude, le porzioni continentali collidono e i margini, prima passivi, diventano attivi. Si sono formate in questo modo le Alpi e la catena himalayana. Queste catene montuose sono formate in gran parte da rocce sedimentarie molto piegate e dislocate e sono sede di intensi fenomeni di metamorfismo.
I MARGINI CONSERVATIVI E LE FAGLIE TRASFORMI: i margini conservativi sono i margini lungo i quali le zolle scivolano una parallelamente all’altra senza fenomeni di subduzione, espansione o formazione di catene montuose; ma si originano faglie trasformi a scorrimento orizzontale, lungo le quali le placche si muovono con velocità differente o in senso opposto. A causa dell’attrito tra le due placche, lungo questi margini, si verifica terremoti abbastanza violenti, mentre l’attività effusiva è assente o molto limitata. Un margine conservativo attivo è la faglia di San Andrea.
Le faglie trasformi che tagliano trasversalmente le dorsali, e ne interrompono la continuità, sono margini lungo i quali si ha uno scorrimento orizzontale. Sono scarpate con attività sismica superficiale e attività effusiva.
L’attività delle faglie trasformi ha una particolarità in quanto i blocchi rocciosi si muovo in senso opposto, generando terremoti, solo nei tratti compresi tra due tronconi della dorsale, mentre le faglie normali si muovono in senso opposto lungo tutta la frattura.
La formazione delle faglie trasformi lungo le dorsali è data dalla diversa quantità di lava emessa.
IL MOTORE DELLA TETTONICA DELLE ZOLLE: la teoria della tettonica delle placche fornisce un quadro globale della dinamica del nostro pianeta, e iene oggi universalmente accettata. L’unica questione riguarda le cause del movimento delle placche:
→ Le zolle sarebbero spinte da forze potentissime che agiscono in corrispondenza delle dorsali. Queste forze sarebbero dovute all’alta pressione del magma che fuoriesce. Le zolle sarebbero poi trasportate nelle zone di subduzione dalla forza di gravità, ma si sa che queste forze sono insufficienti per spostare le zolle.
Quasi tutti i geologi pensano che la causa dei movimenti delle placche siano i moti convettivi nel mantello che possono differire per la forma, le dimensioni delle celle convettive.
Tutti i modelli di convenzione hanno in comune il fatto che i rami ascendenti delle celle contigue sono posti sotto la dorsale, mentre quelli discendenti sono posti in corrispondenza delle zone di subduzione. Inoltre, i rami paralleli alla litosfera fanno da nastro trasportatore per le placche. Il movimento delle placche potrebbe essere causato da pennacchi di materiali caldi provenienti dalla zona del mantello inferiore; sono possibili quindi anomalie termiche causate dai moti convettivi.
I PUNTI CALDI: il termine punto caldo (hot spot) serve per indicare i fenomeni vulcanici isolati. Sono aree oceaniche a flusso termico elevato, nelle quali si verifica l’emissione di una grande quantità di lava basaltica ricca di elementi alcalini, quindi differente da quella delle dorsali. I punti caldi si posso avere in zone in mare aperto o in regioni continentali. Si ritiene che questi vulcani possano essere formati da pennacchi di materiali caldi provenienti dal mantello inferiore che risalendo inarcano la crosta producendo gli apparati vulcanici. La posizione dei pennacchi non cambia nel tempo, mentre si spostano le zolle che, quando scorrono sopra un punto caldo, questo lascia una traccia che consiste in una serie di coni vulcanici allineati in ordine di età decrescente. Se il punto caldo si trova sotto un oceano si formerà un’isola vulcanica che, sprofondando, formerà vulcani marini e guyot.
Islanda => punto caldo rift continentali => in relazione con punti caldi che separano le placche
TETTONICA DELLE ZOLLE E ATTIVITÀ SISMICA: in corrispondenza dei margini costruttivi e conservativi si verificano terremoti con ipocentri superficiali legati alla formazione di faglie trasformi o ai movimenti laterali delle placche. L’attività sismica profonda è presente solo nelle zone di subduzione ed è dovuta alla resistenza che incontra la placca durante il suo movimento verso il basso. Durante la subduzione solo parte della placca fonde, gli altri materiali rimangono rigidi e freddi e accumulano energia elastica e si fratturano. Il risultato è che si avranno terremoti con ipocentro più profondo man mano che ci si allontana dalla fossa. Il piano di subduzione viene chiamato piano di Benioff. Questo piano ha un’inclinazione variabile a seconda della velocità di subduzione e della rigidità delle placche in collisione, ma sempre diretta dalla fossa verso il contenente diretta dalla fossa al continente.
TETTONICA DELLE ZOLLE, GENESI DEI MAGMI E ATTIVITÀ VULCANICA: i magmi si possono formare per fusione parziale della crosta o del mantello superiore. La teoria della tettonica delle zolle è in grado di spiegare dove e perché si verificano questi particolari fenomeni. Possiamo distinguere diverse situazioni:
• Nelle zone di distensione della crosta, lungo i margini divergenti, si osservano eruzioni lineari con attività effusiva tranquilla. Il magma che le alimenta è un magma primario proveniente dalla fusione del mantello. Tale fusione è determinata dalla diminuzione di pressione.
• Nelle zone di subduzione si producono magmi di composizione varia con attività vulcanica esplosiva. L’attrito tra le placche causa un aumento della temperatura. La parte in subduzione è formata da sedimenti ricchi di acqua, la quale viene liberata causando un abbassamento della temperatura di fusione dei silicati. I materiali sopra il mantello fondono e creano magma primario.
Mentre risale il magma può differenziarsi o interagire con la crosta sovrastante. Si creano quindi le condizioni per la genesi di una grande varietà di magmi a composizione diversa, a seconda delle condizioni di profondità durante la genesi, temperatura e pressione:
• magmi femici: dalla fusione del mantello nei punti in cui incontra la placca discendente
• magmi sialici e andesitici: dalla fusione di sedimenti e basalti oceanici
• magmi di anatessi
Il magma risalendo, crea un arco vulcanico insulare, con attività esplosiva perché il magma è viscoso e ricco di acqua, o archi vulcanici sul bordo continentale.
• Nelle zone di compressione, durante lo scontro tra due zolle continentali, si formano magmi di anatessi e la crosta viene deformata
• Nelle zone in cui sorgono coni di materiali caldi si generano dei rigonfiamenti, punti caldi, che emettono lava basaltica. Il magma è primario formato tra il mantello e il nucleo a causa dell’innalzamento di temperatura a causa delle anomalie termiche.

LA TETTONICA E I FENOMENI OROGENETICI
IL LINGUAGGIO DELLA TETTONICA: la tettonica è lo studio delle deformazioni permanenti delle rocce e delle strutture derivate a seguito dell’azione degli agenti endogeni che ne mutano le caratteristiche. Non studia i fenomeni che portano alla formazione del corpo roccioso, ma i fenomeni che ne causano le deformazioni. Si avvale della stratigrafia, lo studio della disposizione dei sedimenti e dei corpi rocciosi; infatti lo studio delle rocce sedimentarie è più semplice grazie alla presenta di sedimenti.
La tettonica studia i corpi rocciosi, cioè rocce aventi la stessa origine. Dal punto di vista dell’aspetto possiamo distinguere due tipi diversi di corpi rocciosi: gli ammassi e gli strati.
• ammassi: corpi rocciosi massicci, estesi, di forma irregolare
• strato: corpo roccioso molto esteso in superficie ma di spessore minore
Sono stratificati i corpi rocciosi costituiti da rocce sedimentarie o metamorfiche che derivano da rocce sedimentarie, mentre le rocce magmatiche o metamorfiche danno origine ad ammassi.
La disposizione nello spazio dei corpi rocciosi è detta giacitura. La giacitura può non essere quella originaria se si considerano gli studi fatti sugli affioramenti, ossia quelle parti di roccia che affiorano in superficie.
Le deformazioni, fratture delle rocce sono state causate da sforzi tettonici verticali e orizzontali che possono agire uniformemente o secondo un orientamento:
• sforzi compressivi: forze che avvicinano due punti del blocco
• sforzi tensionali: forze che allontanano due punti del blocco
• sforzi di taglio: forze che spingono due parti del blocco in direzioni opposte
DEFORMAZIONI E ROTTURE DELLE ROCCE: la maggior parte delle rocce subiscono delle sollecitazioni che ne mutano la giacitura. Le rocce reagiscono a queste forze in tre modi differenti:
• deformazione elastica: la roccia sottoposta a una forza cambia la sua forma, ma quando cessa la
forza la roccia torna alla sua struttura iniziale
• deformazione plastica: la roccia sottoposta a una forza modifica la sua forma e la mantiene anche
al cessare della forza (piega)
• fratturazione: la roccia si rompe (faglia)
Tutte le rocce sottoposte a forze crescenti prima si deformano elasticamente, poi plasticamente fino a fratturarsi se l’intensità della forza aumenta. Il valore dello sforzo oltre il quale la roccia si deforma plasticamente è il limite di elasticità, mentre quello oltre il quale la roccia si frattura è il carico di rottura. Ogni tipo di roccia ha un suo comportamento:
- rocce duttili : subiscono una deformazione plastica senza rompersi (argille)
- rocce fragili: si fratturano ancor prima di deformarsi plasticamente (calcari, arenarie)
Le rocce cristalline sono più fragili rispetto a quelle sedimentarie.
Il comportamento della roccia non dipende solo dalla sua composizione, ma anche dalle condizioni fisiche in cui si trova. Quattro fattori in particolare sono decisivi:
- pressione - temperatura
- intensità della forza - durata dello sforzo
Gli sforzi tettonici,producono nei corpi rocciosi pieghe e fratture.
LE DEFORMAZIONI DI TIPO RIGIDO: diaclasi e faglie: molti corpi rocciosi se sollecitati si fratturano. Se la frattura avviene senza uno spostamento è detta diaclasi; quando invece si verifica uno spostamento, la frattura è una faglia.
La superficie sulla quale è avvenuto lo scorrimento degli strati è detta piano di faglia e le due parti che scorrono sono i labbri. Le faglie possono essere verticali, orizzontali o inclinate. Nella maggior parte dei casi il piano di faglia è inclinato:
- la parte che giace sopra al piano di faglia è il tetto, mentre quella sottostante è il letto
- lo spostamento dei due strati è il rigetto → - orizzontale: faglie trascorrenti destre e sinistre
- verticale: faglia diretta o faglia inversa
↓ ↓
tetto inferiore al letto tetto superiore al letto
↓ ↓
dette anche faglia di dette anche faglia di
distensione compressione
Raramente le faglie sono isolate,ma vanno a costituire un sistema di faglie come gli horst (pilastri) o i graben (fossa tettonica). I sistemi di fosse tettoniche e pilastri si formano in seguito a forze laterali.
LE DEFORMAZIONI DI TIPO PLASTICO: le pieghe: la piega è una deformazione di tipo plastico di una massa rocciosa. Le condizioni ideali per la formazione delle pieghe si hanno lungo i margini di convergenza delle zolle dove le alte temperature, movimenti e sforzi prolungati, favoriscono la duttilità della roccia. Per questo le pieghe più tipiche si trovano in corrispondenza delle catene montuose più recenti che non sono state ancora influenzate dall’erosione. I processi di flessione possono avvenire in modo diverso e possono produrre diversi tipi di pieghe a seconda delle forze applicate e in base al tipo di roccia.
In una piega completa possiamo distinguere:
- piano assiale: superficie che unisce i punti di massima flessione
- asse: linea di intersezione tra piano assiale e strati
- cerniera: zona di curvatura massima
- fianchi: versanti della piega che convergono nell’asse
Esistono diversi tipi di pieghe:
1. gli strati vengono piegati e presentano una stessa inclinazione (monoclinale)
2. i due fianchi convergono verso l’alto (anticlinale). Il nucleo è costituito dallo strato più antico
3. i fianchi convergono verso il basso (sinclinale). Il nucleo è costituito dallo strato più recente
In relazione all’inclinazione del piano assiale distinguiamo:
- pieghe diritte: con piano assiale verticale
- pieghe inclinate e pieghe rovesciate: gli strati si ripiegano sui fianchi
- pieghe coricate: gli strati si rovesciano su un fianco e il piano assiale diventa orizzontale

Esempio