L'interno della terra

Materie:Riassunto
Categoria:Geologia

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Testo

L INTERNO DELLA TERRA
L’ esatta misura delle dimensioni del nostro pianeta ha permesso di calcolarne il volume. Dal rapporto tra masa e volume si ricava la densità media della Terra: D= M/V= 5,52 g/cm3.
Poiché le rocce che costituiscono la crosta hanno densità media tra 2,7 e 3 g\cm3, l’interno del pianeta deve essere formato da materiali a densità molto elevata per raggiungere il valore medio calcolato. Attraverso lo studio dei terremoti si è dedotto che il nostro pianeta presenta una struttura a involucri concentrici: una sottile crosta ricopre uno spesso mantello che avvolge un grosso nucleo distinto in interno ed esterno. Una caratteristica interessante è la presenza nell’interno della Terra di superfici di discontinuità sismiche che separano materiali a caratteristiche meccaniche diverse
UN SOTTILE RIVESTIMENTO DI GRANITO E BASALTO: LA CROSTA.
La crosta è la parte più esterna del pianeta, un involucro rigido e sottile, il cui spessore varia da una media di 35 km sotto i continenti a una media di 6 km sotto i fondi oceanici. La sua composizione è molto eterogenea e la sua densità varia da 2,7 g\cm3 per le rocce granitoidi dei continenti, a circa 3 g\cm3 per le rocce basiche dei fondi oceanici. La base della crosta è indicata dalla discontinuità sismica nota come superficie di Moho
CROSTA OCEANICA E CROSTA CONTINENTALE: “ MONDI INCONCILIABILI.
Esistono due tipi di crosta, quella oceanica e quella continentale. La prima è coperta interamente dalle acque degli oceani, di cui costituisce il pavimento, l’ altra corrisponde ai continenti e alla loro prosecuzione sotto il livello del mare, e comprende la piattaforma continentale e buona parte dell’adiacente scarpata continentale. I due tipi di crosta sono molto diversi tra loro per vari aspetti:
• Spessore
• Quote medie della superficie
• Età delle rocce che vi compaiono
• Natura delle rocce e loro giacitura
CROSTA CONTINENTALE
CROSTA OCEANICA
SPESSORE
35 km tranne in corrispondenza delle catene montuose (60-70 km). Solo in alcuni settori risulta molto assottigliata.
6 km sotto il fondo del mare, ma si assottiglia moltissimo in corrispondenza del centro delle dorsali oceaniche.
QUOTE MEDIE DELLA SUPERFICIE
4000 m maggiore di quella della crosta oceanica: la sovrasta ovunque; il suo spessore è maggiore di 5 o 6 volte. La crosta continentale è “affondata” nel mantello più di quella oceanica.
Le depressioni oceaniche con profondità maggiore di 4000-5000 m sono solo una modesta frazione dei fondi oceanici.
Età DELLE ROCCE CHE VI COMPAIONO
Rocce di ogni età, tra oggi e circa 4 miliardi di anni fa. Le aree continentali sono strutture molto più persistenti cioè più antiche.
Rocce non sono più antiche di 190 milioni di anni quindi i bacini oceanici attuali sono strutture giovani del pianeta.
NATURA DELLE ROCCE E LORO GIACITURA
Composizione estremamente eterogenea nella quale si affiancano rocce sedimentarie, magmatiche e metamorfiche. Nella crosta inferiore si trovano le granuliti a granati, rocce metam. Di alta temperatura che si formano in assenza o scarsezza d’acqua. L acrosta continentale ha avuto una complessa evoluzione sominata dal processo orogenesi che ha portato alla formazione di grandi catene montuose nel corso di cicli geologici. L’orogenesi è tutt’ore in atto. Vaste aree continentali sono composte da:
1. aree cratoniche o cratoni(più antiche, più stabili): si distinguono in scudi, che sono le parti più antiche che appaiono come ampie pianure debolmente bombate verso l’alto e sono costituiti da ammassi di rocce ignee e metamorfiche; e tavolati, circondano gli scudi e sono ampiee aree pianeggianti su cui affiorano rocce sedimentarie che per natura sono exp di lunghi periodi di osmmersione marina alternati afasi di emersione ma anche esse non sono coinvolte in processi di orogenesi.
2. fasce orogeniche (più recenti, sedi di forti attività): l’orogenesi si è verificata in tempi meno antichi tanto che i suoi effetti possoo essere molto vistosi a cominciare dal forte ispessimento della crosta. Negli orogeni più recenti la crosta non ha ancora raggiunto lo spessore e la stabilità delle vaste aree cratoniche.
Struttura a strati molto regolare
1. modesto spessore di sedimenti(litificati)
2. grosso spessore di basalto
3. strato di gabbro, roccia magmatica che è il corrispondente intrusivo del basalto
UNO SPESSO INVOLUCRO DI ROCCE ULTRABASICHE: IL MANTELLO.
Il mantello rappresenta l’ 82% in volume della Terra e si estende dalla Moho fino a 2900 km di profondità, dove è presente la discontinuità sismica di Gutenberg. La Moho con cui inizia il mantello corrisponde a un brusco aumento della velocità con cui si propagano le onde sismiche nei confronti della velocità con cui attraversano la crosta quindi le rocce del mantello devono avere una maggiore rigidità. La pressione aumenta con la profondità e la densità dei materiali sale da 3,3 a 5,6 g\cm3. Le caratteristiche del mantello però non variano in modo graduale e continuo per tutto il suo spessore. I dati sismici hanno messo in evidenzia che, in una fascia tra 70 e 250 km di profondità, si trova l’astenosfera(zona di debolezza), interpretata come una zona in cui il materiale del mantello è parzialmente fuso. La sua presenza nel maNtello è continua sotto le aree oceaniche, incerta in quelle continentali o spostata più in profondità. A profondità maggiori di quelle dell’astenosfera la rigidità del mantello torna ad aumentare con la profondità. Un dato interessante è che le lave di certi vulcani che si originano al di sotto della crosta, quindi nelle parti più alte del mantello, sono di natura basaltica, e contengono frammenti di solide rocce (xenoliti) strappati dalle pareti più profonde del condotto vulcanico durante la loro risalita: tali frammenti sono di natura peridotitica. Ricerche su xenoliti di provenienza molto profonda, hanno meglio precisato la composizione del mantello superiore, che risulterebbe formata da olivina e pirosseni. Più in profondità il resto del mantello sembra ugualmente composto dagli stessi elementi (silicio, ossigeno, magnesio) anche se organizzati in reticoli cristallini diversi, via via più adatti con la profondità,a resistere alle temperature e pressioni crescenti. L’insieme della crosta e del mantello fino all’astenosfera è definito litosfera.
UN CUORE ROVENTE DI FERRO- NICHEL: IL NUCLEO.
La discontinuità sismica di Gutenberg segna il passaggio al nucleo della Terra, che presenta caratteristiche nettamente diverse da quelle del mantello e che con un raggio di 3470 km comprende il 16% del volume della Terra. La pressione aumenta con la profondità e la densità aumenta bruscamente in corrispondenza della discontinuità di Gutenberg raggiungendo all’interno della terra i 13g\cm3. Sulla natura del nucleo sono state fatte varie ipotesi:
• quella di una lega ferro-nichel suggerita dalla composizione delle meteoriti metalliche le sideriti(frammenti del nucleo metallico di piccolo asteroidi completamente frantumati per collisione). Attualmente si è concordi su questa natura di lega metallica del nucleo formato di ferro puro con il 5% di nichel ma con qualche elemento meno denso come silicio e zolfo.
• materia solare indifferenziata formata da atomi di idrogeno strettante “impacchettati” per l’altissima pressione tanto che la loro stessa struttura atomica dovrebbe risultare deformata
UN SEGNO DELL’ENERGIA INTERNA DELLA TERRA: IL FLUSSO DI CALORE
Numerosi fatti che rientrano nell’esperienza comune ( attività dei vulcani, fuoriuscita di sorgenti calde o l’aumento di temperatura scendendo in una miniera) ci dicono che l’interno della terra è caldo tanto più quanto si scende in profondità. La Terra perde continuamente calore da tutta la sua superficie. Il flusso termico terrestre(cioè la quantità di calore emessa nell’unità di tempo per ogni unità di superficie) è molto basso. Il flusso termico è il più imponente tra i fenomeni terrestri poiché la quantità di energia liberata è 50 volte maggiore dell’energia liberata da tutti i terremoti e da tutte le eruzioni vulcaniche. La Terra ci appare quindi come un gigantesco motore termico. Un tempo si riteneva che il calore terrestre fosse unicamente il residuo dello stato primordiale della Terra in cui il pianeta doveva essere totalmente fuso. Si è dovuti arrivare alla scoperta della radioattività per trovare la soluzione del problema: l’energia cinetica delle particelle emesse da isotopi radioattivi si trasforma in calore e nella crosta terrestre sono presenti vari isotopi radioattivi( uranio238, torio232 potassio 40). Il loro decadimento potrebbe spiegare buona parte del flusso di calore della Terra. Le rocce granitoidi, in cui gli isotopi radioattivi sono più abbondanti producono 6 volte più calore delle rocce basiche. Tuttavia il valore medio del flusso termico sui continenti(ricco di rocce granitoidi) è quasi uguale a quello degli oceani, il cui fondo è formato da rocce basiche. Sappiamo poco sulla distribuzione degli isotopi radioattivi nel mantello manchi qui si produce calore per tale via e questo calore profondo si somma a quello prodotto nella crosta. Si ritiene che le zone con flusso termico più elevato ad esempio in corrispondenza di dorsali oceaniche siano dovute all’esistenza di correnti convettive nel mantello, cioè a reali spostamenti di materiale più caldo che risale da zone più profonde verso l’alto, sostituito da materiale raffreddatosi in vicinanza della superficie che riscende verso il basso.
IL CAMPO MAGNETICO TERRESTRE
La Terra come il Sole e altri pianeti possiede un campo magnetico. La struttura del campo geomagnetico può essere descritta supponendo di porre al centro del pianeta una barra magnetica il cui asse formi un angolo di circa 11° con l’asse di rotazione. Le linee di flusso indicano la presenza di una forza magnetica la cui intensità diminuisce con la distanza del pianeta; una go magnetico libero di oscillare sotto l’influenza di questa forza si dispone parallelamente alla linea di forza su cui si trova per cui si allinea quasi secondo la direzione Nord- Sud.
LA GEODINAMO
La forma del campo geomagnetico è più complessa. Esso si può definire solo prevalentemente dipolare poiché rispetto all’andamento dipolare teorico presenta alcuni scostamenti. Al di sopra di una certa temperatura critica detta Punto di Curie i materiali magnetici perdono il loro magnetismo permanente e tale temperatura è dell’ordine di 500° molto più bassa delle temperature presenti all’interno della Terra. Le ipostesi sull’origine del campo magnetico si sono orientate verso un modello simile a quello della dinamo ad autoeccitazione. Tale modello prevede la presenza di materiale buon conduttore di elettricità in movimento entro la Terra, e questo potrebbe essere individuato nel nucleo esterno di ferro fuso che è un buon conduttore e che si può immaginare agitato da moti convettivi.
BUSSOLE DAL PASSATO: IL PALEOMAGNETISMO
La conoscenza del campo geomagnetico si è molto ampliata con la scoperta del paleomagnetismo che consente lo studio del campo magnetico terrestre del passato. Questo è possibile perché molte rocce conservano una magnetizzazione propria, indotta dal campo geomagnetico esistente al momento della loro formazione. Questo fenomeno si verifica quando una lava si raffredda. Al suo interno si formano numerosi cristalli di minerali che vengono magnetizzati dal campo geomagnetico e diventano minuscole calamite permanenti, con il loro piccolo sensibile campo magnetico orientato come quello terrestre che lo ha prodotto. In seguito se la lava non viene nuovamente fusa, la sua magnetizzazione rimane inalterata per milioni di anni e continua ad indicare la direzione del polo magnetico al momento della sua solidificazione. Si è scoperto cosi che il campo geomagnetico esiste da almeno 3,5 miliardi di anni e si è formato forse in tempi ancora più vicini a quelli della formazione della Terra. Nel corso degli anni Cinquanta del XX secolo alcuni ricercatori inglesi osservarono che la direzione della magnetizzazione conservata in rocce antiche era in genere diversa da quella del campo geomagnetico attuale; a seconda dell’età della roccia esaminata, tale direzione risultava diversa, come se il Polo Nord magnetico avesse occupato nel tempo posizioni differenti. Ma l’ipotesi che i poli magnetici della Terra fossero migrati nel tempo si scontrò con un’altra constatazione: per una stessa età rocce di continenti diversi indicavano una diversa posizione del polo magnetico. Non erano stati i poli magnetici a spostarsi ma i continenti scivolando e ruotando lentamente sulla superficie terrestre. Le rocce hanno cambiato posizione e orientamento nel tempo e con esse si è spostato anche il loro campo magnetico fossile.
• Il paleomagnetismo ha portato un’altra scoperta:in molte rocce di età recente la direzione di magnetizzazione risulta esattamente opposta a quella del campo geomagnetico attuale come se al momento della formazione di queste orocce, il Polo nord magnetico fosse al posto del Polo sud e viceversa. Il fenomeno si osserva anche in rocce molto più antiche il cui campo magnetico oltre ad indicare una direzione più o meno ruotata rispetto a quella attuale rivela anche la presenza di ripetute inversioni di polarità. La conclusione tratta mostra che il campo magnetico terrestre è passato alternativamente da normale cioè orientato con il Polo nord come oggi a inverso. Datando campioni di rocce si è ricostruita la successione di periodi di tempo a polarità normale e inversa che si sono susseguiti negli ultimi 5 milioni di anni circa: si è stabilita una scala stratigrafica paleomagnetica divisa in 4 epoche magnetiche all’interno delle quali si sono riconosciuti alcuni intervalli brevi di inversione detti eventi.
MONTAGNE CHE GALLEGGIANO: ISOSTASIA
La crosta terrestre affonda più o meno nel mantello a seconda del suo spessore: Ciò suggerisce che essa possa galleggiare sul mantello per la sua minore densità media. La tendenza della crosta a raggiungere una posizione di equilibrio con il galleggiamento è chiamata isostasia e aggiustamenti isostatici sono detti i movimenti verticali con cui la crosta reagisce ad ogni modifica di tale equilibrio. Quando un settore di crosta deforma si osserva che i materiali della crosta risultano scesi a parecchi km di profondità rispetto alla crosta continentale non sollevata. Quel settore di crosta è aumentato di spessore ed è divenuto più pesante: come conseguenza è sprofondato nel mantello finchè la spinta di galleggiamento analoga a quella di Archimede non ne compensa il maggio peso. In superficie a quel settore di crosta ispessito corrisponde una catena montuosa che nonostante il suo grande peso può restare sollevata rispetto alla quota media della crosta continentale proprio perché sostenuta da un grosso spessore di radici fette di materiale crostale leggero. A man o a mano che l’erosione demolisce o alleggerisce la nuova catena montuosa, le radici si riducono di volume continuando a tenere sollevati rilievi sempre meno impotenti. Quando la catena montuosa sarà totalmente spianata, le sue radici saranno sparite e lo spessore locale della crosta avrà raggiunto il valore medio che si osserva sotto gli scudi e i tavolati. Il mantello costituito di materiali rigidi fluisce per far posto alle radici. Questo accade quando si esercita una forza su un solido per tempi lunghissimi per cui un materiale che sollecitato bruscamente da una forza, si comporta in modo rigido, se viene sollecitato da una forza minore, ma applicata a lungo con continuità, risponde invece deformandosi, come se fosse una sostanza estremamente viscosa. Nel caso del mantello la sollecitazione dovuta a un terremoto è molto brusca e i suoi materiali reagiscono in modo rigido; ma lo sforzo esercitato dalla crosta ispessita si prolunga per tempi lunghissimi e il mantello reagisce come un materiale molto viscoso e può scorrere, sia pure con estrema lentezza.
UN VULCANO LUNGO OLTRE 60000 KM: LE DORSALI OCEANICHE
Sul fondo degli oceani si snoda un sistema di dorsali sommerse, lungo complessivamente oltre 60000 km, sede di intenso vulcanismo e di forte sismicità. Le dorsali oceaniche non sono catene montuose come quelle dei continenti ma corrispondono a una lunghissima fascia di crosta oceanica. La crosta del sistema di dorsali è quasi ovunque segnata da un solco longitudinale largo qualche decina di km e profondo 1500-3000 m, chiamato rift valley per la sua grande somiglianza con il sistema di fosse dell’Africa Orientale noto come Great Rift Valley. Tale depressione è limitata sui due lati da scalinate di ripide pareti tra loro quasi parallele che corrispondono a un sistema di profonde spaccature (faglie) attraverso l’intera crosta, che qui risulta molto assottigliata. Un diverso sistema di fratture, trasversali rispetto all’asse della rift valley, disarticola invece le dorsali in numerosi segmenti, ciascuno dei quali risulta spostato rispetto a quelli contigui; tali fratture sono state chiamate faglie trasformi ( per esempio quella di San Andreas). Lungo le spaccature che delimitano la rift valley risale continuamente dal mantello magma ad alta temperatura che fuoriesce da innumerevoli punti sul fondo del mare e solidifica all’interno della valle come roccia basaltica. Infine numerosi terremoti con ipocentro poco profondo si verificano lungo tutta la rift valley e lungo le faglie trasformi. L’insieme delle caratteristiche osservate indica che, sotto la crosta in corrispondenza delle dorsali deve esistere un flusso ascendente continuo di materiale molto caldo in risalita da livelli profondi entro il mantello. In vicinanza della superficie parte del materiale caldo passerebbe allo stato fuso e risalirebbe attraverso le fratture che delimitano la rift valley, fino a traboccare sul fondo del mare e da dare origine, per raffreddamento, ai grandi accumuli di lave a cuscino. La quantità di lava che fuoriesce lungo tutte le dorsali è imponente: arrivata in prossimità della superficie, ma ancora ad una certa profondità, tale massa si espande, dividendosi in rami che si allontanano in direzioni opposte rispetto alla posizione della dorsale, e si muovono, sempre a velocità di qualche cm\anno, sotto le spinte abissali, continuando però a perdere calore. In superficie i 2 fianchi delle dorsali si allontanano l’uno dall’altro a partire dalla rift valley: tale movimento non lascia uno spazio vuoto, in quanto dalle numerose faglie che continuamente si aprono risale magma che forma nuovi ammassi di rocce effusive e intrusive. Non appena consolidate anche le nuove rocce vengono coinvolte nel meccanismo in atto. I fondi oceanici si accrescono e si espandono a partire dalla rift valley. Tale accrescimento e il movimento non riguardano solo la crosta ma l’intera litosfera perciò anche la parte più alta del mantello.
PROFONDE DEPRESSIONI NELLA CROSTA OCEANICA: LE FOSSE ABISSALI
I fondi oceanici presentano un altro tipo di strutture nettamente distinte dalle dorsali ma caratterizzate da intensa attività: sono le fosse abissali, depressioni del fondo lunghe migliaia di km e relativamente strette. Un tipico allineamento di tali strutture è presente lungo il bordo occidentale del Pacifico, dove le fosse si susseguono dallo Stretto di Berning fino alla Nuova Zelanda. Il fondo oceanico scende in corrispondenza di una fossa di oltre 5 km. L’attività vulcanica è sistematicamente presente, ma è localizzata a una certa distanza dalla fossa, lungo una fascia parallela a quest’ultima. Se la fossa fiancheggia il margine di un continente, lungo questo margine si innalza una catena di vulcani che individua un arco vulcanico(ande parallele alla fossa del Perù); se la fossa è in pieno oceano, parallelamente ad essa si osserva un arco di isole vulcaniche(isole Marianne). Il vulcanismo associato alle fosse è diverso da quello delle dorsali: infatti mentre quest’ultimo è caratterizzato da effusioni di lava fluida, il vulcanismo lungo le fosse è altamente esplosivo, alimentato da magmi molto ricchi di gas e vapori. Tutte le più violente esplosioni vulcaniche si verificano in prossimità di una fossa oceanica. Le fosse o i sitemi arco-fossa sono accompagnati anche da forte sismicità: gli ipocentri dei terremoti sono superficiali in prossimità della fossa, mentre diventano via via più profondi man mano che ci si allontana da questa in direzione dell’arco vulcanico; inoltre la loro distribuzione complessiva permette di individuare una superficie ideale, la superficie o piano di Benioff, che scende in profondità con un angolo, rispetto alla superficie terrestre, compreso tra 30 e 70°. Questo particolare allineamento di terremoti ha fatto pensare alla presenza di grandi faglie che scendono in profondità.
CROSTA CHE SI FORMA, CROSTA CHE SI CONSUMA: ESPANSIONE E SUBDUZIONE
Nell’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici, le dorsali oceaniche sono sostenute dalla risalita di materiale caldo in movimento nel mantello; l’inarcamento della litosfera provoca l’assottigliamento e la fatturazione di quest’ultima, per cui la rift valley corrisponde a una gigantesca crepa estesa su tutto l’involucro litosferico; attraverso essa, parte del materiale del mantello, passato allo stato fuso, risale e alimenta il vulcanismo della dorsale, i cui prodotti, una volta divenuti solidi(basalti), contribuiscono alla formazione di nuova litosfera. A sua volta la litosfera oceanica, trascinata dai movimenti profondi del mantello, si allontana da un lato e dall’altro della rift valley, si raffredda e, per la conseguente contrazione, diviene più densa e si abbassa di quota rispetto alla dorsale, verso un nuovo equilibrio isostatico: si forma così il pavimento delle vaste piane abissali, che si ricopre col tempo di un certo spessore di sedimenti. Contemporaneamente, a una certa distanza dalle dorsali, il materiale del mantello in movimento, orami divenuto più freddo e pesante, comincia a ridiscendere in profondità, con un lento movimento detto di subduzione. La litosfera segue tale movimento, per cui si inflette verso il basso e si immerge nel mantello. Nella sua discesa entro zone a temperature via via più elevate, la litosfera si riscalda e comincia a fondere, finchè in profondità risulta del tutto riassimilata. Non tutto il materiale della litosfera viene perciò riciclato nel mantello: la fusione graduale della crosta oceanica e dei sedimenti produce grandi volumi di magma che, essendo meno denso del materiale del mantello circostante, risale verso la superficie e alimenta il vulcanismo degli archi vulcanici. Inoltre la discesa della litosfera, lenta ma inarrestabile, avviene con violenti attriti, che si manifestano come terremoti. La superficie di Benioff viene interpretata perciò come una radiografia che permette di intravedere la litosfera che sprofonda.
LA PROVA INDIPENDENTE: ANOMALIE MAGNETICHE SUI FONDI OCEANICI.
Un contributo decisivo viene dal paleomagnetismo. Le anomalie magnetiche, positive o negative, indicano lo scarto in più o in meno tra la misura del campo magnetico attuale di un luogo e il suo valore teorico, calcolato per la medesima latitudine. Tali scarti sono calcolati dalla presenza di masse rocciose con una propria magnetizzazione che interferisce con il campo geomagnetico. La sorpresa nel caso dei fondi oceanici fu nello scoprire che le anomalie magnetiche risultavano distribuite in fasce, di valore alternativamente positivo e negativo, disposte parallelamente alle dorsali. Fu individuato da Vine e Mattews. Si ricordi che le rocce della crosta oceanica sono basalti che hanno acquistato una magnetizzazione conforme al campo geomagnetico allora esistente; i magnetometri registrano oltre all’effetto del campo geomagnetico attuale, anche quello del paleomagnetismo dei basalti. Si tenga presente l’inversione periodica del campo geomagnetico. Da tali presupposti i 2 ricercatori inglesi interpretarono le zone di anomalie magnetiche positive dei fondi oceanici come risultato dell’interferenza positiva tra campo geomagnetico attuale e porzioni di crosta oceanica aventi magnetismo residuo con orientazione uguale a quella del campo attuale, e le zone di anomalie negative come risultato dell’interferenza negativa tra campo geomagnetico attuale e porzioni di crosta oceanica aventi magnetismo residuo con orientazione contraria a quella del campo attuale. Con questa interpretazione è evidente che la presenza dei 2 tipi di anomalie richiede che la crosta oceanica non si sia formata tutta insieme, ma in tempi diversi, e l’ipotesi dell’espansione dei fondi oceani fornisce in tal caso la chiave di interpretazione. I basalti che si solidificano sul fondo della rift valley si magnetizzano nella direzione del campo magnetico terrestre presente in quel momento; la nuova striscia di crosta che via via si forma viene a sua volta lacerata dal senso della lunghezza dal movimento di espansione e le 2 strisce che ne risultano vengono allontanate dal centro della rift valley, in direzioni opposte. Le nuove spaccature vengono invase da altro magma ma, se nel frattempo si è invertito il campo magnetico terrestre, le nuove rocce verranno magnetizzate in direzione opposta a quella delle rocce formatesi in precedenza. Il processo di espansione prosegue come prima descritto e cosi altra crosta si allontana dalla rift valley insieme a quella più antica, dalla quale si distingue per la direzione di magnetizzazione opposta. Questo meccanismo spiega la distribuzione a fasce parallele della anomalie magnetiche. L’ipotesi dell’espansione comporta altre conseguenze: l’età del pavimento oceanico deve essere tanto più antica quanto più ci si allontana dalle dorsali, lo spessore dei sedimenti deve essere molto ridotto sulle dorsali e deve aumentare man mano che ci sia allontana dalla rift valley e si passa crosta sempre più antica. Le fasce di anomalie magnetiche più recenti quindi più vicine alle dorsali, sono state correlate con le epoche a polarità normale o inversa della scala paleomagnetica; stabilita così l’età di una determinata fascia di anomalie e misurata la distanza tra questa fascia ela dorsale da cui si è allontanata, è stato possibile risalire alla velocità di espansione di vari tratti delle dorsali, che è risultata di pochi cm all’anno. È stato possibile risalire anche all’età di tutte le singole fasce di anomalie magnetiche individuate. Si è così stabilita l’età della crosta oceanica sotto tutti gli oceani.

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