Il Mediterraneo e i Parchi Naturali siciliani

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Testo

Il Mediterraneo
La storia
Storicamente il Mar Mediterraneo è stato la culla di grandi civiltà: tra il II e il II millennio a.C.,infatti, a Creta, nelle isole Cicladi, in Macedonia e nella Grecia centrale si assiste al nascere di fenomeni culturali e sociali. In particolare a Creta si sviluppò una rigogliosa civiltà, detta minoica dal nome di Minosse, mitico sovrano cretese. Di indole pacifica i Cretesi raggiunsero una posizione di primo piano non attraverso l’espansionismo militare bensì tramite una bene organizzata attività rete commerciale. Mentre giungeva al suo culmine la civiltà babilonese ( 2000 a.C.), la civiltà minoica sviluppava la cosiddetta “cultura dei palazzi”, destinata a chiudere una prima fase in seguito a gravi distruzioni (1700 a.C) e a raggiungere il suo ultimo e massimo splendore intorno al 1400 a.C. I palazzi di Cnosso e Festo sono l’emblema dei grandi progressi toccati dalla civiltà minoica: costruzioni grandiose e residenze dei sovrani, essi erano anche il centro delle attività mercantili.
Nello stesso lasso di tempo, sul continente greco, si formava , probabilmente per l’influsso di genti di origine indoeuropea sulle popolazioni native del luogo, la civiltà micenea che si diffuse rapidamente in tutta la Grecia, fino a dominare anche l’isola di Creta, e che ebbe i suoi centri a Micene, Tirinto e Pilo nel Peloponneso e che, poi, finì improvvisamente a causa sia di catastrofi naturali che per l’invasione di altre popolazioni.
Gli antichi scrittori avevano narrato di un “età degli eroi” che aveva preceduto la loro epoca, ma della civiltà egea non si seppe niente di sicuro fino alla fine del XIX secolo, quando cominciarono gli scavi archeologici nei siti delle leggendarie città di Troia, Micene, Cnosso e in altri centri dell’età del Bronzo.
A partire dall’anno 1000 a.C., sulle coste del Mediterraneo orientale, si svilupparono le città stato fenicie , favorite dal vuoto di potere causato dal crollo hittita e dalla crisi di quello egiziano.
In realtà, i primi insediamenti Fenici(come sono chiamati da Omero) risalivano al 2500 a.C. ed erano stati influenzati dalle culture sumerica e accadica della Babilonia. Nell’antico Testamento compaiono col nome di “sidoni”: essi erano una popolazione d’origine semitica, collegata ai cananei dell’antica Palestina.
Verso il 1800 a.c., l’Egitto, che stava allora cominciando ad espandersi in Medio Oriente, invase e conquistò la Fenicia, mantenendone il controllo fino al 1400 a.C. circa. Le incursioni degli ittiti contro l’Egitto diedero alle città fenicie l’opportunità di ribellarsi e nel 1100 a.C. conquistarono l’indipendenza dall’Egitto. I Fenici, acquisita la propria autonomia, divennero i più grandi commercianti e i più abili navigatori del mondo antico. Le imbarcazioni delle città costiere percorrevano il Mediterraneo, giungendo fino all’Oceano Atlantico, mentre le altre potenze si disputavano le navi e gli equipaggi fenici per le proprie flotte. Le diverse città-stato fondarono numerose colonie mercantili nell’Africa settentrionale (Utica e Cartagine), nelle isole di Rodi e di Cipro e nel sud della Spagna (Tartesso).
Nella stessa epoca, le regioni greche attraversavano un lungo periodo di crisi politica e culturale durante il quale, però, si andavano elaborando le premesse per la grande fioritura dei secoli successivi: già dal secolo VIII a.C. si può dire formata, in modo del tutto originale, la civiltà greca.
Sin dall’età neolitica, i numerosi porti naturali lungo le coste greche e le brevi distanze tra le molte isole dei suoi arcipelaghi favorirono il crescere di una cultura omogenea, che tuttavia non si tradusse mai in unità politica; le montagne e le valli profonde che attraversano la penisola determinarono, infatti, una divisione in unità economiche e politiche ciascuna corrispondente a una città con il territorio circostante. A partire dal VIII secolo a.C. i greci imposero il loro dominio sul Mediterraneo. Potendo disporre di veloci imbarcazioni raggiunsero nuove terre oltremare e vi insediarono colonie.
L’Italia meridionale e la Sicilia, geograficamente più vicine alla Grecia, furono naturalmente l’obiettivo principale della colonizzazione greca verso occidente. Le prime colonie greche furono Ischia, Cuma e Taranto, ma il vero “Eldorado” - il regno dell’oro – dei coloni greci fu la Sicilia. Qui i poemi omerici avevano localizzato alcune delle avventure di Ulisse, ma il mondo fiabesco dei mostri come Scilla, Cariddi e i Ciclopi divenne in pochi decenni il teatro dell’espansione coloniale greca. La Sicilia fu per secoli una terra di confine e un perenne campo di battaglia; i Greci dovettero aprirsi la via lottando contro le popolazioni locali, i Siculi e i Sicani, ma soprattutto contro i Fenici di Cartagine che avevano occupato la parte occidentale dell’isola, dove avevano fondato le importanti colonie di Palermo e di Trapani.
La principale città greca della Sicilia fu Siracusa, ma accanto a questa ebbero notevole importanza Akragas (poi chiamata Agrigento), Selinunte, Messina, Catania, Taormina, Gela, Imera, Megara Iblea e molti altri centri abitati. Sconfitta la minaccia persiana, i greci consolidarono la loro egemonia anche a Oriente arrivando nel V secolo a controllare ogni via commerciale dal Mar Nero fino alla Spagna.
I primi segni di declino coincisero con l’acuirsi delle rivalità interne alle diverse città-stato greche e con l’avanzare di una nuova potenza: Roma. Ottenuto il controllo del Mediterraneo occidentale ai danni dei Cartagine, con la vittoria nelle guerre puniche(II secolo a.C.), Roma nel corso del secolo successivo, sconfiggendo Mitridate in Asia Minore e spazzando via le ultime vestigia del grande regno egizio, poté contare su un’egemonia commerciale e politica su tutto il bacino, che si protrasse fino a tutto il IV secolo d.C.
La caduta dell’Impero Romano d’Occidente segnò un lungo periodo di depressione dell’area mediterranea: così come sulla terraferma, anche per mare le comunicazioni si interruppero. In particolare, la Sicilia, dopo un secolo di disordini, finì sotto il dominio bizantino, il quale, però, indebolito dalle lotte interne, fu, attorno all’anno 800, travolto dall’invasione araba.
La dominazione araba, in Sicilia, durò per più di due secoli; nonostante alcuni svantaggi e obblighi imposti ai cristiani e agli ebrei , esistevano, in generale rapporti di tolleranza tra le diverse religioni, facilitati dalla politica economica degli arabi, che ridusse le tasse, distribuì le terre incolte ai contadini e favorì il commercio. Gli arabi impiantarono in Sicilia nuove coltivazioni tra cui quelle degli agrumi, del pistacchio, della canna da zucchero e l’allevamento del baco da seta.
L’occupazione araba in Sicilia terminò, a partire dall’anno 1060, quando Ruggero il Normanno sbarcò a Messina: pochi resti oggi sopravvivono della loro presenza perché furono distrutti nelle guerre successive, ma nella topografia delle città siciliane rimangono ancora oggi molti nomi arabi.
La nascita delle potenti Repubbliche Marinare italiane, in particolare di Genova e Venezia, e, intorno al XI secolo, la grande spinta ideologica e politica rappresentata dalle Crociate, rappresentò una nuova forte penetrazione delle civiltà cristiane occidentali nell’area orientale del bacino. Con la fine del XV secolo e l’inizio della grande era delle esplorazioni oltreoceaniche, l’importanza soprattutto economica del Mediterraneo subì un drastico ridimensionamento, anche se l’area continuò a rivestire un’importanza strategica fondamentale per le ambizioni militari delle grandi monarchie nazionali europee. Arrestata con la battaglia di Lepanto (1571) l’ondata espansionistica turca, il Mediterraneo divenne per secoli campo di battaglia per Spagna, Francia, Inghilterra, l’Impero Austriaco e quello Russo. Anche in età moderna il mare che bagna tre continenti ha continuato a conservare una grande importanza, particolarmente nell’Ottocento, specialmente dopo l’apertura del canale di Suez, nel 1869.
Ancor oggi il Mediterraneo continua a essere importante: vi si confrontano, spesso conflittualmente, società diverse, come quella europea e quelle che si riconoscono nell’Islam, e il confronto è reso aspro soprattutto dai problemi irrisolti dei paesi della sponda africana, la cui pressione demografica cerca sbocchi nella sponda europea, dove peraltro sussistono condizioni sociali ed economiche che risentono della perifericità della regione mediterranea rispetto al centro più ricco ed avanzato del continente.
Il Mediterraneo, culla di civiltà diverse, ha visto nascere e svilupparsi anche lingue diverse: dalle arcaiche lingue “mediterranee”, quegli idiomi parlati prima del diffondersi delle lingue indoeuropee, semitiche o camitiche, alle grandi lingue che hanno formato la cultura occidentale, il greco, l’aramaico, l’ebraico e l’arabo. Gli antichi idiomi mediterranei - ricostruiti a fatica dalle testimonianze epigrafiche dell’etrusco, dell’iberico, dell’eteocretese, del lidio e di altre lingue scomparse- sopravvivono in una sola lingua ancora parlata, il basco; ma hanno lasciato tracce in molti elementi lessicali incorporati nel greco, nel latino
e nelle lingue moderne da queste derivate. Si distinguono poiché i caratteri fonetici e morfologici di queste parole non sono riportabili ad alcuna tipologia grammaticale indoeuropea, semitica o camitica: sono soprattutto i toponimi a conservare tracce di questi “ relitti lessicali”. A partire dal medioevo e fino all’inizio del XX secolo, il Mediterraneo ebbe la propria lingua franca: il sabir. Si trattava di una lingua pidgin, cioè un codice di comunicazione prettamente orale usato da parlanti che non possiedono una lingua in comune, ma che vengono portati a comunicare soprattutto da motivi commerciali o di altra natura. Il sabir, un ibrido di parole italiane e spagnole, con alcune voci arabe e caratterizzato da una grammatica estremamente semplificata, veniva parlato nei porti del Mediterraneo e a bordo dei piroscafi mercantili che spesso imbarcavano equipaggi di lingua diversa.
Il Mediterraneo ha ispirato secoli di letteratura. Da Omero e dalla sua Odissea, primo grande “romanzo” mediterraneo, fino al grande saggio di Ferdinand Braudel, Il Mediterraneo ( 1987), l’esempio più esauriente sul tema storico, geografico, culturale e antropologico del Mediterraneo. Un'altra opera che sull’argomento è riuscita ad intrecciare Storia e storie, saggio e narrazione è quella di Predrag Matvejevic, Mediterraneo. Per rimanere nell’ambito della letteratura novecentesca, citiamo ad esempio due poeti che dal Mediterraneo hanno tratto ispirazione per i loro versi: Paul Valéry (Sète 1871- Parigi 1945) ed Eugenio Montale (Genova 1896- Milano 1981).
Il patrimonio musicale dell’area mediterranea è vasto e diversificato come le culture che lo hanno prodotto: così quando ci si riferisce a musiche e suoni “mediterranei” l’espressione non può che essere generica. Questo tuttavia non impedisce di considerare alcuni elementi ricorrenti nelle varie forme espressive della musica delle culture mediterranee. Costanti si ritrovano sia negli strumenti che nei ritmi e nelle armonie: la canzone napoletana conserva tracce melodiche della musica islamica; tempi e tonalità tipiche della musica ebraica sono riconoscibili in alcuni generi musicali della penisola iberica.
Il Mediterraneo
La flora e la fauna in Sicilia
Il Mediterraneo è il mare compreso tra Europa, Asia e Africa: è collegato all’Oceano Atlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra, lo Stretto dei Dardanelli, il Mar di Marmara e il Bosforo lo collegano al Mar Nero, altro mare interno compreso tra Europa e Asia. Infine, attraverso il canale di Suez, aperto nel corso del XIX secolo, è collegato al Mar Rosso e all’Oceano Indiano.
Il nome Mediterraneo deriva dalla parola latina mediterraneum, parola composta da medius, il cui significato è “che sta al centro”, e terra. Già in greco esisteva un termine simile, mesogeis, che significava “in mezzo alle terre”. Usato come aggettivo mediterraneus si riferiva a luoghi che erano interamente circondati da terre, lontani quindi dal mare. Soltanto in epoca più tarda l’aggettivo fu accostato al mare per antonomasia: il Mar Mediterraneo vide fiorire sulle proprie sponde le civiltà che stanno alla base della cultura occidentale e proprio per questa sua particolare configurazione di “mare fra le terre”, il Mediterraneo, al contrario d’altre distese acquatiche del globo, ha sempre rappresentato un elemento geografico di contatto tra le nature e i popoli che vi si affacciano.
Sia Ecateo sia Erodoto chiamano il Mediterraneo “Mare Grande”. Così lo chiamavano anche i Fenici, che furono anche i primi a percorrerlo tutto. Tucidide lo definisce, secondo l’appartenenza, Mare Ellenico. Per i Greci era il “mare nostrum”: definizione che riprenderanno i Romani e molti altri dopo di loro. Con maggiore riguardo Platone lo indica “il mare che si trova accanto a noi” (par’hemin thalassa). Nello scritto noto col titolo De Mundo, che viene forse erroneamente attribuito ad Aristotele, c’imbattiamo nella fatale denominazione “mare interno” (he eso thalassa) in opposizione a quello esterno, l’Oceano. Da questo nome, più tardi emergerà la traduzione latina, Mediterraneo.
La superficie complessiva del Mediterraneo è di circa 2.500.000 km2; si estende in lunghezza per circa 3860 km ed ha una larghezza massima di circa 1600 km. La profondità media è di 1500 m, con un massimo di 5150 m al largo della costa meridionale della Grecia. Una dorsale sottomarina, che si estende dalla Tunisia alla Sicilia, divide il Mediterraneo in due bacini, orientale e occidentale. Un’altra dorsale, tra la Spagna e il Marocco, è situata in corrispondenza del luogo in cui il Mediterraneo confluisce nell’Oceano Atlantico mediante lo Stretto di Gibilterra. Anche lo stretto ha una scarsa profondità, limitando la circolazione delle acque e riducendo notevolmente l’ampiezza delle maree, fattori che, insieme all’elevato tasso d’evaporazione, rendono il Mediterraneo un mare considerevolmente più salato dell’Oceano Atlantico. Diverse isole e numerosi arcipelaghi rendono varia la geografia del Mediterraneo. Alcune, come Malta e la Sicilia, sono importanti per la navigazione, grazie alla loro posizione strategica; tra le altre isole sono da segnalare le Baleari(Spagna), la Corsica(Francia), la Sardegna(Italia), Cipro, le isole Ionie, le Cicladi, gli arcipelaghi del Dodecaneso, dell’Egeo(Grecia).A causa della movimentata articolazione delle terre che bagna, delle isole e delle penisole che accoglie,
è suddiviso in settori minori, in “mari diversi”. I principali sono il mar Tirreno, il mare Adriatico, il mar Egeo e il mar Ionio.
Il Mediterraneo è un residuo dell’antico mare chiamato Tetide, il cui fondo, stipato di sedimenti, fu compresso da un movimento tettonico durante l’Oligocene, circa trenta milioni d’anni fa, quando le placche crostali africana ed euroasiatica entrarono in collisione;
l’urto di tali placche, ancora in movimento, ha dato origine ad imponenti formazioni
orogenetiche, cioè a quei rilievi montuosi che si sviluppano tutt’intorno al Mediterraneo, accompagnandosi a manifestazioni d’instabilità. Tra queste si ricordano le attività vulcaniche, come quelle che hanno causato le eruzioni dei vulcani Etna, Vesuvio e Stromboli, nonché i frequenti terremoti che hanno devastato le regioni dell’Italia, della Grecia e della Turchia.
Il Mediterraneo ha un clima caratterizzato da inverni miti ed umidi e da estati calde e secche: questo clima è la premessa indispensabile allo sviluppo della macchia mediterranea, un tipico bosco composto da arbusti sempreverdi e alberi dal basso fusto, molti dei quali con foglie piccole e forti, sclerofille, oppure ricoperte da una fitta peluria, per meglio difendersi dalla perdita di acqua, che resistono negli ambienti aridi chiudendo i pori per evitare la traspirazione e riprendendo appunto l’attività di fotosintesi dopo i periodi di siccità. In generale la vegetazione mediterranea è costituita da specie sempreverdi la cui fioritura è distribuita durante tutto l'anno con specie che fioriscono anche in pieno inverno.
Un tempo lungo il Mediterraneo si stendevano fitte foreste che sono andate via via scomparendo:l’antica foresta mediterranea era composta da tre strati. C’era lo strato superiore, costituito da alberi alti e robusti: querce e pini di vario tipo. Poi c’era lo strato intermedio, costituito da arbusti e cespugli disseminati tra gli alberi fino a formare un intrico difficile da penetrare: mirto, lentisco, ginepro, rosmarino che diffondevano ovunque i loro odori. Infine, in basso, c’era lo strato inferiore costituito da erbe, minuscole piante aromatiche e fiori.
Questo tipo di foresta ormai si trova solo nel Mediterraneo orientale, soprattutto in certe parti della Grecia.
Le cause della scomparsa sono complesse;probabilmente , nell’antichità, la causa principale è stata un cambiamento di clima. In seguito hanno contribuito anche i tagli dei boschi praticati dall’uomo.
Gli alberi alti hanno così lasciato il posto agli arbusti e ai cespugli, cioè appunto alla macchia mediterranea, vegetazione che è presente in molte parti d’Italia dalla Sicilia alla Liguria, e che consiste in una formazione fitta costituita da arbusti sempreverdi, dall'altezza media di due, tre metri, quali i Cisti, il Mirto, il Lentisco, il Corbezzolo, l'Alaterno, l'Erica arborea, la Ginestra, il Ginepro, sui quali si arrampicano liane come la Salsapariglia, che contribuiscono a creare un intreccio inestricabile e impenetrabile.
Nella macchia mediterranea gli alberi – pini, querce, lecci - si trovano ancora, ma sono radi e meno alti e robusti di quelli dell’antica foresta. Dove piove poco e il terreno è sassoso anche gli arbusti tendono a scomparire, per lasciare il posto ai cespugli e alle erbe basse; nelle aree aride, cioè dove le piogge sono ancora più scarse e la vegetazione è danneggiata dall’uomo, scompaiono anche i cespugli e restano solo erbe e fiori. Questa vegetazione così arida è chiamata steppa mediterranea e la si incontra in Sicilia, in Sardegna e in molte parti della Calabria.
Gli incendi sono frequenti in questi terreni , in cui la macchia deriva appunto dalla distruzione delle piante a causa del fuoco. Sviluppando i nuovi germogli dalla corona delle radici, infatti, un arbusto può ricrescere più rapidamente. Numerose specie sono resistenti al fuoco, come il sughero mediterraneo, ricoperto da una spessa corteccia; altre ne sono addirittura dipendenti e fioriscono, producono semi o germogliano solo dopo un incendio.
L'incendio e la distruzione del bosco comportano, dapprima, la formazione di una vegetazione più bassa, la "gariga", costituita da specie spinose, come l'Euforbia spinosa, e aromatiche, come il Rosmarino, il Timo, la Lavanda e l'Elicriso. Se l'ambiente non è disturbato, una gariga, con gli anni, può trasformarsi in "macchia" e successivamente in "lecceta".
Per quanto riguarda le "pinete" si può dire che esse non sono propriamente autoctone: il Pino marittimo è stato introdotto dall'uomo e i rimboschimenti con pini sono stati effettuati per anni in zone di macchia distrutti da incendi. In verità gli aghi di pino acidificano molto il terreno ed impediscono alla flora autoctona di ritornare a vivere in quegli ambienti dove un tempo costituiva l'unica copertura verde.
Piccoli Passeriformi come l'Occhiocotto, la Sterpazzola, il Merlo, la Capinera nidificano nell'intrico verde degli arbusti. Lucertole, Ramarri e Gechi si scaldano al sole su pietre e muretti a secco. Donnole e Faine si insinuano leste fra i cespugli e gruppi di Cinghiali si fanno strada con la forza. Una delle più belle e più grandi farfalle diurne, la Charaxes jasius, vola senza posa fra un fiore e l'altro. In alto volteggiano i Gabbiani reali e qualche
La macchia mediterranea è tipica di cinque regioni: la principale, da cui quest’ecoregione prende nome, è quella che si sviluppa in prossimità del Mar Mediterraneo.
Nel corso del XX secolo, si è assistito ad un enorme progresso della tecnica e della scienza, all’avvento di nuove e sconvolgenti tecnologie ed allo sviluppo di importantissime applicazioni scientifiche. Eppure, mai come in questo secolo, il progresso tecnologico ha reso tanto vulnerabile l’ambiente, mai le risorse naturali sono state depauperate così rapidamente, gli ecosistemi alterati e le falde acquifere inquinate.
Per la natura e l’ambiente, quindi, il XX secolo è stato il più distruttivo e ha fatto esplodere il problema ambientale , proponendolo come tema emergente per il nuovo millennio.
Dal dopoguerra, la Sicilia ha visto progressivamente distrutto il proprio patrimonio ambientale, pervenendo ad un paesaggio molto diverso rispetto a quello dei primi decenni del Novecento.
Malgrado ciò, il suo territorio risulta, in molte parti, ancora ricco di espressioni significative di una natura modellata dall’azione delle tante civiltà che vi si sono avvicendate. Di fronte al progredire della trasformazione del territorio ed alla progressiva distruzione degli ambienti più significativi, sia lo Stato italiano che molte Regioni, tra cui quella siciliana, hanno assunto l’iniziativa di istituire delle aree protette – parchi o riserve naturali – in cui non è consentito l’esercizio di quelle attività umane che possono alterare gli ecosistemi più significativi e in via di estinzione.
Oggi, in Sicilia esistono 97 riserve naturali e tre parchi naturali, dell’Etna, delle Madonie e dei Nebrodi. Le riserve naturali, a loro volta, si distinguono in riserve naturali integrali, quando sono finalizzate alla conservazione dell’ambiente naturale nella sua integrità, lasciando la possibilità all’uomo di intervenire con interventi di carattere puramente scientifico, riserve naturali orientate, quando sono finalizzate alla conservazione dell’ambiente naturale, lasciando la possibilità all’uomo di svolgere attività agricole o pastorali.
Nell’approfondire il tema della flora e della fauna in Sicilia, appare interessante descrivere quegli ecosistemi che, facendo parte della aree protette e, quindi, non alterate dall’intervento umano , oggi appaiono più significativi.
Il Parco dell’Etna, con un’estensione che lo colloca tra i più grandi parchi d’Italia, è sicuramente uno dei più suggestivi e selvaggi ambienti naturali della Sicilia e dell’intero continente europeo, caratterizzato dalla frequente e imprevedibile attività vulcanica di modificazione del territorio e dalla presenza di una grande varietà di flora e fauna di estremo interesse scientifico. Alla desolata e spettrale scena delle quote più alte, fa da contrappunto la rigogliosa vegetazione delle aree vulcaniche in cui si è ormai insediata la vegetazione e occupate da estensioni di spettacolari e antichi boschi di lecci, querce, pini, faggi, betulle e castagni.
La vegetazione del Parco è differenziata a seconda dell’altezza e, per grandi linee, si può distinguere così:
Una zona fino a 500 metri s.l.m., caratterizzata dalla diffusa presenza di una vegetazione bassa tipica del clima mediterraneo arido e da colture agricole come noccioleti, pistacchieti e vigneti;
Una seconda zona fino a 1300 metri , caratterizzata da boschi di querce e castagni. Frequenti anche le betulle, i pini e i pioppi. Diffusa un po’ dovunque la ginestra dell’Etna.
Una terza zona, fino a 2400 metri, dominata dalla presenza di fitti boschi di faggi, pini, betulle e pioppi.
Nel Parco dell’Etna, purtroppo sono molte le specie animali che si sono estinte negli ultimi cento anni per causa diretta o indiretta dell’uomo. Così, non esiste più il Lupo, il Cinghiale, il Daino, il Capriolo, il Grifone e la Lontra e rischiano di scomparire i sempre più rari esemplari di Istrice, Gatto selvatico e Martora. Abbastanza diffusi sono, invece, la Volpe, il Coniglio selvatico, la Lepre, la Donnola, il Riccio, il Ghiro e il Topo quercino. Discreta la presenza di rapaci : sparvieri, poiane, gheppi, e falchi pellegrini. E’ presente anche qualche coppia di Aquile reali e diversi rapaci notturni come l’Allocco, il Barbagianni, l’Assiolo e il Gufo comune. Le zone boscose sono popolate dalla Ghiandaia, dal Picchio , dal Colombo selvatico, mentre tra le diverse specie di serpenti che popolano il sottobosco, l’unico veramente pericoloso è la Vipera, notevolmente aumentata, negli ultimi anni, a causa della ridotta presenza di animali predatori.
I territori dei Parchi delle Madonie e dei Nebrodi sono caratterizzati da ampi boschi di querce da sughero e di roverella; sono presenti anche lecci, sorbi e agrifogli e, nelle campagne di Pollina e Castelbuono, è possibile rinvenire ancora oggi le ultime formazioni di Frassino da manna, un tempo diffuso su tutto il territorio.
Alle quote più alte sopravvivono anche gli unici esemplari al mondo di Abete dei Nebrodi , stupenda specie che, in epoca remota, ricopriva buona parte dei monti siciliani.
La ricca varietà di ecosistemi nel territorio di questi Parchi fa sì che altrettanto ricca e varia risulti la popolazione degli animali; numerosi, in particolare, gli esemplari ad alto rischio di estinzione come la Martora, il Ghiro e il Gatto selvatico. Vi sono, inoltre, più di 150 specie di uccelli . Attualmente si sta tentando di reintrodurre in questi territori specie scomparse da diverso tempo come i daini.
Altri elementi notevoli della flora siciliana sono il profumato oleandro, il maestoso platano e soprattutto l’esotico papiro, che si può ammirare, in particolare, vicino a Siracusa, sulle rive del fiume Ciane. A queste si aggiungono altre essenze, introdotte artificialmente dai diversi dominatori della Sicilia, che vi vegetano con incredibile rigoglio e straordinaria capacità di adattamento come il ficodindia, il pistacchio, il sommacco , l’agave, le palme, i cedri , gli eucalipti, i gelsi e ogni sorta di altre piante da frutta.

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