La Resistenza in Europa

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LA RESISTENZA IN EUROPA
COSA È LA RESISTENZA:
Cosa è la Resistenza? Se si va a cercare su vocabolario italiano la voce resistenza si trovano almeno una decina di definizioni diverse, ognuna legata ad diverso campo (scientifico, fisico, militare,…). Comunque tutte hanno un fattore in comune: la resistenza è un fenomeno che si oppone ad un altro fenomeno, sia quest’ultimo una corrente che tende a scorrere, il moto di un punto materiale, la tendenza di un tessuto a lacerarsi, o la dominazione opprimente di un regime tiranno. È questa la resistenza che si è sviluppata con l’avvento del nazifascismo, e che vogliamo studiare, nella sua unicità e nelle sue diverse forme.
La Resistenza è stato un fattore unificante in Europa, contro il nazifascismo. Però non bisogna pensare che sia stata uguale in ogni paese. Possiamo fare una prima distinzione tra paesi sotto il regime fascista (Italia, Germania e Austria), paesi con democrazie parlamentari occidentali (Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Francia e Cecoslovacchia), paesi che lottarono per la difesa della loro identità nazionale (Polonia e gli stati baltici), l’URSS, la Jugoslavia e la Grecia. Anche all’interno di questa prima suddivisione ci sono molte differenze. L’obiettivo comune a tutti i paesi è la liberazione dagli invasori e dai loro affiliati. Però molti sono gli obiettivi diversi, perché sono diverse le condizioni di ogni paese, anche tra gli Alleati. Un esempio lampante viene dalla Russia e dagli anglo-americani. La Russia aveva degli interessi nei confronti dei paesi dell’est Europa: la lotta per l’indipendenza della Lituania finirà nel 1952, mentre quella per l’indipendenza ucraina nel 1957, quando il conflitto mondiale era terminato da molti anni. Gli anglo-americani, invece, lasciano molte libertà a tutti i tipi di Resistenza, tranne a quella della Grecia, che era controllata dai comunisti. Con loro la guerra finirà nel 1949.
LA RESISTENZA NEI PAESI SOTTO IL REGIME NAZI-FASCISTA:
ITALIA:
La Resistenza che ci riguarda più da vicino è quella italiana. Questa si può dividere in due momenti. Infatti prima della caduta di Mussolini i partiti democratici mettono in atto una lotta legale, sperando che siano rispettate le garanzie costituzionali. I partiti che vengono sciolti dal regime emigrano in Francia, si ricostituiscono e agiscono ancora nella legalità. Si crea il Movimento di Giustizia e Libertà, che, però, non dà subito risultati efficaci, anche se propone un’azione insurrezionale immediata e radicale. Il motivo del suo iniziale fallimento sta nella sua clandestinità: il Movimento è poco diffuso e conosciuto tra la popolazione. La guerra in Spagna è un’occasione per il suo sviluppo. Infatti Mussolini entra in guerra a favore del generale Franco, e Rosselli, leader importante del Movimento, crede che al di là dei Pirenei si stia decidendo la sorte del duce. Egli, aiutando chi si batte per la repubblica, vuole sconfiggere Franco e, con lui, Mussolini. Purtroppo, prima di vedere la fine del fascismo, viene ucciso con il fratello da uomini del regime.
Dopo l’8 Settembre 1943 le cose cambiano in Italia. Questo è dovuto anche al fatto che, con la caduta di Mussolini, coloro che ci erano alleati, i tedeschi, diventano nemici. Il movimento di Resistenza si fa più forte adesso che il paese è occupato da un popolo invasore. Ora tutti i sentimenti di unità nazionale esplodono con forza. Il Partito Comunista e il Partito d’Azione sono, da sempre, abituati alla clandestinità, quindi sono loro i più adatti in questa nuova situazione a formare un gruppo di Resistenza efficace. Loro sono le formazioni partigiane Garibaldi e GL. Anche i socialisti si organizzano e si raggruppano nelle brigate Matteotti, in nome del famoso “martire del fascismo”. Anche il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) si forma subito dopo la caduta del duce, nell’Ottobre di quell’anno. Ma chi sono i partigiani, quegli uomini e donne che hanno vissuto nel pericolo e nella clandestinità per due anni? Sono uomini in armi permanentemente, con un’avversione per la politicizzazione che poteva prendere la lotta. Le formazioni sono autonome e apolitiche, con una caratteristica eccezionale: hanno un’intesa comune di massima, la costituzione di un unitario Corpo dei Volontari della Libertà, che nell’Agosto del 1944 conta già centomila combattenti. Sono, quindi, i gruppi politici che guidano e organizzano i partigiani, impegnandoli in azioni immediate. Questi italiani si trovano anche davanti al difficile compito di uccidere altri italiani, magari non fascisti. Uomini, ma soprattutto giovani che sono entrati in guerra per servire la patria, l’Italia. Uomini che hanno capito le atrocità del nazifascismo perché le hanno vissute sulla propria pelle. Ma poiché sono stati militari, o ancora lo sono per voler seguire la bandiera anche nel baratro della sconfitta, devono essere combattuti dai partigiani. Questi ultimi, poi, non sono tutti “santi uomini”. Molti di coloro che sono stati giustiziati dai cosiddetti “tribunali” partigiani erano innocenti. No, erano colpevoli di essere figlie, mogli, fratelli, o solo parenti di fascisti. Ma non dei fascisti che rastrellavano e torturavano gli ebrei, ma solo iscritti al partito fascista, per poter mantenere il posto di lavoro e sfamare la famiglia. Bastano due esempi per rendere l’idea di quanto appena affermato. Una mattina del Settembre 1944 Nella De Pieri viene arrestata da un gruppo di partigiani, con l’accusa di essere una spia. L’accusa è infondata, come testimoniato da alcuni partigiani, ma, poiché è moglie di un ufficiale della Guardia nazionale repubblicana, viene condannata a morte. La donna ha due bambini piccoli ed è in attesa del terzo. Un prete chiede la grazia per il figlio che deve nascere, grazia che viene concessa. Però, per l’insistenza dell’uomo da cui era partita la denuncia, la donna viene fucilata ugualmente, e poi gettata in un burrone molto profondo, per nascondere il cadavere.
Il secondo esempio porta alla luce una storia di crudeltà passata e recente. In un piccolo centro in provincia di Novara era stato deciso di costruire una lapide per ricordare tutti i caduti della guerra, con i nomi di tutti i morti, sia fascisti che partigiani. Dovevano esserci anche i nomi di due sorelle, Mirka e Cornelia Ugazio, figlie del segretario del Fascio locale, di 15 e 23 anni, violentate da una ventina di uomini e gettate in una fossa ancora vive. Per uccidere Mirka le hanno schiacciato il collo con uno scarpone per soffocarla. A Cornelia, invece, è stato spaccato il cranio con il calcio di un mitra. Oltre al danno enorme subito 54 anni, adesso i famigliari e gli amici devono subire anche la beffa. Infatti il nome delle due giovani non doveva essere presente nella lapide, gli abitanti non le volevano. E per mettere a tacere il vespaio di proteste suscitato dall’eventuale mancanza dei nomi, è stato deciso di non fare più nemmeno la lapide.
Questi due esempi sono stati riportati per far capire che la lotta combattuta dai partigiani non è stata solo Resistenza e opposizione al regime e ai nazisti, ma ci sono state anche molte vendette. I partigiani non sono stati solo i “salvatori della patria”, ma anche assassini autorizzati.
GERMANIA:
Per certi versi la Resistenza in Germania può essere accomunata a quella in Italia. Infatti anche questo paese è stato dominato fin dal 1933 dal regime nazista, però c’è una grande differenza: Hitler, e il regime, è stato presente fino alla fine della guerra. I tedeschi non si sono trovati nelle condizioni di popolo dominato, di paese invaso, quindi la Resistenza, prevalentemente operaia, non si è potuta allargare in un movimento nazionale patriottico, come, invece, avvenne in Italia. In più la Resistenza in Germania può contare su un alleato morale importante come l’URSS. Infatti la lotta contro la socialdemocrazia tedesca giova molto a Stalin, che in questo modo può portare avanti la sua lotta personale con la destra sovietica. Inoltre le pretese del führer avrebbero rinviato un riavvicinamento della Germania con le altre potenze europee, a tutto vantaggio della Russia.
Torniamo alla Resistenza vera e propria. Non esistono delle forze armate permanenti e gruppi di dissidenti sono clandestini e divisi. Nel 1934 si forma il primo Comitato per l’Unità Proletaria, formato da socialisti, comunisti e da appartenente alla SAP. Anche nelle fabbriche si muove qualcosa: migliaia sono i gruppi di opposizione tra i lavoratori, inizialmente divisi, ma che poi, negli anni della guerra, si coordinano parzialmente in raggruppamenti regionali. Negli anni che vanno dal 1933 al ‘37 vengono aperti molti campi di prigionia, sul modello sovietico. Questa è un provvedimento preso a seguito dei molti scioperi, sparsi su tutto il territorio tedesco, e della Resistenza passiva messa in atto nelle fabbriche. Inizialmente i campi sono riservati a esponenti del movimento operaio, poi anche a intellettuali, per fine con le deportazioni per ogni dissidente. Il 12 luglio 1943 in URSS viene costituito il Comitato Nazionale della Libera Germania, che fino a tutto il ‘44 forma un fronte unito nazionale antinazista. Ciò che desta interesse e stupore è il comportamento della Chiesa, Cattolica o Protestante che sia: non ha opposto nessuna resistenza, non ha condannato minimamente gli orrori nazisti. È stata la coscienza religiosa, invece, che si è fatta sentire. In nome di quella coscienza molte persone hanno dato vita a circoli in cui discutevano, tentavano di fare qualcosa (Circolo di Kreisau). Sono stati 40 mila i morti per la Resistenza e per un credo antinazista. C’è chi dice che non bastano questi morti per cancellare gli orrori commessi da tutti gli altri tedeschi, semplici consenzienti al regime o accaniti carnefici. Forse per chi è assetato di vendetta non bastano, ma per chi tenta di analizzare questo periodo sì. Anche se un solo uomo fosse andato contro Hitler, allora questo sarebbe bastato per poter affermare che non è stata una scelta di massa aderire al partito, ma che ognuno lo ha fatto valutando i pro e i contro (spesso superiori ai pro). Oltre ai numerosi attentati falliti, bisogna ricordare i giovani studenti della “Rosa Bianca”. Questo gruppo non ha fatto opere di sabotaggio, ha soltanto scritto sei volantini. In questi volantini si cerca di scuotere le coscienze dei tedeschi, di far prendere loro coscienza delle atrocità che stanno avvenendo nel loro paese. Questo è il primo obiettivo. Una volta riusciti a scuotere le persone dal loro torpore, avrebbero portato avanti delle azioni concrete, avrebbero sabotato, ucciso, avrebbero fatto di tutto per di salvare la libertà individuale di ognuno. Questi volantini nascono dalle discussioni di alcuni studenti dell’università di Monaco, con docenti, artisti, liberi pensatori. Anche dalle loro esperienze di guerra soprattutto sul fronte russo, a contatto con ogni atrocità possibile, con la morte dei compagni, ma anche di migliaia di contadini russi con cui hanno fatto amicizia, e che non sanno nemmeno perché muoiono. Questi giovani provengono da luoghi e condizioni sociali diversi, non tutti credono in Dio, ma tutti credono nel diritto alla vita e alla libertà. Nei primi due processi alla “Rosa Bianca” vengono giustiziate sei persone, ma molte altre moriranno per questo movimento, o soffriranno duri anni Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst
di prigionia. I primi a essere arrestati sono i fratelli Hans e Sophie Scholl, visti e denunciati da un solerte bidello mentre gettano copie dell’ultimo volantino dalla balconata dell’università. Il terzo è Christoph Probst, padre di due figli, tradito da una bozza per il volantino successivo. In tre giorni, con il fine settimana compreso, questi ragazzi vengono arrestati, processati, e giustiziati. La famiglia di Probst viene avvertita addirittura la settimana successiva all’esecuzione. Vengono presentati come dei mostri traditori a una giuria composta esclusivamente da ufficiali della SS e dalle loro mogli. Perché tutta questa fretta? Tutte le interpretazioni fatte su questo “caso” concordano nel dire che i dirigenti della GESTAPO hanno paura di questi giovani, armati di un po’ carta e di un ciclostile manuale. Devono dare una prova Alexander Schmorell
esemplare di come vengono trattati i traditori. Per il secondo processo, invece, si sono presi più calma: quasi tre mesi hanno aspettato i condannati a morte prima dell’esecuzione, sostenuti anche dalla speranza di una fine imminente della guerra. Speranza vana. Non solo i coinvolti vengono perseguitati. Anche le loro famiglie: subiscono la Sippenhaft, un’incarcerazione destinata ai Kurt Huber famigliari dei condannati. Si teme che le idee dei congiunti abbiano potuto contagiare tutto il nucleo famigliare. In questo nodo si “prevengono” altri tradimenti. Sei sono i condannati a morte del primo ciclo della “Rosa Bianca”: Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Willi Graf, Alexander Schmorell e il professor Kurt Huber. Uno tra i continuatori: Hans Leipelt. Per loro c’è una lapide all’ingresso dell’università di Monaco. Molti sono coloro che sono morti o hanno sofferto per un ideale.

AUSTRIA:
L’ultimo paese sotto il dominio nazifascista è l’Austria. In questo paese la lotta antifascista è una questione di vecchia data. Ci sono diversi scontri tra la milizia armata socialista e quella austro-nazista, guidata da lontano da Mussolini. Il culmine di questi scontri si ha nel febbraio del 1934, quando la Vienna “rossa” insorge contro la decisione del governo di reprimere il movimento operaio. L’austro-maxismo, fedele agli sconvolgimenti democratici nella storia, viene sopraffatto dalla violenza, e apre le porte all’aggressione nazista. Inoltre, dopo l’annessione dell’Austria al reicht, ogni tipo di Resistenza in questo paese si può accomunare a quella tedesca.
PAESI CON DEMOCRAZIE PARLAMENTARI OCCIDENTALI:
NORVEGIA, DANIMARCA, BELGIO, OLANDA, FRANCIA E CECOSLOVACCHIA:
Nei paesi del nord Europa le cose sono diverse. Il governo norvegese emigra in Inghilterra e la direzione delle azioni antinaziste vengono coordinate dall’inglese Special Operation Executive (SOE), che mette in atto un’azione immediata. È anche presente un’organizzazione locale, la Military Organisation (Milorg), che, invece, preferisce la preparazione di una “secret army”, in cui i partigiani sono mescolati alla società civile.
La Danimarca viene presto invasa dalla truppe tedesche. Un governo di facciata viene mantenuto, formato da una coalizione tra socialdemocratici e radicali. Inizialmente la Danimarca e la Germania firmano un patto di neutralità, però le pretese tedesche aumentano sempre di più, e provocando la nascita della Resistenza danese. Per organizzarla, dirigerla e coordinarla viene formato un Consiglio della Liberazione, indipendente dal governo.
In Belgio le cose non sono molto diverse dalla Norvegia. All’inizio dell’invasione il re capitola e fugge. Il governo si rifugia a Londra, da dove continua a dirigere la lotta, con la formazione dell’armée secrète, in collaborazione con il SOE.
Anche il governo olandese emigra a Londra. Si formano nuclei civili e militari di Resistenza. Essi sono clandestini e coordinati dal SOE. In Olanda ci sono grandi scioperi: nel febbraio del ‘41 e nel marzo-aprile del ‘43 ad opera degli operai, e nell’autunno del ‘44 dei ferrovieri.
La Francia, dopo l’invasione tedesca, viene divisa in due parti, una a nord sotto il controllo diretto dei nazisti, e una a sud, con il “governo-facciata” di Vichy. All’inizio non c’è un’opposizione antifascista. I partiti democratici sono ancora al potere, e per i francesi è loro la colpa della sconfitta in guerra. Per questo motivo non devono restare alla “guida” del paese, ma devono essere sostituiti dai movimenti di Resistenza. L’unica grande forza antitedesca è la France Libre, che “parla” da Londra con la voce di De Gaulle. In generale, però, la Resistenza non è unitaria: i gruppi di sinistra vogliono dare vita a una lotta senza quartiere contro i tedeschi, mentre l’ordine che viene da Londra è di aspettare, preparare l’armée secrète e di attaccare quando saranno pronti. A causa di questi ordini, che vogliono evitare una disfatta inutile, essi verranno accusati di “attendismo”. Un’altra contraddizione: gli Alleati non vogliono i “maquis”, le formazioni armate che si danno alla macchia. Preferiscono al loro posto i “réseaux”, gruppi più governabili, di informazione, sabotaggio, propaganda e preparazione dell’armée secrète. Le decisioni del partito comunista si possono dividere in due periodi: inizialmente sollecita la fraternizzazione con gli occupanti tedeschi. In questa sua azione è, però, isolato. Successivamente avviene un cambio di rotta: si impegna nella lotta e le dà vigore. Il fallimento della Resistenza francese può essere imputato principalmente a due realtà: la totale inesperienza alla lotta antifascista, con la conseguente incapacità di riconoscere in fascismo nelle sue manifestazioni più velate e subdole, e le ambigue posizioni politiche. Inizialmente, infatti, i francesi venerano il maresciallo Pétair (governo di Vichy), poi diventa popolare Giraud e la sua soluzione (a metà strada da Resistenza e collaborazionismo), ed, infine, la visione quasi mitica di De Gaulle.
Il governo cecoslovacco emigra a Londra, e da qui firma un’alleanza con l’URSS, anche perché il paese è stato lasciato a se stesso dopo l’invasione di Hitler. Purtroppo il sostegno sovietico è insufficiente, e non aiuta l’insurrezione militare slovacca, destinata al fallimento.
PAESI CHE LOTTANO PER LA DIFESA DELLE LORO IDENTITÀ NAZIONALI:
POLONIA:
La Polonia viene invasa da due diversi stati. Infatti, all’inizio della guerra, Germania e Russia si alleano, e stipulano un patto in cui si stabilisce che il territorio polacco verrà diviso tra i tedeschi e i sovietici. Questo avviene dal 1939. Anche la repressione sistematica viene sancita da un patto tra i due stati. La Resistenza in Polonia non è solo una risposta militare alle atrocità subite dalla popolazione. Cura anche la salvaguardia di uno stato clandestino, con un governo e un parlamento ridotti, rappresentanza di quello emigrato a Londra. Il potere non è lasciato in mano agli uomini del vecchio regime, ma è affidato all’opposizione. Si formano due eserciti di Resistenza. Uno è l’esercito interno (Armia Krajowa) che conta circa 380 mila uomini. Il secondo è l’esercito comunista (Armia Lodowa), meno numeroso, 20 mila uomini, però permanentemente attivi. Il fatto più rilevante di questa Resistenza è l’insurrezione di Varsavia: la città, assediata, resiste per oltre due mesi, senza ricevere nessun aiuto esterno. Infatti gli uomini dell’Armia Krajowa vengono richiamati da tutto il paese, però vengono fermati dai sovietici. Questi ultimi fermano anche gli Alleati, impedendo loro di utilizzare gli aeroporti vicini alla città, uso concesso solo per interventi contro città tedesche e sui pozzi di petrolio.
STATI BALTICI:
Negli stati baltici i movimenti di Resistenza sono molto contraddittori. In Lituania c’è un attacco sovietico rapidissimo, come in nessun altro paese. Vengono sospese tutte le organizzazioni, di ogni genere, e confiscati i loro beni. Le imprese con più di cinque dipendenti vengono nazionalizzate. I libri “proibiti” vengono ritirati o, addirittura, bruciati. 200 mila persone vengono deportate in Siberia, uccise o disperse. In Lettonia ed Estonia la prima occupazione avviene ad opera dei sovietici. I russi vengono, poi, cacciati dai tedeschi, visti come dei liberatori. La Resistenza crede alle promesse dei nuovi invasori, ma viene delusa. Per questo motivo si converte, e, da Resistenza antisovietici, diventa Resistenza antinazisti. Anche in Ucraina la Resistenza subisce varie “conversioni”: prima contro la polonizzazione, poi contro la germanizzazione, ed, infine, contro la sovietizzazione.
URSS:
L’unico movimento di Resistenza che non si forma dopo la sconfitta dell’esercito, è stato quello russo. Infatti in questo paese esso accompagna l’esercito e ne viene guidato. Sebbene la Resistenza sia di stampo prevalentemente conservatore, essa si può dividere in tre fasi. Nella prima fase i partigiani sono i membri del partito comunista più gli elementi dell’Armata Rossa. La preoccupazione principale del regime è di non creare un vuoto di potere. Dal canto loro, i tedeschi promettono di abolire i kolkos, anche se poi non lo fanno, per paura che diminuisca la produzione. Questo fatto semina nella popolazione sovietica lo sdegno per le atrocità commesse. Come risposta le industrie vengono smantellate e portate in Germania, e i russi vengono degradati al livello di materia-lavoro, costretti a vivere in condizioni pessime. Anche le scuole vengono chiuse. I russi diventano consapevoli che moriranno per fame sotto l’invasione tedesca se non si decidono a reagire. È a questo punto che i sentimenti della gente cambiano, e si entra nella seconda fase, in cui i contadini riconoscono i partigiani come loro fratelli, figli di una stessa patria, e solidarizzano con loro. Anche le condizioni strategiche vengono migliorate, e la foresta di Bryondk diventa molto importante, dopo la sua trasformazione in una piazza d’armi segreta. I gruppi di Resistenza non sono più isolati, ma si unificano in grosse formazioni militari, che si muovono sulla riva destra del Dniepr, e poi anche oltre. La terza fase è caratterizzata da bande itineranti. Le brigate Kovpak e Saburov percorrono centinaia di miglia verso Ovest, ottenendo risultati tali che dall’estate del ‘43 tutta la foresta nord-occidentale ucraina diventa una nuova piazzaforte partigiana. I sentimenti della popolazione sono spesso diversi. Infatti i contadini dell’Ucraina e i montanari del Caucaso non vogliono la restaurazione del vecchio potere sovietico e la maggioranza contadina vuole l’abolizione delle fattorie collettive. Nelle città industriali è imponente la Resistenza popolare, soprattutto nelle città di Leningrado, Rostov e Mosca. C’è una mobilitazione spontanea di tutti gli uomini dai 16 ai 50 anni, e già nell’estate del ‘43 sono già 200 mila i partigiani organizzati.
JUGOSLAVIA E GRECIA:
Gli ultimi due paesi europei in cui la Resistenza è stata attiva sono la Jugoslavia e la Grecia. Questi due paesi sono accomunati anche dal fatto che la Resistenza è stata particolarmente osteggiata dagli Alleati.
La Jugoslavia è un paese già lacerato nel periodo tra le due guerre a causa delle mire accentratrici della Serbia, che si scontrano con l’ideale federativo dei popoli jugoslavi. Il 27 marzo 1941 avviene il colpo di stato che si ribella all’adesione al patto tripartitico (Germania - Italia - Giappone). L’aggressione tedesca all’URSS, la madre ideologica, mobilita il partito comunista. Grazie alla sua lunga esperienza clandestina e all’abilità del suo capo, Tito, il partito comunista è l’unica forza della Resistenza. A questo punto, il movimento di Resistenza si divide in due fronti, non è unitario. Da una parte Tito con i partigiani della Serbia occidentale, e dall’altra il colonnello Mihajlovich e i suoi cetnici. Il colonnello non vuole un’alleanza con Tito, ma vuole il comando dell’insurrezione nazionale sotto la guida della monarchia. Per raggiungere questo obiettivo collabora apertamente con tedeschi e fascisti. Inoltre i centrici attaccano e uccidono migliaia di partigiani. Questo atteggiamento è, però, contraddittorio. Infatti Mihajlovich crede che gli Alleati cacceranno i tedeschi e riporteranno il potere alla monarchia. Anche Mosca tiene un comportamento ambiguo nei confronti dei partigiani di Tito, gli unici, forse, a seguire fedelmente la “dottrina” comunista. Mosca, infatti, non invia aiuti a Tito, per paura di essere giudicata dagli Alleati promotrice di una rivoluzione. Inoltre Stalin non disconosce la monarchia, intraprende trattative col governo jugoslavo alle spalle di Tito, e offre assistenza, militare e non, a Mihajlovich, e non ai partigiani.
Gli Alleati non hanno una condotta meno contraddittoria. Il loro operato si potrebbe distinguere in quattro momenti: inizialmente sostengono incondizionatamente Mihajlovich; poi cercano un’intesa tra le due parti; nel settembre del ‘43 accettano l’operosità dei partigiani di Tito; infine, nel gennaio del ‘44 abbandonano definitivamente Mihajlovich.
Anche la Jugoslavia, come altri paesi, ha un suo esercito di liberazione, che nel marzo del ‘45 conta 800 mila uomini. I suoi fattori di successo sono principalmente cinque:
1) l’assenza di una forza politica di opposizione;
2) il superamento della contrapposizione tra città e campagna;
3) l’assenza di contraddizioni nel partito comunista;
4) la popolarità di Tito e il sostegno delle campagne;
5) ed infine un’organizzazione capillare in tutto il paese.
Inoltre, nel febbraio de ‘41, si formano le brigate mobili, che già un anno dopo contano otto divisioni di 3-4000 uomini. Queste brigate passano da una zona libera all’altra, facendosi strada con sanguinose battaglie.
I fattori di successo del movimento partigiano jugoslavo sono molteplici: innanzitutto la nazionalizzazione della lotta. In secondo luogo la totale indipendenza dagli Alleati: gli inglesi, infatti, non controllano il movimento (come, invece, nel nord Europa), e i russi non ne condizionano lo sviluppo.
Alla fine della guerra è Tito a guidare la Jugoslavia. Il suo progetto è di promuovere una federazione dell’area balcanica, con l’aggiunta di Macedonia e Bulgaria.
La Resistenza in Grecia è fortemente condizionata dalla presenza britannica e dalle “istruzioni” sovietiche. Essa nasce, infatti, dal partito comunista e dai giovani politici di centro - sinistra, un gruppo impreciso di aspirazioni repubblicane. Sono due le organizzazioni principali: l’EAM (fronte di liberazione nazionale), controllato dai comunisti, e l’ELAS. Insieme costituiscono la principale forza armata di liberazione, con 75 mila combattenti alla fine del ‘44. I democratici militano nell’EAM perché è l’unica organizzazione che ha rotto con il passato. In questo sono appoggiati dagli Alleati, che vogliono riequilibrare il fronte di liberazione (no vogliono troppi comunisti al potere). I greci sentono il bisogno di costituire un nuovo ordine, abolendo la monarchia. E qui c’è il primo scontro con i britannici, che, invece, la rivogliono. Per i democratici l’EAM è la sola garanzia contro il ritorno del re, mentre gli inglesi sono la sola forza capace di riportarlo. Di questo fatto sono convinti gli inglesi stessi, che, quindi, non possono assolutamente lasciare il paese, anche in forza di un accordo fatto con Stalin. Per questo motivo scoppia la guerra tra greci e inglesi. I russi, infatti, hanno già abbandonato il paese, per avere in cambio Romania e Bulgaria. Nel marzo del ‘44 c’è la costituzione del Comitato politico di liberazione (PEEA) da parte dell’EAM, che fa pressioni al governo in esilio per accettare il governo rappresentativo di unità nazionale. Purtroppo molte contraddizioni presenti nella Resistenza greca sono dovute alla non conoscenza dei rapporti con la Russia.

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