Il limite

Materie:Tesina
Categoria:Generale

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Testo

IL CONCETTO DI LIMITE:
uno spiraglio sull’infinito
Introduzione
L’argomento da me scelto come nodo tematico è il concetto di limite. Oggigiorno si vive in una società in continuo progresso: si assiste in un interminabile sviluppo in tutti i settori della vita. Si può parlare di un infinito superamento di ostacoli che per natura si presentano all’uomo in quanto individuo finito. Ci troviamo di fronte a una realtà tecnologica in continua evoluzione che se da un lato facilita l’uomo nel lavoro e nelle sue azioni, dall’altro appiattisce tutto quello che c’è di infinito nell’individuo: l’immaginazione e la creatività.
La Mitologia Greca ben si presta a introdurre l’argomento da me scelto per la tesina
multidisciplinare d’esame: il concetto di Limite come spiraglio sull’Infinito. L’episodio più esemplare a mio parere è il volo di Icaro.
L'eterna aspirazione dell'uomo al volo liberatorio, quello sfidare le leggi della natura per staccarsi dalle angosce della vita terrena e dominarle dall'alto senza più temerle, si è fatta arte nel genio scultoreo di Antonio Canova, autore in giovane età del "Dedalo ed Icaro"(1777-79). Il Canova - cultore appassionato dei valori artistici della classicità greca - mette qui alla prova il suo scalpello con un tema mitologico di immortale suggestione : il disperato tentativo del vecchio Dedalo di aprire una via di salvezza al giovane figlio Icaro, come lui imprigionato nel Labirinto cretese dove si aggira furioso il Minotauro; Dedalo infatti, come si osserva nel gruppo scultoreo in marmo, sta applicando con amorevole premura ad Icaro con la cera delle ali che lo porteranno alla morte. Icaro, dal canto suo invece, si affida serenamente alle attenzioni premurose del padre e per questa fiducia incondizionata non teme in alcun modo per la sua incolumità. Dice Ovidio:
“Gli dava le istruzioni per volare, e intanto gli applicava alle braccia quelle ali mai viste. Mentre lavorava e dava consigli, s’inumidirono le sue guance di vecchio, tremarono le sue mani di padre.” Tutto qui è risolto con scarna sobrietà dei gesti, nel naturalismo dei ritratti. Non è una idealizzazione totale, ancora è presente qualche traccia di realismo. Le due figure non si inseriscono nello spazio bensì “vi si accampano in sé ripiegate e concluse” .
Dedalo e Icaro sono rinchiusi in un cerchio sottolineato anche dal gioco delle braccia del padre e del filo metallico. Dedalo si trova in una posizione che riprende il motivo barocco tradizionale che unisce la ponderazione, la torsione del busto e la posizione controbilanciata delle braccia, il corpo segnato dalla vecchiaia in contrasto con il corpo da adolescente di Icaro. Sono chiari i sentimenti dei due, il padre intento ad ultimare la sua opera, il figlio spensierato pronto per l’avventura. Alla base di Dedalo si riconoscono gli attrezzi dello scultore (il martello e lo scalpello), mentre ai piedi di Icaro c’è l’ala. Nella resa del soggetto l'autore ha seguito le fonti letterarie latine con fedeltà estrema (Ovidio: Metamorfosi - Libro VIII ).
Nella fuga di Dedalo e del figlio da Creta, per la prima ed ultima volta nella sua vita Icaro
ha l’occasione di compiere un’impresa da tutti ritenuta assurda: volare fino al sole.
“Vola a mezza altezza,
mi raccomando, in modo che non abbassandoti troppo l’umidità non appesantisca le penne o troppo in alto non le bruci il sole.
Vola tra l’una e l’altra e, ti avverto, non distrarti a guardare
Boote o Elice e neppure la spada sguainata di Orione:
vienimi dietro, ti farò da guida ” . (Ovidio,Metamorfosi libro XVIII)
Ma Icaro, ancora giovane e dalle belle speranze, inebriato com’era da quel magico volo che
gli faceva scorgere già lontane le terre e i mari, e che sempre di più lo avvicinava,
esaltandolo, alla voragine dell’infinito, dove si trovano le stelle, non ascoltò il padre e
cominciò a volare verso il sole.
Icaro sapeva perfettamente che il calore cocente del sole avrebbe disfatto le ali costruite da
Dedalo ma chilometri sopra il livello del mare, pur sentendo la voce della ragione che
gridava di fermarsi, decise di continuare e di non curarsi del “punto di fusione della cera” e
di scoprire così il significato della parola “impossibile”.
Il sole rappresenta tutti i desideri e le ambizioni del giovane ragazzo, è simbolo di
immensità, di infinito. Questo infinito può illuminare gli uomini, ma talvolta accecarli.
Noi tutti abbiamo un'idea chiara della grandezza; vediamo che generalmente le cose
possono essere aumentate o diminuite. E’ facile far diventare l’idea di una cosa più grande o
più piccola, nulla ferma questa possibilità. Si può sempre concepire la metà della più piccola
cosa immaginabile e il doppio della più grande. L'idea esatta dell'infinito consiste proprio in
questa possibilità di aumentare e di diminuire illimitatamente. Ma questa idea ci viene
proprio da quella di finito; una cosa è finita quando ha un termine, un Limite; una cosa
infinita è la stessa cosa finita cui è stato tolto o superato il Limite.
Il Limite diventa quindi la “condicio sine qua non”, uno spiraglio, per concepire l’Infinito.
Io ho quindi analizzato il concetto Matematico di limite e la sua origine; in Filosofia il problema della conoscenza della metafisica (in particolare in Kant- i limiti della conoscenza), in Inglese il romanzo “Frankenstein or the modern Prometheus” di Mary Shelley attraverso le ambizioni di Victor e Walton, in Italiano il pensiero di Leopardi a riguardo nello “Zibaldone” e nella celeberrima poesia “Infinito”, l’”Alexandros” di Pascoli e brevemente il tema dell’ineffabilità dantesca, in Francese A. Rimbaud (l’art du voyant) e infine in Storia la conclusione della Seconda Guerra Mondiale con la bomba atomica e le superarmi.

Matematica
La parola “limite” è suggestiva, ha un significato intuitivo ma spesso nel linguaggio comune
assume differenti significati. Parlando di un oggetto capita di asserire che questi è limitato,
cioè che ha una forma finita o dei confini, oltre i quali probabilmente non è possibile andare,
e forse non sarebbe neppure opportuno sconfinare al di là di essi. Seguendo questa
interpretazione è importante comprendere quali siano questi limiti e che contorno
definiscono. Nonostante assuma differenti significati, il concetto di limite in matematica è
ben definito e parte fondamentale dell’analisi infinitesimale.
La sua definizione fu enunciata nella forma da noi utilizzata, dal matematico tedesco Karl
Weierstrass ma tale concetto è molto più antico. Si ritrovano sue applicazioni per calcolare
aree e volumi nella matematica greca, presso Eudosso ed Archimede, anche se in forma non
esplicita (poiché basate su un passaggio al limite).
Il limite è anche l’unico strumento per “lavorare” con gli infinitesimi e gli infiniti e oggi è il
fondamento di tutto il calcolo differenziale e integrale, le cui applicazioni sono
numerosissime, non solo in matematica e fisica, ma in tutte le scienze.
I primi tentativi di continuare l’opera di Archimede si devono a diversi matematici come
Fermat, Newton, Leibniz, e Cauchy.
Fu Newton a esplicitare il concetto di infinitesimo: una grandezza “infinitamente piccola”
ma diversa da zero. La sua definizione richiedeva di considerare il rapporto di due quantità e
di determinare quindi ciò che accadeva a questo rapporto quando le due quantità tendevano
simultaneamente a zero. Usando la terminologia moderna, il grande fisico stava parlando
del limite del rapporto di quelle quantità anche se preferiva il termine di ultima ratio (ratio
in latino significa “rapporto”).
Newton spiegava che per ultima ratio di due quantità evanescenti:
“E’ da intendersi il rapporto delle quantità non prima che esse svaniscono, né dopo che
sono svanite, ma con il quale esse svaniscono”
Ma una frase del genere non è di aiuto per una precisa definizione matematica del concetto.
Possiamo essere d’accordo con Newton che il limite non deve essere legato al valore del
rapporto prima che le quantità svaniscano, ma cosa significa il rapporto dopo che sono
svanite? Newton sembra voler dire che bisogna considerare il rapporto nel preciso istante
cui il numeratore e denominatore diventano zero. Ma in quell’istante la frazione si presenta
come 0/0, che non ha alcun significato. Anche Leibniz tendeva ad affrontare la questione
con la discussione sempre parlando di “quantità infinitamente piccole”. Con ciò egli
intendeva delle quantità che, per quanto non nulle non potevano essere ulteriormente
diminuite. Come gli atomi della chimica , le sue quantità infinitamente piccole erano i
mattoni, le unità indivisibili che costituivano la matematica, le cose più vicine allo zero che
ci fossero. L'imprecisione di questa definizione la rese inaccettabile per i suoi
contemporanei, e sollevò numerose discussioni tra i matematici.
La comunità matematica, a poco a poco, prese coscienza del fatto che doveva occuparsi del
problema. Paradossalmente si era arrivati a questa situazione, non perché il calcolo non
funzionasse, ma perché funzionava troppo bene. Troviamo così una schiera di matematici,
all’inizio dell’Ottocento, occupati a esaminare la questione dei fondamenti.
La precisazione del concetto di “limite” era uno dei problemi cruciali. Nel 1821 il francese
Augustin-Louis Cauchy nel tentativo di rendere più rigoroso il calcolo infinitesimale propose questa definizione:
“Allorché i valori successivamente assunti da una stessa variabile si avvicinano
indefinitamente a un valore fissato in modo da differirne alla fine tanto poco quanto si
vorrà quest’ultima quantità è chiamata il limite di tutte le altre.”
Esprimere la tendenza di una quantità variabile (es:una funzione) ad assumere valori arbitrariamente prossimi a un valore prefissato, rimanendo distinta da questo.
E’ da notare che la rigorosa definizione di Cauchy evita termini imprecisi come
“infinitamente piccolo” e non di determinare ciò che succede nel preciso istante in cui la
variabile raggiunge il limite. Caucy dice semplicemente che un certo valore è il limite di una
variabile se possiamo fare in modo che la variabile differisca dal limite tanto poco quanto
vogliamo. L’ importante è la possibilità di arrivare tanto vicino al limite quanto si vuole.
Il successo della definizione si basò in larga misura sul fatto che per suo tramite Cauchy
riuscì a dimostrare i più importanti teoremi dell’analisi. Ma anche l’asserzione di Cauchy
aveva bisogno di essere messa a punto, infatti essa parlava di “avvicinamento” di una
variabile al limite. Così l’ultima parola nell’opera di consolidamento delle fondamenta
dell’analisi matematica (un processo che va sotto il nome di “aritmetica dell’analisi” ) la
scrissero il matematico tedesco Karl Weierstrass e i suoi allievi.
Nelle sue lezioni Weierstrass definiva il limite L della funzione f(x) nel punto x0 nel modo
seguente:
“Se data una qualsiasi grandezza “, esiste una ,0, tale che per 0<

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