Il Barone Rampante

Materie:Scheda libro
Categoria:Generale

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Testo

Il barone rampante

di Italo Calvino
11^ edizione ‘Giulio Einaudi’ del 1979

Analisi del testo:
L’autore, in questo libro, ha sviluppato l’immagine di un ragazzo che sale su un albero, si arrampica fra i rami, e decide che non scenderà più. Di qui ci ha tirato fuori un libro, ed un personaggio che pur vivendo diversamente dagli altri si rivela essere una persona normalissima. Importante è anche la visione dell’autore che si conferma poco incline a giudizi e opinioni ottuse e assolute.
Calvino ci presenta il romanzo, storico fantastico, raccontato sotto forma di un lungo flashback. Solo ogni tanto il narratore torna al presente mettendo a confronto la rigogliosa flora settecentesca del passato, con olmi, elci e roveri, con quella del presente “..ora l’Africa, l’Australia, le Americhe, le Indie..” (p. 240).
L'autore fa figurare il libro come scritto dal fratello del protagonista, in questo modo avvicina la vicenda come se fosse mantenuta nell’ambito della famiglia, ma al tempo stesso la tiene distaccata come di chi la guarda dal di fuori. Pone il narratore intenro e scrive il libro come se tutto gli fosse stato raccontato.
Il linguaggio usato è associato a toni di carattere fantastico, ma cambia spesso secondo le persone che si intercettano e le situazioni che si vengono a compiere. Un esempio molto evidente si ha quando nella conversazione è presente anche il padre di Cosimo, in questi casi il lessico usato è più ricercato, oppure se interviene la madre, figlia di un generale, la conversazione prende un tono imperativo; per i cambiamenti di situazione, è l’autore che decide di cambiare il linguaggio, rendendolo più veloce e allegro con frasi corte e molta punteggiatura , o lento e solenne; ad esempio quando interagisce con i nobili spagnoli quando le brevi frasi straniere vengono tradotte in un italiano ricercato. La lingua usata nel testo è l’italiano, ma vi sono anche conversazione in tedesco, francese e spagnolo.
Il romanzo si svolge in un paese immaginario, Ombrosa, e si può dedurre presto che questo paesino si trova in un punto imprecisato della riviera ligure, inoltre molti elementi del libro, come la tradizione familiare laica, mazziniana, legata al tradizionalismo sette-ottocentesco, sono una parte costitutiva della memoria dell’autore. Il libro inoltre è stato ambientato nel settecento perché sappiamo che nel dopoguerra questo paesaggio così ricco di alberi e fronde verdi, si è riempito di caseggiati urbani.
Come ho riferito in precedenza, il romanzo viene raffigurato come fosse un lungo flashback compreso in un arco di 53 anni. Questo si ricava attraverso i riferimenti all’età di Cosimo che Calvino ci rivela all’interno del libro. Innanzi tutto ci dà una data di partenza della vicenda: “Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò,... sedette l’ultima volta in mezzo a noi” (p. 15), e in seguito il riferimento alla sua età quando salì per la prima volta sugli alberi: “Da pochi mesi, Cosimo, avendo compiuto i dodici anni…” (p. 16); da qui, ogni volta che l’autore ci riferisce l’età di Cosimo, noi possiamo sempre ricavare in che anno è arrivata la vicenda. Oltre a darci l’età del protagonista all’inizio del romanzo ci dà anche quella alla fine del libro: “Cosimo, hai sessantacinque anni passati..” (p. 237); da qui ricaviamo che ci troviamo nel 1820. L’unica data che l’autore inserisce nel romanzo è quella della vendemmia del 1793 ma, come ho detto, gli anni in cui si svolge la vicenda si possono ricavare da altre cose, dai riferimenti dell’età di Cosimo e dagli avvenimenti storici inseriti nel testo.

Trama:
Il romanzo è stato suddiviso in 24 capitoli:
➢ Non scenderò più
➢ La bambina del giardino vicino
➢ La notte in cima all’albero
➢ La banda dei ladruncoli
➢ Il cavallino bianco
➢ Il gatto selvatico
➢ Il Cavalier Avvocato
➢ La capanna segreta
➢ Gli abitanti del bosco
➢ Il bassotto Ottimo Massimo
➢ I segreti del Cavaliere
➢ Il brigante Gian dei Brughi
➢ La foresta dei libri
➢ Il bosco brucia
➢ I pirati barbareschi
➢ Il barone contastorie
➢ I nobili spagnoli
➢ Voi scendete, io no!
➢ Cosa cerca il bassotto?
➢ Il ritorno di Viola
➢ La vendemmia del 1793
➢ Uno storico incontro
➢ La ritirata della Beresina
➢ La mongolfiera

Riassunto:
Il romanzo narra della vita del barone Cosimo Piovasco di Rondò, figlio primogenito del barone Arminio Piovasco di Rondò, di una famiglia nobile, ormai ‘decaduta’. Il fatto che fa prendere a Cosimo la decisione di salire sugli alberi, e di non scendere più, fu un inutile litigio, fra lui ed il padre, avvenuto il 15 giugno 1767 nella tenuta d’Ombrosa (immaginario paesino della riviera ligure). Il romanzo è stato scritto, come visto e raccontato, dagli occhi di Biagio, il fratello minore.
Dopo il litigio, la vita del protagonista si svolgerà sempre sugli alberi, prima del giardino di famiglia e, in seguito, nei boschi del circondario, inframmezzati da parentesi in terre lontane, seppur collegate per via ‘vegetale’ alla tenuta del barone. Durante questi viaggi Cosimo avrà modo di conoscere il suo primo amore, Viola (figlia dei vicini di casa e rivale della famiglia), ed Ursula (figlia del Principe spagnolo, esiliato, Frederico Alonso Sanchez de Guatamurra).

Tema trattato:
Anche se il romanzo è ambientato nel settecento, l’autore ci vuole esporre la situazione del mondo moderno; ci mette, in primo luogo, i ragazzi ribelli che cercano in tutti i modi di sviare le regole e le convenzioni ma senza costanza e determinazione, al contrario di Cosimo che ha fatto una scelta ed è rimasta quella per tutta la sua vita.

Analisi del contenuto:
Descrizione del personaggio di Cosimo
Aspetto fisico
La descrizione del personaggio di Cosimo, riguardo all’aspetto fisico, è la meno dettagliata fra i personaggi, riporterò qui sotto ciò che il libro dice nei vari anni, in modo d’avere una visione complessiva.
15 giugno 1767: ha da poco compiuto i dodici anni, “..vestito e acconciato con gran proprietà, come nostro padre voleva venisse a tavola..” (p. 28), ha i capelli incipriati, col codino ed il fiocco, tricorno, cravatta di pizzo, marsina verde a code, calzonetti color malva, spadino, e lunghe ghette di pelle bianca a mezza coscia.
Dopo qualche giorno: con l’uccisione di un gatto selvatico, invece del tricorno incomincia a portare un cappello di pelo. Nel corso degli anni aveva ucciso vari animali e d’inverno portava capi fatti dalle pellicce di questi.
1783/84: mentre parla con un gruppo di spagnoli in esilio si scopre che Cosimo ha ormai diciannove anni.
1820: ha sessantacinque anni passati, non parla quasi più ed è mezzo rigido; appena vede passargli vicino una mongolfiera, spicca un salto che gli erano consueti nella sua gioventù.
Carattere del personaggio
Cosimo è il figlio del Barone Arminio Piovasco di Rondò e della Generalessa Corradina di Rondò, ha una sorella più grande, Battista, ed un fratello più piccolo di quattro anni rispetto a lui, Biagio, vale a dire il narratore della vicenda. Abita in una villa d’Ombrosa in Liguria, insieme alla sua famiglia, all’Abate Fauchelafleur, all’amministratore Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega e ad una serie di governanti. Ha sempre avuto la vocazione da ribelle ed è un bambino molto vivace.
Quel quindici di giugno dopo un litigio con il padre perché non voleva mangiare le lumache, salì sull’elce davanti casa e non scese più. E’ sdegnoso e offeso alla vista della famiglia e da quel momento comincia a vedere il mondo con occhi diversi.
Cosimo è forte, testardo, introverso e scontroso ma onesto e dotato di gran forza di volontà, fatto che gli consente di non venire mai meno ai propri ideali. Pur stando sugli alberi mantiene una normale vita di relazione ed ha l’occasione di conoscere molte persone, anche importanti (Diderot, Rousseau, Napoleone, lo Zar di Russia) e ad apprendere da loro; ha capito che pur essendo solo, sugli alberi, doveva continuare ad avere sempre dei rapporti con le persone vicino a lui, e così fece. E’ una persona che aiuta il prossimo “Insomma, Cosimo, con tutta la sua famosa fuga, viveva accosto a noi quasi come prima. Era un solitario che non sfuggiva la gente. Anzi si sarebbe detto che solo la gente gli stesse a cuore.” (p. 106). Inoltre, grazie al bandito Gian dei Brughi, si appassiona alla lettura ed alla coltura, diventando un sostenitore della Rivoluzione Francese, come si vedrà nel capitolo della vendemmia. Impara a cacciare e trova delle buone soluzioni per ogni cosa. Consolida amicizie e segue la vita familiare. Tutto ciò contribuisce a renderlo strano ma anche affascinante agli occhi della società tanto che la sua fama si spinge fino all’estero. La morte di Cosimo non è descritta, un giorno, a sessantacinque anni, vecchio e stanco, si aggrappa all’ancora di una mongolfiera di passaggio e viene trascinato via con lei, sparendo nel nulla.

La famiglia di Cosimo:

Il Barone e la Generalessa andarono sempre d’accordo e furono degli ottimi genitori, anche se erano talmente distratti che i figli vennero su quasi abbandonati a loro stessi.

Il Barone Arminio Piovasco di Rondò portava “..la parrucca lunga sulle orecchie alla Luigi XIV, fuori tempo come tante cose sue.” (p. 15). Era un uomo un po’ alto e curvo, noioso, non cattivo, aveva un’irragionevole paura d’essere punto, “..ben fiero e forte nei casi più gravi, ma che un graffietto o un foruncolo facevano andare come matto.” (p.127), aveva un’irragionevole paura d’essere punto, “..dai pensieri stonati, come spesso succede nelle epoche di trapasso.” (p. 18 trapasso fra il regime feudale, aristocratico, e l’epoca democratica, borghese), vantava pretese al titolo di duca d’Ombrosa e non pensava ad altro che a genealogie e successioni. Dopo che Cosimo salì sugli alberi il Barone non osava più farsi vedere in giro, per paura di essere deriso; si faceva sempre più pallido e scavato in volto, e non si capiva se si preoccupava per suo figlio o per le conseguenza dinastiche che questa situazione avrebbe comportato, non si capiva neppure se le notizie che riceveva di lui gli giungessero dolorose o se invece n’era toccato da un fondo di lusinga. Gli anni passavano ed il barone invecchiava; quando gli giunse la notizia della morte del Cavalier Avvocato incominciò a comportarsi in modo strano. Stava sempre a letto ed aveva perso ogni attaccamento alla vita; cominciò a farneticare, a temere congiure e veleni, e così pieno d’amarezze e di manie, com’era sempre vissuto, venne a morte.

La Generalessa Corradina di Rondò era orfana di madre, e suo padre, generale, se la portava dietro al campo; si racconta che andasse in battaglia anche lei, a cavallo, ma sono solo leggende, passava le giornate facendo pizzi al tombolo ed era sempre stata una donnetta con la pelle rosata ed il naso in su, anche se le era rimasta la passione paterna militare. A tavola usava bruschi modi ma, teneva alla disciplina, era premurosa e paurosa verso i figli, come ogni madre. Passava il resto della giornata nelle sue stanze a fare pizzi o ricami al filè, perché solo in essi sfogava la sua passione militare. Quando Cosimo salì sugli alberi, alla Generalessa vennero in mente i soldati che stavano di vedetta, e fu quasi fiera di quel figlio un po’ bizzarro, non si preoccupava ma cercava di non fargli mai mancare nulla di quello che poteva essergli utile. Nel 1780 la sua asma peggiorò, s’era aggravata improvvisamente e non riusciva più ad alzarsi dal letto. Parlava con un filo di voce, correntemente e gran senno; si rivolgeva a chiedere aiuto, ai due fratelli, indifferentemente, come se anche Cosimo fosse vicino a lei. La notte non riusciva più a dormire e la mattina era il momento peggiore per l’asma, Cosimo le stava vicino e cercava di distrarla. Una mattina prese una ciotola e si mise a fare bolle di sapone, la Generalessa che aveva sempre ritenuto quei giochi da bambini futili ed infantili, ora sembrava divertirsi anche lei. “Una bolla di sapone giunse fino alle labbra e restò intatta. Ci chinammo su di lei. Cosimo fece cadere la ciotola. Era morta.” (p.201).

La sorella Battista aveva gli occhi stralunati, i denti stretti e la faccina gialla da topo. “..era capace di muovere la forza della disperazione negli animi più miti.” (p.24), così, da quando era riuscita a sfumare il fidanzamento con il Marchesino, il padre le aveva imposto l’aveva sepolta in casa con gli abiti da monaca, vale a dire tutta vestita in nero, tranne la cuffietta bianca. Era sempre stata un animo ribelle e solitario, e quella sua tristezza si esprimeva in un accanimento minuzioso nella cucina, era bravissima, aveva fantasia e diligenza ma dell’orrenda cucina, quale crostini di patè di fegato di topo, zampe di cavalletta, codini di porco, ecc., era studiata solo la figura più che il piacere di mangiare cibi dai sapori raccapriccianti.
Dopo che Cosimo salì sugli alberi, “Battista tradiva nei suoi riguardi una specie d’invidia, come se, abituata a tener la famiglia col fiato sospeso per le sue stranezze, ora avesse trovato qualcuno che la superava; e continuava a mangiarsi le unghie..” (p.53). Passato qualche anno, dopo una cena a casa del Barone, con il Duca d’Estomac e famiglia, Battista si fidanza col Contino, che sposerà poi con la felicità del padre.

Il fratello Biagio, all’inizio della vicenda aveva otto anni. Giocava sempre con Cosimo, arrampicandosi sugli alberi, o facendosi scivolare dalla balaustra ma era sempre stato un animo più pacato e tranquillo, non aveva quella ribellione che si portavano dentro i suoi fratelli, era modesto e prudente. Quando compì i vent’anni prese nelle sue mani la direzione dei poderi e l’amministrazione dei beni di famiglia, e dopo alcuni viaggi in Europa, si sposò e visse una vita regolata e pacifica.

L’Abate Fauchelafleur, elemosiniere ed aio della famiglia era un vecchietto pelle e ossa, secco e grinzoso, e seguace del giansenismo, anche se, il carattere rigoroso e la severità interiore, sempre state lodi sue e della corrente religiosa di cui faceva parte, col passare degli anni s’erano sbiaditi in una generale indifferenza e noia. Era sempre mezz’addormentato e con una disposizione remissiva e accomodante, ma ogni tanto si trovava in uno di quei momenti d’estrema attenzione e apprensione per tutte le cose e ritornava ad avere il vecchio rigore spirituale. Quando Cosimo intraprese gli studi sui libri di Diderot e Rousseau, anche l’abate si convertì, le lezioni che gli dava Cosimo diventarono per lui sempre più interessanti e andava spesso, alla bottega, a cercare nuovi acquisti. In quell’epoca nuove idee cominciavano a nascere, ed i potenti avevano paura, così quando a Ombrosa cominciò a girare la voce che c’era un abate che si teneva al corrente delle pubblicazioni più rivoluzionarie, presto gli sbirri andarono a fargli visita, e tra i suoi breviari trovarono le opere di Voltaire e Roussaeu e se lo portarono via. L’Abate passo il resto dei suoi giorni rinchiuso fra carcere e convento.

Il Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega era l’amministratore dei nostri poderi.
Non si conosce bene il suo passato, né chi fosse sua madre, né in che rapporti era con il nonno di Cosimo (certo molto stretti, visto che lo aveva fatto studiare da avvocato e datogli il titolo di Cavaliere). Il romanzo non ci spiega nemmeno come fosse finito in Turchia; ci racconta però di Zaira, unica figlia del Cavaliere e da lui amata più d’ogni altra cosa al mondo. A Tunisi il Carrega era stato uno dei più ricchi e stimati notabili, finché la sua ambizione non l’aveva portato a dare in sposa Zaira al Pascià ma la poverina, tra lo stuolo di mogli invidiose che popolavano l’harem del principe, conduceva una vita poco dissimile a quella d’una schiava e d’una prigioniera. Il padre per liberarla prese a complottare con la fazione avversa del Pascià, ma prima che questa congiura riuscì a venire alle armi fu scoperta. Enea, riconosciuto tra i capi del complotto, ebbe salva la vita solo perché padre di sua figlia. Dopo il complotto il Pascià gli confiscò tutti i beni e lo mandò come schiavo in una galera. La sua fortuna fù, che quella galera venne presa prigioniera dai veneziani che lo liberarono e lo portarono alla tenuta del barone.
Aveva un animo falso e imprevedibile ma con un’indole timida, aveva difficoltà di comunicazione e a volte sembrava addirittura sordomuto, o che non capisse la lingua; certo le qualità di conversatore le aveva, ma le dimostrava soltanto quando gli tornava comodo e proprio le volte che si faceva affidamento sul suo carattere ritroso. Era un uomo schivo, stranito e pensava sempre a nuovi impianti d’irrigazione, lasciando spesso perdere gli affari di famiglia. Ogni tanto si chiudeva nello studio col barone e dopo poco si sentiva la voce adirata di quest’ultimo, poi la porta si apriva e il Cavaliere usciva con i suoi passetti rapidi nelle falde della zimarra e il fez ritto sul cucuzzolo; andava per il parco e la campagna cercando di sfuggire al barone che lo inseguiva chiamandolo, anche se, dopo poco tornavano, con nostro padre che continuava a discutere, e il cavaliere piccolo vicino a lui, ingobbito ed i pugni stretti nelle tasche della zimarra.
Dopo che Cosimo salì sugli alberi ebbe modo di conoscere meglio il Cavalier Avvocato e di scoprirne i suoi segreti. Uno di questi fu sicuramente il suo passato, ma ci furono anche altre cose che lo interessavano molto, ad esempio la sua passione all’apicoltura (tenuta segretissima al barone per la sua paura di essere punto), oppure, come ho già nominato, l’idraulica, fatta però solo d’aspirazioni e d’impulsi, ed infine la rabdomanzia (l’arte di trovare sorgenti sotterranee per mezzo di una bacchetta di legno, tagliata a forcella, che dovrebbe ricevere vibrazioni dal sottosuolo).
La morte d’Enea Silvio è molto cruenta. Il romanzo ci racconta che nel disperato tentativo di ricevere informazioni di sua figlia Zaira, per mezzo di pirati mori, è colpevolizzato di essere un traditore e di aver rivelato ai paesani dove si trovava il loro tesoro (in questo caso non si può parlare di tesoro nel senso della parola ma di viveri), così mentre prova a salire sulla barca pirata viene decapitato.

Altri personaggi:

Viola era la figlia dei Marchesi d’Ondariva, vicini di casa di Cosimo, aveva circa dieci anni, bionda, con un’alta pettinatura, un po’ buffa per una bimba della sua età, indossava un vestito azzurro, anch’esso troppo da grande per lei, anche se tutto questo suo acconciarsi sembrava calzasse a pennello con il carattere della bambina, che altalenava tra atteggiamenti chiaramente infantili e altri già di donna. Viene descritta come una bambina viziata che ha sempre il bisogno di far arrabbiare le persone e di rendersi preziosa. I Marchesi non si erano mai dati pensiero di ciò che faceva la figlia quando andava sola con il suo cavallo, anche perché non avrebbero mai pensato che Viola potesse frequentare la banda della frutta, ma di Cosimo che viveva sugli alberi se n’erano subito accorti, e cominciarono a diffidare, così la mandarono in collegio ed il baroncino non poté più vederla.
Dodici anni dopo, grazie all’eredità ricevuta da un suo zio morto, Viola tornò ad Ombrosa. Galoppava sul suo cavallo bianco “Il cavallo aveva in sella un cavaliere, nerovestito, con un mantello, no: una gonna; non era un cavaliere, era un’amazzone, correva a briglia sciolta ed era bionda.” (p. 207), il viso di donna altera e insieme di fanciulla, sfrecciava sicura e inafferrabile, alzando ogni tanto il braccio col frustino.
Quando Viola vide Cosimo, dodici anni dopo, ancora sugli alberi, rimase molto sorpresa “…si riprese subito, come il suo solito modo, ma lì per lì fu molto sorpresa e le risero gli occhi e la bocca e un dente che aveva come quando era bambina." (p.210). Da quel giorno si videro spesso, s’incontravano sopra agli alberi e andavano in giro, ormai anche Viola era diventata brava e seguiva Cosimo dappertutto.
Ma Viola, seguendo gli avvenimenti di Parigi, e per paura della rivoluzione, si era trasferita in Inghilterra e non si rividero mai più; ma nelle notti di nebbia, nella lontana Londra, degli anni delle guerre Napoleoniche, sognava gli alberi d’Ombrosa e il loro abitante. In seguito si sposò con un Lord e si stabilì a Calcutta; dalla sua terrazza guardava le foreste e quegli alberi che l’avevano accompagnata per tutta l’infanzia, “…e le pareva in ogni momento di vedere Cosimo farsi largo tra le foglie. Ma era l’ombra di una scimmia, o di un giaguaro.” (p. 220).

Il fedelissimo Ottimo Massimo, cane di Viola lasciato ad Ombrosa prima di partire per il collegio, diventato poi il cane da caccia e amico di Cosimo.
Il brigante Gian dei Brughi, pallido con barba e capelli ispidi e rossi, occhi verdi, tondi e smarriti, con la sua sete di lettura, per far passare ormai il troppo tempo libero, porta Cosimo al piacere della lettura dei classici.

Commento:
Ho trovato il libro piacevole e non troppo pesante, mi piace molto il tema trattato, e mi ritrovo nel personaggio di Cosimo, anche se non ho la costanza che ha lui.
7

1

Esempio



  


  1. sara

    il riassunto del primo capitolo del barone rampante di italo calvino .