Comunismo russo

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Testo

COMUNISMO RUSSO:
UGUAGLIANZA
O
MASCHERA DELL’ASSOLUTISMO?
Tesina a cura di Marco Di Maio
Istituto Tecnico Per Attività Sociali Francesco Selmi
Introduzione …………………………………………………………... ……….. pag. 2
1. Il Manifesto del Partito Comunista: un documento “immortale” …………. pag. 3
2.Karl Marx: il filosofo “rivoluzionario” ………………………………………. pag. 3
2.1. Vita e opere
2.2 Filosofia e rivoluzione
2.3. Il materialismo storico
2.4. Il ciclo economico-capitalistico
2.5. Il comunismo
3. Un mondo in trasformazione ………………………………………………… pag. 8
3.1. Lo sviluppo industriale britannico dello XIX secolo
3.2. La questione operaia
4.The Victorian Age in England ……………………………………………….. pag. 10
4.1. A new era
4.2. The “Victorian compromise”
4.3. The “painter of English life”: Charles Dickens
4.3.1. Life and works
4.3.2. Features and themes
5. Dal marxismo al comunismo ………………………………………………… pag. 13
5.1. Dall’utopismo a Lenin
5.2. Il comunismo come totalitarismo
5.3. La Rivoluzione Russa
5.3.1. La Rivoluzione di Febbraio
5.3.2. Tesi di Lenin e Rivoluzione d’Ottobre
5.4. La nascita dell’U.R.S.S.
6.L’U.R.S.S. dopo la rivoluzione: Stalin …………………………………….. pag. 19
6.1.Dal socialismo alla dittatura
Conclusione …………………………………………………………………… pag. 23
Elenco immagini ……………………………………………………………….. pag. 24
Bibliografia …………………………………………………………………….. pag.17
1. Il Manifesto: un documento “immortale”
“Uno spettro s'aggira per l'Europa - lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi…”
Con queste parole, che con il passare del tempo diverranno il motto di tanti intellettuali non solo del periodo, Karl Marx e Friedrich Engels introducevano il loro “Manifesto del partito comunista”, quasi certamente il documento politico dell’età moderna che ha avuto la sorte storica più fortunata in ogni senso. In primo luogo dal punto di vista della sua “traduzione” pratica, poiché non vi sono altri testi politici che come questo sono riusciti a divenire il programma di grandi movimenti e addirittura di grandi Stati, di un tipo di civiltà. Da questo punto di vista l’unico confronto possibile sembra davvero quello con il Vangelo cristiano, che però ha mai influito direttamente sui movimenti politici. In secondo luogo, assai fortunata è stata anche la vicenda editoriale del Manifesto che, nato come documento ispirato a un programma di un ristretto gruppo politico e stampato in sole mille copie, pare conti ormai più di mille edizioni in decine di lingue diverse(nel 1964 si contavano nella sola URSS 372 edizioni in 68 lingue). In terzo luogo il Manifesto è certamente, tra le opere di Marx ed Engels, quella che ha avuto più rapido e durevole successo e più vasta e continua diffusione. Vi contribuì, evidentemente, il suo carattere di “manifesto”politico e la sua concisione esemplare.
2.Karl Marx: il filosofo “rivoluzionario”
2.1. Vita e opere
Karl Marx nacque a Treviri nella Renania, il 5 maggio 1818, da una famiglia borghese di origine ebraica. Studia diritto all’università di Bonn, ma dopo un anno si trasferisce a Berlino, dove si avvicina sempre più alla filosofia. Ottenuta la laurea, in seguito a una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, Marx si dedica al giornalismo politico. Nel 1842 assume la direzione di un quotidiano liberale, “die Rheinische Zeitung” (la Gazzetta Renana), ove promuove una campagna contro la censura e per la libertà di stampa e la democrazia; sfortunatamente per lui, all’inizio del 1843 l’autorità prussiana sopprime il giornale. Marx si trasferisce a Parigi, dove approfondisce gli studi di economia e storia e intensifica i contatti con gli esponenti dei maggiori movimenti democratici, socialisti e comunisti francesi ed europei.
Prima di essere espulso dalla Francia, Marx conosce Friedrich Engels (1820-1895), che lavora come impiegato in una fabbrica tessile di cui il padre è il comproprietario, e stringe con questi un’amicizia che durerà per tutta la vita; insieme, a Bruxelles, i due si dedicano alla diffusione delle idee del socialismo scientifico, mantenendo stretti contatti con i gruppi comunisti clandestini tedeschi operanti all’estero.
Marx ed Engels scrivono, sotto incarico della Lega dei Comunisti, il Manifesto del Partito Comunista, che fu pubblicato in lingua tedesca a Londra nel 1848. La frase che conclude il quarto e ultimo capitolo del Manifesto (“Proletari di tutto il mondo, unitevi!”)diventa il motto ufficiale della Lega.
Espulso anche dal Belgio, Marx si reca prima a Parigi, poi a Colonia, dove fonda “die Neue Rheinische Zeitung” (la Nuova Gazzetta Renana) e svolge un’intensa attività politica e giornalistica, durante la quale attacca duramente la politica dell’Assemblea nazionale tedesca e appoggia i moti nazionali italiani, ungheresi e polacchi. Dopo il fallimento della rivoluzione, si trasferisce prima a Parigi, poi a Londra, dove per anni vivrà di stenti; la famiglia Marx verrà, in ogni modo, aiutata da Engels, soprattutto quando questi erediterà la comproprietà dell’azienda paterna.
Marx intensifica, in questi anni, i rapporti con i dirigenti dei movimenti democratici e socialisti fioriti in Europa, contribuendo alla fondazione dell’Associazione internazionale dei lavoratori (o Prima Internazionale), della quale scriverà gli Statuti provvisori e l’Indirizzo inaugurale. Marx vede nella Comune parigina, la prima forma di “governo della classe operaia”, espressione della possibilità di una conquista rivoluzionaria del potere.
Muore a Londra nel 1883.
2.2.Filosofia e rivoluzione
L’ideologia marxista si sviluppa principalmente in un senso, quello del rifiuto del pensiero a favore dell’azione, della prassi. La sua critica principale alla filosofia è che essa pensa la realtà, ma la lascia intatta, non affronta il problema della miseria reale della gran parte degli uomini. Il problema che Marx si pone è quindi quello di modificare il compito della filosofia, unendo teoria e prassi: ciò comporterebbe da un lato la soppressione, dall’altro la realizzazione della filosofia. Lo scopo di Marx, almeno apparentemente, è lo stesso dell’Idealismo, ovvero il superamento dell’alienazione umana, la liberazione dell’uomo. Ma l’alienazione è da intendere come processo storico ed economico-sociale di sottomissione dei produttori della ricchezza materiale a coloro che dispongono di tale ricchezza e dei mezzi che sono serviti a produrla. Occorre sostituire “le armi della critica” usate dalla sinistra hegeliana senza incidere sulla realtà, con “la critica delle armi”; occorre, cioè, una forza materiale in grado di cambiare le cose, di muovere le masse. Così come in passato – afferma Marx – la rivoluzione era nata nella testa di un monaco (Martin Lutero), ora può avere inizio con il concorso della filosofia: questa potrà trovare le sue “armi materiali” in una classe “oppressa da catene radicali”, il proletariato.
Marx non “demonizza” la borghesia e il capitalismo, anzi, il Manifesto contiene una descrizione del carattere “rivoluzionario” della società borghese e capitalistica. Il capitalismo viene descritto come un modello di società fondatosi sull’esigenza di un rivoluzionamento continuo dei processi materiali di produzione e su un incessante dinamismo. Gli accenti e i toni con cui il capitalismo viene rappresentato potrebbero quasi apparire come un’esaltazione del capitalismo, se non si concludessero con una prospettiva rivoluzionaria per la quale la borghesia stessa avrà partorito i suoi “seppellitori”, ovvero gli operai moderni, i proletari. Alla fine, la lotta delle classi esploderà inevitabilmente diventando rivoluzione e “il proletariato stabilirà il suo dominio con la violenta rovina della borghesia”.
Per la rivoluzione, Marx individua dei presupposti sia oggettivi che soggettivi: quelli oggettivi sono costituiti dal conflitto tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti sociali borghesi, centrati sulla proprietà privata dei mezzi di produzione; quelli soggettivi sono costituiti dalla presa di coscienza del proletariato. La presa di coscienza è, infatti, un elemento importante nella lotta di classe; Marx infatti distingueva la figura del proletario, considerato come colui che ha coscienza di classe, con quella del sottoproletario, come colui che non ne aveva.
Con l’abbattimento della borghesia, il proletariato non si sostituirà ad essa come classe dominante. In una società senza classi, non ci sarà più chi domina e chi è dominato: ci sarà solo il comunismo.
2.3.Il materialismo storico
A partire dall’Ideologia tedesca Marx (insieme ad Engels) inizia ad elaborare una concezione materialistica della storia, la cui preoccupazione è unicamente quella di contrastare e negare l’idea di un primato della coscienza sull’essere; egli parla dei bisogni umani in termini sia materiali sia spirituali e, a proposito del Comunismo, afferma che esso sarà riappropriazione di tutta la ricchezza fisica e spirituale prodotta dagli uomini.
Marx individua nell’alienazione economica il fattore fondamentale di ogni tipo di alienazione, sia religiosa (Feuerbach), sia filosofica (Hegel); la scienza economica diviene la base per una comprensione reale della storia umana. La storia, ha inizio con la creazione, da parte degli uomini, dei mezzi necessari a soddisfare i loro bisogni, mezzi “artificiali” (in quanto prodotti dall’uomo) che producono, a loro volta, nuovi bisogni: la produzione di questi ultimi rappresenta “la prima azione storica”.
I pensieri stessi degli uomini, le loro idee, non possono essere che un riflesso delle loro “condizioni materiali di vita”: non basta la critica per cambiare il mondo, occorre la prassi (pràxis), l’azione concreta, la stessa con cui l’uomo opera per cambiare tali condizioni. La sua attività è, quindi, nello stesso tempo, condizionata e condizionante.
La premessa della concezione marxista consiste nella constatazione che non è la coscienza a determinare la vita, ma, viceversa, è la vita a determinare la coscienza. Ma accade che gli uomini siano dominati da una “falsa coscienza”, che nasce spontaneamente e produce l’illusione dell’indipendenza delle idee, contro cui si schiera fermamente il materialismo storico, affermando che “le immagini nebulose che si formano nel cervello” non sono altro che la sublimazione del processo materiale della vita degli uomini.
La morale, la religione e in generale qualsiasi forma ideologica non conservano che la parvenza dell’autonomia; dunque, dato che è la prassi materiale a spiegare le idee, si possono eliminare le false idee solo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti.
2.4.Il ciclo economico-capitalistico
“Il Capitale” non è solo una “critica dell’economia politica”, ma è anche elaborazione di una nuova “scienza” economica.
Il sistema capitalistico viene definito come “un enorme raccolta di merci”, cioè come produzione e scambio crescenti di beni. La merce è un bene prodotto per essere immesso nel mercato: essa ha, nello stesso tempo, un valore d’uso e un valore di scambio. Il valore d’uso è presente in ogni tipo di società e senza esso, cioè senza un’effettiva utilità della merce, non c’è scambio, perché nessuno vorrebbe una merce non utile; esso ha un carattere qualitativo, si lega alle preferenze ed ai bisogni individuali e muta con il mutare delle persone e delle circostanze, quindi non può costituire una “misura” per le diverse merci che si scambiano nel mercato. “Misurabile” è invece il valore di scambio, grazie al quale due merci sono scambiabili secondo rapporti di equivalenza. Secondo Marx, il valore di ogni merce è stabilito in base ai tempi di lavoro per produrre tale merce. Per cui, non sono le merci che hanno in sé un valore, ma piuttosto è il lavoro umano che dà ad esse tale valore. Il profitto dei capitalisti nasce dal fatto che anche il lavoro stesso è una merce che viene venduta dall’operaio in cambio di un salari. La “merce” lavoro possiede, quindi, un valore di scambio, ma al contrario delle altre merci è l’unica che, utilizzata, è in grado di produrre altre merce, altri valori e l’operaio non vende come merce il proprio “lavoro”, bensì la sua forza-lavoro; in sintesi, il valore d’uso della merce-lavoro è ben superiore al suo valore di scambio. Fino ad un certo punto della giornata lavorativa di un operaio il valore delle merci prodotte è pari al a quello del salario pagato, ma da quel momento in poi tutto ciò che viene prodotto dal lavoratore è un plus-lavoro che produce un plus-valore che viene incamerato dal capitalista. Questo “valore in più” si configura, con Marx, nel ciclo economico-capitalistico attraverso la formula D-M-D’, ossia Denaro-Merce-Denaro. Scopo dell’intero ciclo è quello di aumentare il capitale, che avrà la sua origine proprio nel plus-valore incamerato dal capitalista.
2.5.Il comunismo
Il comunismo appare a Marx come l’unica forma sociale nella quale sia possibile una restituzione dell’uomo a se stesso, grazie alla abolizione della proprietà privata; esso è visto come uno sbocco inevitabile dello sviluppo della società capitalistica, una trasformazione imposta dalle stesse contraddizioni che attraversano tale società, in particolare dal contrasto fra il concentrarsi in poche mani della ricchezza e l’impoverirsi progressivo del proletariato. Il comunismo dovrà corrispondere ad una fase storica di sviluppo nel quale si abbia, anziché una “socializzazione della miseria”, una “socializzazione della ricchezza”, deve cioè portare ad un benessere generalizzato.
La principale questione su cui Marx prende posizione riguarda le trasformazioni che subirà lo Stato in una società comunista. Come già si era scritto nel Manifesto, vi sarà tra la società capitalistica e quella comunista una lunga fase di transizione rivoluzionaria, che sarà contraddistinta dalla dittatura del proletariato: si dovrà mutare lo Stato “da organo sovrapposto alla società in organo assolutamente subordinato ad essa”. Si limiteranno così le “libertà dello Stato”.
“Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell’evoluzione[…] il pubblico potere perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il potere politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne un’altra. Il proletariato[…], abolendo gli antichi rapporti di produzione, abolisce le condizioni di esistenza dell’antagonismo di classe[…], e, così, anche il suo proprio dominio in quanto classe”.
3. Un mondo in trasformazione
3.1. Lo sviluppo industriale britannico del XIX secolo
Negli anni successivi alle guerre napoleoniche e al Congresso di Vienna, l’Europa attraversò un periodo di sviluppo economico e industriale notevole; questo processo, la cui nascita fu in certi casi anche favorita dal blocco continentale degli anni precedenti, iniziò nella nazione in cui era maggiormente evidente la superiorità economica e commerciale: la Gran Bretagna. L’isolamento imposto dal blocco continentale aveva permesso infatti a molte industrie britanniche di evolversi tecnologicamente, creando un divario competitivo difficilmente colmabile in tempi brevi.
Non mancò, tuttavia, un periodo di crisi, che incise più sul piano interno che sulle capacità produttive e commerciali britanniche; il mercato della manodopera aumento notevolmente, a causa della smobilitazione di gran parte degli uomini impiegati nell’esercito; fu necessario lo smantellamento di alcune imprese di guerra (in primo luogo le metallurgiche), inoltre lo scarso potere di acquisto dei salari, mantenuti assai bassi, non favoriva una domanda interna, nonostante il calo dei prezzi e dei profitti. Allo stesso tempo l’eliminazione del blocco continentale, la cessazione della concorrenza francese e il monopolio dei commerci con i paesi sottosviluppati permisero un continuo progresso delle esportazioni.
3.2.La questione operaia
L’espandersi della Rivoluzione industriale in Europa fu senza dubbio un fattore di progresso, perché liberava nuove energie e creava nuovi rapporti sociali che sgretolavano la società tradizionale. Nello stesso tempo, tuttavia, questo processo generò uno strato sociale di lavoratori sfruttati ed usati come macchine: molto tardi, solo nella seconda metà del secolo e in seguito a lunghe e dolorose lotte sociali, sarebbe iniziata una fase di lenta redistribuzione della ricchezza che avrebbe portato a miglioramenti delle condizioni di lavoro in fabbrica e di vita nelle città industriali.
Nel primo Ottocento l’espressione più tipica della povertà si identificò con il proletariato di fabbrica. La questione sociale diveniva così questione operaia.
Il lavoro di fabbrica era un nuovo tipo di lavoro, e lo sfruttamento di fabbrica era uno sfruttamento di nuovo genere: il lavoratore di fabbrica non possedeva i mezzi elementari di produzione, era espropriato di tutto, possedeva solo la forza fisica, che vendeva a chiunque avesse interesse ad acquisirla. Risiedeva in questo l’alienazione operaia che descrisse Marx, nell’offrire come merce la propria forza-lavoro. Le condizioni in cui avveniva questo sfruttamento erano in certi casi disumane (12/14 ore di lavoro, abitazioni di fortuna e senza servizi igienici e pubblici), inoltre fra i lavoratori altissimo era il tasso di analfabetismo e di malattie professionali. Talvolta la rottura dei nuclei familiari, la mancanza di istruzione e di tempo per le pratiche religiose ed associative faceva sì che l’unica “distrazione” fosse l’alcool. Il sistema di fabbrica aveva insomma causato un degrado morale e una disgregazione del sistema delle relazioni sociali tradizionali.
Le reazioni dei lavoratori furono dapprima spontanee e irrazionali: il nemico veniva identificato nella macchina che comprimeva la manodopera sfruttando al massimo l’operaio; successivamente divennero sempre più organizzate e consapevoli. In Inghilterra, se anche vi furono sommosse nei maggiori periodi di crisi, gli interventi legislativi e l’adozione del libero scambio avevano creato le condizioni per una dialettica più proficua fra lavoratori e imprenditori. Il 1848 in Inghilterra rappresentò dunque l’inizio di una fase di sindacalizzazione operaia, proprio mentre negli altri Paesi europei segnava l’insorgere della rivoluzione sociale.
4.The Victorian Age in England
4.1. A new era
When Victoria succeeded his uncle William IV, she was only eighteen. She was to reign for sixty-four years and become the symbol of a whole era, which was called the Victorian Age.
When Victoria ascended to the throne, she found a country in difficult position: there was much discontent among the working classes because of the industrial slump and a period of bad crops, which led to about ten years of misery.
A direct consequence of this crisis was the birth of the Chartist Movement, in 1837, so called because it asked for a Charter of social reforms. In 1839 the Chartists presented Parliament with a petition embodied in the “Six Points” of a document called the “People’s Charter”, but this was rejected by Parliament. The Chartists, who disappeared after 1848, were politically immature and their projects were doomed to failure.
The Trade Union Movement, however, which had at first met with strong opposition from the Government and had finally been legalized in 1825-26, grew stronger and stronger. Through the ability of a few leaders, were formed strong Craft Unions; the first Trade Union Congress met in 1868, while in 1875 the Trade Union Act gave legality and status to the Unions.
The upper class and the industrial middle class firmly believed in a policy of free trade; this meant an uncontrolled flow of commercial transactions with foreign nations. This free exchange of goods brought great wealth to England: in spite of its serious problems, Victorian England enjoyed great welfare and prosperity, which found their most striking expression in the Great International Exhibition(1851), promoted by Prince Albert, Victoria’s husband.
The age was also marked by a number of social achievements and reforms, such as The Factory Acts (which regulated and improved the conditions of workers in factories), The Ten Hours’ Act (which limited working hours to ten a day), The Mines Act (which prohibited the working of women and children in mines), The Public Health Act (which improved health conditions), The Education Acts (which re-organized elementary education) and The Parliamentary Reform (through the introduction of secret ballot).
4.2.The “Victorian Compromise”
The Victorians were proud of their welfare, of their good manners and of their middle-class values, and tended to ignore the problems which still afflicted England. There was, in fact, a part of society, mainly the lower class, where misery and distress were still prevalent. The new urban conditions had created a lot of health problems.
The New Poor Law of 1834 had not been a solution for outstanding problems, and the creation of the much hated workhouses (so unforgettably portrayed and denounced by Dickens) had often made life a hell for the poor. Poverty was virtually regarded as a crime, and penalized as such: debtors, for example, were still kept in jail. Education, too, had its problems: teachers were often incompetent and corporal punishment was still regularly applied to maintain discipline.
This particular situation, is usually known as the “Victorian Compromise”.
The inhuman conditions of workhouses, the lack of a legal system and of a school one were harshly criticized and denounced by Charles Dickens.
4.3.The “painter of English life”: Charles Dickens
4.3.1.Life and works
Born near Portsmouth in 1812, Charles Dickens was the son of a clerk in the Navy Pay Office. Shortly afterwards, his family moved to Chatham, where Charles lived for six years; he went to school there, and began reading novels by Fielding and Defoe. In 1823 his father was sent to work in London, where the family lived in a dingy suburb, as Mr. Dickens was always in debt. Charles was obliged to leave school and to work in a blacking factory.
After two years the family fortunes improved through a legacy; Charles was released from the factory, and sent to school in Hampstead, where he learnt little and made no friends. It took moral and physical strength to overcome the hardships and severity of an English school, particularly a school for boys of the lower middle class.
At fifteen he left school and began to work as a clerk in a lawyers’ office, then he learnt shorthand and became a parliamentary reporter and journalist. In 1836 he married Catherine Hogarth, but the marriage wasn’t happy, and he separated from her in 1856. At about the same time of his marriage, in 1836, he began his brilliant literary career, which continued till his death.
He visited America in 1842, and made a second trip in 1867: he obtained enormous success from public readings of his works, although these occasions were a drain on his nervous energies, which were already overstrained by his constant writing. He died in June 1870.
Charles Dickens is the foremost representative of the Victorian Novel: extremely popular in his age and after, he has been read and loved by millions of people all over the world. Dickens is also the major expression of English realism, even if his realism is quite mitigated. In fact, he manipulated reality with personal features to create caricatures.
Dickens’ production was very huge and it consisted mainly in novels, that can be divided into four groups:
1. Humoristic novels
2. Historical novels
3. Sentimental novels
4. Social or humanitarian novels
The characters of Dickens’ novels can be divided into 3 kinds:
1. Flat characters: we laugh of them. They’re ridiculous.
2. Caricatures: they are fixed types, stock types and humorous characters.
3. Round characters: they are the protagonists of the novel. They improve along any situation.
Dickens contrasts very different characters, to make them more identifiable, easy to remember, so we can easily identify with the good characters and we put a distance between the caricatures and us.
One side of Dickens’s genius was his sense of humour, which has kept the characters of his novels alive until the present day. His novels are also full of sentimentalism and some situation are exaggerated to make the reader cry.
Dickens is a subtle observer of London life; in his boyhood he had long observed streets and squares, particularly those parts of the town where the poor lived. He knew from his personal experience the life in factories, the routine in offices, the sordid life in prison. He gives us a minute account of British home life, of school systems, of the domestic life of lower class people, with every detail of manners, appearance and dress. For this, he was defined “the painter of English life”.
He was very worried with social problems, poverty and injustice. But he was not leading a crusade against society, with the aim of effecting drastic changes. He suggested a moral solution: he wanted less avidity, less egoism and less hypocrisy.
5. Dal marxismo al comunismo
5.1.Dall’utopismo a Lenin
Se vogliamo parlare di comunismo vero e proprio, è inutile negare che questo sia nato proprio con Marx.
Dopotutto, è innegabilmente a Marx che il comunismo ha dovuto la sua fortuna. E’ Marx che ha fornito il quadro teorico che ha consentito una realizzazione storica dell'idea comunista, che altrimenti sarebbe rimasta pura teoria. Marxista fu in primo luogo il comunismo di Lenin.
Ma il comunismo russo è stato fedele a Marx? Per certi versi, sì: Lenin ha introdotto alcune varianti al marxismo, ma nulla di sostanziale è stato alterato. Ha teorizzato (nelle sue Tesi di Aprile) l'immediato passaggio alla rivoluzione proletaria senza passare attraverso la rivoluzione borghese e la necessità in Russia di una alleanza tra operai e contadini.
Il comunismo, conformemente alle idee di Marx, ribadite e accettate da Lenin, ( e successivamente anche da Stalin) non ha voluto essere una semplice "ricetta" per la soluzione di problemi economici. Non ha voluto riguardare insomma solo un livello, un settore (circoscritto), ma ha avuto la pretesa di riguardare tutto l'uomo e ogni suo ambito.
Il comunismo, coerentemente alle idee del suo ispiratore, Karl Marx, non è stato neutro riguardo alla visione del mondo, ma ha avuto una sua ben precisa visione del mondo, che ha cercato di imporre come alternativa e incompatibile a qualsiasi altra. In altri termini il comunismo è stato un tipo di sistema onnicomprensivo: una forma di totalitarismo.
5.2.Il comunismo come totalitarismo
Il comunismo come totalitarismo pretendeva di regolare ogni aspetto della vita interessandosi, anzitutto, di economia, attribuendo allo Stato guidato dal Partito il ruolo di unico protagonista e controllore di tale ambito: tutti i mezzi di produzione erano statalizzati (collettivismo statalista) e l'economia veniva "pianificata" (Stalin inaugurò la politica dei "piani quinquennali), cioè non più regolata dal dinamismo della domanda e dell’offerta, ma governata essenzialmente da uno Stato che stabiliva quanto ogni settore dovesse produrre.
Ma si interessava anche di ogni altro problema: dalla vita sociale (gestendo il problema della abitazione, del vestiario, della alimentazione, delle comunicazioni, del tempo libero e delle vacanze) alla informazione (sottoposta a una ferrea censura, come e più che in altri sistemi totalitari), dalla cultura (solo gli intellettuali e artisti allineati al regime avevano diritto di pubblica espressione, perseguitati invece i "dissidenti"), alla educazione (gli insegnanti dovevano essere solo membri fedelissimi del Partito e loro compito principale era promuovere non la capacità degli alunni, ma il loro inquadramento ideologico nei ranghi dell'ortodossia comunista).
Infatti ciò a cui il comunismo mirava era la creazione di un uomo nuovo, di una società nuova, da cui il male (la cui radice era identificata nello sfruttamento economico di una classe sull'altra) sarebbe stato alla fine totalmente sradicato. Quello che si agitava all'orizzonte era una promessa di infinito, paradiso sulla terra, nella storia. Il purgatorio della durezza statale instaurata dopo la rivoluzione non era altro che tappa e passaggio obbligato (dalle prevedibili resistenze dei reazionari capitalisti e feudali) verso il Paradiso della piena realizzazione dell'umano.
5.3.La Rivoluzione Russa
5.3.1.La Rivoluzione di febbraio
Il comunismo ha il suo vero e proprio atto di nascita in Russia, nel 1917, con la Rivoluzione Russa, che portò alla caduta dell’Impero zarista a favore del nuovo regime socialista. La Prima Guerra Mondiale mise rapidamente alle corde al fragile e arretrata struttura economica russa. Si può affermare infatti che all’inizio del 1917, la Germania (nemica della Russia) aveva praticamente vinto la guerra sul fronte orientale. A Pietrogrado, dove la situazione era particolarmente grave, il 23 febbraio si ebbero le prime manifestazioni, col pretesto di celebrare la festa della donna (8 marzo).
L’iniziativa partì dapprima dalle operaie degli stabilimenti tessili, ma ben presto si unirono a loro anche gli operai delle imprese Putilov. Le rivolte bloccarono letteralmente l’economia dello stato, col risultato che potè nascere a Pietrogrado un governo provvisorio, che ottiene l’abdicazione dello zar (2/marzo/15 marzo).
In questa fase emerse un dualismo di poteri: da una parte il Partito costituzionale democratico (KD), favorevole a una democrazia parlamentare; dall’altra si trovavano i soviet ,organi di autogoverno sorti per la prima volta intorno al 1905. I soviet erano controllati dai menscevichi, che costituivano a loro volta una delle due componenti del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR).
Lo scontro oppose inevitabilmente i soviet e il governo provvisorio, con i primi che reclamavano la pace e la distribuzione delle terre ai contadini, mentre il secondo premeva per una maggioranza borghese e liberale che impedisse lo sviluppo socialista della rivoluzione. Lo stesso POSDR era diviso tra menscevichi, che ritenevano che spettasse alla borghesia guidare la rivoluzione democratica (libertà sindacali e politiche) e accelerare il passaggio al capitalismo, e bolscevichi, guidati da Lenin, che, dal suo esilio in Svizzera, riteneva che solo l’alleanza operaio-contadina avrebbe potuto intraprendere le necessarie riforme, data l’assenza di una borghesia rivoluzionaria.
5.3.2.Tesi di Lenin e Rivoluzione d’ottobre
Rientrato in Russia dall’esilio svizzero, nell’aprile del 1917 Lenin proclamò la sua intenzione di forzare i tempi, in modo che la rivoluzione passasse il più rapidamente possibile dalla fase borghese a quella proletaria. Le sue direttive politiche vennero condensate nelle cosiddette tesi di aprile, un breve documento articolato in 10 punti.
Confermata l’opposizione alla guerra "imperialistica, di brigantaggio", il documento sosteneva che senza rovesciare il capitalismo sarebbe stato "impossibile pervenire ad una pace veramente democratica".
Le tesi 4 e 5 indicavano i soviet come "la sola forma possibile di governo rivoluzionario" e individuavano il compito dei bolscevichi nella conquista della maggioranza di tali organismi per superare la "repubblica parlamentare" e per realizzare la "repubblica dei soviet dei deputati operai, salariati agricoli e contadini, nell’intero paese dal basso in alto".
Compito del nuovo potere doveva essere (come lo era stato per i comunardi parigini del 1871) la "soppressione della polizia, dell’esercito e del corpo dei funzionari" e mediante la "eleggibilità e revocabilità in ogni momento di tutti i funzionari", le cui retribuzioni non dovevano essere in nessun caso superiori "al salario medio di un buon operaio".
Venivano infine suggerite alcune misure immediate che avrebbe potuto prendere lo stesso governo provvisorio, se non fosse stato ricattato dalla borghesia:
-la fusione immediata di tutte le banche del paese in una sola banca nazionale posta sotto il controllo dei soviet dei deputati operai;
-la confisca di tutti i beni dei proprietari fondiari (…) la nazionalizzazione di tutte le terre del paese da mettere a disposizione dei soviet locali dei deputati dei salariati agricoli e dei contadini poveri, da formare ovunque.
Scopo di tutto ciò, precisava Lenin, non era la "instaurazione del socialismo", bensì "soltanto l’immediato controllo della produzione e della ripartizione dei prodotti da parte dei soviet dei deputati operai".
Il programma leninista di passare tutto il potere ai soviet, sulla base di un programma corrispondente agli interessi sociali dei contadini e degli operai (Tesi d’aprile), provocò la rottura definitiva tra il governo provvisorio e i bolscevichi e quindi l'emarginazione della borghesia dalla direzione del paese a causa dei suoi compromessi con il passato regime. In tal modo si determinò un dualismo di poteri tra i soviet, che avevano il consenso dei lavoratori, e il governo provvisorio, incapace di risolvere la questione della guerra e di effettuare la riforma agraria, mentre i contadini occupavano la terra ed i soldati disertavano al fronte.
La repressione governativa si abbatté sui bolscevichi, sottoposti ad una massiccia campagna di persecuzione, pur non essendo stati i responsabili diretti delle insurrezioni degli operai e dei soldati di Pietrogrado; Lenin venne accusato di essere un agente al servizio dei Tedeschi, le sedi del partito bolscevico furono devastate. Lenin fu costretto all’esilio in Finlandia.
A questo punto, Kerenskij formò (27 luglio 1917) un nuovo governo provvisorio. Per rafforzare la propria posizione verso i soviet proclamò la repubblica e convocò una Conferenza di Stato rappresentativa della Chiesa e dei partiti ad eccezione dei bolscevichi, messi fuori legge. Alla conferenza dei notabili si delineò lo scontro tra il premier, favorevole alla formazione di un governo composto da socialisti moderati e borghesia, per colpire politicamente i soviet, e il generale Kornilov, che era invece favorevole all’instaurazione di una dittatura militare. Questi, dopo la caduta di Riga in mano tedesca, tentò un colpo di Stato con reggimenti cosacchi a lui fedeli: Kerenskij reagì armando anche i “traditori” bolscevichi, e riuscì a reprimere il moto.
A quel punto Lenin decise di agire: la notte del 25 ottobre 1917, reparti armati bolscevichi presero d’assalto il Palazzo d’Inverno, sede del governo. Il giorno seguente il Congresso Panrusso ratificò il colpo di stato ed emanò i primi decreti rivoluzionari. Fu creato il Consiglio dei commissari del popolo, guidato da Lenin, con funzioni di governo sino alla convocazione di un’Assemblea costituente. Tra i primi decreti emanati, Lenin fece approvare il decreto sulla terra, stabilì la parità tra uomo e donna con il diritto di voto alle donne, introdusse il diritto al divorzio e all’aborto, concesse la giornata lavorativa di 8 ore e la separazione della Chiesa dallo Stato.
Negli stessi giorni venne fissata la data delle elezioni per l’Assemblea Costituente, il cui esito fu deludente per i bolscevichi che ottennero il 25% dei consensi, contro il 63% ottenuto dai socialrivoluzionari. Dopo la prima riunione (gennaio 1918), l’Assemblea non fu mai più riconvocata, mentre si profilava il predominio politico del Partito Comunista di Lenin sui soviet.
Il nuovo governo, bisognoso di concentrare le energie sul piano interno, stipulò la pace di Brest-Litovsk (3 marzo 1918) con i Tedeschi, a condizioni molto pesanti; Trockij, capo della delegazione sovietica alle trattative, rimase sconcertato. Ma Lenin, nonostante l’opposizione di socialrivoluzionari e bolscevichi, accettò amaramente le condizioni tedesche. La Russia perdette gli stati baltici, la Polonia, i bacini petroliferi di Batum nel Caucaso; inoltre l’Ucraina, sarebbe dovuta diventare uno stato autonomo, satellite della Germania. L’uscita della Russia dalla guerra coincise con una serie di difficoltà politico-sociali (1917-1921); innanzitutto il governo rivoluzionario dovette fronteggiare le forze dell’Intesa, che per costringere il governo russo a riprendere la guerra contro la Germania inviarono truppe a sostenere le armate filozariste del “Terrore bianco”. A scatenare la controrivoluzione furono nobili, borghesi e socialrivoluzionari di destra le cui brutalità si abbatterono sui soviet, sugli ebrei, sui prigionieri di guerra; nelle zone sotto “dittatura bianca” furono cancellate tutte le conquiste rivoluzionarie.
Al “Terrore bianco” corrispose il “Terrore rosso”, rinvigorito dall’attività della polizia politica (Ceka), che mise fuori legge menscevichi e socialrivoluzionari e che sfuggì, a sua volta, ad ogni forma di controllo politico in una dinamica arbitraria e repressiva, al di fuori della legalità sovietica.
Per fronteggiare le truppe dell’Intesa, Trockij costituì l’Armata Rossa, per istituire la quale seguì criteri di efficienza e professionalità (richiamando ufficiali zaristi), più che di fedeltà ideologica alla Rivoluzione. La guerra, civile e di classe, si concluse con la vittoria dell’Armata Rossa, sostenuta dalla maggioranza della popolazione; le grandi potenze non erano riuscite a piegare la rivoluzione, anche se ne avevano impedito la diffusione in Europa.
5.4.La nascita dell’U.R.S.S.
A seguito dell’alleanza con Armenia, Georgia e Bielorussia, nel 1922 nacque l’U.R.S.S. (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche), inizialmente federazione di quattro Stati, ai quali si sarebbero poi aggiunte le altre repubbliche formatesi nei territori asiatici dell’ex Impero. I confini dell’URSS coincidevano con quelli dell’Impero zarista, amputato di Polonia, Finlandia e Paesi Baltici.
Durante la guerra civile e mentre si delineavano i caratteri del nuovo Stato, i bolscevichi dovettero fronteggiare a una serie di emergenze: la guerra aveva sottratto milioni di braccia all’ agricoltura, determinando una grave crisi alimentare. Questa fu aggravata dall’atteggiamento dei contadini che, divenuti proprietari, preferirono l’auto consumo alla produzione per il mercato, e di coloro (i cosiddetti “kulaki”) che preferirono nascondere il grano per lucrare i prezzi.
Dinanzi al crollo della produzione e alle pesanti condizioni sociali lasciate dalla guerra, nel 1921 venne varata la Nuova Politica Economica (NEP), che si basava sulla rimozione delle misure straordinarie imposte precedentemente dallo Stato e che lo stesso Lenin definì “ una ritirata nel cammino sulla strada verso il socialismo”; in pratica, introduce di nuovo nelle campagne un’economia di mercato. I contadini dovevano versare una percentuale fissa della loro produzione allo stato, però il resto del raccolto restava nelle loro mani, ed essi potevano liberalmente commercializzarlo.
La liberalizzazione commerciale rilanciò la produzione agricola e delle piccole imprese, mentre i contadini, una volta destinata la quota di produzione allo Stato, poterono vendere il prodotto restante; L’industria fornì prodotti utili ai contadini rinnestando quel ciclo di mercato bruscamente interrotto dalla rivoluzione. Il passaggio alla NEP privò inoltre la guerriglia e il banditismo rurale di base sociale e consentì una riflessione politica sugli sviluppi della rivoluzione e, più in generale, sulla situazione internazionale in cui si collocava lo Stato comunista. Si fece strada la convinzione che l’URSS sarebbe a lungo rimasto l’unico Paese socialista al mondo, per cui sarebbe stato necessaria la lotta contro i socialrivoluzionari e contro il frazionismo interno.
6. L’U.R.S.S. dopo la rivoluzione: Stalin
6.1. Dal socialismo alla dittatura
Lenin morì prematuramente il 24 gennaio 1924: dopo una serie di scontri feroci fra i principali esponenti comunisti, nel 1927 risultò padrone assoluto della situazione Iosif Vissarionovic Dzugavili, detto Stalin.
Diventato in questo modo la figura egemone del partito, Stalin si trovò a dover fare i conti con i gravi problemi dell’arretratezza russa nei confronti dei Paesi europei. Per cercare di risolvere questa crisi impresse alla Russia un carattere autoritario e centralizzato e formulò piani di sviluppo economico accelerato, il cui obiettivo era quello di trasformare, in breve tempo, l’URSS in un Paese altamente sviluppato sia dal punto di vista economico che da quello tecnologico. Sebbene il processo portò la Russia ad essere uno dei Paesi più industrializzati d’Europa, comportò anche degli enormi sacrifici umani. Il primo passo verso la crescita economica fu mosso con la collettivizzazione delle campagne.
La collettivizzazione forzata delle campagne si verificò in Russia dall’estate del 1929 al marzo 1930, e poi ancora dal 1931 in avanti. In questi anni vennero tolti ai contadini i rudimentali attrezzi agricoli che ancora utilizzavano per la lavorazione della terra e sostituiti con nuovi e più efficienti macchinari.
Contemporaneamente a ciò, si procedette alla eliminazione di chiunque si opponesse alla collettivizzazione: migliaia di agenti furono mandati nelle campagne a spingere tutti i contadini nelle fattorie collettive (kolchoz); molti di essi, in modo particolare i kulaki, cioè i contadini agiati, si ribellarono e iniziarono a distruggere i raccolti e gli utensili, ad uccidere il bestiame, a commettere atti terroristici e sabotaggi nei confronti dei kolchoz. La risposta a questa ribellione da parte del Governo fu durissima: i villaggi dove si insediavano i ribelli furono circondati da mitragliatrici e costretti alla resa, i kulaki deportati in Siberia, chiunque avesse reagito in modo violento alla collettivizzazione veniva processato penalmente e giustiziato o deportato.
La collettivizzazione delle campagne procedeva ad un ritmo molto rapido; ciò comportava che anche il processo di industrializzazione assumesse un ritmo simile: poiché la collettivizzazione potesse avvenire era infatti necessario che l’industria producesse i materiali necessari, che i pozzi petroliferi fornissero quantità di carburante sufficienti a garantire il funzionamento dei trattori, che l’elettricità fosse portata nelle campagne, che venisse insegnato ai contadini come utilizzare le nuove macchine.
La Russia diventò così, in pochi anni, uno dei Paesi più industrializzati in Europa. Non bisogna dimenticare però che le perdite, umane e di materiali, provocate dalla collettivizzazione forzata, si ripercossero poi su tutta l’economia agricola russa, tanto che la grande arretratezza dell’agricoltura dell’URSS non riuscì ad essere completamente eliminata.
Stalin aveva progressivamente accentrato il potere nella sua persona la burocrazia del Partito comunista.
Servendosi della potentissima polizia segreta, eliminò tutti gli oppositori, tra i quali molti protagonisti della rivoluzione d'ottobre del 1917. Nel 1934 Stalin prese a pretesto la misteriosa uccisione del suo collaboratore Kirov per scatenare le "grandi purghe", che èbbero il culmine tra il 1936 e il 1939: centinaia di migliaia di militanti comunisti e soldati dell' Armata Rossa furono messi sotto accusa come "nemici dello Stato", incarcerati, costretti a confessare colpe inesistenti e condannati a morte o al lavoro forzato.
Trotskij, acerrimo oppositore di Stalin anche dall'esilio, fu rintracciato in Messico da agenti della polizia segreta sovietica e assassinato nel 1940. È difficile calcolare quanti morti provocò il terrore scatenato da Stalin negli anni Trenta in tutti i settori della società, ma si può parlare di alcune centinaia di migliaia di persone. Tra i 15 e i 20 milioni furono invece i deportati nell'arcipelago dei campi di lavoro, il Gulag. Questo sistema carcerario, controllato direttamente dalla polizia segreta, era formato da almeno 160 campi di prigionia dislocati prevalentemente nella Russia siberiana. Vi furono rinchiusi oppositori veri o presunti del regime, trotskisti, kulaki; alcuni milioni erano i deportati di nazionalità non russa, appartenenti a popoli che reclamavano maggiore autonomia da Mosca, come gli Ucraini. Con identica brutalità il regime staliniano eliminò ogni forma di libertà religiosa: fu imposto l'insegnamento dell'ateismo, le Chiese cristiane e le comunità ebraiche vennero perseguitate. Il Gulag fornì a Stalin una massa di manodopera forzata impiegata nella costruzione di grandi opere - canali, strade, ferrovie - e nelle industrie, impegnate a centrare gli obiettivi prefissati dai piani quinquennali, varati nel 1929.
Il clima di terrore che caratterizzò lo stalinismo contrasta con l'immagine pubblica che il dittatore volle dare di sé. Nei manifesti Stalin è al fianco di minatori e contadini sorridenti, felici di contribuire alla riuscita dei piani quinquennali. I bambini lo adorano e gli offrono fiori in segno di omaggio e riconoscenza per il bene che ha fatto alla nazione. Grandi ritratti di Stalin bonario e rassicurante si vedevano negli uffici pubblici e sulle piazze. La propaganda comunista alimentò un vero e proprio "culto della personalità" staliniana: la sua immagine fu esaltata ed egli fu celebrato come la guida salda e ferma del Paese, che aveva aperto la via dello sviluppo e avviato l'URSS a divenire una grande potenza mondiale. Dopo la seconda guerra mondiale l'esaltazione di Stalin fu amplificata dalla vittoria militare sul nazismo e si allargò al di fuori dell'Unione Sovietica tramite i Partiti comunisti dei vari Paesi.
7. Conclusione
Come giustamente afferma Andrea Graziosi nel suo nuovo libro “L’URSS di Lenin e Stalin”, il regime comunista russo non è stato in realtà un regime totalitario, ma piuttosto un caso analogo al dispotismo asiatico di Gengis Khan, dunque non un modernissimo regime di massa, ma un ancien régime di tipo nuovo, dove la regola principale fu sempre quella di tenere la popolazione all’ oscuro dei provvedimenti adottati dal potere; un regime che attuò una criminalizzazione della classe operaia e dei contadini.
Infatti non soltanto fu attuata una forte repressione politica, ma negli anni ’30 fu di fatto cancellata qualunque legislazione sul lavoro e qualunque presenza sindacale, e in un “anno tipo” come il 1929-30, i licenziamenti per assenteismo arrivarono a colpire il 30% della forza-lavoro.
Per non parlare delle terrificanti condizioni abitative a Mosca, vent’anni dopo la Rivoluzione D’Ottobre, dove gli abitanti erano a costretti a vivere in condizioni estremamente disagiate, alcuni addirittura risiedevano in dormitori.
In realtà un’età d’oro della rivoluzione del comunismo in Russia non ci fu mai, considerato che il nuovo regime sin dall’inizio diede il via ad una dura repressione poliziesca contro qualunque genere di oppositori e allo stesso modo prese a colpire le campagne. Sin dal 1918, infatti, i bolscevichi si avventarono sulla campagne, dapprima allo scopo di farsi consegnare a viva forza il grano, poi per imporre il proprio dominio che culminò, nella metà degli anni ’30, nella definitiva collettivizzazione delle campagne. Per arrivare a ciò, sia Lenin che Stalin non si fermarono davanti a nulla: autorizzarono deportazioni e impiccagioni in massa, incendi di villaggio, fucilazione d’ostaggio e addirittura il ritorno alla fustigazioni in massa, tipiche dello zarismo. In pratica i contadini furono riportati alla condizione di servi della gleba.
Alla luce di quanto è emerso dai dati ufficiali e dai documenti di archivio che il Graziosi ha utilizzato, si può dire che il “Comunismo”, così come inteso da Marx, non è mai esistito.
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Esempio



  


  1. Kayleigh

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