Cartesio - Discorso sul Metodo

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Testo

Relazione su
DISCOURS DE LA METHODE
di René Descartes
1) Bibliografia
2) Biografia e Motivazioni che hanno portato
l’autore a scrivere l’opera.
3) Quadro logico complessivo dell’opera
4) Personale (Aspetti interessanti / difficoltà)
1) Bibliografia per la relazione:
• René Descartes, Discorso sul Metodo, Ed. Mondadori, Ottobre 1993, Traduzione e Note di Marcella Renzoni, Introduzione di Carlo Sini, Titolo originale dell’opera: Discours de la Méthode.
• Enciclopedia Zanichelli Multimediale Interattiva, 1998, CD ROM, A-L.
• Enciclopedia Omnia, 1997, De Agostini, CD ROM.
• Enciclopedia Encarta, 1998, Microsoft, CD ROM.
• Abbagnano – Fornero, Protagonisti e Testi di Filosofia, Ed. Paravia, 1998, Volume A.
• Saggio di Gustavo Bontadini sul Discorso sul Metodo.
• www.britannica.com
• www.virgilio.it
2)
R
enato Cartesio, nome italianizzato del francese René Descartes, nacque, il 31 marzo 1596, a La Haye, nella Turenna, da una famiglia nobile e facoltosa (il padre era consigliere al parlamento di Bretagna).
Da ragazzo frequentò una delle scuole più rinomate del tempo, il collegio gesuitico di La Fléche, dove ottenne una solida formazione filosofica e scientifica e dove fu avviato alla Scolastica, unica arma, secondo i suoi precettori, contro l’eresia.
Si iscrisse poi all’università di Poitiers e si laureò in diritto.
Abbandonati gli studi, prese parte alla guerra dei Trent’anni e durante una tregua ebbe l’ispirazione di una filosofia profondamente rinnovata. Nel 1629 Cartesio si rifugiò in Olanda per meglio attendere alle sue ricerche e per sfuggire all’Inquisizione.
In questi anni conobbe Isacco Beeckman che lo indirizzò alla Fisica, sulla quale scrisse il celebre “Trattato di Fisica” che tuttavia non pubblicò temendo di fare la stessa fine di Galileo.
Intrecciò, comunque, una fitta corrispondenza con i dotti di tutta Europa, attraverso la mediazione di M. Mersenne. Recatosi nel 1649 alla corte della regina Cristina di Svezia, per insegnarvi filosofia, vi morì l’anno seguente per un attacco di polmonite, causato dal clima nordico.
Fra le opere di Cartesio è doveroso ricordare anche: Meditationes de prima philosophia, Principia philosophiae, Regulae ad directionem ingenii, Le Monde, Les passions de l’âme.
Il Discorso sul Metodo, che costituisce, come si può facilmente intuire, l’autobiografia di uno scienziato fino all’età di 41 anni, nasce dalla necessità di un chiarimento: come dirò dopo, il buon senso è comune, secondo il filosofo, a tutti gli uomini che, tuttavia, sono caratterizzati da opinioni divergenti, determinate dalle loro diverse esperienze durante la vita quotidiana.
Il metodo proposto, è necessario per poter indirizzare il buon senso di tutti gli individui nella medesima direzione, verso la verità.
3)
S
i suole attribuire a Cartesio il merito di aver dato inizio alla filosofia moderna, per il suo rifiuto dell’impostazione scolastica. Se ciò è indubbiamente vero, non appare tuttavia sufficiente per caratterizzare il molteplice significato della sua filosofia.
Cartesio è al tempo stesso iniziatore di una dottrina radicalmente nuova e continuatore del tentativo tradizionale di dare origine ad una filosofa cristiana. La comprensione del suo pensiero è possibile solo se si mantengono entrambi i termini.
Per la prima volta con Cartesio, un filosofo cristiano si trova di fronte ad una forma di ateismo esplicito: il libertinismo, che sottoponeva a radicale critica la credenza religiosa e dissolveva le teorie teologiche e metafisiche, spiegandole o come semplice residuo storico o come affermazioni di ordine psicologico.
Il Discorso sul metodo, che può essere considerato il manifesto di questa filosofia moderna, che si propone di fornire un percorso tramite cui giungere a verità palesi ed inconfutabili, è la risposta di un uomo alla condizione socio – intellettuale nella quale egli si trova a vivere.
L’anno della sua pubblicazione, il 1637, è diventato una ricorrenza storica tanto che, in occasione del suo terzo centenario, fu celebrato in tutto il mondo con degne manifestazioni: a Parigi, un congresso internazionale di filosofia fu dedicato a tale commemorazione; in Italia, soltanto l’Università Cattolica diede alle stampe un volume di 800 pagine, che raccoglieva decine di saggi dedicati al filosofo francese.
L’opera indubbiamente ebbe sin dall’inizio un netto carattere essoterico o divulgativo dal momento che lo stesso Cartesio ribadì di averla composta perché la potessero leggere anche le donne; in effetti la cura di non affaticare troppo la mente del lettore è evidente ovunque e si traduce in una prosa lineare, coerente e facilmente accessibile.
Forse sempre per mantenere questa semplicità, l’autore suddivise l’opera in sei sezioni che affrontano diversi temi collegati tuttavia tra loro secondo uno schema logico ed un’evidente evoluzione filosofica.
Il punto di partenza della speculazione di Cartesio è l’uguale presenza, in tutti gli uomini, del buon senso che di per sé non è assolutamente in grado di giustificare la grandissima varietà di opinioni che troviamo tra gli uomini stessi.
Quest’ultima può essere legittimata solamente dalle diverse esperienze che caratterizzano i singoli individui nel corso della loro vita: esperienze diverse degli uomini e del mondo portano a diversi giudizi sugli uomini e sul mondo.
Appare evidente proprio in questo momento la necessità di trovare e cogliere un metodo in grado di dirigere il buon senso di tutti gli individui nella medesima direzione ed è proprio questo il proposito dell’autore, il cercare, cioè, un criterio di indagine scientifico e razionale, in grado di elevare ed ampliare la propria mente.
In questa stessa sede, Cartesio, che aveva compiuto i suoi studi prima al collegio gesuitico di La Flèche e poi all’Università di Poitiers, imparandovi fruttuosamente , pone una critica nei confronti dell’istruzione scolastica, ricca per la cultura dell’epoca di aspetti apprezzabilissimi ma caratterizzata da troppi difetti enumerati singolarmente per ogni disciplina.
Ed ecco quindi che emergono i ben poco lusinghieri giudizi sulla filosofia e sulla storia, la prima impiegata solo come mezzo per poter parlare con verosimiglianza di tutte le cose e per farsi ammirare dai meno dotti, l’altra accusata di essere fine a se stessa e di non garantire alcuna utilità per il tempo presente.
Importante, in questo ambito, è anche la concezione cartesiana della teologia, cui l’autore attribuisce un valore piuttosto pratico che teoretico e che egli esclude dal campo di quelle nella quali – come ribadisce il lungo titolo dell’opera – il metodo vuole insegnare a cercare la verità.
Il suo atteggiamento dominante verso il contenuto teoretico della religione resta, pertanto, di rispettoso riserbo: la ragione di ciò, a parte il temperamento personale, risiede nella difficoltà di ridurre sistematicamente tale contenuto nella forma del metodo matematico e di portarlo a quel grado di chiarezza e di distinzione di cui esso gode.
Cartesio, quindi, certo dell’insufficienza della cultura tradizionale, sceglie di abbandonare i libri e inizia a viaggiare, risoluto di non cercare più altra scienza, fuori di quella che si potesse trovare in lui stesso ovvero nel grande libro del mondo e intraprende un arduo viaggio in se stesso alla ricerca delle vie per la verità e per la comprensione umana della natura.
Il primo passo di quest’analisi interiore fu la rinuncia a tutto ciò che l’autore aveva ricevuto dagli altri in passato, una privazione che gli avrebbe consentito di seguire solo la guida della propria ragione giacché, come egli dimostra nel testo con numerosissimi esempi inspirati alla vita quotidiana, le opere realizzate da un solo artefice sono sempre le più perfette.
Emerge proprio in questi passi il curiosissimo tentativo di Cartesio di gettare, con una lunga serie di motivazioni, un velo di modestia su quella che avrebbe potuto sembrare a un lettore dell’epoca una grandissima pretensione: rifare da capo il sapere umano.
Questo non è affatto l’intento del filosofo che desidera soltanto realizzare il proprio disegno di riforma su un fondamento tutto proprio, senza, peraltro, richiedere e pretendere l’approvazione degli altri.
A tale scopo anche la matematica e la logica si rivelano dei modelli insufficienti; la prima, cioè l’analisi geometrica degli antichi e l’algebra dei moderni perché era astrattissima e per questo stancava l’immaginazione ed imbarazzava la mente; l’altra, perché costituiva per Cartesio una disciplina pressoché sterile: egli, infatti, vedeva nella logica aristotelico – scolastica, soltanto la sillogistica e per questo era portato a giudicarla scientificamente infruttuosa e importante solo da un punto di vista didattico.
Il metodo trovato dall’autore è strutturato in quattro regole fondamentali, la prima delle quali asserisce: .
L’evidenza implica chiarezza e distinzione, cioè la presenza di una percezione acuta e separante. I termini che intervengono nell’evidenza sono quindi l’esperienza nella sua trasparenza e la libertà intesa come capacità di distinguere la percezione da ogni altra.
Connesso con il criterio dell’evidenza sarà poi (capitolo 4°) l’esercizio metodico del dubbio, per il quale l’“io” decide di considerare come false tutte quelle verità che non siano state dimostrate senza ombra di dubbio cioè che non siano evidenti.
Il dubbio cartesiano infatti, contrariamente al dubbio scettico, è un modo di affermare attraverso un atto di volontà l’indipendenza del soggetto rispetto all’oggetto e una via quindi per superare ogni forma d’incertezza psicologica. Esso è perciò frutto di una scelta nella quale l’io rivendica la sua possibilità di giungere attraverso il dubbio ad una certezza.
“… Non che io imitassi per ciò gli scettici i quali non dubitano che per dubitare e si danno l’aria di esser sempre irresoluti: perché, invece, tutto il mio disegno non tendeva che ad assicurarmi, ed a smuovere la terra mobile e la sabbia per trovare la roccia o l’argilla…”
Le altre regole del metodo consistono in: dividere ogni problema nella sue parti elementari cioè scioglierlo in problemi sempre più semplici fino ad ottenere quesiti la cui soluzione è evidente (analisi); disporre i problemi dal minore al maggiore, ricomponendo le nozioni semplici tramite connessioni di per sé certe (sintesi); rivedere ogni passaggio fino alla certezza di non aver omesso nulla (enumerazione).
Applicando alla Matematica questo nuovo metodo, Cartesio ottenne tali risultati che si ripromise di adottarlo anche per risolvere le difficoltà di tutte le altre scienze, compresa la filosofia.
Ed è proprio questo quello che molti studiosi ritengono l’errore cartesiano per eccellenza, ossia il negare l’appartenenza di questo stesso metodo ad una materia particolare, che, tuttavia, esiste e si identifica con la categoria della quantità.
Oggi, dopo l’ampio processo di critica della scienza che ha formato il tema centrale della filosofia degli ultimi due secoli, è giudizio comune dei competenti che quello matematico è un ragionamento sui generis, legato ad uno schematismo, che non conviene ad altre forme del sapere.
Nella terza parte del Discorso sul Metodo, l’autore affronta un altro complesso problema.
Secondo Cartesio la morale dipende strettamente dalla metafisica che egli, tuttavia, deve ancora formulare, non accontentandosi di quella tradizionale.
Ed invece una morale deve necessariamente esserci, perché si vive e perciò è necessario comportarsi secondo qualche norma. Ogni uomo, anche se non lo crede e non ci riflette, vive secondo delle regole, come l’altruismo o l’egoismo, il sacrificio o il piacere; tocca alla ragione decidere quali tra queste norme debbono essere seguite.
La ragione, tuttavia, decide solo attraverso la filosofia, la quale richiede una lunga indagine: di qui la necessità di una che non sarà assolutamente irrazionale e arbitraria ma fondata sui motivi che la ragione ha, in questo momento, a sua disposizione giacché la situazione dell’uomo che si propone l’indagine filosofica non è certo quella di dover passare dallo stato irragionevole a quello ragionevole, ma solo di perfezionarsi in quest’ultimo.
L’autore fissò allora tre massime che, non lasciandolo irresoluto nelle sue azioni, lo facessero vivere quanto più felicemente fosse possibile.
La prima massima fu quella di obbedire alle leggi ed ai costumi del proprio paese, di rispettare la religione di nascita, di vivere d’accordo con gli uomini più assennati; con la seconda si impose la fermezza e la risolutezza nelle azioni e nelle opinioni a cui si fosse determinato; la terza, infine, fu di vincere se stesso anziché la fortuna, e di cambiare i propri desideri anziché l’ordine del mondo; di capire cioè che si è padroni solo di se stessi e che non bisognava affannarsi troppo per le cose esterne.
Cartesio dedicò all’esercizio di questa morale provvisoria ben diciassette anni della propria vita: nove (1619-1628) in continui viaggi da spettatore intelligente di quello che facevano gli altri e otto nella solitudine dell’Olanda, tutto dedito ai suoi studi
Diventato più maturo, l’autore poté affrontare il problema della metafisica, trattata qui nell’importantissimo capitolo quarto.
Per essere sicuro di non procedere contro le leggi dell’evidenza nel tentativo di trovare il fondamento certo e inoppugnabile della propria indagine, Cartesio volle considerare come falso tutto ciò su cui era possibile dubitare, attuando così una radicale critica su tutto il sapere con il proposito di pervenire ad un principio su cui il dubbio non fosse possibile, principio che sarebbe poi stato preso come presupposto di tutte le conoscenze che ne sarebbero scaturite.
Il primo dubbio del filosofo riguarda tutte le percezioni che ci sono trasmesse dai nostri apparati sensoriali.
Di per sé, i sensi non ci ingannano mai e questo è un punto fermo della gnoseologia cartesiana.
L’errore propriamente risiede nel giudizio con cui si pone che ciò che il senso ci presenta esiste in realtà, al di là della rappresentazione stessa. Così, esemplificando, non v’è nessun errore nell’asserire che “il sole ci appare grande come una grossa moneta”; errore è invece affermare che “il sole è grande così”.
In generale, non erra il senso ma il giudizio che afferma la realtà essere, in se stessa, come il senso la presenta. Si parla quindi per Cartesio di realismo gnoseologico dualistico, secondo cui si distingue la realtà in sé dalla sua apparenza sensibile.
Nelle sue Meditazioni, dove gli stessi argomenti del Metodo sono molto più sviluppati, il filosofo si rivolge poi a quelle conoscenze che sono reali sia nel sogno che nella veglia: le conoscenze matematiche. Per estendere il dubbio metodico anche a queste conoscenze, egli introduce l’ipotesi di un genio maligno e ingannatore che fa apparire all’uomo chiaro ed evidente ciò che in realtà è falso e assurdo. Con ciò il dubbio si estende ad ogni cosa, diventa universale e si trasforma nel cosiddetto dubbio iperbolico.
Ma è possibile lo stesso dubitare se non si ammette che il soggetto stesso dubitante è qualcosa?
Ecco quindi scaturire da questa semplice domanda – ossia dal dubbio stesso – il primo principio indubitabile della filosofia: io penso, dunque sono (dubito sed cogito, cogito ergo sum).
Vi fu però chi vide nel cogito ergo sum una conclusione sillogistica:
Chi pensa esiste
Io penso
Io esisto
Ma Cartesio stesso escluse il carattere discorsivo del suo enunciato e ne rivendicò il carattere intuitivo, cioè immediato o veramente primo. Egli, infatti, vede nel cogito una pura constatazione, una chiara intuizione della mente e non il frutto di un ragionamento della logica aristotelico – scolastica, che peraltro – come già detto sopra – egli rifiuta in quanto sterile ed infruttuosa.
Affermare il sono non significa tuttavia in nessun modo affermare anche il corpo, perché l’individuo può fingere di non averne alcuno pur rimanendo ferma la realtà del suo pensiero; da ciò segue che l’io, ossia l’anima, è interamente distinto dal corpo, è più facile a conoscersi di quest’ultimo ed esiste anche in sua assenza.
Cartesio quindi pone qui il suo celebre dualismo di spirito e materia, anima e corpo.
Secondo la concezione aristotelico – scolastica, l’uomo è un composto che risulta da due comprincipi che si uniscono in un unico ente: l’anima fa da forma (ossia da principio unificatore e vitale) ed il corpo fa da materia (ossia da principio unificato e vivificato).
La concezione cartesiana, che riprende in questo senso la tradizione platonica, invece, vede nell’uomo due enti o sostanze che si uniscono nel modo più intimo possibile ma restando sempre due enti.
Si giunge quindi al punto culminante del quarto capitolo, quando l’autore si accinge a presentare le tre famose dimostrazioni dell’esistenza di Dio.
La prima di esse muove dal fatto che l’idea di Dio sia innata in ognuno di noi.
Cartesio divide le idee in:
a) idee innate, che nascono con l’uomo.
b) idee avventizie, che provengono dall’esterno.
c) idee fattizie, costruite dall’individuo durante la vita quotidiana.
Le idee hanno quindi un valore anche come realtà oggettive, in quanto rimandano ognuna ad una cosa ben precisa e sicuramente, da questo punto di vista, un’idea che rimanda ad una sostanza contiene più realtà oggettiva di un’idea che rimanda ad un modo o ad un accidente dell’essere (per esempio: il concetto di “mela” è quindi più oggettivo di “rosso”).
Analogamente l’idea di Dio, in quanto sostanza eterna ed infinita, ha più realtà oggettiva dell’idea di una sostanza finita. A questo punto Cartesio introduce il principio secondo cui la causa deve contenere almeno tanta realtà quanto ne contiene l’effetto. Quindi se tutte le idee possono provenire dall’individuo, l’idea di Dio, sostanza infinita, non può provenire dall’individuo stesso, che è una sostanza finita e che quindi contiene meno realtà oggettiva rispetto all’idea di Dio.
Conclusione: Dio, dunque, esiste.
A questa prima prova se ne lega una seconda: se è vero che l’individuo, pur avendo l’idea di perfetto, non è perfetto, significa che costui non si è dato l’esistenza da solo, perché altrimenti si sarebbe dato un’esistenza perfetta, cioè conforme all’idea di perfezione ch’egli possiede; solo Dio, dunque, ossia l’Essere perfettissimo, può avere creato tale individuo avente l’idea del perfetto.
Le prime due dimostrazioni partono quindi dalla imperfezione intrinseca ed alla presenza in ogni uomo di qualcosa di perfetto per giungere all’esistenza di Dio, mentre la terza è una ripresa della prova “a priori” (ossia una prova che prescinde dall’esperienza sensibile) di Sant’Anselmo d’Aosta, contenuta nel Proslogium.
Dall’esistenza di Dio appena dimostrata consegue l’indubitabile certezza di tutti i nostri pensieri che ci si presentano col carattere della chiarezza e della distinzione: se così non fosse, Dio sarebbe ingannatore e quindi imperfetto, il che è contraddittorio.
Sembra tuttavia che Cartesio, in questi passi, cada in un circolo vizioso che gli fu rimproverato già dai suoi primi critici: egli ha dimostrato l’esistenza di Dio valendosi della regola della chiarezza e della distinzione ed ora dice che il valore di tale regola dipende da Dio. Esemplificando:
“Chi garantisce all’individuo l’esistenza di Dio?
Il pensiero.”
“Chi garantisce la validità del pensiero?
Dio.”
Non si sfugge.
Riassumendo, è facilmente possibile schematizzare questi primi quattro capitoli del Discorso, forse i più importanti, che si uniscono l’uno all’altro tramite connessioni semplici e passaggi evidenti:

BUON SENSO DIVERSITA’ DI OPINIONI NECESSITA’
(comune a tutti = diversità di esperienze DI UN METODO
gli uomini)
DUBBIO NECESSITA’ DI UNA MORALE INDAGINE
METODICO PROVVISORIA INTERIORE
DUBBIO 1° CERTEZZA DISTINZIONE
IPERBOLICO (penso dunque esisto) ANIMA – CORPO
ESISTENZA DI DIO
Il punto di arrivo di questo percorso, che, come già detto, non è nient’altro che la storia dell’evoluzione filosofico – intellettuale di Cartesio, sembra proprio programmato: è l’esistenza di Dio.
Gli argomenti che seguiranno nel testo, pur essendo molto rilevanti per una completa visione dell’autore, non sono nient’altro che dei corollari, se così possono essere definiti, del Metodo scoperto precedentemente e che ha portato alla più grande delle dimostrazioni di tutta l’opera.
Si parte perciò dalla messa in discussione di tutto per poi giungere attraverso questo stesso dubbio all’assioma che governa questa nuova e moderna filosofia: l’esistenza dell’individuo, come essere imperfetto in quanto dubitante, è sufficiente a determinare e a palesare l’esistenza di Dio, essere perfetto.
La quinta parte del Metodo raccoglie una sorta di compendio sulla Fisica cartesiana, come riassunto del più completo lavoro “Il Mondo” o “Trattato della luce”.
Si parte dall’analisi dei corpi inanimati e delle piante, con particolare attenzione alla natura del fuoco, per poi passare all’esame degli animali e degli uomini.
Interessante è anche la spiegazione sul funzionamento del cuore, la cui diastole si spiega in funzione del calore ad esso interno che dilata il sangue che vi arriva dalle vene; e la sistole in funzione del sangue che, raffreddandosi, lo fa sgonfiare.
Fisicamente uomini e animali altro non sono che organismi perfetti creati da un Artefice perfettissimo: l’uomo supera il proprio “automatismo” in quanto è anima.
Gli animali, viceversa, non sono dotati né di ragione (1° tesi) né di anima (2° tesi) ma sono semplici macchine come lo sarebbe il corpo umano preso singolarmente.
L’anima, dunque, spetta soltanto all’uomo e non deriva per nulla dalla materia; essa quindi non è soggetta a morire col corpo e, dato che non ci sono altre cause che la distruggono, è immortale.
E’ molto interessante notare, proprio in questa sede, gli sforzi compiuti da Cartesio per esplicare, il più scientificamente possibile, i misteri della natura, nel tentativo di applicare il proprio metodo alle difficoltà di tutte le scienze.
4)
I
l Discorso sul Metodo offre al lettore molti aspetti interessanti.
Attraverso una prosa semplice, chiara e, quindi, anche piacevole, Cartesio affronta i temi cruciali dell’uomo: il problema dell’anima e del corpo, della natura che ci circonda e dell’esistenza di Dio.
L’elemento, tuttavia, che più di tutti è degno di nota, è il suo tentativo di dare una risposta a questi quesiti esistenziali attraverso un metodo di indagine nuovo, un criterio di analisi matematico.
Ma Cartesio stesso che alza la propria protesta personale contro la Scolastica – fatto molto interessante – cade qui subito in un errore indiscutibile, quando pretende di matematizzare tutto il sapere, ossia d’estendere le forme concettuali proprie della matematica – scienza che cominciava allora a celebrare i suoi grandi trionfi nello studio della natura – a tutte le discipline.
Come la decadente scolastica poteva considerarsi un metafisicismo, così il cartesianismo può chiamarsi un matematicismo.
La critica posteriore ha sanato entrambe le correnti: così, in particolare, ha restituito la metafisica classica alla purezza delle sue linee, sgravandola di tutte le incongrue responsabilità di cui la si era voluta caricare e restringendola al suo campo proprio che è quello dello studio dell’ente in quanto ente. Con ciò era sottratto alla sua competenza lo studio della realtà dell’esperienza, nel quale doveva invece affermarsi la scienza moderna col suo nuovo metodo detto appunto sperimentale (G. Bontadini).
Interessantissimi sono anche il concetto di realismo gnoseologico dualistico, espresso sopra, la ripresa in certi punti della tradizione platonica e la grande modestia di quest’uomo, il cui motto più caro recitava:
Bene vixit qui bene latuit
(Visse giustamente, colui che rimase sconosciuto)
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