"Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters

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Testo

Edgar Lee Masters
Antologia di Spoon River

Edgar Lee Masters
La vita
Edgar Lee Masters nasce a Garnett, Kansas, il 23 agosto 1869 in una solida famiglia patriarcale che coltiva gli ideali dei pionieri americani e rispetta i rigidi codici dell’educazione sudista. I bisnonni, partiti dalla Virginia al tempo della guerra contro gli Inglesi, sono approdati in Illinois all’inizio del secolo. Qui, a Petersburg, sulle rive del fiume Sangamon, i nonni paterni, cantati nell’Antologia di Spoon River con il nome di Lucinda ed Davis Matlock, trascorrono la maggior parte della loro vita. Dei loro dodici figli, otto muoiono ancora giovani; uno diventa avvocato, si impegna in campagne progressiste che non faranno mai la sua fortuna economica, e sposa una ragazza di ferree idee puritane.
Dopo la nascita, il piccolo Edgar Lee viene cresciuto nella fattoria dei nonni a Petersburg, dove frequenta la scuola tedesca. A undici anni si trasferisce con la famiglia in un’altra piccola città, Lewiston, bagnata da un altro fiume, lo Spoon. Per comprare i libri che ama si adatta a trasportare carbone, a fare lo strillone di giornale e anche il tipografo. Incomincia a scrivere poesie sotto l’influenza di un’insegnante del liceo, e qualcuna gli viene pubblicata sul quotidiano locale. Si innamora di Margaret George, figlia di un ministro presbiteriano, che in Spoon River diventa l’infelice Julia Miller. Dopo aver frequentato per un anno il Knox College, il padre lo convince ad abbandonare gli studi umanistici ed ad affiancarlo nel suo lavoro.
A ventitré anni, dopo un litigio con la madre, parte per Chicago in cerca di fortuna. Tenta la strada del giornalismo, fa l’esattore alla Edison, ma alla fine è costretto a entrare nello studio legale di un famoso penalista. Come avvocato ha successo. Viene introdotto nella buona società cittadina. Frequenta gli ambienti culturali di quella Chicago che per breve periodo, dopo Boston e prima di New York, è diventata la nuova capitale letteraria d’America.
Continua a scrivere poesie. Il primo libro gli viene pubblicato nel 1898. Nello stesso anno sposa Helen Jenkis, che gli darà tre figli; da lei divorzia nel 1917 e alcuni anni più tardi si sposa con Ellen Cogne. Scrive poemetti storici, tragedie in versi e sonetti. Da tempo pensa di raccontare la storia del suo villaggio, ma la forma del romanzo non lo convince.
Nel 1913 William Marion Reedy, direttore del “Reedy’s Mirror” di Saint Louis, gli suggerisce la lettura dell’Elegia scritta in un cimitero di campagna dell’inglese Thomas Gray e, soprattutto, gli epigrammi e gli epitaffi greci dell’antologia Palatina. Nel maggio del 1914 Master scrive la Collina e i ritratti di Fletcher McGree e di Hod Putt, che il 29 dello stesso mese vengono pubblicati sul Mirror sotto lo pseudonimo di Webster Ford. Da allora i suoi versi in forma di epigrafe continuano ad uscire con regolarità fino al cinque gennaio 1915. A partire da 20 novembre compaiono con la vera firma del loro autore. Nell’aprile del 1915 escono a New York in volume. L’edizione definitiva, quella con 244 poesie, è del 1916. Il successo è clamoroso. Anche lo scandalo. Nel 1924 appare un’assai meno felice The new Spoon River. Nel frattempo Masters ha abbandonato il lavoro avvocato. Scrive un’autobiografia e delle biografie, romanzi, racconti e ancora versi, ma di scarso valore e fortuna. Nonostante la straordinaria accoglienza che l’Antologia di Spoon River ha in Europa, dove si reca in viaggio un paio di volte, Master è in miseria. Abita solo al Chelsea hotel di New York e sopravvive grazie a qualche conferenza e ai prestiti di pochi amici. Quando il fatto diventa pubblico, Theodore Dreiser ottiene che gli venga consegnato un premio di 5000 dollari. La seconda moglie, dopo venti anni, si riconcilia con lui e lo fa ricoverare al convalescenziario di Melrose Park in Pennsylvania. È sempre Dreiser a pagargli la retta. All’età di 81 anni, il 6 marzo del 1950, muore in seguito a una polmonite. La cerimonia funebre si svolge in forma solenne nel palazzotto vittoriano con le guglie, le finestre d’angolo e il tetto d’ardesia, che egli aveva descritto nell’epitaffio di Lambert Hutchins.
Sulla lapide sono incisi i versi di una sua poesia, Domani è il mio compleanno:
Buoni amici andiamo nei campi.
Dopo un po’ di passeggio, con il vostro permesso
vorrei dormire. Non c’è cosa più dolce
ne più benigno destino che il sonno.
Non sono che il sogno di un sonno benigno.
Andiamo a passeggio e ascoltiamo le allodole.
Le opere
Ottant’anni, una vita passata a inseguire la poesia e, dopo averla incontrata per una breve e felice stagione, a rimpiangerla, a cercare con accanimento di ritrovarla. E. L. M. è l’uomo di un solo straordinario libro, con il passare del tempo più amato all’estero che in patria. È un attore che appartiene al limbo della letteratura, come notò Mario Praz, al Parnaso Internazionale dei geni d’esportazione. Ha scritto le poesie che formano l’antologia di Spoon River all’età di 45 anni, nel giro di 8 mesi, tra il maggio del ’14 e i primi giorni del gennaio del ’15. Quando esce nell’aprile di quell’anno, il volume contiene 213 epigrafi, più la Collina, a mo’ di prologo, scritta per prima a metà maggio del ’14, dopo aver accompagnato al treno la madre venuta a trovarlo a Chicago. Un insuperabile anno da poeta incastonato in una vita di uomo di legge. Prima e dopo Spoon River, nonostante la tenacia e la buona volontà, E. L. M. non è più riuscito a produrre nulla di valore.
Sin da giovane aveva scritto poesie, poi pubblicate in volume nel 1898. Nel 1902 aveva portato diligentemente a termine una tragedia in versi, Massimiliano. Nel 1905 aveva dato alle stampe un poemetto storico, il Sangue dei Profeti. Negli anni successivi aveva firmato con lo pseudonimo di Wester Ford un libro di canzoni e uno di sonetti. Dopo l’antologia, che lo rese celebre nel mondo, nel ’24 tentò invano di rinverdire il successo con una solita di seguito meno ispirato, di tono più accusatorio, the New Spoon River.
Tra il 1916 e il 1942 scrisse dozzine di raccolte in versi, alcuni lavori teatrali, cinque biografie e un feroce profilo di Lincoln.
Spoon River, dunque: il miracolo. Le brucianti confessioni di uomini e donne, che attraverso la memoria, riesumano la dannazione, il patetico o la miseria della loro vita, una vita perlopiù sprecata, consumata lottando dai desideri e dalla felicità. Uomini e donne ai quali la morte, come scriveva Malreaux, ha mutato la vita e il destino. Un tragico senso di disfatta emerge dalle loro voci che distillano in poche parole la cruda verità, alzata come bandiera contro “le false cronache delle pietre”, contro la tirannica ipocrisia che ha viziato la loro esistenza. Quasi tutti i defunti si autodenunciano con una sincerità violenta, commossa e dolente. Registrano il loro fallimento, l’amara constatazione che la realtà contrasta con l’ideale conseguito e con le illusioni. Riflettono il pessimismo dell’autore che, pur tentando di raggiungere ad una “rappresentazione epica della vita moderna”, non dimentica delicatezza e umana ironia nel far parlare il suo popolo di morti. Risulta così un’epica piuttosto dimessa, sobria e pacata, e forse per questo veramente universale.
Masters ha scritto che la lettura dell’Antologia Palatina lo aveva ispirato, suggerendogli una forma che era “qualcosa meno del verso, ma più della prosa”. Dall’esperienza invece, aveva appreso come “teologia, finanza, giurisprudenza, società e le antitesi del bene e del male fossero le stesse in città e in campagna”. La sua ambizione era quella di descrivere il macrocosmo attraverso il microcosmo. Ha annotato: “il villaggio di Lewinstown mi aveva fornito una chiave per aprire i segreti di tutto il mondo. Mentre la mia carriera di poeta sembrava arenata o del tutto finita, comincia a sognare di scrivere un libro su una cittadina di campagna, ma tale da avere tanti personaggi e tanti fili e tanti modelli da diventare la storia del mondo intero”.
E così, avuto lo spunto dal fiume Sangamon, non dallo Spoon, ha preso 53 nomi della regione di Petersburg e 66 da quella di Lewinstown , ha sviluppato in ritratti intrecciati 19 storie, ha descritto le tombe di Petersburg – ma la collina, quella dove tutti, tutti dormono è di Lewinstown – e ha sigillato in un rosario di parole una straordinaria commedia umana, animata da una forte tensione etica e, per dirla con le parole di Cesare Pavese, da una “umiliata celebrazione dell’energia e della giovinezza di un grande passato”.
Analisi generale del libro:
Uscito nel 1943 per volere di Pavese 28 anni dopo la prima edizione americana, l’Antologia di Spoon River è una grande commedia di caratteri, un catalogo esemplare di stati d’animo, un, ironica e commovente enciclopedia di dolori rimpianti ed emozioni. Sulla collina in riva al fiume, i morti battezzati dalla penna di E.L.M sono inchiodati senza requie all’attimo decisivo della loro esistenza. Portano con sé una situazione, un ricordo, un paesaggio, un’immagine, un gesto: tutti riassunti in breve rosario di parole. Si svelano come mai era accaduto in vita. La loro voce, che soffia da dietro le lapidi, denuncia un desiderio di riscatto per non essere stati quello che volevano essere. In queste poesie troviamo persone di tutti i ceti sociali, dai preti agli sceriffi, dal sindaco ad una comunissima persona. Tutti, chi in un modo chi in un altro, si lamentano della passata vita terrena.
I temi e gli ideali principali che si possono trovare all’interno di questo libro sono: il pessimismo, la morte, la rassegnazione e la disperazione. Una cosa da notare è la mancanza della luce divina, cioè Dio.
Per quanto riguarda lo stile, il libro riporta una sintassi prevalentemente semplice senza l’uso di un registro linguistico troppo elevato, infatti quasi tutti i termini sono comprensibilissimi. Infatti ritengo le poesie scritte, composte in un modo molto vicino all’esprimersi dei nostri giorni.
Direi che personalmente è stato un libro che mi ha colpito molto, ne avevo già sentito parlare però non mi ero mai fidato a comprarlo (forse stupidi pregiudizi). La cosa che mi è subito balzata all’occhio è stata una struttura così strana, la storia di un paesino raccontata da poesie talvolta così struggenti da far riflettere alla vita attuale; esempio eclatante (che mi è rimasto più in mente) è la poesia di Harold Arnett che solo dalle prime parole fa capire quanto triste può essere il seguito: “Nausea, nausea…”.E poi: “Ho tirato il grilletto…tenebra…luce…indicibile rimorso…”.
La poesia che mi ha colpito di più è stata “Asso” Shaw :
Ho mai capito la differenza
tra uno che gioca a carte per soldi
e uno che compra e vende immobili,
uno che fa l’avvocato, il banchiere o qualcosa del genere.
È tutta questione di fortuna.
A ogni modo
tu lo conosci uno onesto negli affari?
Quello starà davanti ai Re!

In questa breve poesia l’autore afferma che nel successo e negli affari quello che conta è la fortuna e che vi è una gran inconciliabilità tra affari e onesta.
In questo riprende un tema che già ritroviamo in altri autori ad esempio, tanto per citarne alcuni, Dante, che nell’Inferno caccia tutti i commercianti e i banchieri e Carlo Marx ne “Il Capitale”.
Nel finale conclude con un’affermazione alquanto improbabile e provocatoria. Secondo l’autore, infatti, colui che riuscirà a conciliare onestà e affari starà davanti ai Re.
Questa poesia mi ha fatto riflettere perché anche al giorno d’oggi, nella nostra società consumistica, successo, denaro, prestigio personale e ricchezza sono valori imperanti. E non importa in quale modo si è riusciti a guadagnarli. Passano così in secondo piano aspetti della vita molto più importanti, come ad esempio l’onestà, la dignità e la responsabilità.

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