Una storia semplice, L. Sciàscia

Materie:Scheda libro
Categoria:Generale

Voto:

2.5 (2)
Download:488
Data:19.09.2001
Numero di pagine:8
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
storia-semplice-sciascia_1.zip (Dimensione: 140.06 Kb)
trucheck.it_una-storia-semplice,-l-sci+     166.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Manzini Marco 2°E
Relazione su “Una storia semplice” di Leonardo Sciàscia
AUTORE
Leonardo Sciàscia
scrittore italiano (Racalmuto, Agrigento, 1921-Palermo 1989) Insegnò nelle scuole elementari fino al 1957 e da quest’esperienza trasse lo spunto per il primo romanzo, Le parrocchie di Regalpietra (1956), che rappresenta con realismo aggressivo le contraddizioni più stridenti della società siciliana. Dopo i racconti Gli zii di Sicilia (1958) e i romanzi Il Consiglio d'Egitto (1963) e Morte dell'inquisitore (1964), Sciascia ha affrontato il tema della mafia in alcune tra le sue opere più mature: Il giorno della civetta (1961, portato sullo schermo da D. Damiani nel 1968), L'onorevole (1965), amara satira del mondo politico, e A ciascuno il suo (1966, diretto da E. Petri nel 1967 per il cinema), sulla vana ricerca di un intellettuale per scoprire i responsabili di un duplice delitto. Il procedimento di romanzo giallo caratterizza anche Il contesto (1971, da cui F. Rosi nel 1976 ha tratto il film Cadaveri eccellenti), impietosa analisi del potere politico come strumento di dominio, e Todo modo (1974, tradotto in film nel 1976 per la regia di E. Petri), lucida requisitoria contro l'arroganza del potere che si cela dietro la copertura di una falsa religiosità. A La scomparsa di Majorana (1975), che ha suscitato un appassionato dibattito nel mondo della scienza italiano, hanno fatto seguito I pugnalatori (1976), Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia (1977), i pamphlet politici L'affaire Moro (1978), Nero su nero e il libro-intervista La Sicilia come metafora, pubblicati nel 1979, Kermesse (1982), raccolta di storie incentrate su detti siciliani, La sentenza memorabile (1983), la raccolta saggistica Cruciverba (1983) e il repertorio di locuzioni siciliane Occhio di capra (1984). Del 1988 è il disincantato romanzo Il cavaliere e la morte, seguito da Una storia semplice (1989). Ai suoi due ultimi anni di vita appartengono le conversazioni con D. Porzio, pubblicate postume con il titolo Fuoco all'anima (1992). Tra il 1987 e il 1991 sono usciti i tre volumi delle Opere, curati da C. Ambroise. Sempre postume (1992) sono state pubblicate le raccolte di saggi Fatti diversi di storia letteraria e civile e A futura memoria (se la memoria ha un futuro). A Sciàscia si devono anche acuti saggi letterari (Pirandello e la Sicilia, 1961; La corda pazza, 1971) e tre testi teatrali, riuniti in volume nel 1976: L'onorevole - Recitazione della controversia liparitana - I mafiosi. Collaboratore di numerosi giornali e riviste, come saggista e critico, ha diretto Nuovi Argomenti e svolto la funzione di finissimo suggeritore editoriale per Sellerio. Spirito libero, curioso, coltissimo, critico lucido e provocatorio del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo.
TITOLO
Il titolo è quello originale ed è l’esatto contrario del contenuto del racconto: Una storia semplice, infatti, è una storia complicatissima di un giallo siciliano, che, da un ipotesi di suicidio, si passa a un omicidio vero e proprio con vari colpi di scena.
EDITORE
La storia è stata stampata nel novembre del 1989 ed è stata accolta subito dall’editore Adelphi. Ha avuto la sua quattordicesima ristampa nel settembre del 1997.
PAGINE
Il romanzo è lungo 66 pagine e si articola in 15 capitoli di 4,5 pagine di lunghezza.
TRAMA
Il romanzo inizia con una telefonata di Roccella che informava la polizia di aver trovato una “cosa”.
Il fatto non fu preso sul serio, ma il commissario s’incuriusi’ lo stesso: non tanto per la “cosa”, ma per il fatto che Roccella sia tornato a Monterosso dopo cosi’ tanti anni. In ogni caso il giorno successivo il graduato non si fa trovare, come aveva detto il giorno precedente, e, su debole richiesta del commissario, il brigadiere Antonio Lagandara si recò con due agenti al villino di Roccella. Pensando di fare una gita al posto di una perlustrazione, i tre rimasero smarriti al trovare l’ex diplomatico accasciato sulla sua scrivania con un colpo di pistola in testa. Per non toccare niente, il brigadiere mandò subito a chiamare i soccorsi. Durante l’attesa, Lagandara si mise subito all’opera cercando qualche indizio utile; sulla scrivania c’era un foglio con scritto: ”Ho trovato.”. Quel punto dopo “ho trovato” fa rivivere al brigadiere tutto ciò che era successo: Roccella aveva iniziato a scrivere cosa aveva effettivamente trovato, ma, sentendo bussare, accorse alla porta pensando ”la Polizia”; invece era l’assassino che, avendo visto la pistola che Roccella aveva precedentemente tirato fuori, fece finta di interessarsene rimirandola, per poi sparare a sangue freddo contro il povero diplomatico. Successivamente ,il brigadiere s’interessò di esplorare il resto della casa, senza però aprire le porte chiuse. Arrivato in cucina notò due cose: cinque bicchieri con ancora fondi di vino, e una scaletta buia. Antonio decise cosi’ di risalirla, fino a giungere ad un’altra stanza, un sottotetto. Qui, dopo aver speso molti fiammiferi per vedere, si accorse che vi erano soltanto busti di santi e altre cianfrusaglie. Sceso, chi doveva arrivare arrivo’. Fu incuriosito da dei catenacci nuovi che chiudevano dei magazzini che sembravano abbandonati; li osservo’ e dedusse che erano nuovi, quindi se n’andò. Astutamente si mise in macchina con il suo pari grado dei carabinieri, analizzando con lui tutto quello che aveva notato. Tornato in centrale, fu squadrato dal suo commissario, che l’avverti’ di non fare romanzi a proposito del suo rapporto: ma il romanzo era già nell’aria. In centrale era stato interrogato, infatti, il professor Franzò, il quale con le sue dichiarazioni permise di alimentare l’ipotesi del brigadiere. Nel frattempo era successo un fatto tragico: alla stazione di Monterosso, capostazione e manovale furono uccisi. Primo sospetto fu un uomo possessore di una Volvo, che, alla richiesta del capotreno , fermo da mezz’ora con il suo treno al semaforo, di andare a controllare cosa fosse successo alla stazione, sali’ con la macchina -500 metri- fin dov’era situata, ma non la si vide più ridiscendere. Richiamato dalle autorità via radio, si recò subito presso la centrale della Polizia. Qui venne subito interrogato, e spiegò di aver visto dei presunti capostazione e manovale mentre arrotolavano un tappeto (che sarà poi un quadro rubato a Roccella), e che discese da un’altra stradina secondaria quando si allontanò dalla stazione. Il commissario tentò di incastrare il fermato facendogli vedere le due foto di capostazione e manovale, ma questo non li riconobbe e fu arrestato. Dopo queste nuove rivelazioni, il caso andava sempre più complicandosi. Alcune ore dopo arrivarono il figlio e l’ex-moglie di Roccella, uno preoccupatissimo di sapere cosa, quando, perché, l’altra di accaparrare tutto quello che poteva. L’incontro non fu dei più piacevoli, poco dopo vennero interrogati entrambi: la moglie non forni’ alcun tipo di informazione utile, il figlio, invece, fece il nome di padre Cricco, che inviava una volta al mese una lettera al suo amico Roccella per informarlo delle condizioni delle sue due case. Chiamato in centrale, il frate affermò subito che non aveva le chiavi di quelle dimore e spiegò come faceva a conoscere Roccella. Finito l’interrogatorio, si recarono tutti presso il villino, dove il brigadiere sperava di trovare ancora qualcosa d’utile. Padre Cricco declinò l’invito poiché non sarebbe servita a nulla la sua presenza. Sul luogo dell’omicidio, il brigadiere notò che i magazzini erano stati aperti e che all’interno vi era uno strano odore di zucchero bruciato: concluse che erano stati i carabinieri ad aprire, ma venne contraddetto dal suo commissario. Con ancora il dubbio in testa di chi potesse essere stato ad aprire i capannoni, arrivarono fino in solaio dove avviene un colpo di scena: il nostro brigadiere, che il giorno prima aveva consumato un’intera scatola di fiammiferi per trovare l’interruttore, impallidii’ con il vedere che il commissario lo aveva trovato in un attimo. Ciò voleva significare che il commissario era già entrato in questa casa nonostante avesse precedentemente affermato di entrarvi per la prima volta. Di ritorno dal villino, Antonio si offri’ di riportare a casa il professore, ma ad un certo punto si fermò e scoppiò a piangere e Franzò, capito tutto, balbettò: ” L’interruttore ”.A casa del professore, il brigadiere espose tutti i suoi dubbi a proposito del caso, e tornò a casa molto alleggerito. Il giorno successivo, in centrale, il commissario entrò felice come al solito, si tolse la giacca, i guanti, la sciarpa, e si sedette; qui estrasse la sua pistola per lucidarla e intavolò una discussione con il brigadiere, che ,nel frattempo, stava tirando fuori la sua pistola; il commissario puntò successivamente la pistola ad alcuni oggetti per poi puntarla contro il brigadiere, che, tirata fuori la pistola, sparò dritto al cuore del commissario, che mori’ sul colpo. Il giorno successivo, su decisione dei magistrati, il caso fu archiviato e venne addossata la colpa dell’omicidio alla mano maldestra del brigadiere. Intanto l’uomo della Volvo fu rilasciato, e, all’uscita dalla centrale fu fermato da padre Cricco che gli domandò se fosse della sua parrocchia, ma l’uomo negò e scappò via tutto contento per la sua liberazione.
Sulla strada del ritorno, però, l’uomo si ricordò del volto del frate quando era alla stazione, però, onde evitare di rimettersi nei guai, continuò per la sua strada.
STILE
Il romanzo è scritto senza alcun tipo di termine tecnico o sconosciuto. La narrazione è veloce, ma molto efficace nel far comprendere la realtà della Sicilia di quegli anni.
FINALE
La storia si conclude “tiepidamente” con la liberazione dell’uomo della Volvo e con l’archiviazione del caso da parte del magistrato. Però, non ha un finale preciso: l’uomo della Volvo, infatti, mentre sta tornando a casa., si ricorda del volto di padre Cricco quando era nell’ufficio del capostazione confondendolo con lo stesso capostazione.

PERSONAGGI
- Antonio Lagandara:
è il protagonista. D’origini contadine, si è diplomato, ma, non avendo che fare, si è arruolato nelle file della Polizia, e cinque anni dopo n’era diventato sotto ufficiale. Si era iscritto alla facoltà di legge, ma la frequentava quando poteva. Il suo sogno è quello di laurearsi e far carriera come poliziotto: per questo è cosi’ diligente nel suo lavoro. Nel racconto e’ l’unico a tener’fede alle proprie idee mettendosi addirittura contro graduati più alti: infatti, rimane fermo sulla sua ipotesi a proposito dell’omicidio. E’ anche molto sensibile: nell’occasione della scoperta dell’assassino da parte sua e del professore, si dispera piangendo.
- Giorgio Roccella:
è l’assassinato. Nato il 14 gennaio 1923 a Monterosso, diplomatico in pensione, torna a Monterosso dopo 15 anni d’assenza per un suo sfizio, ma vi trova la morte il 18 marzo 1989. Ha qualche proprietà in città e in collina, un figlio ventenne, a lui molto affezionato, e una moglie, da cui è divorziato da dodici anni.
- Commissario della polizia:
è l’assassino ed è, nell’ambito del romanzo, il meno sospettabile. Facente parte della banda criminale del manovale e del capostazione, alla notizia del ritorno di Roccella, lo uccide quest’ultimo.
- Professor Carmelo Franzò:
aiuta il brigadiere nelle sue indagini e ,in un momento di crisi di quest’ultimo, lo aiuta a uscirne. In città è conosciuto da tutti, poiché era un’insegnante di lettere, e ha seguito generazioni d’alunni in cui ha lasciato un bellissimo ricordo.
- Uomo della Volvo:
E’ l’uomo chiave del racconto. Non riconoscendo capostazione e manovale, conferma l’ipotesi del brigadiere. Per la cronaca, è un farmacista.
- Padre Cricco:
“bell’uomo, alto, solenne nella veste talare” e amico della vittima, informava Roccella delle condizioni della casa di città. Alla fine scopriremo che faceva parte della banda del commissario.
- Colonnello, questore e magistrato:
sono semplicemente coloro che si mettono contro il brigadiere della polizia e, per non avere lavoro da fare, vogliono sbrigare la faccenda dell’omicidio con la spiegazione fasulla del suicidio.
SUSPENSE
L’autore ha utilizzato momenti di forte attesa nei momenti di suspense: nel “duello” tra il brigadiere e il commissario, infatti, crea un’attesa forte mentre il brigadiere tira fuori la pistola dal cassetto e poi con un improvviso balzo spara al commissario.
NARRATORE
Il narratore utilizza due modi per raccontare la vicenda: inizialmente il narratore è esterno, descrivendo varie situazioni senza sapere le intenzioni o i pensieri dei personaggi, poi “entra” nella mente del brigadiere descrivendo tutto dal suo punto di vista.
TEMPO
Il racconto si svolge secondo la fabula, eccetto qualche digressione sul brigadiere o su Roccella descrivendo la loro storia. Il tempo reale è di circa cinque giorni.
LUOGHI
La storia si svolge in un paesino di campagna nella Sicilia degli inizi anni 90, più precisamente a Monterosso e in contrada Cotugno, dove è situata il villino di Roccella
CONCLUSIONI
Il romanzo è una descrizione perfetta di quella che era e che è la Sicilia dei nostri tempi: i lati negativi della giustizia del meridione e i lavoratori saggi e diligenti, come il brigadiere Antonio Lagandara.

Esempio