Tesina sull'inizio del '900

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Testo

INDICE
L’ITALIA DAL 1900 AL 1914
Quadro storico
La cultura
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
Cause e scoppio del conflitto
Le operazioni di guerra sino al 1915
L’intervento dell’Italia (24 maggio 1915)
Le operazioni militari nel 1916
L’intervento americano 1917
La vittoria dell’Intesa
Britain at war
Le condizioni dell’Italia dopo i trattati di pace; la questione di Fiume
GABRIELE D’ANNUNZIO
Le prime opere
Le opere della volontà e del superuomo
Il cantore delle poesie della vita
L’ITALIA DAL 1900 AL 1914
Quadro storico
Dopo le amarezze della repressione del 1898, proprio con l’ondata reazionaria di fine secolo, il Novecento si apre in un clima apparentemente più disteso.
I primi cinquant’anni del nostro secolo vedono grandi mutamenti in tutti i campi e la crisi di ideologie e istituzioni secolari, il sorgere di nuove idee, forze e istituti che nel complesso hanno conferito una nuova fisionomia alla civiltà.
Con il nuovo ministero Giolitti non si parla più di leggi eccezionali e si ristabiliscono i diritti di associazione e di libertà di stampa tanto a giungere addirittura a parlare di diritto di sciopero.
Una politica largamente liberale si raggiunge soprattutto quando Giolitti prende in mano le sorti del governo, che tiene, tranne qualche breve intervallo, fin quasi alla vigilia della prima guerra mondiale.
Uno dei principali intenti di Giolitti è quello di favorire l’elevazione delle classi popolari attuando una notevole legislazione sociale che regola il lavoro delle donne e dei bambini, stabilisce la responsabilità degli imprenditori per gli infortuni sul lavoro, istituisce le Casse di previdenza; egli attua in sintesi riforme tali da appagare i bisogni più urgenti delle masse.
Comprendendo pienamente il fatto che lo sviluppo industriale avrebbe conferito maggior peso alle forze lavoratrici, rendendo più consapevole la loro coscienza sociale, tenta di fare in modo che i problemi si risolvano entro lo Stato onde evitare ogni eventualità di una rivoluzione contro di esso: di qui la legislazione sociale e la ricerca di un’allenza con il socialismo riformista.
I miglioramenti salariali, acquisiti dalle masse popolari, aumentano la capacità di acquisto, che si traduce nell’aumento del benessere e del tenore di vita generale. Il periodo giolittiano risulta essere appunto notevole per la floridezza della nazione.
Si aggiunga il compimento di imponenti opere pubbliche, tra cui l’acquedotto pugliese ed il traforo del Sempione.
La fiducia nelle classi popolari di è comprovata, nel 1911, dalla nuova legge elettorale con il suffragio universale: gli elettori sono portati a da 3 milioni a 8 circa.
Giolitti invita alla collaborazione le due forze rimaste estranee al risorgimento ed ostili allo Stato da esso uscito: socialisti e cattolici, forze ormai avviate a riscuotere sempre maggiori consensi.
Il fallimento di tale intento avrà poi gravi ripercussioni nel primo dopoguerra.
Pur avendo dato frutti apprezzabili la politica giolittiana non raggiunge i suoi scopi finali per alcuni limiti intrinseci (il clientelismo, l’aver favorito il Nord industrializzato non occupandosi abbastanza del Sud), ma anche per il mutamento del quadro politico italiano (sindacalismo rivoluzionario, massimalismo socialista, nazionalismo), delle tendenze economiche (con i liberisti contrari all’intervento dello stato nell’economia), nonché della stessa cultura: Lo scoppio della prima guerra mondiale con la partecipazione dell’Italia al conflitto, segna la sconfitta di Giolitti e la vittoria dell’irrazionalismo.
La cultura
Le tensioni sempre più aspre create dalla politica imperialistica e coloniale tra le grandi potenze europee; le contraddizioni insite nel sistema capitalistico, fonti di conflitti sociali spesso accesi e violenti; il successo dell’ideologia marxista che favorisce la maturazione nel proletariato di una coscienza di classe sempre più solida, il clima politico e sociale nell’insieme fanno sì che si vada approfondendo, soprattutto tra le giovani generazioni, una crescente insoddisfazione per la cultura positivista, che giunge al rifiuto consapevole di ogni forma di razionalismo.
Viene meno l’ottimismo positivista, la fiducia nel prograsso inarrestabile dell’umanità e subentra per contro un pessimismo che sfocia spesso nell’attesa di qualche imminente catastrofe o sciagura (pessimismo per altro accentuato dalle due guerre mondiali), di cui si trova traccia nelle principali opere dell’epoca (Pirandello, Kafka, Mann, Svevo ecc..)
Arte e filosofia convergono i loro interessi ora sull’uomo, sulla centralità dell’uomo come soggetto, insorgendo contro l’accentuata trasformazione tecnologica e il dominio conoscitivo della scienza.
Tornano in primo piano i problemi dell’interiorità, del destino, della funzione dell’uomo nel mondo, mondo in cui l’uomo si muove spinto da recondite sollecitazioni che sfuggono a ogni regolamentazione: si passa in sintesi dal razionalismo all’irrazionalismo, fenomeno che concerne in generale tutta la cultura del primo Novecento e che si concretizza in quella vasta corrente denominata “Decadentismo” e che aveva inoltre trovato precedenti nelle correnti filosofiche dell’irrazionale sorte negli ultimi decenni dell’Ottocento (intuizionismo di Bergson, superomismo di Nietzsche per citarne solo alcuni).
In realtà il sopravvento dell’irrazionalismo è in stretta relazione con la crisi di quegli ideali che avevano costituito il vanto dell’espansione e del primato della borghesia, la quale ormai cominciava a perdere slancio e fiducia nei propri miti anche per le ragioni su esposte.
Nella società industriale gli scrittori si sentono emarginati, il contrasto tra uomo e società, in particolare intellettuale e società si inasprisce sempre di più; allora il poeta invano ricerca la propria funzione, un nuovo rapporto con il pubblico; anziché adoperarsi per offrire soluzioni alle contraddizioni socio-culturali del tempo gli scrittori si sottraggono all’impegno rifugiandosi nell’irrazionalismo e nell’attivismo (D’Annunzio e Futuristi), ora invece si schierano con la borghesia meno evoluta nella ricerca di soluzioni autoritarie (sipensi al caso Dreyfus in Francia , o all’ondata reazionaria di fine secolo in Italia), infine arrivano a riaffermare il valore redentorio della guerra “igiene del mondo”, “bagno di sangue” purificatore (Papini e le riviste fiorentine del primo Novecento, da “Hermes” a “Il Regno”, a “Il Leonardo” a “Lacerba”).
Il Decadentismo finisce per riprendere il soggettivismo romantico esasperandolo; scopre la presenza dell’inconscio nell’uomo; ricerca, al di là dell’apparenza delle cose, una più profonda realtà che sfugge alla ragione e alla quale ci si può accostare solo attraverso l’intuizione artistica: la poesia è intesa pertanto come immediata illuminazione dell’inconscio, rivelazione di una realtà noumenica che si contrappone a quella fenomenica, tanto che la poesia stessa si libera da ogni vincolo logico, metrico e stilistico. Il poeta diviene “veggente” e per esprimere la più profonda realtà delle cose si affida a “parole-musica”, simboli, sinestesie.
Nato da un’età di profonda crisi spirituale il Decadentismo esprime la consapevolezza della precarietà della condizione umana con la susseguente scoperta della solitudine dell’uomo che ha di fronte una società ostile ed incomprensibile, che ha difficoltà a comunicare con altri uomini per il polisensismo della parola e l’impossibilità di fissare una volta per tutte la propria identità e quella degli altri. Nasce così l’angoscia esistenziale che poi sfocerà nella corrente filosofica esistenzialista.
Tuttavia il poeta decadente, capace di crearsi un suo mondo grazie all’arte, si sente padrone della sua sorte ed avverte che il suo compito è quello di svelare l’ignoto, da qui i vari atteggiamenti quali il mito del “superuomo” o l’estetismo. Divenendo l’arte “pure atto di vita” e non potendo la vita realizzarsi in tuta la sua essenza che nell’arte, i confini delle due si trasfondono (D’Annunzio, Wilde):
Nell’eterogeneità di atteggiamenti che caratterizza il Decadentismo, incluso quello italiano troviamo un rifugio nella fede con la figura del “santo” per Fogazzaro così come la celebrazione dell’eroismo in D’Annunzio con il suo mito del superuomo; il ritorno alla natura rivista con gli occhi ingenui del “fanciullino” per Pascoli; la rinuncia alla fede e ad ogni altro mito consolatorio e innalzano a protagonista del loro tempo l’”inetto”, l’uomo “senza qualità” ponendosi agli antipodi del superuomo dannunziano.
Esprimendo le aspirazioni della media e piccola borghesia italiana del tempo, borghesia abbandonata a sogni di grandezza e spinta ad un attivismo di tipo irrazionalistico per non affrontare concretamente e consapevolmente i problemi del tempo, D’Annunzio raccoglie maggiori consensi tra tutti.
Non a caso gli ideali dannunziani ispirano Papini e Prezzolini, fondatori delle riviste fiorentine “Il Leonardo”,”La voce”, “Lacerba”, sulle cui pagine oltre a trovare espressione tali ideali si accende un dibattito significativo ai fini stessi dell’intervento italiano nella prima guerra mondiale. Si ricordi che “Lacerba”, rivista futurista (e il Futurismo rappresenta la prosecuzione per molti versi degli ideali dannunziani) si scioglie appena dichiarato l’intervento da parte del nostro paese, ritenendo assolto il suo compito primario.
Si può pertanto concludere affermando che il trionfo degli ideali dannunziani favorisce in primis al partecipazione dell’Italia alla Guerra del 1914-18, per poi condurre alla vittoria del fascismo propiziata dal poeta stesso.
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
Cause e scoppio del conflitto
La guerra del 1914 fu un avvenimento nuovo nella storia dell’umanità, perché fu la prima guerra di entità tale da coinvolgere pressoché l’intero pianeta.
Lo scontro implicò i maggiori stati, i quali impegnarono le capacità produttive dell’industria moderna e le risorse della tecnica per preparare più potenti strumenti di offesa e di difesa.
Si trattò in più di una guerra di massa, combattuta per terra, per mare e nell’aria con impiego di armi mai usate prima (carri armati, aerei, sommergibili) e con il ricorso di nuovi mezzi di lotta economica e persino psicologica. Fu combattuta dai belligeranti fino all’esaurimento e al crollo. E finì con l’apportare radicali sconvolgimenti anche nell’economia internazionale con conseguenze perduranti negli anni a venire.
Molteplici sono le cause del conflitto e molte sono da ricercare nella situazione politica europea, nei complessi sistemi di alleanze, le cui formazioni maggiori erano la Triplice Alleanza costituita da Germania, Austria-Ungheria, Turchia(solo per mire espansionistiche sui balcani e in Jugoslavia), Italia (in un secondo tempo) e l’Intesa formata da Serbia, Montenegro, Russia, Francia, Belgio e Inghilterra, a cui si aggiunse il Giappone per impadronirsi delle posizioni tedesche in estremo oriente. Si dichiarano inizialmente neutrali Italia e Romania.
Comunemente gli storici indicano tra le principali cause del primo conflitto mondiale:
- il contrasto anglo-tedesco, determinato dal tentativo di primato dei tedeschi in campo politico e commerciale, soprattutto in quello marittimo;
- il contrasto franco-tedesco determinato dal desiderio francese di rivincita dopo la sconfitta subita nel 1870 ad opera dei tedeschi:
- il contrasto austro-russo per l’egemonia dei popoli slavi della penisola balcanica;
- il contrasto russo-turco per la tendenza secolare della politica russa ad entrare nel Mediterraneo a spese della Turchia;
- gli irredentismi per cui genti sottoposte alla dominazione straniera miravano a liberarsi: l’Italia, aspirava alla liberazione di Trento e di Trieste; la Serbia aspirava alla liberazione degli slavi sottoposti all’Austria; la Romania mirava alla Transilvania austriaca.
- infine gli imperi centrali (Germania e Austria) avevano la sensazione di essere accerchiati e sotto la minaccia di un aggressione, tanto da portare al potere potenti caste militariste e reazionarie.
Causa occasionale fu l’attentato a Sarajevo il 28 giugno 1914 in cui fu assassinato l’arciduca erede al trono d’Austria e Ungheria, Francesco Ferdinando.
L’Austria, d’accordo con la Germania, attribuì al governo serbo la responsabilità dell’eccidio, cogliendo il pretesto fornito dall’attentato per distruggere in realtà la potenza serba.
D’accordo con la Germania, ma all’insaputa dell’Italia, inviò ai serbi un ultimatum che avrebbe posto la Serbia sotto dominio austriaco.
La Serbia non potè accettare tali condizioni e l’Austria si preparò a varcare il confine serbo (28 luglio).
La Russia temendo un’alterazione dell’equilibrio balcanico a proprio svantaggio, ordinò al proprio esercito di tenersi pronto ad un intervento. A fronte di tale pericolo la Germania dichiarava guerra alla Russia (31 luglio) e subito dopo alla Francia (2 agosto).
Per raggiungere il territorio francese Tedeschi non esitarono ad invadere il Belgio neutrale, causando così l’intervento dell’Inghilterra contro Germania e all’Austria (4 agosto) che vedeva minacciato il suo predominio nel Mare del Nord. Mentre gli inglesi attaccavano le colonie tedesche in Africa, il Giappone dichiarava guerra alla Germania (23 agosto) ed attaccava i possedimenti tedeschi in Asia. La guerra da europea era diventata mondiale.
L’attenzione generale si concentrava sull’Italia che non era entrata in guerra, nonostante facesse parte della Triplice Alleanza. I patti di questa alleanza erano chiaramente difensivi, perciò era perfettamente legittimo che l’Italia si astenesse da una guerra in cui l’attacco era partito dalle sue stesse alleate. L’alleanza stabiliva inoltre che, in caso di mutamento ad opera dell’Austria dello stato politico nella penisola balcanica, l’Austria avrebbe dovuto prendere preventivi accordi con l’Italia e stabilire adeguati compensi; invece l’Austria aveva attaccato la Serbia addirittura all’insaputa dell’Italia. Quindi l’Italia dichiarò legittimamente la propria neutralità.
Le operazioni di guerra sino al 1915
La Germania era entrata nel conflitto con un gigantesco potenziale bellico così che invadendo il Belgio potè avvolgere l’ala sinistra dello schieramento franco-inglese ed abbatterlo a Charleroi; l’esercito tedesco guidato da Moltke, discendente dell’antico Maresciallo, giunse sino a 70 km. da Parigi.
Contemporaneamente sul fronte orientale i tedeschi, guidati dal generale Hindenburg, battevano nell’agosto e nel settembre del 1914 i russi a Tannemberg.
I tedeschi e gli austriaci non riuscirono tuttavia a sfondare più a sud, anzi vennero respinti dai russi che conquistarono la Galizia giungendo infine ai Carpazi.
Ad aggravare la situazione della Triplice intesa contribuiva la partecipazione della Turchia a fianco dell’Austria e della Germania, mettendo la Russia in grave difficoltà.
Le sorti della guerra volgevano a favore degli Imperi centrali, quando sopravvenne il “miracolo della Marna”. I tedeschi, giunti sino a Compiègne, furono sbaragliati dai francesi guidati da Joffre sul fiume Marna e costretti a retrocedere.
Un nuovo tentativo tedesco di tagliare i rifornimenti all’Inghilterra alla Francia, la cosiddetta “corsa al mare” o “battaglia delle Fiandre”, non ebbe esito felice. I tedeschi furono costretti a trincerarsi in atteggiamento aggressivo e difensivo: dalla guerra di movimento si passò alla guerra di posizione o di trincea. Sul fronte occidentale erano quindi falliti i tentativi tedeschi di occupare Parigi e schiacciare la Francia, ma la guerra rischiava in ogni caso di diventare lunga.
Diversamente andarono le cose sul fronte orientale: i tedeschi con Hindenburg proseguivano a nord l’avanzata sui laghi Masuri, così che il comando austro-tedesco decise un attacco generale contro la Russia che a sud aveva conseguito notevoli successi. Gli austro-tedeschi, al comando di von Mackensen riconquistarono la Galizia e con una manovra a tenaglia, ingegnata da Hindenburg, sbaragliarono i russi (maggio/settembre 1915) che furono costretti ad una ritirata generale. La guerra si rivelava sempre più pericolosa per l’Intesa.
L’intervento dell’Italia (24 maggio 1915)
L’Italia era rimasta neutrale allo scoppio del conflitto, ma l’opinione pubblica era nettamente divisa sull’atteggiamento da tenere. Tra coloro i quali volevano mantenere la neutralità erano i cattolici, sia per ideologie religiose sia per la posizione dell’Austria, ultima grande potenza cattolica, oltre che dalla maggioranza dei socialisti e da una parte dei liberali guidati da Giolitti. Fautori invece dell’intervento a fianco della Francia e dell’Inghilterra erano i nazionalisti ed una gran parte della borghesia intellettuale.
Questa neutralità era stata un atto a favore dell’Intesa; l’Italia aveva permesso alla Francia di sguarnire il fronte delle alpi portando quelle truppe alla battaglia della Marna.
Il Governo presieduto dal Salandra, allo scoppio del conflitto, aveva negoziato con l’Austria nel tentativo di ottenere compensi per la dichiarata neutralità, ma dovette presto accorgersi che l’Austria non intendeva accettare la sue richieste e mirava a guadagnare tempo. Inoltre si pensava che una vittoria austro-tedesca avrebbe messo l’Italia in una posizione difficile, così i ministri Salandra e Sonnino si volsero alle potenze dell’Intesa e stipularono il Patto di Londra (26 aprile 1915), con cui l’Italia si impegnava a scendere in guerra contro l’Austra entro un mese. Con tale accordo venivano garantiti all’Italia il Trentino, Trieste, l’Istria e la costa Dalmata (escluso Fiume).
Il trattato era segreto, ma il 3 maggio 1915 l’Italia uscì dalla triplice Alleanza, tuttavia il Parlamento, a maggioranza neutralistica, voleva imporre le dimissioni di Salandra per rimettere al potere Giolitti che da tempo andava affermando che l’Italia avrebbe potuto ottenere tanto dall’Austria una linea di neutralità. La guerra fu dichiarata all’Austria il 24 maggio 1915.
I recenti disastri della Russia avevano portato agguerrite truppe austriache sul fronte italiano; l’esercito italiano comandato da Cadorna era più numeroso di quello austriaco, ma inferiore per armamento.
Appena dichiarata guerra, l’esercito italiano prese l’offensiva e tratti del territorio furono strappati al nemico con battaglie sanguinose. Erano guadagni modesti, però l’intervento italiano ebbe una grandissima importanza nell’andamento generale della guerra; infatti proprio in quel tempo l’Intesa subiva una grave sconfitta a Gallipoli, in un tentativo franco-inglese di ristabilire le comunicazioni con la Russia, impedite dalla Turchia.
La Bulgaria entrava in guerra (ottobre 1915) a fianco degli Imperi Centrali ed un attacco combinato su due fronti, bulgaro ed austro-turco, portava la disfatta della Serbia; i resti dell’esercito serbo furono salvati dalle navi italiane. Prezioso fu quindi per l’Intesa l’intervento italiano.
I coraggiosi attacchi dell’esercito italiano sia sul fronte trentino come su quello dell’Isonzo, anche se vittoriosi, finivano per infrangersi contro le fortificazioni austriache ed anche il nostro fronte si irrigidì nella guerra di posizione e di trincea.
Le operazioni militari nel 1916
Vittoriosi su tutto il fronte orientale, gli Imperi Centrali decisero due campagne che avrebbero dovuto dare loro la vittoria anche sul fronte occidentale: la prima è la campagna tedesca contro i franco-inglesi, la seconda quella austriaca contro l’Italia.
La campagna tedesca è nota con il nome di battaglia di Verdun: imponenti masse tedesche, con materiale bellico, attaccarono con violenza il campo trincerato francese di Verdun per mesi e mesi, ma non riuscirono a sfondare; quasi mezzo milione di francesi e tedeschi caddero sul campo.
La campagna austriaca contro l’Italia fu caratterizzata da una violenta offensiva sugli altipiani in direzione di Vicenza, nel tentativo di sfondare il fronte italiano e dilagare nella pianura. Ma l’esercito italiano resistette, determinando la caduta di importanti posizioni austriache e giungendo alla presa di Gorizia.
Sul mare la flotta inglese si scontrava con quella tedesca nella battaglia dello Jutland che si concluse riconfermando con una certa superiorità tedesca, la Germania, ciò nonostante, non riuscì ad avere il dominio dei mari.
La Russia sbaragliava l’Austria in Bucovina, incoraggiata da questo successo la Romania intervenne nella guerra a fianco dell’Intesa (agosto 1916), ma in pochi mesi fu invasa e quasi interamente occupata.
La guerra volgeva ancora a favore degli Imperi Centrali, ma anche questi cominciavano oramai a capire che si trattava di una guerra di logoramento, così tentarono una offerta di pace, mirando a conservare i territori occupati in: Belgio, Francia, Russia e nei Balcani. L’offerta naturalmente non fu accolta.
L’intervento americano 1917
Iniziava così il quarto anno di guerra, il più angoscioso.
La Germania scatenò la guerra sottomarina illimitata, silurando qualsiasi nave di qualsiasi paese che si dirigesse verso porti degli stati della Intesa. Ma questo sistema di guerra incitò il Presidente degli Stati Uniti d’America, Wilson, ad ammonire la Germania che avrebbe considerato atto di guerra l’affondamento di navi statunitensi. Ed infatti al primo siluramento di una nave americana, le dichiarò guerra (aprile 1917).
L’intervento degli Stati Uniti, a fianco dell’Intesa, ebbe una grande importanza, perché l’America metteva a disposizione degli stati alleati, per il proseguimento della guerra, materiali e viveri in quantità illimitata ed in un secondo tempo anche degli uomini. Il contributo degli Stati Uniti risultò fondamentale nel momento che l’Intesa veniva a subire un gravissimo colpo a causa della rivoluzione russa.
Prima della rivoluzione il sistema economico russo era arretrato a causa di una borghesia molto debole; l’economia era basata sulla agricoltura con risvolti feudali.
In Russia si sono susseguite tre rivoluzioni: la prima nel 1905 che fallì e lo Zar rimase in vita; la seconda nel febbraio 1917 che determinò l’abdicazione dello Zar; la terza nell’ottobre dello stesso anno che portò al potere il comunismo e Lenin. L’esercito tuttavia era stanco e sfiduciato; si susseguirono scioperi a causa della scarsità di alimenti poiché esso era formato prevalentemente da contadini che, essendo in guerra, non potevano coltivare i campi.
Sorsero così i primi soviet e cioè consigli di soldati, operai e contadini che si diffusero rapidamente e costituirono un governo del paese. In questo caos si fece avanti un partito poco numeroso ma ben organizzato, il partito comunista o bolscevico con a capo Lenin e Trotzki, che erano tornati in patria dall’esilio attraverso la Germania che contava sulla loro opera per scardinare il fronte russo che in realtà era già allo sfascio.
Lenin e Trotzki compresero subito la situazione delle masse e la forza dei soviet e appoggiandosi a questi lanciarono il segnale della insurrezione generale (ottobre 1917) per mezzo della quale si impadronirono del potere. L’esercito russo poteva considerarsi dissolto: col trattato di Brest-Litovsk la Russia si ritirava dal conflitto abbandonando ai tedeschi vasti territori.
Di conseguenza sul fronte italiano si concentrarono molte truppe austro-tedesche le quali sfondarono a Caporetto.
La nuova linea di resistenza italiana fu stabilita sul Piave, dal nuovo comandante Armando Diaz che concentrò tutte le forze disponibili sferrando una controffensiva, vanamente gli austro-tedeschi tentarono di sfondare le linee italiane.
La vittoria dell’Intesa
Approfittando del crollo della Russia, il comando tedesco iniziò sul fronte francese una serie di terribili offensive che ricondussero i tedeschi sulla Marna. Ma erano gli ultimi sforzi di un esercito ormai stremato.
Sul fronte italiano, per tutto l’inverno 1917-18, gli austriaci tentarono tutti i mezzi per passare il Piave ed invadere il Grappa, attaccato per mesi e mesi con mezzi imponenti ma senza ottenere alcun successo. Il tentativo austriaco fu ripetuto nel giugno 1918 anch’esso senza successo.
Per mare, l’Austria tentò di forzare il canale d’Otranto sbarrato dalle forze italiane, ma le flottiglie di Rizzo costrinsero gli austriaci a ritirarsi. Il 24 ottobre il generale Diaz iniziò una grandiosa battaglia, la battaglia di Vittorio Veneto. L’esercito italiano passato il Piave, sfondava in tre punti lo schieramento nemico e ne accerchiava le posizioni; era il crollo dell’Austria.
Il crollo austriaco determinò un gravissimo contraccolpo in Germania, il nuovo governo provvisorio chiedeva l’armistizio (11 novembre1918).
Iniziarono le difficili trattative della pace.
BRITAIN AT WAR
From Nineteen-fourteen To Nineteen-nine
The First World War is also called the Great War. Britain was not ready for fighting, while the Germans were well organized. In fact they almost defeated the Allies in the first few weeks of war in 1914.At first, those who joined the army were volunteers, but in 1916 men from 18 to 41 were forced to go to fight. Women replaced men in their civilian jobs with competence and good results. During 1916 large contingents from Canada, Australia, New Zealand and South Africa reinforced the British troops, who resisted the German attacks in France, however, the heavy losses suffered at Verdun and at the battle of the Somme created discontent with the Prime Minister, who was replaced by LLOYD GEORGE in December 1916. In the meantime German attacks to neutral American ships caused America to enter the war. The arrival of American troops in France ended the hopes of Germany, which surrendered in November 1918.
The PEACE TREATY was signed at Versailles in 1919 by Lloyd George, George Clemenceau of France, the American president Wilson and Vittorio Emanuele Orlando of Italy. The victory gave Britain new colonies in East Africa (Tanganyika). The most ambitious result of the four statesmen was the LEAGUE OF NATIONS, established in Geneva in 1920. It can be considered as a precursor to the United Nations in its basic purpose to secure the peaceful settlement of international disputes and to guaranteee all nations against aggression. The League had two fundamental problems: its constitution was not clear, and not all the great powers were members. In fact the United States refused to join it, and neither Germany nor Soviet Russia were invited to join.
Le condizioni dell’Italia dopo i trattati di pace; la questione di Fiume
Con il trattato di pace di Saint Germain l’Italia aveva ottenuto il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia. Restava in sospeso la questione della Dalmazia e la questione di Fiume. Tuttavia Fiume era città italianissima e prima ancora della fine della guerra aveva espresso la volontà di unirsi all’Italia.
La conferenza della pace aveva avutocome protagonisti i cosiddetti quattro grandi: Wilson, Loyd-George, Clemenceau ed Orlando. Wilson aveva tentato senza riserve di difendere il suo piano di pace, ma si era scontrato con il gioco più abile di inglesi e francesi, gioco di cui l’Italia stessa aveva fatto le spese.
La delegazione italiana, infatti, era giunta persino a ritirarsi per protesta, pur tornando successivamente (dopo aver ottenuto Orlando la fiducia del Parlamento, come gesto simbolico a sottolineare la piena solidarietà dell’intero paese) per non compromettere ulteriormente la posizione dell’Italia.
Tuttavia era troppo tardi: lavori si erano già conclusi in assenza dei rappresentanti italiani. Il malcontento italiano diveniva crescente per quella vittoria “mutilata”, dato il trattamento ottenuto dal paese, nonostante gli accordi previsti nel Patto di Londra.
Su tali sentimenti fecero facilmente leva gruppi nazionalistici.
Significativa è l’iniziativa del poeta Gabriele D’Annunzio il quale, mentre il ministro Nitti cercava di trattare diplomaticamente per risolvere la questione di Fiume, reclutò alcuni reparti di soldati guidandoli da Ronchi fino a Fiume occupando quest’ultima.
Nato a Pescara nel 1836, D’Annunzio aveva composto il suo primo libro in versi “Primo Vere” a soli 16 anni.
Non aveva mai condotto a termine gli studi dedicandosi invece al giornalismo ed alla creazione di opere di varia natura e valore. Essendo uno degli interpreti più abili delle correnti di pensiero e delle mode letterarie europee, tra le quali l’esasperato sensualismo, l’estetismo raffinato e paganeggiante, la tendenza ad ignorare la realtà sociale a favore di un mondo spirituale elevato ed esclusivo, egli era riuscito a proporsi con successo sia nel mondo letterario che in quello mondano, mettendo in atto quell’estetismo (non privo di scandali e polemiche) che il Decadentismo europeo aveva da poco concepito.
Terminata la prima guerra mondiale (durante la quale aveva preso parte ad imprese eclatanti quali la beffa di Buccari ed il volo su Vienna), il suo gusto per i grandi gesti lo aveva portato appunto ad occupare Fiume assieme ad un gruppo di volontari.
Tale iniziativa, del tutto individuale, aveva creato al governo italiano gravi problemi, anche perché il Comandante, per rifornire la città che era praticamente isolata, aveva dato ordine ai suoi avventurieri di saccheggiare le navi che transitavano nell’Adriatico.
La questione di Fiume divenne pertanto un affare internazionale, ciò nonostante D’Annunzio si rifiutò ostinatamente di abbandonare la città, come richiestogli dal governo italiano.
Nel novembre del 1920, fu firmato il Trattato di Rapallo, che fissava in via definitiva i confini fra Italia e Jugoslavia, e stabiliva che Fiume diventasse città autonoma.
Di conseguenza Fiume fu attaccata dalle truppe governative, e il 28 dicembre la città si arrese: l’avventura fiumana era conclusa ingloriosamente. Ebbe inizio da quel momento la decadenza del poeta, che morì nel 1938 nella sua villa di Gardone, sul lago di Garda.
GABRIELE D’ANNUNZIO
Amato e odiato dalla critica per la sua volontà di fare della sua vita un’opera d’arte, D’Annunzio con la sua concezione estetica basata sul culto religioso della bellezza, che si può trovare nel suo linguaggio raffinato e al tempo stesso sensuale, e con la sua esaltazione dell‘io, che lo portò a ricavare dal tedesco Nietzsche il mito del “superuomo”, rappresenta il massimo esponente del decadentismo italiano, ma anche uno dei maggiori rappresentanti della cultura europea del suo tempo. L’opera di D’annunzio risente, infatti, delle più svariate esperienze europee: dal Naturalismo di Zola e Maupassant, ai russi (Dostojewki e Tolstoi), fino a Nitche, come si diceva, per poi accogliere ancora influenze francesi (Baudelaire,), inglesi (Wilde) e in ultimo parnassiane e simboliste.
Se in Pascoli l’incapacità di aderire ad una fede qualsiasi e la spossatezza morale si risolvono spesso poeticamente, o si rivelano nel senso del mistero, in D’Annunzio si manifestano in parte nell’estetismo arrivando a generare un’orgogliosa esaltazione dell’io volto a realizzare sé medesimo.
Le prime opere
Lo svolgimento storico-spirituale del poeta muove i primi passi dal verismo e naturalismo per le novelle, così come nelle prime raccolte di versi, Primo Vere e Canto novo, accoglie suggestioni carducciane, ma se ne distacca immediatamente, anticipando una delle caratteristiche di tutta la sua poesia: la volontà di un’immedesimazione corporea e voluttuosa con la natura.
Non si può parlare di una vera e propria evoluzione tuttavia nell’arte dannunziana perchè dalla interpretazione giovanile del naturalismo carducciano, dalla trascrizione del verismo verghiano alla più matura trasfigurazione di tutti i modelli presi in esame, ci si trova avanti ad una inconfondibile unità di tono che riposa, come appena affermato, in una visione “panica” dell’universo, intesa come percezione della vita nell'’uomo e nella natura.
Il poeta colloca sullo stesso piano le sensazioni dell’uno e dell’altra, rilevandole in una minuta analisi che porta il mondo a frantumarsi in una miriade di oggetti e di atti: di qui la frammentarietà dell’arte dannunziana, caratteristica pienamente decadente; di qui la tendenza a cogliere ogni fugace impressione, pure senza necessariamente cercarvi un nesso analogico alla stregua di Pascoli. Il tutto in una forma sempre ricercata, raffinata, musicale, precisa nelle descrizioni, pure spesso finendo la parola per essere troppo “levigata”, fine a sé stessa, lavoro di esteta.
Le prime novelle raccolte in Terra vergine, (1882 come Canto Novo), Il libro delle vergini (1884) che, insieme a San Pantaleone (1886), saranno successivamente pubblicate con il titolo di Novelle della Pescara (1902) hanno in comune con il verismo lo studio della vita umile e primitiva di una terra, l’Abbruzzo in questo caso, tuttavia D’Annunzio non mostra alcuna pietà verso tale mondo al contrario di verga; egli indugia sugli squallori della vecchiaia, sulle rovine della miseria quasi con un senso di compiacimento estetico e con una fastosità verbale che è sintomo di decadimento letterario e morale.
Risalgono al 1890 L’Isotteo e la Chimera e al 1893 il Poema paradisiaco, in versi, in cui il poeta auspica una liberazione dal giogo dei sensi, liberazione più vagheggiata che realizzata, attraverso una sorta di rivalutazione dell’innocente ingenuità dell’infanzia. Con le sue suggestioni raffinate di vena parnassiana il Poema paradisiaco sarà preso ad esempio da tutta la generazione dei poeti crepuscolari.
Tale tematica trova conferma nei romanzi dello stesso periodo, ancor più che ne Il piacere (1889), con cui può considerarsi aperta la fase dell’estetismo del resto ricalcante la sua stessa vita reale, in romanzi come L’Innocente e Il trionfo della morte (1894) da cui egli deriva un culto della “bontà” per superare l’intorpidimento dei sensi. Pur traendo ispirazione dai russi egli non arriva mai a proporre il macerato tormento, impietoso, dei personaggi di Dostojewskij: essendo i personaggi dannunziani una riproposizione del proprio io, essendo di carattere prevalentemente autobiografico tendono in qualche modo a suscitare nei lettori addirittura un moto di simpatia.
In realtà infatti l’auspicata liberazione dalla schiavitù dei sensi non può infine che approdare al superomismo: con la morte di Giorgio Aurispa (Il trionfo della morte) nasce il superuomo.
Le opere della volontà e del superuomo
Il superuomo è l’eroe della volontà, è colui che vuole e sa essere potente al di sopra di tutti, che non può e non deve essere giudicato secondo la morale comune. Allo stesso modo il ruolo del poeta- superuomo diviene fondamentale nella società che egli plasma a suo piacimento attraverso la sua opera.
Non è un caso che D’Annunzio abbia dato tanto al genere teatrale, cui si accennerà in seguito, né che i suoi personaggi ricalchino il poeta stesso; tutta l’opera di D’Annunzio potrebbe essere considerata di propaganda delle proprie stesse convinzioni e le suggestioni stesse accolte dai diversi poeti stranieri non è mai profonda ma sempre superficiale e in fondo strumentalizzata: del superuomo di Nietsche egli non accoglie il vigore speculativo, bensì la parte più esteriore, volgarizzata in mitologia dell’istinto, ridotta ad un repertorio di argomenti estetizzanti e velleitariamente operativi, con tutte le implicazioni politiche che ne poteva derivare in una fragile democrazia quale era quella italiana del tempo.
Si può affermare che la fase superomistica abbia inizio con il ciclo dei Romanzi del Giglio, di cui però D’Annunzio scrisse solo il primo e cioè Le vergini delle rocce: il protagonista Claudio Cantelmo è antidemocratico, imperialista e razzista ed è persuaso che solo gli uomini superiori sappiano plasmare il mondo; così vuole che dalle sue nozze nasca il superuomo dominatore d’Italia e sostenitore della stessa nel mondo.
Questa idealità si intravede anche nella commedia La gloria ed ancor più nella Gioconda, che è la commedia del superuomo artista: lo scultore Settala invece della moglie prende come modella, per una statua, la sua amante; ma quando ella, credendosi non più amata, vuol distruggere la statua, è la moglie che salva l’opera meravigliosa: tutto è dovuto al superuomo.
Piuttosto che condurre a termine il ciclo dei Romanzi del Giglio, così denominati perché dovevano significare una passione purificata, il D’Annunzio preferì iniziare un terzo ciclo: i Romanzi del Melograno, che dovevano significare i molti frutti della volontà rigeneratrice. Anche questa volta, di tutto il ciclo, scrisse un solo romanzo: Il fuoco (1900), che avrebbe dovuto rappresentare l’ardore della creazione artistica. È collocabile ancora all’interno di romanzi del superuomo Forse che sì, forse che no.
Il cantore delle poesie della vita
Quando D’Annunzio, pur senza rinnegare nulla delle esperienze del passato, nella maturità della vita riesce a ripiegare su se stesso ed a cogliere, finalmente, quello che di più sincero è dentro di sé il momento della grande poesia può dirsi ormai giunto. Si placa ogni tensione superomistica per cedere il posto ad una maggiore intimità psicologica.
Risalgono a tale periodo le Laudi del Cielo, del Mare, della Terra e degli Eroi che dovevano essere raccolte in sette libri, di cui tuttavia egli scrisse solo quattro: Maia, Elettra, Alcyone, Merope. Fra questi il miglior libro del D’Annunzio è di gran lunga Alcyone: una raccolta di 54 liriche. Se nei libri precedenti il Poeta aveva cantato gli eroi, il superuomo, il primato dell’Italia risorta, in questo libro invece il Poeta ritorna a cantare la natura sempre bella, creatura vivente e unica realtà; egli vi canta la grande Estate, da quando è al colmo del suo trionfo fino a quando trasfigura nell’imminente autunno.
È il trionfo del sentimento panico della natura in un’onda di immagini, sensazioni che si traducono in musica.
Al periodo delle Laudi appartiene anche il miglior teatro del D’Annunzio come la tragedia Francesca da Rimini “poema di sangue e di lussuria”, e ancora La nave, per tornare ancora al primitivo Abbruzzo con la Figlia di Jorio. Quasi tutto il teatro dannunziano è intonato alla concezione straordinaria della vita che, con la esteriore sonorità del linguaggio e la preziosità delle azioni drammatiche portate sulla scena, vorrebbe contrapporsi alla “mediocrità” del teatro borghese e realista.
Dopo il capolavoro delle Laudi e del Teatro di poesia, incomincia la decadenza del D’Annunzio; non mancano certo pagine di vera poesia nelle opere che seguirono, ma non c’è nessun rinnovamento nella sua arte, anzi c’è una involuzione, così che il Poeta ritorna ai vecchi temi dell’eroismo.
Forse l’ardore dell’azione frenò l’impeto poetico: non si deve dimenticare che il D’Annunzio, si distinse in guerra per infiniti atti di coraggio e di autentico eroismo.
In parte l’attività poetica di questo periodo è strettamente connessa con la sua attività di soldato, con orazioni, messaggi e scritti vari, fra cui primeggia il Notturno, che il Poeta scrisse, senza vedere per una grave lesione ad un occhio riportata in un’azione di guerra.

Esempio



  


  1. Anna Fusari

    come si sentiva il popolo dopo i cambiamenti del 1900.

  2. alessandra

    tesina prima guerra mondiale