Scheda libro de "La Tregua"

Materie:Scheda libro
Categoria:Generale
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Data:04.09.2001
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Testo

SCHEDA D’ANALISI DI UN TESTO NARRATIVO

• Titolo: La tregua
• Autore: Primo Levi
• Edizione: Einaudi, Torino Aprile 1963
• Tempo
La narrazione è compresa tra il 27 gennaio e il 19 ottobre 1945. Il contesto storico vede l’improvviso rovesciamento della situazione bellica a sfavore delle potenze dell’Asse (Germania, Italia e Giappone) dopo l’entrata in guerra dell’America e la ritirata di Stalingrado delle truppe tedesche. Il ’45 vede l’Italia capitolare a causa della pressione alleata a sud e della complicata situazione interna; la Germania ha subito un’importante battuta d’arresto con l’insuccesso riportato in Russia e ora si trova circondata su tutti i fronti, pressata ad est dall’Armata Rossa e incalzata a sud, ovest e nord dagli Alleati.
• Spazio
Durante il suo lento ritorno Primo a modo di passare per diverse nazioni dell’est europeo. Dalla Polonia il suo “peregrinare” lo porta prima in Russia e in seguito in Romania, Ungheria, nella Repubblica Ceca e in quella Slovacca. La sensazione del ritorno è avvertita con l’ingresso in Austria, e in Germania poi, per via del ritrovato modo di vita occidentale. Il ritorno lo porta nuovamente in Austria e finalmente arriva il rimpatrio: l’Italia e il tanto agognato ritorno a casa.
• Personaggi
Tra i personaggi principali dell’opera troviamo il greco Mordo Nahum. Egli è un uomo di circa 40 anni capace di parlare, oltre al greco, lo spagnolo, il francese, l’italiano, il turco e il bulgaro; è di statura piuttosto alta, occhi grandi, un grande naso ricurvo ed i capelli rossi.
Psicologicamente è dotato di una grande personalità e saggezza, un tipo introverso che parla solo in caso di bisogno. Forse è un tipo un po’ egoista (lo si capisce quando si divide da Levi lasciandolo solo) ma anche pieno di calore umano (come quando regala un paio di scarpe a Levi o gli offre del cibo).
Un altro personaggio principale è Cesare un tipo caratterizzato da una straordinaria capacità di ripresa fisica in quanto riesce non solo a ristabilirsi da brutte malattie, ma ad essere vispo e florido in brevissimo tempo. Cesare è un ragazzo gioioso e spontaneo, a volte somiglia più a un fiume in piena che a un ragazzo che ha sperimentato le torture di Buna.
Incontenibile per lo stesso Levi, egli è un ragazzo pieno di calore umano per il quale il lavoro è una sgradevole necessità o una divertente occasione di incontri e non una gelida ossessione; “è un figlio del sole, un amico di tutti che non conosce né l’odio né il disprezzo, un ragazzo festoso, furbo, ignorante ma cauto.”
Primo Levi è il protagonista ed il narratore di questa opera in quanto vive la vicenda in prima persona.
Del suo aspetto fisico Levi non ci dice niente, ma dalla narrazione delle azioni che compie si può dedurre che è un tipo amichevole, un personaggio dal carattere forte, che non si perde mai d’animo anche di fronte alle difficoltà più estreme, cercando di farsi forza e coraggio guardando sempre avanti e dimenticando le crudeltà subite.
Marja Fjodorovna è una donna che Levi incontra nel campo di sosta di Katowice e con la quale collabora per un certo tempo come "farmacista" presso l'infermeria dello stesso campo. Simile ad una gatto sia per gli occhi "obliqui e selvatici", che per il naso "breve dalle narici frontali", e per le movenze agili e silenziose. I suoi modi riflettevano bene le sue origini: veniva dai boschi, dal cuore della Siberia, da un luogo dove ogni movimento è teso alla sopravvivenza fisica.
Il Moro di Verona, un italiano che attirò sin dal principio l'attenzione dello scrittore. Era un vecchio aspro dalle ossa grandi alto e forte benché fosse molto vecchio e avesse dovuto sopportare molte fatiche. Il cranio era calvo, la faccia scarna e rugosa; gli occhi erano infossati. Era colpito da una demenza senile ma in questa sua demenza c'era della grandezza, della forza, della dignità. Levi ce lo descrive con tinte aspre ma allo stesso tempo vivaci: ci spiega che il suo essere burbero nascondeva in realtà un cuore d’oro, causa di una vita interamente spesa per una figlia cinquantenne paralitica dalla nascita.
• Sintesi della narrazione
Il libro inizia con l'arrivo dei Russi al campo di Buna-Monowitz, quattro giovani soldati a cavallo che osservano sbigottiti e increduli dall'alto di un colle, il 27 Gennaio 1945, mentre Levi e un altro sopravvissuto stanno trasportando alla fossa comune un compagno morto durante la notte.
La storia prosegue con il ricordo degli avvenimenti accaduti dopo l'avvento dei Russi: giungono i primi rifornimenti, i primi soccorsi, infermiere polacche si aggirano per il campo occupandosi dei superstiti. I prigionieri ancora in vita, i malati, i moribondi vengono trasferiti al Campo Grande di Auschwitz ("una sterminata metropoli" al cui confronto Buna-Monowitz sembra un villaggio), in cui l'autore, appena giunto, si ammala dove avrà modo di conoscere molti personaggi.
Ristabilitosi, abbandona il campo aggregandosi a coloro che sono in grado di affrontare il viaggio di ritorno nei rispettivi paesi. Ma ha inizio così quella estenuante odissea che lo avrebbe condotto per circa un anno attraverso l'Europa Orientale, facendolo partecipe di avventure assurde; rendendo il rimpatrio come un miraggio; ambientando la narrazione in squarci da incubo. A rendere suggestivo il racconto è lo sfondo in cui si muove: un'Europa devastata, un paesaggio in disfacimento che presenta ovunque i segni della recente catastrofe e dove si collocano uomini sconvolti dalla guerra. Levi arriva al campo accoglienza di Katowice e qui passa mesi di noia e torpore. Qui la situazione diventa meno tesa e l'angoscia lentamente si trasforma in una momentanea serenità. Nel Maggio del 1945, la guerra ha fine. La natura esplode "come un uragano" nel campo i russi si lasciano trasportare dall'euforia e organizzano festeggiamenti e spettacoli. Ma poco dopo Levi si ammala di pleurite ed è in questa occasione che incontra altri singolari personaggi, come il dottor Gottlieb che esercitava la professione di medico proprio a Katowice. In quei giorni, fu comunque un vecchio Italiano soprannominato il Moro di Verona, ad attirare la sua attenzione.
Sul finire della primavera, dopo quattro mesi di attesa nel medesimo campo, giunge la notizia del rimpatrio. I reduce Italiani, circa ottocento, con "fragorosa allegria" salgono nei vagoni merci in partenza per Odessa dove li attende un treno che, come molti dicono, dovrebbe portarli in Italia. Ma ciò non accade in quanto il treno non giunse mai ad Odessa. Alla stazione di Emermka nella Russia Bianca, dopo sei giorno di viaggio in condizioni alquanto sgradevoli, i reduci apprendono che il convoglio non può proseguire. Intraprendono così un viaggio verso Nord, che di tappa in tappa, li a Staryie Doroghi, che raggiungono a piedi dopo aver sostato, per circa dieci giorni, a Slark. Giunti a Staryie Doroghi, risiedono in un gigantesco edificio detto la casa Rossa, "piena di misteri e trabocchetti come un castello di fate", situato in un luogo ai margini di una foresta. Qui, sempre in attesa di un rimpatrio, sostano per due mesi, fino al 15 Settembre del 1945. Finalmente arriva l'annuncio della partenza e, dopo una notte di festeggiamenti, tutti gli Italiani raccolti nel campo si dirigono alla stazione del piccolo villaggio dove c'è un treno. Ma rimangono delusi quando si accorgono che il treno ripercorre all'indietro le tappe del viaggio fatto in precedenza e ciò conferma il disordine dell'organizzazione russa.
Il convoglio viaggia con molta lentezza, con continue soste e contrattempi. Giunto a Zmerinka, dove i superstiti alcuni mesi prima avevano già trascorso giorni d'attesa angosciosi, anziché dirigersi verso il centro-Europa, scende verso Sud, fin quasi alle sponde del mar Nero, per poi risalire lentamente attraverso la Romania, l'Ungheria, la Cecoslovacchia e giungere a Vienna l'8 Ottobre, dopo un viaggio durato più di venti giorni. Sia lo spettacolo di una Europa distrutta che i continui ricordi dei reduci, fanno sembrare sempre più lontana la gioia del rimpatrio. A Bratislava, vedendo quei monti che sbarravano il lugubre orizzonte di Auschwitz, sono assaliti dall'angoscia, patiscono nuove sofferenze quando il convoglio, lasciata l'Austria, entra in Germania e raggiunge Monaco. Guardandosi attorno, osservando la gente che camminava per le strade, non possono fare a meno di chiedersi se i Tedeschi sono a conoscenza di quanto è avvenuto ad Auschwitz.
Le ultime pagine, quelle che narrano il passaggio del Brennero nella notte del 16 Ottobre sono molto tristi, in quanto se “La tregua” sta per concludersi, se la lunga odissea del rimpatrio sta per finire, per loro il futuro rimane sconosciuto, Levi si pone quindi della domande che consistono in ciò che egli ha definito "il veleno di Auschwitz" e la ragione per cui l'offesa subita è inguaribile e incancellabile nel tempo.
• Punto di vista
Il narratore è interno poiché il libro è un’autobiografia. Levi è un narratore onnisciente interno alla vicenda poiché narra i propri ricordi e le proprie esperienze.
• Intenzioni dell’autore
Con quest’opera Levi vuol fare conoscere lo stato d’animo di un prigioniero alla fine della guerra a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di non trovarsi in queste situazioni. Nonostante la felicità di essere finalmente libere queste persone hanno attraversato momenti di grande difficoltà. Per cui la fine della guerra e la liberazione dal lager non rappresentano una libertà definitiva ma un lasso di tempo in cui permane sì l’allegria e la serenità, ma vi è presente soprattutto la consapevolezza della perenne inquietudine che caratterizza la vita dell’uomo.
• Considerazioni personali
Questa autobiografia ha suscitato in me molto interesse per gli argomenti di cui tratta. L’esperienza del protagonista mi è sembrata molto interessante, benché ricca di dolore e fatti che, a prima vista, ci sembrerebbe giusto dimenticare ma che dobbiamo conservare nella nostra cultura, per non ricadere in errori terribili come quelli già commessi.
• Bibliografia
“La Tregua” – Giulio Einaudi editore, Torino 1975 (IV edizione).

SILENZI ANDREA
CLASSE IB
LICEO CLASSICO
TOLENTINO(MC)

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