Einstein: vita e teorie

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Testo

Einstein, Albert (Ulma 1879 - Princeton, New Jersey 1955), fisico tedesco naturalizzato statunitense. Trascorse gli anni giovanili a Monaco, città nella quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che produceva macchinari elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica. Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi. Trasferitosi in Svizzera, concluse le scuole superiori ad Arrau e si iscrisse al Politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900. Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno in cui trovò un impiego presso l'Ufficio Brevetti di Berna.
Prime pubblicazioni scientifiche
Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle molecole; pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del XX secolo. Nel primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni, successivamente confermate per via sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle distribuite casualmente in un fluido.
Il secondo studio, sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, conteneva un'ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli affermò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, ipotizzando che l'energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hh, dove E rappresenta l'energia della radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck (vedi Max Planck), e ) è la frequenza. Questa affermazione, in base alla quale l'energia contenuta in un fascio luminoso viene trasferita in unità individuali o quanti, dieci anni dopo fu confermata sperimentalmente da Robert Andrews Millikan.
La teoria della relatività ristretta
Il terzo e più importante studio del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell'interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l'uno rispetto all'altro.
La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, estendendo il precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.
Critiche alla teoria di Einstein
La teoria della relatività ristretta non fu immediatamente accolta dalla comunità scientifica. Il punto d'attrito risiedeva nelle convinzioni epistemologiche di Einstein in merito alla natura delle teorie scientifiche e sul rapporto tra esperimento e teoria. Sebbene affermasse che l'unica fonte di conoscenza è l'esperienza, egli era anche convinto che le teorie scientifiche fossero libera creazione dell'uomo e che le premesse sulle quali esse sono fondate non potessero essere derivate in modo logico dalla sperimentazione. Una "buona" teoria, per Einstein, è una teoria nella quale è richiesto un numero minimo di postulati per ogni dimostrazione.
Il valore dell'attività scientifica di Einstein venne comunque riconosciuto e nel 1909 lo scienziato ricevette il primo incarico di docenza presso l'Università di Zurigo. Nel 1911 si trasferì all'università tedesca di Praga e l'anno successivo tornò al Politecnico di Zurigo. Nel 1913 assunse la direzione del Kaiser Wilhelm Institut di Berlino.
La teoria della relatività generale
A partire dal 1907, anno in cui fu pubblicata la memoria contenente la celebre equazione che afferma l'equivalenza fra massa ed energia, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto accelerato l'uno rispetto all'altro. Il primo passo fu l'enunciazione del principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o all'accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività generale venne pubblicata nel 1916, nell'opera intitolata I fondamenti della relatività generale. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale.
Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, dando conto in modo soddisfacente del moto di precessione del perielio di Mercurio, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. La conferma osservativa di quest'ultimo fenomeno, realizzata in occasione dell'eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza.
Per il resto della sua vita Einstein si dedicò alla ricerca di un'ulteriore generalizzazione della teoria in una teoria dei campi che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti.
Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, postulato da Einstein fin dal 1905, nonché il principio di indeterminazione di Heisenberg, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l'impostazione intrinsecamente probabilistica della meccanica quantistica, egli affermò che "Dio non gioca a dadi con il mondo".
Cittadino del mondo
Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale.
Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività.
Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne offerta una cattedra presso l'Institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse assieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare.
Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici.1
RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA
Radiazione elettromagnetica Insieme delle onde prodotte dall'oscillazione o dall'accelerazione di cariche elettriche. Tali onde sono costituite da due componenti, una elettrica e una magnetica, e formano il cosiddetto spettro elettromagnetico, di cui la regione della luce visibile è solo una parte. Classificando la radiazione in base a frequenze decrescenti, che equivale ad andare da lunghezze d'onda molto piccole a lunghezze d'onda più grandi, si riconoscono raggi gamma, raggi X duri e molli (rispettivamente più e meno energetici), radiazione ultravioletta, luce visibile, radiazione infrarossa, microonde e onde radio. Dai raggi gamma alle onde radio l'ordine di grandezza della lunghezza d'onda varia dal miliardesimo di centimetro al chilometro. La conoscenza della lunghezza d'onda, o equivalentemente della frequenza, è importante per determinare il potere di riscaldamento, la visibilità, la capacità di penetrazione e altre caratteristiche dei diversi tipi di onde elettromagnetiche.
Proprietà
Le onde elettromagnetiche non necessitano di un mezzo materiale per potersi propagare. La luce e le onde radio emesse dal Sole e dai corpi celesti possono perciò viaggiare attraverso lo spazio interplanetario e interstellare e giungere fino alla superficie terrestre. La velocità di propagazione nel vuoto è uguale per tutte le frequenze della radiazione elettromagnetica ed è pari a 299.792 km al secondo. Presentando tutte le caratteristiche del moto ondulatorio, le onde elettromagnetiche possono dar luogo a fenomeni di diffrazione e interferenza.
Teoria
La prima formulazione completa della teoria delle onde elettromagnetiche è esposta in una serie di articoli pubblicati dopo il 1860 dal fisico britannico James Clerk Maxwell. Questi, oltre a proporre un'analisi matematica della teoria del campo elettromagnetico, scoprì la natura elettromagnetica della luce.
Il fatto che la luce si propaghi in forma di onde trasversali, ovvero di onde che oscillano lungo la direzione perpendicolare alla direzione di avanzamento del fronte, era noto fin dall'inizio del XIX secolo. Tuttavia, ritenendo che fosse necessario un mezzo di supporto per la propagazione di qualsiasi tipo di onda, i fisici del tempo avevano postulato l'esistenza dell'etere, una sostanza invisibile, che permeava tutto lo spazio. Benché resa totalmente inutile dalla teoria di Maxwell, l'assunzione dell'esistenza di un etere cosmico aveva numerose implicazioni connesse al concetto newtoniano di sistema di riferimento spazio-temporale assoluto nell'universo, e probabilmente per questo motivo essa non venne immediatamente abbandonata. Verso la fine del XIX secolo, un celebre esperimento condotto dal fisico Albert Abraham Michelson e dal chimico Edward Williams Morley determinò la crisi del concetto di etere e aprì la strada allo sviluppo della teoria della relatività. Una conseguenza di questo esperimento fu la osservazione che la velocità della radiazione elettromagnetica nel vuoto è invariante, cioè ha un valore costante che non dipende dalla velocità della sorgente o dell'osservatore.
Quanti di radiazione
Nei primi anni del XX secolo, però, i fisici scoprirono che la teoria ondulatoria non rendeva conto di tutte le proprietà della radiazione osservate. Nel 1900 il fisico tedesco Max Planck dimostrò che lo spettro del corpo nero, una superficie ideale che assorbe tutta la radiazione incidente, poteva essere spiegato solo assumendo che i fenomeni di emissione e di assorbimento da parte della materia avvenissero per scambio di quantità discrete di energia, dette quanti. Nel 1905 Albert Einstein riuscì a spiegare alcuni risultati, all'apparenza incomprensibili, di esperimenti condotti sull'effetto fotoelettrico, postulando che la radiazione elettromagnetica potesse assumere un comportamento corpuscolare.
In seguito furono messi in luce altri fenomeni di interazione tra radiazione e materia spiegabili solo in virtù della teoria quantistica. Si è giunti così alla conclusione che la radiazione elettromagnetica presenta a volte le caratteristiche di una particella, a volte quelle di un'onda. Il concetto simmetrico, cioè che anche la materia alterni un comportamento ondulatorio a uno corpuscolare, fu proposto nel 1925 dal fisico francese Louis De Broglie.1

Relatività Teoria formulata all'inizio del XX secolo, dovuta principalmente ad Albert Einstein. Suo scopo originario era quello di spiegare certi aspetti anomali delle leggi fisiche nei sistemi in moto relativo, ma le diverse e varie ramificazioni che ha avuto in seguito hanno condotto alla definizione principi completamente estranei alla fisica classica, come l'equivalenza tra massa ed energia, tra spazio e tempo, tra i concetti di gravitazione e accelerazione, che si sono rivelati fondamentali per lo sviluppo della fisica moderna.
Fisica classica
Le leggi della fisica classica, accettate prima della nascita della teoria della relatività, erano fondate sui principi della meccanica enunciati nel XVII secolo da Isaac Newton. La meccanica newtoniana differisce dalla meccanica relativistica sia nei principi fondamentali sia nella forma matematica, ma giunge a risultati equivalenti se applicata allo studio di processi che coinvolgono velocità piccole rispetto a quella di propagazione della luce. Una descrizione corretta di sistemi in moto con alte velocità richiede invece l'uso della relatività.
In generale, la differenza tra la descrizione classica e quella relativistica del comportamento di qualunque oggetto in movimento sta in un fattore introdotto alla fine del XIX secolo da Hendrik Antoon Lorentz e da George Francis Fitzgerald. Questo fattore si rappresenta generalmente con la lettera greca (beta) e dipende dalla velocità dell'oggetto (v) secondo l'equazione:
dove c è la velocità della luce. Per velocità ordinarie, il valore di beta si discosta dall'unità di quantità infinitesime: di conseguenza, le correzioni relativistiche sono di scarsa importanza per la maggior parte dei fenomeni che hanno luogo sulla Terra, ma diventano significative negli studi astronomici, che riguardano corpi con velocità molto grandi.
Analogamente, l'approccio relativistico è fondamentale quando entrano in gioco distanze o masse molto grandi. Nell'ambito della fisica classica l'analisi dei sistemi inerziali, cioè in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, veniva condotta sulla base delle trasformazioni di Galileo, che fornivano le relazioni tra le coordinate e la velocità di un punto in ciascuno dei due sistemi. Come conseguenza di queste trasformazioni – lineari nelle velocità e nella variabile temporale – le leggi della meccanica newtoniana hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali (principio di relatività galileiano).
Nella seconda metà del secolo scorso, tuttavia, si scoprì che le equazioni di Maxwell, che costituivano la base dell'elettromagnetismo, non sono invarianti per trasformazioni di Galileo. Questa considerazione mise in dubbio la validità del principio di relatività galileiano e quindi l'equivalenza di tutti i sistemi di riferimento inerziali. Fu introdotto il concetto di etere, una sostanza ideale in cui si ipotizzava avvenisse la propagazione delle onde elettromagnetiche, e fu quindi definito un sistema di riferimento privilegiato a riposo rispetto all'etere.
Nel 1887 i fisici Albert Michelson ed Edward Williams Morley misero a punto il celebre esperimento per rilevare il moto della Terra rispetto all'etere, necessario a trasmettere i raggi solari e che si supponeva occupare tutto lo spazio. Se il Sole era fermo nello spazio, la Terra avrebbe dovuto avere rispetto a questo una velocità costante di 29 km/s, causata dalla sua rivoluzione intorno ad esso; se viceversa il Sole e l'intero sistema solare erano in moto nello spazio, la variazione della direzione del moto orbitale della Terra avrebbe dovuto modificare la velocità apparente della Terra rispetto al Sole, con un contributo positivo in certe stagioni dell'anno e negativo in altre. L'esperimento di Michelson e Morley mostrò che la velocità della Terra nell'ipotetico etere era nulla in qualsiasi periodo dell'anno.
Nella pratica, l'esperimento doveva permettere di misurare una differenza di velocità di propagazione della luce, utilizzando due raggi luminosi perpendicolari. Infatti, secondo la legge di composizione delle velocità, se un raggio di luce e un osservatore si muovono nello spazio nella stessa direzione, rispettivamente alle velocità di 300.000 m/s e 29 km/s, la luce dovrebbe superare l'osservatore con una velocità apparente che è la diffrenza fra le due; viceversa, se l'osservatore si muove in direzione opposta, la velocità apparente della luce sarebbe la somma delle due velocità (analogamente si può dire se il moto relativo dell'osservatore e del raggio di luce sono perpendicolari). L'esperimento di Michelson e Morley, pur utilizzando un sofisticato strumento – un interferometro – sensibile a differenze di velocità piccolissime, non riuscì a misurare alcuna discrepanza fra le velocità dei due raggi di luce.
L'esperimento dimostrò così l'indipendenza della velocità della luce dalla direzione di propagazione e il risultato, interpretato come prova dell'inesistenza dell'etere, fu una conferma del principio di relatività galileiano ed escluse la possibilità di un sistema di riferimento privilegiato.
Nel 1904 Lorentz modificò le trasformazioni di Galileo per ottenere un insieme di equazioni, note oggi come trasformazioni di Lorentz, rispetto alle quali fossero invarianti le leggi dell'elettromagnetismo.
Teoria della relatività ristretta
Nel 1905 Einstein pubblicò il primo di due importanti studi sulla teoria della relatività, in cui negava l'esistenza del moto assoluto. Egli sosteneva che nessun oggetto dell'universo potesse rappresentare un sistema di riferimento universale, fisso rispetto al resto dello spazio. Al contrario, qualsiasi corpo (ad esempio, il centro del sistema solare) poteva costituire un buon sistema di riferimento, rispetto al quale studiare il moto di un corpo. In parole semplici, ciò significa che è equivalente affermare che un treno si allontana da una stazione o che la stazione si allontana dal treno: secondo Einstein, il movimento è un concetto relativo e va sempre precisato il sistema di riferimento in cui esso viene studiato. Le osservazioni di Einstein erano già state in qualche modo stabilite da Newton, il quale affermava che "il riposo assoluto non può essere determinato dall'osservazione della posizione dei corpi nella nostra regione di spazio"; ma il contributo rivoluzionario di Einstein consiste nell'avere stabilito che la velocità del moto relativo fra un qualsiasi osservatore e qualsiasi raggio di luce è sempre il medesimo, ed è pari a 300.000 km/s.
Secondo Einstein, due osservatori in moto uno rispetto all'altro, misurano la medesima velocità della luce, risultato dimostrato dall'esperimento di Michelson e Morley. Secondo la fisica classica, solo uno di essi si può considerare a riposo, mentre l'altro compie un errore di misura dovuto alla contrazione di Lorentz-Fitzgerald. Per Einstein, invece, entrambi possono essere considerati a riposo, e ciascuno esegue correttamente la propria misura, assumendo il proprio sistema di coordinate come riferimento: queste coordinate però si possono trasformare le une nelle altre mediante appropriate equazioni matematiche, le trasformazioni di Lorentz, già introdotte per rendere invarianti le leggi dell'elettromagnetismo.
Einstein elaborò inoltre una severa disamina del concetto di contemporaneità mettendo in dubbio, accanto al concetto di moto assoluto, la possibilità di definire un tempo e una massa assoluti.
Le trasformazioni di Lorentz infatti prevedono che un orologio in moto relativo rispetto a un osservatore appaia più lento, mentre gli oggetti materiali sembrino avere massa più grande, modificando entrambi il loro valore di una quantità pari al fattore t. Il principio di tempo assoluto della meccanica newtoniana fu dunque sostituito dal principio di invarianza della velocità della luce dallo stato di moto dell'osservatore.
L'elettrone, scoperto pochi anni prima, fornì la possibilità di verificare la correttezza delle trasformazioni di Lorentz; gli elettroni emessi dalle sostanze radioattive, infatti, hanno velocità prossime a quella della luce, tali cioè da far assumere al fattore beta valori apprezzabili. Gli esperimenti confermarono le predizioni di Einstein; la massa di un elettrone dotato di velocità prossime a quelle della luce risulta maggiore della massa a riposo, esattamente nella misura prevista. L'incremento della massa dell'elettrone era dovuto alla conversione dell'energia cinetica in massa, secondo la formula E=mc2 (vedi Atomo; Energia nucleare). La teoria di Einstein fu confermata anche mediante esperimenti sulla velocità della luce in corpi d'acqua in movimento e sulle forze magnetiche in sostanze in moto.
L'ipotesi fondamentale su cui poggiava tutta la teoria einsteiniana era che per due osservatori in moto relativo uno rispetto all'altro a velocità costante valessero le stesse leggi della natura. L'abbandono del concetto di simultaneità comporta che due eventi registrati come simultanei da un osservatore non risultino tali rispetto a un secondo osservatore in moto rispetto al primo. In altre parole, non ha senso assegnare l'istante in cui avviene un evento senza definire un riferimento spaziale.
L'evoluzione di ogni particella o oggetto nell'universo viene descritta da una cosiddetta linea universale in uno spazio a quattro dimensioni (tre per lo spazio e la quarta per il tempo), detto spazio-tempo. La "distanza" o "intervallo" tra due eventi qualsiasi può essere accuratamente descritta per mezzo di una combinazione di intervalli di spazio e di tempo.
Teoria della relatività generale
Nel 1915 Einstein formulò la teoria della relatività generale, valida anche per sistemi in moto accelerato l'uno rispetto all'altro. La necessità di questa teoria era data dall'apparente contrasto esistente tra le leggi della relatività e la legge della gravitazione. Per risolvere questi conflitti, egli sviluppò un approccio completamente nuovo al concetto di gravità, basato sul cosiddetto principio di equivalenza.
Nella nuova formulazione, le forze associate alla gravità sono del tutto equivalenti a quelle prodotte da un'accelerazione, per cui risulta teoricamente impossibile distinguere per via sperimentale i due tipi di forze.
In altre parole, la teoria della relatività ristretta stabilisce che una persona, all'interno di una macchina che viaggi a velocità costante su una strada liscia, non può in alcun modo sapere se si trova in quiete o in moto rettilineo uniforme; la teoria della relatività generale afferma invece che una persona all'interno della macchina in moto accelerato, decelerato o curvilineo non può dire in alcun modo se le forze che determinano il moto siano di origine gravitazionale o se si tratti di forze di accelerazione attivate da altri meccanismi.
Come ulteriore esempio si consideri un astronauta in piedi in una navetta ferma sulla Terra. A causa della gravità i suoi piedi aderiscono al pavimento della navicella con una forza pari al peso della persona, w. Se si considera la stessa navicella nello spazio, lontana da qualunque oggetto e non soggetta in alcun modo alla gravità, l'astronauta aderisce ancora al pavimento, se la navicella accelera. Se l'accelerazione è pari a 9,8 m/sec2 (il valore di accelerazione di gravità sulla superficie della Terra), la forza con cui l'astronauta è ancorato al pavimento della navicella è ancora uguale a w. Senza guardare fuori dal finestrino, l'astronauta non è in grado di capire se la navicella si trovi ferma a terra o in accelerazione nello spazio.
Secondo la teoria di Einstein, la legge di gravitazione di Newton è un'ipotesi non necessaria; Einstein considera infatti tutte le forze, sia quelle gravitazionali che quelle convenzionalmente associate all'accelerazione, come effetti di un'accelerazione. Così, anche la forza gravitazionale, che tiene saldamente la navicella ferma sulla terra, tirandola verso il basso, è attribuibile a un'accelerazione della navicella: infatti, nello spazio tridimensionale, la navicella è ferma, ma nello spazio-tempo a quattro dimensioni, essa è in moto lungo la sua linea universale.
L'ipotesi di Newton, secondo cui due oggetti si attraggono con una forza di entità proporzionale alle loro masse, viene sostituita in relatività dall'ipotesi che lo spazio-tempo sia curvato nelle vicinanze dei corpi massivi. La legge della gravitazione di Einstein consiste semplicemente nell'affermazione che la linea universale di un corpo è una geodetica nello spazio-tempo (si definisce geodetica la congiungente più corta fra due punti dati, che, in uno spazio curvo, generalmente, non è una retta, ma una linea curva). Vedi Geometria; Geometria non-euclidea; Navigazione: mappe e proiezioni cartografiche.
Conferme e modifiche
Come si è già avuto modo di dire, la descrizione classica e quella relativistica giungono generalmente a risultati identici, sebbene quest'ultima abbia una formulazione matematica assai complessa basata sull'applicazione dell'algebra tensoriale e della geometria di Riemann. La famosa affermazione secondo cui solo dieci persone al mondo avrebbero capito la teoria di Einstein allude proprio alla difficoltà dei concetti matematici che costituiscono l'ossatura del formalismo della teoria; viceversa la relatività ristretta si basa su calcoli semplici, comprensibili da tutti.
Da quando è stata introdotta, la relatività ha trovato un gran numero di conferme sperimentali. Ad esempio, la teoria predice che la traiettoria di un raggio luminoso sia curvata dalla presenza di un corpo molto massivo: durante l'eclisse del 1919, infatti, gli scienziati sono riusciti a verificare la deflessione di un raggio di luce nelle immediate vicinanze del Sole. Recentemente sono stati effettuati test analoghi per misurare la deflessione delle onde radio emesse da quasar lontani, mediante l'uso di interferometri a radiotelescopio. I risultati di questi test concordano entro un margine di errore dell'1% con le previsioni della relatività generale.
Un'altra conferma sperimentale viene dal moto del perielio (il punto in cui un pianeta passa più vicino al Sole) dell'orbita di Mercurio, che si sposta intorno al Sole con un periodo di 3 milioni di anni. Tale moto, che non trova spiegazione nell'ambito della fisica classica, è invece previsto dalla teoria della relatività, e le recenti misure radar effettuate hanno confermato le previsioni della teoria con un incertezza di solo 5 per mille.
Un altro fenomeno prescritto dalla relatività generale è lo spostamento verso il rosso della lunghezza d'onda della radiazione emessa da oggetti posti in intensi campi gravitazionali, più volte osservato mediante misurazioni astronomiche.
Osservazioni successive
Dopo il 1915 la teoria della relatività venne ampliata da Einstein stesso, e ulteriormente sviluppata da scienziati come James Jeans, Arthur Eddington, Edward Arthur Milne, Willem de Sitter e Hermann Weyl. Gran parte del loro lavoro fu volto a estendere la teoria della relatività in modo da includere i fenomeni elettromagnetici. Più di recente, numerosi scienziati hanno tentato di unificare la teoria gravitazionale con le altre tre interazioni fondamentali (elettromagnetismo, interazione debole e forte), finora con poco successo: comunque, lo scopo continua a essere perseguito da una vasta comunità di fisici, che si occupa di teorie di stringhe e superstringhe.
I fisici hanno indagato anche sulle conseguenze cosmologiche della teoria della relatività. Entro lo schema degli assiomi posti da Einstein sono possibili molte linee di sviluppo. Ad esempio, si sa che lo spazio è curvo e si conosce l'esatto grado di curvatura nelle vicinanze dei corpi pesanti, ma non nello spazio vuoto, pure incurvato, per effetto della materia e della radiazione contenuta nell'intero universo. Inoltre, gli scienziati non si trovano in accordo nello stabilire se lo spazio sia chiuso (come una sfera) o aperto (come un cilindro con le basi poste all'infinito). La teoria della relatività inoltre implica la possibilità che l'universo sia in espansione, ipotesi che sembra confermata anche dai risultati sperimentali: ad esempio, le linee spettrali delle galassie, dei quasar e di altri oggetti distanti risultano spostate verso il rosso, proprio come ci si aspetterebbe da sorgenti di radiazione che si stanno allontanando. La teoria dell'universo in espansione lascia pensare che la storia passata dell'universo abbia un inizio, ma non esclude altre alternative possibili. Vedi Cosmologia.
Einstein avanzò l'ipotesi che grossi fenomeni perturbativi di natura gravitazionale, quali l'oscillazione o il collasso di stelle massive, generino onde gravitazionali, che si propagherebbero nello spazio-tempo alla velocità della luce. I tentativi di rivelare simili perturbazioni non hanno avuto fino a oggi i risultati sperati, ma sono attualmente in corso vari progetti di ricerca.
Molti dei successivi studi sulla relatività furono dedicati alla creazione di una meccanica quantistica relativistica. Una teoria relativistica per l'elettrone fu sviluppata nel 1928 dal matematico e fisico britannico Paul Dirac; in seguito venne avanzata una teoria quantistica dei campi, chiamata elettrodinamica quantistica, che sintetizza i concetti della relatività e della teoria quantistica per quanto riguarda le interazioni tra gli elettroni, i positroni e la radiazione elettromagnetica. Negli ultimi anni, il fisico britannico Stephen Hawking ha dedicato i suoi studi alla formulazione di una teoria completa, che unisca relatività e meccanica quantistica. 1

Meccanica quantistica Teoria fondamentale della fisica moderna, detta anche teoria dei quanti, perché si basa sul concetto di "quanto" per spiegare sia le proprietà dinamiche delle particelle subatomiche sia le interazioni tra radiazione e materia. Le basi della meccanica quantistica furono poste nel 1900 dal fisico tedesco Max Planck , il quale ipotizzò che l'energia venisse emessa o assorbita dalla materia sotto forma di piccole unità indivisibili, chiamate appunto quanti. Fondamentale per lo sviluppo della teoria è stato inoltre il principio di indeterminazione, formulato nel 1927 dal fisico tedesco Werner Heisenberg, che stabilisce l'impossibilità di determinare simultaneamente con precisione la posizione e il momento di una particella subatomica.
La fisica prima della nascita della meccanica quantistica
Nei secoli XVIII e XIX la meccanica classica, o newtoniana, sembrava essere in grado di spiegare accuratamente tutti i moti dei corpi; ma, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, alcuni risultati sperimentali iniziarono a metterne in dubbio la completezza. In particolare, l'insieme delle righe spettrali ottenute dall'analisi della luce emessa da gas incandescenti o da gas sottoposti a scarica elettrica era in disaccordo con il modello atomico di Ernest Rutherford, in base al quale gli scienziati si sarebbero aspettati da parte degli elettroni un'emissione continua di radiazione, e non un insieme linee luminose, prodotte solo a determinate frequenze. Lo studio dello spettro del corpo nero e dell'effetto fotoelettrico suggeriva che la radiazione elettromagnetica avesse un duplice comportamento (ondulatorio e corpuscolare) durante i processi di interazione con la materia.
Un altro problema era costituito dall'assenza di una base molecolare per la termodinamica, che rendeva poco comprensibili gli andamenti dei calori specifici, non giustificabili alla luce della teoria classica.
La formulazione di Planck del concetto di quanto
Il primo passo verso lo sviluppo della nuova teoria fu l'introduzione da parte di Planck del concetto di quanto, concepito nel corso degli studi sulla radiazione di corpo nero condotti alla fine del XIX secolo (col termine corpo nero si indica un corpo o una superficie ideale, capace di assorbire tutta la radiazione incidente). I grafici sperimentali ottenuti analizzando l'emissione di radiazione elettromagnetica da un corpo incandescente erano infatti in disaccordo con le previsioni teoriche della fisica classica, che non riusciva a spiegare perchè questo corpo emettesse il massimo dell'energia a una frequenza determinata, che cambiava con la temperatura a cui era tenuto il corpo e dipendeva strettamente da questa.
Planck prima scrisse una relazione matematica per riprodurre correttamente le curve sperimentali, e poi cercò un modello fisico che rispondesse alla espressione trovata. Egli ipotizzò che l'interazione tra radiazione e materia avvenisse per trasferimento di quantità discrete di energia che chiamò quanti, ciascuno di energia pari a hh, dove , rappresenta la frequenza e h il quanto d'azione, oggi noto come costante di Planck.
Il contributo di Einstein
Il passo successivo nello sviluppo della meccanica quantistica si deve ad Albert Einstein. Egli ricorse al concetto di quanto introdotto da Planck per spiegare alcune proprietà dell'effetto fotoelettrico, il fenomeno che descrive il processo dell'emissione di elettroni da parte di una superficie metallica colpita da radiazione elettromagnetica.
Contrariamente alle previsioni della teoria classica, che prevedeva la dipendenza dell'energia degli elettroni dall'intensità della radiazione incidente, le osservazioni sperimentali mostrarono che l'intensità della radiazione influiva sul numero di elettroni emessi, ma non sulla loro energia. L'energia degli elettroni emessi risultava invece chiaramente dipendere dalla frequenza della radiazione incidente, e aumentava con essa; inoltre, in corrispondenza di frequenze inferiori a un determinato valore, detto valore critico, non si osservava alcuna emissione di elettroni. Einstein spiegò questi risultati ammettendo che ciascun quanto di energia radiante fosse capace di strappare al metallo un singolo elettrone, trasferendogli nell'urto parte della propria energia. Poichè l'energia del quanto è proporzionale alla frequenza della radiazione, si spiega perchè l'energia degli elettroni emessi dipende dalla frequenza della radiazione incidente.
L'atomo di Bohr
Nel 1911 Rutherford, analizzando i risultati sperimentali ottenuti dallo scattering di particelle alfa su atomi di oro, formulò il suo celebre modello atomico; esso prevedeva che in ogni atomo fosse presente un nucleo denso e positivamente carico, intorno a cui ruotassero elettroni di carica negativa, come fanno i pianeti del sistema solare. Tuttavia, secondo la teoria elettromagnetica classica di James Clerk Maxwell, un elettrone orbitante intorno a un nucleo dovrebbe irradiare con continuità, fino a consumare completamente la propria energia e a collassare sul nucleo: l'atomo di Rutherford risultava di conseguenza instabile. Per ovviare a questa difficoltà, due anni dopo Niels Bohr propose un nuovo modello, che permetteva agli elettroni di muoversi solo su determinate orbite fisse: il cambiamento di orbita da parte di un elettrone poteva verificarsi solo tramite l'emissione o l'assorbimento di un quanto di radiazione.
La teoria di Bohr diede risultati corretti per l'atomo di idrogeno, ma per atomi con più di un elettrone si rivelò problematica. Le equazioni per l'atomo di elio, risolte fra gli anni Venti e Trenta, diedero risultati in disaccordo con i dati sperimentali. Inoltre, per gli atomi più complessi, erano possibili solo soluzioni approssimate, spesso non in accordo con quanto osservato sperimentalmente.
Meccanica ondulatoria
Nel 1924 Louis-Victor de Broglie estese alla materia il concetto del dualismo onda-corpuscolo stabilito per la radiazione elettromagnetica, suggerendo che in determinate situazioni le particelle materiali potessero mostrare un comportamento di tipo ondulatorio. La prova sperimentale di questa affermazione venne dopo pochi anni, quando i fisici americani Clinton Joseph Davisson e Lester Halbert Germer e il fisico britannico George Paget Thomson mostrarono che un fascio di elettroni diffuso da un cristallo produce una figura di diffrazione simile a quella caratteristica della diffrazione di un'onda. L'idea di associare un'onda a ciascuna particella portò il fisico austriaco Erwin Schrödinger a formulare la cosiddetta "equazione d'onda", con cui era possibile descrivere le proprietà ondulatorie della particella e l'evoluzione del suo moto, cosa che fu immediatamente applicata all'elettrone dell'atomo di idrogeno.
L'equazione di Schrödinger, a eccezione di pochi casi particolari che meriterebbero una discussione a parte, ammette solo un numero discreto di soluzioni, dette autofunzioni, che corrispondono a regioni definite dello spazio in cui la particella può trovarsi; esse sono espressioni matematiche in cui compaiono i cosiddetti "numeri quantici", ovvero numeri interi che esprimono il valore assunto da determinate grandezze caratteristiche del sistema, quali ad esempio l'energia o il momento angolare. L'equazione Schrödinger per l'atomo di idrogeno diede risultati in sostanziale accordo con quelli di Bohr e l'equazione si applicò con successo anche all'atomo di elio. Inoltre confermò sul piano formale il principio di esclusione, enunciato da Wolfgang Pauli nel 1925 su base empirica: il principio stabilisce che due elettroni non possono possedere lo stesso insieme di numeri quantici, ovvero condividere esattamente lo stesso livello di energia.
Meccanica delle matrici
Parallelamente allo sviluppo della meccanica ondulatoria di Schrödinger, Heisenberg propose, con la collaborazione dei fisici Max Born ed Ernst Pascual Jordan, un nuovo metodo di analisi basato sul calcolo matriciale (vedi Teoria delle matrici). Ciascun osservabile fisico associato a una particella corrisponde a una matrice infinita (un insieme infinito di righe e colonne di valori numerici), mentre lo stato e l'evoluzione di un sistema sono determinati dalle soluzioni di equazioni matriciali. Per descrivere il moto dell'elettrone nell'atomo di idrogeno, ad esempio, la meccanica delle matrici associa matrici infinite a posizione e momento, e riesce a prevedere le linee dello spettro di emissione dell'idrogeno. La teoria di Heisenberg fornì gli stessi risultati della meccanica quantistica ordinaria e riuscì a spiegare alcuni fenomeni che prima sfuggivano a una descrizione teorica.
Significato della meccanica quantistica
Poco tempo dopo Schrödinger dimostrò che la meccanica ondulatoria e la meccanica matriciale erano formulazioni diverse di una medesima teoria, oggi nota come meccanica quantistica. Entrambe sono estremamente complicate dal punto di vista algebrico e matematico, anche per un sistema semplice come l'atomo di idrogeno: è comunque quasi sempre possibile calcolare in modo esatto almeno i livelli di energia permessi. Tuttavia accanto alla descrizione formale completa è spesso possibile un'analisi qualitativa soddisfacente capace di fornire, anche se in modo approssimato, le principali informazioni sul sistema.
Secondo il punto di vista della meccanica quantistica il nucleo è circondato da una serie di onde stazionarie, dotate di creste e valli, ciascuna rappresentante un'orbita. Il modulo elevato al quadrato dell'ampiezza dell'onda in ogni punto a un dato istante fornisce la probabilità di trovare l'elettrone in quel punto, in quell'istante. Non si parla più quindi di posizione dell'elettrone, ma di probabilità che l'elettrone occupi una determinata regione dello spazio.
Il principio di indeterminazione
L'impossibilità di determinare con esattezza la posizione di un elettrone a un certo istante fu analizzata da Werner Heisenberg, che nel 1927 enunciò il principio di indeterminazione. Tale principio afferma l'impossibilità di determinare contemporaneamente con precisione la posizione e il momento di una particella, ovvero queste due grandezze non possono essere misurate simultaneamente. Si dice quindi che la conoscenza della posizione e della velocità di una particella sono complementari; in altre parole, i fisici non possono misurare la posizione di una particella, senza alterarne la velocità. Alla luce del principio di indeterminazione, la natura ondulatoria e particellare della radiazione sono due aspetti complementari del medesimo fenomeno.
Risultati della teoria quantistica
La meccanica quantistica ha risolto tutti i problemi della fisica dell'inizio del XX secolo, ha accresciuto il livello di conoscenza della struttura della materia e ha fornito una base teorica per la comprensione della struttura dell'atomo e del fenomeno delle righe spettrali: ogni riga spettrale corrisponde all'energia di un fotone emesso o assorbito quando un elettrone compie una transizione da un livello energetico a un altro; anche la conoscenza dei legami chimici è stata completamente rivoluzionata. La fisica dello stato solido, la fisica della materia condensata, la superconduttività, la fisica nucleare e la fisica delle particelle elementari sono fondate sui principi della meccanica quantistica.
Sviluppi ulteriori
Dal 1925, nessuna mancanza fondamentale ha intaccato la consistenza della meccanica quantistica, benchè siano stati sollevati dubbi se possa essere effettivamente ritenuta una teoria completa. Negli anni Trenta, l'applicazione della meccanica quantistica e della relatività speciale alla teoria dell'elettrone (vedi Elettrodinamica quantistica) ha permesso al fisico britannico Paul Dirac di formulare un'equazione in cui compariva anche la variabile di spin dell'elettrone; l'equazione di Dirac prevedeva l'esistenza del positrone, antiparticella dell'elettrone, osservata sperimentalmente nel 1932 dal fisico statunitense Carl David Anderson.
L'applicazione della meccanica quantistica alla radiazione elettromagnetica permise di spiegare molti fenomeni, ad esempio la radiazione di Bremsstrahlung – emessa dagli elettroni per frenamento durante la penetrazione nella materia – e la produzione di coppie, la formazione di un positrone e di un elettrone ad opera di radiazione sufficientemente energetica. Essa condusse però anche a un serio problema, noto come "problema della divergenza": nelle equazioni di Dirac, alcuni parametri, riferiti come la massa e la carica "nude" dell'elettrone, risultano infiniti (i termini massa nuda e carica nuda si riferiscono a elettroni che non interagiscono né con la materia né con la radiazione, anche se in realtà gli elettroni interagiscono sempre con il campo elettrico prodotto da loro stessi). Questo problema è stato parzialmente risolto negli anni 1947-1949 con un programma chiamato di rinormalizzazione, sviluppato dal fisico giapponese Sin Itiro Tomonaga, e dai fisici americani Julian S. Schwinger, Richard Feynman e Freeman Dyson. La rinormalizzazione prevede di assegnare un valore infinito a massa e carica nude, di modo che le altre quantità infinite che compaiono nella soluzione dell'equazione possano essere compensate. Con la teoria della rinormalizzazione i calcoli sulla struttura atomica sono stati resi molto più accurati.
Prospettive future
La meccanica quantistica, che ha permesso la descrizione dei processi caratteristici del mondo microscopico, impossibile per i mezzi forniti dalla meccanica classica, ancora oggi costituisce la base concettuale da cui partono gli sviluppi della fisica moderna, ad esempio la Cromodinamica quantistica o la teoria di unificazione dei campi. Tuttavia esistono problematiche particolari, quali il problema della divergenza – solo parzialmente risolto – o gli effetti dei processi di misurazione, che hanno suscitato animate discussioni sulla completezza della teoria (vedi Disuguaglianza di Bell).
Proprio come la meccanica newtoniana venne corretta dalla meccanica quantistica e dalla relatività, molti scienziati sono convinti che anche la teoria quantistica sia destinata a subire profonde modifiche negli anni a venire. Ad esempio, sussistono gravi difficoltà per conciliare la meccanica quantistica e la teoria del caos, nata intorno agli anni Ottanta. Numerosi fisici teorici, fra i quali il britannico Stephen Hawking, stanno tuttora cercando di elaborare uno schema generale, che comprenda sia la relatività che la meccanica quantistica.1

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