Dinamica: tesina di fisica con definizioni e formule

Materie:Tesina
Categoria:Fisica
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Testo

Fisica
Dinamica
Principi della dinamica
All’origine di un moto c’è sempre un’interazione tra corpi: un carrello si muove perché viene spinto da qualcuno, una palla cade perché attirata dalla Terra e rimbalza perché ha urtato il pavimento. Tutto questo è espresso dal secondo principio della dinamica il quale afferma che:
(una forza F, agendo su un corpo di massa m, gli fornisce un’accelerazione a, avente la sua stessa direzione e il suo stesso verso e intensità direttamente proporzionale alla forza e inversamente proporzionale alla massa del corpo.
In formula F = m a
Da cui a = F/m
Dove
- a è l’accelerazione prodotta dalla forza
- m è l’inerzia del corpo, ovvero la proprietà della massa inerziale di opporsi ai cambiamenti di
a velocità provocati dalla forza
da questa legge si può dedurre il primo principio della dinamica, detto anche principio di inerzia. Infatti, se la risultante di tutte le forze che agiscono su un corpo è nulla, si ha:
F risultante = 0 ( a = 0 ( Δv = 0 ( v = costante
Ne deriva che:
(se la risultante delle forze agenti su un corpo è nulla, il corpo mantiene costante la sua velocità, in direzione, modulo e verso.
In tal caso, se il corpo è fermo, resta fermo; se invece si muove con velocità v, continua a muoversi con la stessa velocità e perciò il moto è rettilineo uniforme, in quanto non cambiano né la direzione, né il modulo della velocità.
Visto che le forze, proprio perché espressione di un’interazione, si manifestano sempre a coppie, si deduce il terzo principio della dinamica, detto anche principio di azione e reazione. Esso afferma che:
(durante un’interazione tra due corpi A e B, se il corpo A esercita una forza F sul corpo B, quest’ultimo reagisce esercitando su A una forza –F, uguale in direzione e modulo alla forza subita, ma di verso opposto.
Le leggi della dinamica nei sistemi non inerziali
Un osservatore che si trova in un sistema accelerato vede le cose in modo diverso da un osservatore inerziale o attribuisce certi fenomeni alla presenza di una forza apparente, di cui sente gli effetti, ma che in realtà non esiste. Ciò che egli o è l’inerzia del suo stesso corpo o quella delle masse che si spostano; si può dire che la forza apparente è una reazione della massa all’accelerazione esterna. Tuttavia, anche se la descrizione dei fenomeni è in genere più semplice nei sistemi inerziali, non è sempre possibile vederli da un punto di vista solidale con la Terra. Ad esempio, per un automobilista non è facile immedesimarsi nel pedone fermo sul marciapiede e neppure egli è in grado di distinguere gli effetti delle forze apparenti da quelli di una forza reale e questo perché:
nessun esperimento compiuto all’interno di un sistema accelerato permette all’osservatore di a a a distinguere tra gli effetti dovuti all’inerzia e quelli dovuti a una forza reale.
I principi della dinamica sono validi solo nei sistemi inerziali; bisogna quindi trovare un modo per estenderli anche ai sistemi non inerziali.
Si può quindi estendere l’enunciato del principio di inerzia dicendo che:
se in un dato sistema di riferimento un corpo si muove di moto accelerato, o il corpo è sottoposto d a una forza o il sistema di riferimento non è inerziale
un osservatore in un sistema di riferimento non inerziale registra gli effetti delle forze reali e di quelle apparenti e, non potendo distinguerle, le valuta complessivamente. Ciò significa che per lui la forza che agisce su un corpo è la risultante di tutte le forze reali Fr e di tutte le forze inerziali apparenti Fi. Pertanto, in un sistema non inerziale, il secondo principio della dinamica diventa:
Fr + Fi = ma
E l’accelerazione che l’osservatore non inerziale misura è:

a =
Fr + Fi
m
che rappresenta il secondo principio della dinamica esteso ai sistemi che si muovono di moto rettilineo accelerato.
L’attrito
La forza di attrito
Nello studio del moto è opportuno osservare che esistono anche le forze passive, che si oppongono al moto, il cui principale esponente è la forza di attrito, (Fa) che ha le seguenti caratteristiche:
( Come tutte le forze, si misura in newton (N);
( Ha sempre la direzione del moto, ma verso opposto;
( Può essere ridotta, ma non eliminata del tutto.
L’attrito è una forza passiva, in quanto disperde energia sotto forma di calore. È noto, infatti, che strofinando due oggetti l’uno contro l’altro (come accade quando si lima un pezzo di ferro o quando le ganasce stringono il disco dei freni), i due oggetti si riscaldano notevolmente.
A livello molecolare, nei punti in cui è più forte il contatto tra le superfici, hanno luogo interazioni elettriche tra le molecole di un corpo e quelle dell’altro, che portano alla formazione di legami molecolari che ostacolano l’allontanamento delle due parti. Le forze che ne derivano vengono comunemente chiamate forze di adesione e dipendono dalla sostanza che costituisce le due superfici. Quando un corpo solido è appoggiato su un piano, esso aderisce tanto più al piano d’appoggio quanto è maggiore il contatto. Se cerchiamo di muoverlo, tirandolo o spingendolo, in modo da farlo strisciare sul piano, le rugosità delle superfici a contatto e i legami che si sono formati per adesione costituiscono un ostacolo, tanto maggiore quanto più le asperità sono pronunciate. Si generano allora piccole forze elastiche di reazione, la cui risultante costituisce la forza di attrito radente, che viene indicata con Fa. Poiché questa forza si manifesta quando il corpo è fermo e si tenta di muoverlo in una qualsiasi direzione parallela al piano d’appoggio, si parla di attrito statico.
La forza di attrito radente ha tutte le caratteristiche di una reazione vincolare, dove il vincolo è costituito dall’adesione del corpo alla base d’appoggio; pertanto, essa ha sempre la stessa direzione della forza che noi applichiamo al corpo per farlo muovere, cioè parallela al piano, ma ha verso opposto.
Ricordando la definizione di pressione come:
p=
forza perpendicolare alla superficie
=
FF
area della superficie
S
F
S
Si può dire:
Fa a S p = S
F F
da cui Fa a F
S
L’intensità della forza di attrito risulta, infatti:
( indipendente dall’area delle superfici a contatto, ma direttamente proporzionale alla forza con la x quale le due superfici premono l’una contro l’altra, cioè alla forza normale, F .
In formula:
Fa = F ==> =
Fa
FF

Il rapporto I tra l’intensità della forza di attrito e quella della forza normale, dipende esclusivamente dalla qualità delle due superfici a contatto (tipo di materiale, umidità, temperatura, levigatura, lubrificazione) e prende il nome di coefficiente di attrito radente. Essendo il rapporto tra due grandezze omogenee (due forze), il coefficiente di attrito radente è un numero, cioè una grandezza adimensionata.
La forza di attrito dipende dalla velocità relativa dei due corpi, assumendo un valore massimo quando il corpo è fermo; viene allora chiamata attrito statico. Quando il corpo inizia a muoversi, alcuni legami microscopici tra corpo e piano d’appoggio si rompono e l’attrito diminuisce rapidamente con l’aumentare della velocità, fino a raggiungere un minimo e parliamo allora di attrito dinamico. Per velocità superiori si può considerare la forza di attrito dinamico indipendente dalla velocità del corpo che striscia, ma certamente minore di quella di attrito statico.
d d s
L’attrito volvente
Oltre all’attrito radente, che si evidenzia ogni volta che un corpo striscia su un altro, esiste una forza di attrito che si produce tra un corpo che rotola e il piano sul quale si muove. Questo è detto attrito volvente. Un esempio è il caso di una biglia che rotola su un piano orizzontale: la zona di contatto in teoria è costituita da un punto (un segmento se si tratta di un cilindro che rotola); in realtà, il perso dell’oggetto deforma il piano, incurvandolo leggermente e la zona di contatto diventa una piccola calotta sferica nel caso della biglia, un rettangolo nel caso di un cilindro che rotola. Se si applica alla biglia una forza F parallela al piano, essa avanza nella direzione della forza e la zona di contatto si sposta, ma non essendoci trascinamento, l’attrito dovuto alle asperità delle due superfici è trascurabile. Avviene però un altro fenomeno: le forze di reazione elastica che nascono via via nei vari punti di contatto, perpendicolarmente al piano, a causa della curvatura di questo non sono più verticali, ma oblique. Se il piano d’appoggio fosse perfettamente elastico, le forze di reazione all’inizio e alla fine di un passaggio avrebbero la stessa intensità e la loro risultante sarebbe ancora verticale (vedi fig 1a). Un piano, invece, non è mai perfettamente elastico: dopo il passaggio della biglia, permane per qualche tempo una lieve deformazione, quindi un ritardo nel ripristinare la forma primitiva e questo fa sì che le reazioni non siano simmetriche, ma più deboli dove la biglia è già passata. Di conseguenza, la risultante R è inclinata in senso contrario al moto e non cade più in O ma in O’ (vedi fig 1b).

La risultante R si può scomporre in due componenti:
• la componente orizzontale Fa che è la forza di attrito;
• la componente verticale F , detta anche forza normale Fn, che ha modulo uguale, ma verso c c c c opposto al peso P.
si creano così due coppie di forze, con verso di rotazione opposto:
•una formata dalle forze orizzontali F ed Fa, aventi braccio CO , raggio della biglia, il cui momento
ha modulo M = Fa r;
•l’altra formata dalle forze Fn e P, distanti OO’ l’una dall’altra, il cui momento ha modulo
M’ = -F OO’.
Per l’equilibrio la somma dei momenti deve essere nulla, quindi:
Fa r - F OO’= 0
Fa =
OO'
FF
r
Da cui si ricava l’intensità della forza di attrito:
La distanza OO’, che dipende dalla natura dei corpi e dallo stato delle superfici a contatto, prende il nome di coefficiente di attrito volvente ed è indicato con v. Si può quindi dire:
Fattrito volvente =
v
FF
r

Nel caso dell’attrito volvente, non è opportuno considerare come coefficiente di attrito il rapporto tra le due forze Fa e F come si fa per l’attrito radente, perché il rapporto (uguale a v/ r) dipende dal raggio dell’oggetto che rotola e non è più una caratteristica dei metalli a contatto.
Scrivendo la relazione nella forma:
Fa r = v FF
si può dire che, quando una biglia o una ruota di raggio r rotolano su un piano, si oppone al moto un momento di modulo Fa r, che dipende dalle caratteristiche fisiche (elasticità, asperità delle superfici) e geometriche dei due corpi a contatto (dipende infatti anche dal raggio dell’oggetto che rotola) ed è proporzionale al modulo della forza Fc con cui il corpo preme sul piano.
Si può quindi definire il coefficiente di attrito volvente in modo simile a quanto fatto per quello di attrito radente, dicendo che:
il coefficiente di attrito volvente è il rapporto tra il momento Fa r che si oppone al moto e la a a forza FF con la quale il corpo preme sul piano.
v =
Fa r
FF
Infatti si ha:
Come rapporto tra un momento (che si misura in N m) e una forza (che si misura in N), il coefficiente mv ha le dimensioni di una lunghezza e si misura in metri.
Sperimentalmente risulta che:
l’attrito volvente è sempre di gran lunga inferiore all’attrito radente.
Inoltre si nota anche che:
la forza di attrito è inversamente proporzionale al raggio del corpo che rotola
Questo spiega perché si fa meno fatica a spingere un carrello con ruote grandi piuttosto che con ruote di piccolo diametro.

Legge di Boyle
Trasformazione a temperatura costante → ISOTERMA
t = k ⇒ p · v = costante
Date le grandezze termodinamiche p (pressione), v (volume) e t (temperatura); in una trasformazione di tipo isoterma il grafico che ne deriverà sarà il seguente:
Grafico di Clapeyron
Pa A

Pb B

Va Vb
Pa · Va = Pb · Vb
Leggi di Gay-Lussac
1ª legge di Gay-Lussac
Trasformazione a pressione costante → ISOBARA
p = k ⇒ v/t = costante
In una trasformazione isobara all’aumentare della temperatura t aumenta anche il volume v
P
P Grafico di Clapeyron
Se passo dallo stato 1 con V1 T1 allo stato 2 con V2 T2 si ha:
V1/ T1 = V2/ T2
V1 V2

2ª legge di Gay-Lussac
Trasformazione a volume costante → ISOCORA
v = k ⇒ p/t = costante
In una trasformazione isocora pressione p e temperatura t sono direttamente proporzionali
Pistone bloccato
P
Grafico di Clapeyron
P2
Se passo dallo stato 1 con P1 T1 allo stato 2 con P2 T2 si ha:
P1/ T1 = P2/ T2
P1
V
V

Tesina di fisica
1
Francesco Ermini

Esempio