Storia dell'economia italiana

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Testo

Andrea Centenaro

Quadro di sintesi dello sviluppo economico italiano nel novecento
• le tappe
• i protagonisti
• le modalità

Le trasformazioni che si sono verificate dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri nell’economia italiana sono state così profonde da avere pochi paragoni al mondo: l’Italia oggi si colloca al quinto posto, per prodotto nazionale lordo, tra i sette paesi più industrializzati del mondo. Lo sviluppo economico italiano, dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, è un processo che si può suddividere in tre fasi: il decollo industriale, il periodo tra le due guerre ed il periodo dal secondo dopoguerra ad oggi.
Fino agli ultimi decenni dell’Ottocento il paese trae le proprie risorse principalmente dall’agricoltura mentre l’industria ha ancora un peso limitato nell’economia. I maggiori progressi, fino al 1880, si registrano nel settore tessile ad opera dell’imprenditoria privata; tuttavia, dato il livello di sviluppo raggiunto dai paesi più progrediti, tale settore risulta inadeguato a sostenere un processo di industrializzazione. A partire dal 1880, la crisi agraria determina uno spostamento di investimenti verso settori più redditizi; l’Italia compie allora una politica protezionistica cercando da un lato di bloccare la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli e dall’altro di sostenere il processo di industrializzazione. Per ritorsione contro il protezionismo italiano, la Francia adotta misure restrittive nei confronti delle importazioni italiane; le difficoltà provocate dalla guerra doganale con la Francia, in aggiunta a quelle che gravavano sull’agricoltura determinano il fenomeno dell’emigrazione. Se dal 1880 al 1896 il processo di industrializzazione rimane stabile, dal 1896 al 1914 si assiste ad una fase di vero e proprio decollo industriale, soprattutto per quanto riguarda il settore siderurgico.
Successivamente il fascismo intensifica la politica di autosufficienza dell’economia italiana favorendo molte imprese private e nello stesso tempo accentuando l’intervento diretto dello stato nel campo economico. Il sostegno pubblico all’economia diviene, sotto il regime fascista, una componente caratteristica della politica italiana, in particolare nel 1933, con la fondazione di un ente pubblico, l’IRI (istituto per la ricostruzione industriale), destinato a soccorrere le imprese in difficoltà o a sostituirvisi. Esso col tempo diviene il massimo gruppo economico d’Italia, allargando il proprio ambito dall’industria ad ogni genere di attività: bancaria, finanziaria, dei trasporti, delle comunicazioni e delle telecomunicazioni.
Nell’Italia del secondo dopoguerra si costituisce un capitalismo di stato moderno e non solo legato, come quello dell’era fascista, ad una politica di salvataggio. Nell’industria di base l’IRI realizza il piano di produzione di acciaio a ciclo integrale, ossia partendo dal minerale. Si va via via formando un apparato siderurgico efficiente, condizione necessaria per lo sviluppo di un’industria meccanica volta alla produzione di massa. Negli anni Cinquanta il capitale pubblico opera con successo anche nel settore energetico: le imprese statali per la ricerca e la lavorazione del gas naturale e del petrolio vengono riunite sotto un nuovo ente pubblico, l’ENI. La disponibilità di nuove fonti energetiche influisce anche sull’industria elettrica, in gran parte allora sotto controllo privato. Oltre che nel settore degli idrocarburi l’ENI si allarga anche a quello dei derivati chimici e ad altri settori come la meccanica e l’energia nucleare. Nel 1962 viene nazionalizzata anche la produzione di energia elettrica. L’intervento dell’industria di stato contribuisce quindi in maniera considerevole ad ampliare la struttura industriale del paese: non solo vengono create le condizioni per rendere disponibili all’industria materie prime, ma viene anche sviluppata una serie di nuovi prodotti. Il sistema delle imprese pubbliche raggiunge la sua massima espansione negli anni Settanta quando, in un periodo di crisi, lo stato interviene per salvare aziende e settori in crisi. Successivamente, ed in particolare nel corso degli anni Novanta, si delinea un movimento in senso inverso: una serie di fattori, tra i quali la situazione critica della finanza pubblica italiana, spingono lo stato a privatizzare le imprese pubbliche. La liquidazione di queste imprese crea una serie di effetti positivi ed in particolare contribuisce a risanare almeno in parte i conti pubblici. Fino ad oggi sono già stati privatizzati grandi enti statali come il Credito Italiano, la Banca Commerciale Italiana, l’ENI, la Telecom, l’ENEL, e questo processo è tuttora in atto.

Andrea Centenaro

Quadro di sintesi dello sviluppo economico italiano nel novecento
• le tappe
• i protagonisti
• le modalità

Le trasformazioni che si sono verificate dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri nell’economia italiana sono state così profonde da avere pochi paragoni al mondo: l’Italia oggi si colloca al quinto posto, per prodotto nazionale lordo, tra i sette paesi più industrializzati del mondo. Lo sviluppo economico italiano, dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, è un processo che si può suddividere in tre fasi: il decollo industriale, il periodo tra le due guerre ed il periodo dal secondo dopoguerra ad oggi.
Fino agli ultimi decenni dell’Ottocento il paese trae le proprie risorse principalmente dall’agricoltura mentre l’industria ha ancora un peso limitato nell’economia. I maggiori progressi, fino al 1880, si registrano nel settore tessile ad opera dell’imprenditoria privata; tuttavia, dato il livello di sviluppo raggiunto dai paesi più progrediti, tale settore risulta inadeguato a sostenere un processo di industrializzazione. A partire dal 1880, la crisi agraria determina uno spostamento di investimenti verso settori più redditizi; l’Italia compie allora una politica protezionistica cercando da un lato di bloccare la caduta dei prezzi dei prodotti agricoli e dall’altro di sostenere il processo di industrializzazione. Per ritorsione contro il protezionismo italiano, la Francia adotta misure restrittive nei confronti delle importazioni italiane; le difficoltà provocate dalla guerra doganale con la Francia, in aggiunta a quelle che gravavano sull’agricoltura determinano il fenomeno dell’emigrazione. Se dal 1880 al 1896 il processo di industrializzazione rimane stabile, dal 1896 al 1914 si assiste ad una fase di vero e proprio decollo industriale, soprattutto per quanto riguarda il settore siderurgico.
Successivamente il fascismo intensifica la politica di autosufficienza dell’economia italiana favorendo molte imprese private e nello stesso tempo accentuando l’intervento diretto dello stato nel campo economico. Il sostegno pubblico all’economia diviene, sotto il regime fascista, una componente caratteristica della politica italiana, in particolare nel 1933, con la fondazione di un ente pubblico, l’IRI (istituto per la ricostruzione industriale), destinato a soccorrere le imprese in difficoltà o a sostituirvisi. Esso col tempo diviene il massimo gruppo economico d’Italia, allargando il proprio ambito dall’industria ad ogni genere di attività: bancaria, finanziaria, dei trasporti, delle comunicazioni e delle telecomunicazioni.
Nell’Italia del secondo dopoguerra si costituisce un capitalismo di stato moderno e non solo legato, come quello dell’era fascista, ad una politica di salvataggio. Nell’industria di base l’IRI realizza il piano di produzione di acciaio a ciclo integrale, ossia partendo dal minerale. Si va via via formando un apparato siderurgico efficiente, condizione necessaria per lo sviluppo di un’industria meccanica volta alla produzione di massa. Negli anni Cinquanta il capitale pubblico opera con successo anche nel settore energetico: le imprese statali per la ricerca e la lavorazione del gas naturale e del petrolio vengono riunite sotto un nuovo ente pubblico, l’ENI. La disponibilità di nuove fonti energetiche influisce anche sull’industria elettrica, in gran parte allora sotto controllo privato. Oltre che nel settore degli idrocarburi l’ENI si allarga anche a quello dei derivati chimici e ad altri settori come la meccanica e l’energia nucleare. Nel 1962 viene nazionalizzata anche la produzione di energia elettrica. L’intervento dell’industria di stato contribuisce quindi in maniera considerevole ad ampliare la struttura industriale del paese: non solo vengono create le condizioni per rendere disponibili all’industria materie prime, ma viene anche sviluppata una serie di nuovi prodotti. Il sistema delle imprese pubbliche raggiunge la sua massima espansione negli anni Settanta quando, in un periodo di crisi, lo stato interviene per salvare aziende e settori in crisi. Successivamente, ed in particolare nel corso degli anni Novanta, si delinea un movimento in senso inverso: una serie di fattori, tra i quali la situazione critica della finanza pubblica italiana, spingono lo stato a privatizzare le imprese pubbliche. La liquidazione di queste imprese crea una serie di effetti positivi ed in particolare contribuisce a risanare almeno in parte i conti pubblici. Fino ad oggi sono già stati privatizzati grandi enti statali come il Credito Italiano, la Banca Commerciale Italiana, l’ENI, la Telecom, l’ENEL, e questo processo è tuttora in atto.

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