ottica fisica

Materie:Altro
Categoria:Fisica

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Testo

Ottica s.f. Parte della fisica che tratta i fenomeni luminosi e le leggi relative. Per estens. Studio dei fenomeni elettromagnetici in generale (i fenomeni luminosi sono legati a radiazioni elettromagnetiche di frequenze comprese in un campo limitato): Ottica delle radiazioni infrarosse o ultraviolette, ottica dei raggi X, y, ecc. Per estens. Insieme di strumenti ottici; la tecnica della loro fabbricazione: Negozio di ottica. Insieme delle parti di uno strumento costituite da lenti, prismi, specchi: Un apparecchio fotografico dall'ottica perfetta. Fig. Modo di vedere, di considerare: Esaminare un problema con un'ottica moderata. Ottica geometrica, parte dell'ottica che assume come ipotesi fondamentale la propagazione rettilinea della luce. (Spiega i fenomeni della riflessione e della rifrazione dandone le leggi, ma non giustifica i fenomeni dell'interferenza e della diffrazione, che vengono interpretati dall'ottica fisica.) Ottica fisica, studio dell'ottica come caso particolare dell'elettromagnetismo. (Nell'ambito della fisica classica, non quantistica, si fonda sull'ipotesi ondulatoria della luce e comprende l'ottica geometrica nel caso particolare in cui la lunghezza d'onda della radiazione considerata è trascurabile rispetto alle dimensioni degli oggetti su cui incide: poiché le radiazioni visibili hanno lunghezza d'onda molto piccola [dell'ordine di 10­7 m], le leggi che regolano la visione del mondo esterno da parte dell'uomo sono quelle dell'ottica geometrica.) Ottica elettronica, studio delle traiettorie degli elettroni. (L'uso del termine ottica si giustifica nell'ambito della teoria quantistica della materia e della radiazione che mette in luce l'analogia tra particella microscopica e onda luminosa.) Ottica non lineare, insieme delle proprietà caratteristiche della propagazione delle onde elettromagnetiche in un mezzo materiale che si manifestano quando l'intensità del campo elettromagnetico è molto elevata.
— Fotogr. Ottica fotografica, parte dell'ottica fisica che studia i fenomeni luminosi derivanti dall'uso di lenti e obiettivi, ossia dovuti alle radiazioni visibili o invisibili, che impressionano le superfici sensibili fotografiche. — Ind. chim. Vetro d'ottica, vetro la cui composizione e fabbricazione sono particolarmente curate.
 Fisica
1 Christiaan Huygens
1 Diffrazione
1 Kneller, Isaac Newton
La propagazione rettilinea della luce è fenomeno che già era noto ai Babilonesi. Pitagora, Democrito, Platone, Empedocle ed Euclide spiegavano l'atto del vedere supponendo che qualcosa dell'occhio raggiungesse l'oggetto visto. Aristotele ammetteva l'esistenza, tra l'occhio e l'oggetto osservato, d'un mezzo intermedio in analogia con l'aria interposta tra la sorgente di un suono e l'orecchio che lo avverte. I primi strumenti ottici, gli specchi piani, in metallo o in ossidiana, furono trovati nelle tombe egizie, mentre gli specchi convessi e concavi furono costruiti dai Romani.
L'arabo Al-Hazin fu il primo a rifiutare l'idea di una luce che esca dagli occhi e avvolga i corpi, ammettendo invece l'ipotesi che la visione avvenga per mezzo di raggi emessi dalla cosa vista dall'occhio; inoltre interpretò il processo della visione come risultato di una infinità di processi elementari, postulando che a ogni punto dell'oggetto osservato corrispondesse un punto impressionato nell'occhio.
In Occidente l'ottica non fu studiata che agli inizi del XIII sec., con Ruggero Bacone che descrisse accuratamente il fenomeno dell'arcobaleno e osservò i fenomeni della riflessione e della rifrazione.
Nel XVI sec., il messinese Francesco Maurolico (1494- 1575) diede inizio allo studio della rifrazione della luce attraverso i prismi, affermando che i colori che se ne ottengono sono uguali a quelli che si osservano nell'arcobaleno; il napoletano G. B. Della Porta (1535-1615) studiò la proprietà degli specchi piani e concavi e della camera oscura. Intorno al 1600 venne inventato il cannocchiale. Keplero (1571-1630) e Cartesio (1596-1650) diedero un notevole contributo allo sviluppo delle conoscenze nel campo dell'ottica. Nella Diottrica di Cartesio è formulata per la prima volta la legge della rifrazione, trovata anche da Snellius. Nel 1678 Huygens avanzò, in contrapposizione alla teoria corpuscolare di Newton, l'ipotesi della natura ondulatoria della luce secondo la quale la luce consisterebbe in vibrazioni trasversali di un mezzo elastico (poi chiamato etere), che riempirebbe tutto lo spazio; Roemer dedusse (1675) un valore approssimato della velocità della luce dall'osservazione dei satelliti di Giove. Newton realizzò il telescopio a specchio e dimostrò che la luce bianca si compone di un numero infinito di raggi colorati che si rifrangono in modo differente l'uno dall'altro.
Nel corso del XIXsec. l'evidenza sperimentale giocò a favore della teoria ondulatoria. Thomas Young scoprì l'interferenza (1801); Malus dimostrò sperimentalmente che la luce riflessa sotto un certo angolo è polarizzata; Fresnel dimostrò l'inconsistenza della teoria corpuscolare in una serie di lavori sulla teoria della diffrazione e della polarizzazione e scoprì il fenomeno della polarizzazione circolare. Cauchy sottopose a rigore critico i principali fenomeni ottici, mentre Biot osservò la polarizzazione rotatoria e realizzò i primi saccarimetri. Fizeau (1849) e Foucault (1862) misurarono la velocità della luce. Nel 1865 Maxwell formulò la teoria elettromagnetica della luce, poi brillantemente confermata da numerosissime verifiche; Kirchhoff e Bunsen crearono l'analisi spettrale; nel campo delle applicazioni pratiche va ricordata l'invenzione e la realizzazione sempre più perfezionata della fotografia. Infine l'effetto fotoelettrico, inspiegabile secondo la teoria ondulatoria, indusse i fisici a ritenere che la luce fosse composta di granuli di energia, i fotoni, e fu il punto di partenza per la formulazione della fisica quantistica.
 Ottica geometrica
L'ottica geometrica è un modello astratto che riproduce le principali proprietà della propagazione rettilinea della luce. Le sorgenti luminose sono rappresentate da punti isolati o da insiemi di punti da cui escono i raggi luminosi rappresentati come segmenti di retta. I corpi materiali che i raggi incontrano nel loro percorso sono schematizzati come figure geometriche limitate da superfici continue; le proprietà ottiche delle sostanze che costituiscono questi corpi sono sintetizzate in un unico numero caratteristico n detto indice di rifrazione. I fenomeni di riflessione e rifrazione che avvengono alla superficie di separazione di due mezzi con indici di rifrazione differenti n1 e n2 sono accuratamente descritti da semplici relazioni geometriche tra le direzioni dei raggi incidenti riflessi e rifratti e la normale alla superficie di separazione dei due mezzi; precisamente, detto i l'angolo d'incidenza, i' l'angolo di riflessione e r l'angolo di rifrazione, si ha: a) il raggio incidente, quello riflesso, quello rifratto e la normale alla superficie di separazione nel punto d'incidenza appartengono a uno stesso piano; b) l'angolo d'incidenza i è uguale all'angolo di riflessione i' (legge della riflessione); c) gli angoli di incidenza e di rifrazione sono legati agli indici di rifrazione dei due mezzi dalla relazione n1 sen i = n2 sen r (legge della rifrazione). In base a queste leggi fondamentali (che valgono anche nell'ottica fisica) si può costruire tutta l'ottica geometrica e in particolare la teoria dei diottri e dei sistemi ottici. Il modello dell'ottica geometrica si può ampliare aggiungendovi alcune proprietà caratteristiche dell'ottica fisica in modo da poter rappresentare anche altri fenomeni non riconducibili a proprietà geometriche. Si può per esempio associare ai raggi una velocità di propagazione c/n (c, velocità della luce nel vuoto) e una lunghezza d'onda ; supponendo che l'indice di rifrazione dipenda anche da si ottiene un'interpretazione del fenomeno della dispersione della luce. Tutte le leggi dell'ottica geometrica si possono compendiare in un unico principio variazionale, noto come principio di Fermat che asserisce che la traiettoria di un raggio luminoso che da un punto A raggiunge un punto B è quella che rende minimo il tempo di percorrenza, cioè rende stazionario l'integrale n/c ds dove ds è l'elemento d'arco della curva .
 Ottica fisica
L'ottica fisica, che tratta della natura delle radiazioni luminose, e dei fenomeni d'interazione tra radiazione e materia (emissione, assorbimento, riflessione, rifrazione, interferenza, polarizzazione, ecc.) è fondata sulle equazioni di Maxwell del campo elettromagnetico; tuttavia una tradizione che ancora oggi non è stata superata nella didattica, tende a tener distinta una teoria delle onde elettromagnetiche da un'ottica fisica intendendo con questa espressione una teoria delle onde che rende conto dei fenomeni visibili all'occhio umano. Il sistema delle quattro equazioni differenziali di Maxwell, sotto opportune condizioni (mancanza di cariche e correnti nello spazio), si riduce a un'equazione del tipo:
(dove f indica il laplaciano di f), che ammette una soluzione del tipo
f = af(x—ct) + b((x + ct)
che esprime la sovrapposizione di moti ondosi. Il principio di Huygens-Fresnel (anteriore alla formulazione maxwelliana delle onde elettromagnetiche), su cui si basa tutta la teoria delle onde visibili quale è formulata nell'ottica fisica, suppone appunto l'esistenza di una sovrapposizione di tal genere; in base a questo principio le sorgenti di radiazione sono considerate come sovrapposizione di vibratori elementari; la superficie del corpo emittente emette in tutto lo spazio onde che si propagano con velocità c nel vuoto, e v (< c) nei mezzi materiali trasparenti: se il mezzo è omogeneo e isotropo le onde sono sferiche perché si propagano con uguale velocità in ogni direzione. Questo modello di propagazione (che si è dimostrato essere una soluzione approssimata delle equazioni di Maxwell) dà ragione di molti fenomeni: i “raggi” luminosi dell'ottica geometrica non sono altro che le normali alle superfici d'onda, e restano così spiegati in modo logico i fenomeni della riflessione e della rifrazione; inoltre anche i fenomeni propri della teoria ondulatoria della luce (interferenza, diffrazione, ecc.) possono venire correttamente interpretati secondo questo modello. Viene infine naturale pensare all'ottica geometrica come una forma limite della teoria delle onde, quando le lunghezze d'onda che entrano in gioco hanno dimensioni trascurabili rispetto agli oggetti con cui interagiscono.
 Ottica non lineare
In un dielettrico immerso in un campo elettrico E si manifesta una polarizzazione P che normalmente è proporzionale a E: P = x E, dove la costante di proporzionalità è la suscettività dielettrica del mezzo. La costante dielettrica relativa r è legata a èèdalla relazione r = 1 + = (o r = 1 + 4===se si usa un sistema di unità razionalizzato) e fornisce una valutazione teorica approssimata dell'indice di rifrazione del mezzo . Con il laser si possono oggi produrre radiazioni luminose il cui campo elettrico è talmente intenso che la polarizzazione P non è più una funzione lineare di E. Ne segue che la nozione stessa di indice di rifrazione diventa priva di significato e la propagazione delle onde segue delle leggi particolari non riconducibili a quelle dell'ottica tradizionale. Si osserva, per es., il fenomeno dell'autopolarizzazione, in cui un fascio di raggi paralleli usciti da un laser tende, nell'interno di un mezzo materiale, a focalizzarsi e concentrarsi in filamenti sottilissimi, e il fenomeno della produzione di armoniche, consistente nell'apparizione, in un intenso fascio di frequenza che attraversa un dielettrico, di onde di frequenza doppia 2c.
 Ottica elettronica
Gli elettroni in movimento sono deviati dall'azione di campi elettrici o magnetici. Quindi opportuni campi a simmetria assiale possono esercitare sui fasci di elettroni un'azione analoga a quella esercitata dalle lenti sui raggi luminosi. Le lenti elettroniche possono essere di tipo elettrostatico (condensatori cilindrici) o elettromagnetico (bobine o elettromagneti). Sui princìpi dell'ottica elettronica è basato, tra l'altro, il funzionamento dei microscopi e dei telescopi elettronici e dei sistemi di deflessione del fascio negli oscillografi e negli oscilloscopi a raggi catodici.
 Industria chimica
Esistono centinaia di composizioni per vetro d'ottica in grado di fornire il voluto indice di rifrazione ovvero caratteristiche di assorbimento o trasmissione secondo le varie lunghezze d'onda. Data la delicatezza dell'impiego, le materie prime per la fabbricazione del vetro debbono essere accuratamente selezionate. La fusione avviene generalmente in crogiolo di refrattario altamente resistente; in certi casi è necessario ricorrere a crogioli di platino o rivestiti in platino per evitare ogni contaminazione. Poiché una delle caratteristiche di tale vetro è la più scrupolosa omogeneità, nel corso della fusione si procede ad una agitazione meccanica prolungata. Onde evitare la formazione di tensioni nel corso del raffreddamento, questo deve essere lentissimo e accuratamente controllato: il raffreddamento dei grossi blocchi può durare anche alcune settimane.
Alla fine di tale processo i blocchi, completamente esenti da difetti, vengono spezzati in frammenti più o meno grossi, formati a caldo per l'ottenimento dello sbozzo che, dopo essere stato ricotto, viene molato alle dimensioni desiderate e lucidato. Nel caso particolare della lavorazione delle lenti la curvatura voluta viene ottenuta a incipiente rammollimento in piccoli stampi, lo sbozzo dei quali riproduce esattamente la forma.
Huygens Christiaan, fisico, matematico e astronomo olandese (L'Aia 1629-1695), figlio di Constantijn. Studiò alle università di Leida e di Breda; si dedicò dapprima a studi su questioni matematiche e volse poi i suoi interessi verso problemi di fisica. Nel 1663 fu accolto come membro della Royal Society di Londra; nel 1665 fu chiamato in Francia da Colbert e divenne membro dell'Accademia delle scienze (1666): durante il soggiorno a Parigi, ove rimase fino al 1680, subì profondamente l'influenza dell'ambiente filosofico francese. Trascorse poi gli ultimi anni di vita in Olanda in solitudine e malato.
L'importanza di Huygens nella storia della scienza è legata soprattutto alle sue opere di fisica, nel campo della meccanica e dell'ottica. Egli può essere infatti considerato come uno dei fondatori della meccanica, perché per primo studiò i sistemi rigidi, estendendo così i risultati stabiliti da Galileo per la meccanica di un punto in movimento. Formulò la teoria dei momenti di inerzia, grandezze che egli stesso introdusse nello studio dei sistemi rigidi, e attraverso questa teoria trattò compiutamente, nell'opera Horologium oscillatorium, dedicata a Luigi XIV (1673), il problema del pendolo composto e stabilì il risultato (teorema di Huygens del pendolo reversibile) della reciprocità tra asse di oscillazione e asse di sospensione. Applicò la teoria del pendolo composto alla costruzione del bilanciere degli orologi, e propose l'uso di una molla a spirale per gli orologi portatili mentre già dal 1657 aveva inventato lo scappamento ad ancora per mantenere il movimento. Sempre attraverso la teoria del pendolo composto, calcolò il valore dell'accelerazione di gravità e ne studiò le variazioni dipendenti dalla latitudine. Formulò inoltre l'ipotesi della conservazione della “forza viva” (termine con cui si designava la quantità denominata ora energia cinetica) e applicò questo principio di conservazione alla risoluzione del problema dell'urto (1669). In ottica, fu il primo a formulare con precisione una teoria ondulatoria della luce: introdusse l'ipotesi che la luce consista in una perturbazione di carattere ondulatorio e che nella propagazione di questa ogni punto raggiunto dalla vibrazione generata da una sorgente si comporti a sua volta come sorgente secondaria di vibrazioni, facendo nascere una nuova onda elementare; l'inviluppo di tutte le onde elementari costituisce la superficie d'onda, luogo dei punti che vengono raggiunti dalla perturbazione allo stesso istante. Attraverso il metodo delle onde elementari e della superficie d'onda (che venne poi precisato meglio da Fresnel ed è noto come principio di Huygens-Fresnel), Huygens dimostrò, nell'opera Trattato sulla luce, composta durante il suo soggiorno in Francia, ma pubblicata solo nel 1690 a Leida, che dall'ipotesi ondulatoria si ottenevano le leggi della riflessione e della rifrazione altrettanto correttamente che dall'ipotesi corpuscolare sostenuta da Cartesio e Newton; la polemica tra gli assertori dell'impostazione ondulatoria di Huygens e di quella corpuscolare newtoniana continuò ancora per i due secoli successivi e venne superata solo con il nuovo concetto di radiazione elettromagnetica e di fotone della fisica moderna, che compendia entrambe le teorie attribuendo alla luce natura ondulatoria e corpuscolare a un tempo. Come matematico, Huygens sviluppò la teoria delle evolute e completò lo studio della cicloide, di cui già Pascal aveva stabilito importanti proprietà: diede anche un'applicazione fisica ai risultati teorici ottenuti sulla cicloide, realizzando il moto di un punto materiale pesante su una traiettoria cicloidale (pendolo cicloidale). Calcolò anche alcune importanti aree, ottenne la rettificazione della cissoide e stabilì le proprietà della curva logaritmica e della catenaria. Ebbe inoltre il merito di avviare Leibniz allo studio dell'analisi infinitesimale. Si dedicò anche a problemi di calcolo delle probabilità e compose nel 1656 il trattato De ratiociniis in ludo aleae.
Nella sua opera di astronomo ebbero grande importanza sia le ricerche teoriche sia l'attività pratica; si dedicò infatti a perfezionare la teoria cartesiana dei vortici secondo cui l'attrazione di gravità sarebbe dovuta a un “etere rotante” attorno alla Terra e agli altri corpi celesti, e in questo studio stabilì le leggi della forza centrifuga (1673). Inoltre dimostrò, contemporaneamente ad altri scienziati (Hooke, Halley, Wren), e indipendentemente da essi, che se le orbite dei pianeti fossero circolari il moto sarebbe dovuto a una forza inversamente proporzionale ai quadrati delle distanze dal Sole: benché fosse già noto dall'opera di Keplero che le orbite dei pianeti sono ellittiche, il risultato è notevole, poiché portava allo stesso tipo di forza che sarebbe poi stato introdotto dalla legge fondamentale di Newton sull'attrazione tra due masse. Ebbero grande importanza le invenzioni che Huygens compì per perfezionare gli strumenti di osservazione astronomica, e che fecero di Leida uno dei maggiori centri di ricerca astronomica alla fine del XVII sec.; egli inventò l'oculare negativo dei cannocchiali, che ne aumentò grandemente la potenza, e propose nuovi procedimenti nella lavorazione delle lenti (descritti nei suoi Commentarii de formandis poliendisque vitris ad telescopia, pubblicati dopo la sua morte nel 1703). Grazie ai mezzi di osservazione più perfezionati che aveva inventato, scoprì l'anello di Saturno e il suo primo satellite, Titano (1655), la rotazione di Marte, le macchie scure di Giove, la nebulosa di Orione (1656).
Tutte le opere di Huygens furono raccolte da W. J. 's-Gravesande e pubblicate sotto il titolo Christiani Hugenii Zulchemii, dum viveret Zeleni toparchae, Opera varia (1724), e completate da Opera reliqua (1728).
Newton (sir Isaac), fisico, matematico e astronomo inglese (Woolsthorpe, Lincolnshire, 1642 - Kensington, Middlesex, 1727). Figlio postumo di un proprietario terriero, studiò al Trinity College di Cambridge dove fu notato da I. Barrow. Nel 1665, durante la peste di Londra, l'università di Cambridge fu chiusa ed egli rientrò a Woolsthorpe, rimanendovi fino al 1667. A questo periodo risalgono le sue scoperte fondamentali sul calcolo infinitesimale, sulla natura della luce e sulla teoria della gravitazione universale. Nel 1669 succedette a Barrow nell'insegnamento della matematica ed espose nelle sue lezioni la teoria della composizione della luce bianca, completando la spiegazione del fenomeno dell'arcobaleno fornita da Cartesio. Nel 1671 costruì un telescopio a riflessione. Nominato membro della Royal Society nel 1672, tre anni dopo comunicò a tale accademia una teoria sul colore dei corpi, pervenendo anche a una spiegazione delle iridescenze prodotte mediante lamine sottili. I suoi studi sulla diffrazione (scoperta dal Grimaldi) non vennero pubblicati che nel 1704, nella prima edizione del Trattato di ottica. Cedendo alle pressioni di Halley, si accinse, probabilmente intorno al 1683, a scrivere i Princìpi matematici della filosofia naturale, che vennero pubblicati nel 1687, nonostante le ristrettezze finanziarie della Royal Society, avendo lo stesso Halley garantito al tipografo la copertura delle spese di stampa. In tale opera Newton sviluppò la sua teoria della gravitazione universale che andava elaborando da parecchi anni. Infatti il celebre aneddoto della mela che, secondo la tradizione, avrebbe suggerito a Newton la legge dell'attrazione universale, si fa risalire al 1666. Oltre a questa legge fondamentale, secondo cui la forza di attrazione tra due corpi è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza , si trovano esposti nel trattato lo studio del moto dei fluidi, le leggi dell'urto, il calcolo della precessione degli equinozi, la teoria delle maree, ecc. Si può affermare senz'altro che questo scritto ha posto i fondamenti e ha fissato i procedimenti della scienza moderna. Nel 1687 Newton fu scelto dall'università di Cambridge quale difensore dei suoi diritti contro le intromissioni della monarchia; le capacità di cui diede prova in tale occasione lo fecero eleggere dal medesimo ateneo come proprio rappresentante al parlamento. Nel 1695 lord Halifax, suo ex alunno e cancelliere dello scacchiere, allo scopo di attuare un progetto di riforma radicale del sistema monetario lo nominò ispettore della zecca di Londra, di cui successivamente divenne direttore (1699). Sempre nel 1699, l'Accademia delle scienze di Parigi lo chiamò a occupare uno degli otto posti di membro straniero; nel 1703 fu eletto presidente della Royal Society, carica che mantenne fino alla morte.
A Newton si devono anche numerose scoperte matematiche fondamentali. Nel campo dell'analisi infinitesimale i suoi risultati sono esposti in numerosi opuscoli, tra i quali si ricordano: Analysis per aequationes numero terminorum infinitas, composto intorno al 1666; Methodus fluxionum et serierum infinitarum, scritto con intenti didattici verso il 1671 e nel quale vengono definite le flussioni e le fluenti. Nello stesso opuscolo si occupò inoltre della determinazione dei valori massimi e minimi e dei flessi delle funzioni di una variabile, della costruzione di tangenti alle curve piane, di quadrature e di rettificazioni. Notevoli sono pure il Tractatus de quadratura curvarum (1665-1666), gli appunti riuniti sotto il titolo Methodus differentialis (1712) e soprattutto il suo carteggio del quale fanno parte alcune lettere che, per la loro importanza e l'ampia notorietà che raggiunsero, possono essere considerate vere e proprie memorie scientifiche. Nel trattato relativo alla quadratura delle curve si notano, in particolare, le regole del metodo delle flussioni esposte contemporaneamente alla scoperta da parte di Leibniz del calcolo differenziale; anzi, tra i sostenitori dei due scienziati sorse un'accesa disputa circa la priorità dell'invenzione di tale nuovo metodo di calcolo. Newton detestava questo genere di controversie e ciò spiega l'esitazione che egli spesso mostrò prima di pubblicare i risultati originali delle sue ricerche.
Dell'attività di Newton come insegnante rimangono due documenti: le lezioni di Ottica e un'Arithmetica universalis pubblicata nel 1707, che è probabilmente un lavoro compilato da qualche suo alunno; quest'ultimo scritto è diviso in due parti distinte, dedicate rispettivamente all'esposizione dei metodi per la risoluzione algebrica dei problemi geometrici e alle equazioni algebriche.
Scrisse anche due opere di ricerche storiche e teologiche. Un attacco di male della pietra lo spense, lasciando costernata tutta l'Inghilterra, dove egli era venerato come una gloria nazionale. Ebbe funerali solenni e gli fu eretta nell'abbazia di Westminster una tomba sontuosa con la famosa iscrizione: Sibi gratulentur mortales, tale tantumque extitisse humani generis decus (“Si rallegrino i mortali che sia sorto un tale e tanto grande vanto del genere umano”). L'iscrizione non è frutto di retorica: Newton infatti è uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi e pochi altri come lui hanno lasciato un'impronta così profonda e rivoluzionaria in tanti campi della ricerca.
Pitàgora, in gr. Pythágoras, filosofo greco (Samo 571-570 a.C. - Metaponto 497-496 a.C.). La sua esistenza, attraverso l'esaltazione trasfiguratrice dei seguaci, acquistò ben presto l'indeterminatezza ambigua del simbolo; tuttavia i riferimenti di contemporanei ci fanno certi della realtà storica del personaggio. Il nucleo biografico più attendibile presente nella tradizione attesta che Pitagora si trasferì dalla nativa Samo a Crotone, nella Magna Grecia, fondandovi una setta filosofico-religiosa. Altre comunità si costituirono ben presto in molte città dell'Italia meridionale, esercitandovi un'influenza politica di orientamento aristocratico e conservatore. Travolte da una crescente opposizione popolare, tali comunità si dissolsero nel giro di circa un secolo. Secondo una tradizione Liside, esule da Crotone a Tebe, fondò qui una comunità pitagorica, alla quale appartennero Filolao, il pensatore più illustre del pitagorismo del V sec., e Simmia e Cebete, gli interlocutori del Fedone platonico. Con Archippo il pitagorismo tebano ritornò nella Magna Grecia, a Taranto: un maestro della comunità tarantina fu Archita, amico di Platone. L'eredità del pitagorismo classico, estintosi poco dopo la morte di Archita, fu più tardi raccolta e rinverdita dal neopitagorismo. Nel corpo delle dottrine filosofico-matematiche e delle concezioni religiose che nel loro insieme vanno sotto il nome di “pitagorismo” è impossibile distinguere l'apporto di Pitagora dai contributi accumulati nel corso dei secoli dai seguaci della scuola. È certo comunque che le fondamentali credenze religiose, come quella nella metempsicosi, e le prescrizioni e interdizioni connesse a tali credenze (come il divieto di cibarsi di carne e l'altro, di significato più oscuro, di mangiare le fave) appartengono al nucleo più antico della dottrina. Non meno del patrimonio etico-religioso, garantito dall'autorità del fondatore (l'ipse dixit proviene dalla tradizione pitagorica) e trasmesso per via orale agli iniziati (detti perciò “acusmatici”, cioè “abituati ad ascoltare”), ha contato nella storia della civiltà il complesso delle scoperte dei “matematici”, cioè dei membri della setta impegnati ad approfondire e a sviluppare l'insegnamento scientifico del maestro. Anche se la relazione enunciata nel celebre “teorema di Pitagora” era già nota a culture anteriori a quella greca, di molte altre importanti acquisizioni nel campo della geometria, dell'aritmetica, della medicina, della musica, dell'astronomia e della filosofia va attribuito il merito a Pitagora e alla sua scuola: Proclo ricorda il teorema sulla somma degli angoli interni di un triangolo, la costruzione di alcuni poliedri regolari e la dimostrazione della incommensurabilità della diagonale con il lato del quadrato, accompagnata dalla sconvolgente scoperta dei limiti di applicazione dei numeri razionali. In aritmetica i pitagorici studiarono la struttura dei numeri e delle progressioni aritmetiche, individuando i numeri “perfetti” (cioè uguali alla somma dei loro divisori, come 6, 28, 496), e dimostrando che la somma dei primi n numeri dispari è uguale a n². La fissazione in dieci del numero dei corpi celesti e l'affermazione che essi ruotano tutti intorno a un fuoco centrale costituiscono le posizioni tipiche dell'astronomia pitagorica, di evidente ispirazione eliocentrica. Per ciò che riguarda la teoria musicale, i pitagorici studiarono i rapporti numerici delle lunghezze delle corde della lira in relazione alle varie consonanze. La gamma detta ancora “di Pitagora” è una scala che, nel sistema che porta lo stesso nome, si costruisce riportando nell'intervallo di una ottava i suoni costituenti una successione di quinte giuste naturali: fa, do, sol, re, la, mi, si. Dal punto di vista propriamente filosofico, è dubbio che il detto che “tutte le cose sono numeri” possa essere fatto risalire fino a Pitagora, così come è controverso il suo significato. Sembra verosimile che, almeno per i pitagorici più antichi, la riduzione della realtà a numero significasse semplicemente che ogni cosa può essere rappresentata da una certa successione di punti. In tale concetto sarebbe così adombrata la possibilità della riduzione della qualità a quantità, cioè il principio fondamentale della comprensione scientifica della natura. Con questa scoperta della meravigliosa potenza del numero era abbastanza naturale che convivesse, in un ambiente intriso di religiosità e di esoterismo, una mistica dei numeri, manifestantesi nell'attribuzione di particolari poteri a certi numeri, o nell'identificazione di valori, come la virtù e la giustizia, o di istituzioni, come il matrimonio, con numeri determinati. Elemento essenziale della concezione pitagorica è anche la dottrina dei contrari, sul ritmo dei quali si scandisce la vita del cosmo. L'equilibrio dei contrari è “armonia”, nella quale consistono essenzialmente la salute del corpo e la saggezza dell'anima. La medicina e la filosofia restaurano gli equilibri turbati, purgando e vivificando il corpo e l'anima. Anche a Pitagora, come a quasi tutti gli antichi pensatori greci, la tradizione attribuisce un viaggio di studio a Creta e in Egitto. Il particolare biografico convenzionale serve comunque in questo caso a sottolineare le due facce dell'eredità pitagorica, fatta di chiarezza razionale e di misticismo, di osservazioni rigorose e di esperienze inverificabili (come il celebre ascolto notturno della musica prodotta dai movimenti celesti). Di tutto questo si è profondamente nutrita la cultura occidentale fino ai nostri giorni.
— Icon. Un presunto ritratto di Pitagora è indicato in un'erma dei Musei capitolini di Roma, ove appare con barba appuntita e turbante di tipo orientale. Il filosofo sarebbe inoltre raffigurato in una testa bronzea da Ercolano (Napoli, Museo nazionale), in un bustino marmoreo di Ostia (Museo), e in un piccolo busto di Aquileia; la diffusione dei ritratti di Pitagora è probabilmente riferibile al movimento neopitagorico del I sec. a.C.
Demòcrito , in gr. Demókritos, filosofo greco (Abdera, Tracia, 460 circa a.C. - † 370 circa a.C.). Discepolo di Leucippo, del quale sviluppò la dottrina, secondo le fonti antiche compì lunghi viaggi in Asia e in Egitto, dove avrebbe frequentato studiosi di geometria. Le notizie riguardanti la sua vita sono però scarsamente attendibili, e la stessa sua amicizia con Ippocrate di Coo non è certa. Pare che l'idea di costruire un sistema basato su una concezione atomistica gli sia stata offerta dal filosofo Anassagora, che aveva concepito la realtà materiale come divisibile all'infinito in particelle diverse tra loro per qualità, chiamate poi da Aristotele omeomerie. Secondo una tradizione sarebbe anche vissuto ad Atene, ma da Platone, suo contemporaneo, non è mai nominato. Tornato in patria, si consacrò interamente alla filosofia e fondò la scuola di Abdera verso il 420 a.C.
Dei numerosi scritti di Democrito ci sono rimasti solo frammenti che trattano del problema morale, ma conosciamo il suo pensiero, almeno nelle linee generali, attraverso l'esposizione di Aristotele e dei dossografi dell'antichità.
Democrito, d'accordo con il pitagorismo, concepisce la realtà come un discontinuo; mentre infatti ammette che in sede puramente logico-matematica si possa pensare la realtà come divisibile all'infinito, in sede fisica pensa che la realtà sia costituita da atomi indivisibili dotati di moto spontaneo i quali, nel vuoto, danno luogo a formazioni diverse. Gli atomi, qualitativamente uguali tra loro, differiscono solo per la forma e per le dimensioni; le differenze che noi cogliamo tra le cose nella nostra esperienza sensibile derivano esclusivamente dal modo in cui gli atomi si raggruppano tra loro e dalla loro differente forma. Gli atomi non sono stati creati da nessun artefice, ma sono eterni come è eterno il movimento che li agita. Anche l'anima umana è costituita di atomi di natura ignea; essa è diffusa in tutto il corpo, con il quale si dissolve al momento della morte.
Dalla teoria dell'uniforme qualità degli atomi, Democrito è indotto a giustificare le differenze delle qualità quali appaiono a noi; pertanto egli afferma che i colori, i sapori e i suoni altro non sono che il nostro modo di interpretare determinati raggruppamenti di atomi. Sono queste le qualità secondarie, contrapposte alle qualità primarie che riguardano realmente la forma e la durezza degli atomi.
Democrito in tal modo ha concepito per primo, e per via puramente logica, la struttura atomistica della realtà; ma il suo merito maggiore sta proprio nell'aver cercato di costruire un sistema materialistico-meccanicistico capace di giustificare tutta quanta la realtà senza far ricorso a forze extranaturali.
Empèdocle , in gr. Empedoklês, filosofo greco (Agrigento, intorno al 483-482 a.C. - † 423 circa). Di famiglia ricca e potente, che tra gli ascendenti contava anche alcuni vincitori nei giochi olimpici, riportò forse egli stesso una vittoria in tali gare. Sebbene aristocratico, continuò, pare, l'opera del padre Metone, il quale era stato a capo del partito democratico, e fu, oltre che uomo politico, legislatore, poeta, medico, mago e taumaturgo. A imitazione di Parmenide, espose in versi le sue concezioni filosofiche: ci sono pervenuti, in frammenti, 400 versi di un poema sull'Universo e 120 dell'opera Le purificazioni, in cui egli si compiace di essere ritenuto dai concittadini una sorta di divinità. Secondo quanto attesta Aristotele, sarebbe morto nel Peloponneso a circa sessant'anni d'età; secondo Diogene Laerzio, si sarebbe ucciso gettandosi nel cratere dell'Etna. Empedocle fu un pensatore di grande genialità e tra i suoi discepoli ebbe forse il filosofo Gorgia. Della sua opera alcuni secoli più tardi Lucrezio fece il più alto elogio.
Filosofo eclettico, si ispirò al pensiero di Eraclito, di Parmenide e di Pitagora; contro gli eleati tentò una felice rivalutazione della conoscenza sensibile e con la sua teoria dei “quattro elementi” mirò a giustificare il divenire del mondo, che già Eraclito aveva considerato come la verità fondamentale. L'acqua, l'aria, il fuoco e la terra sono secondo lui i quattro elementi la cui combinazione e la cui divisione generano le cose della nostra esperienza, con un processo continuo che mai si arresta. In questo senso i due grandi avversari dell'essere e del divenire, Parmenide ed Eraclito, vengono entrambi accettati da Empedocle, in quanto egli ammette la teoria parmenidea che qualcosa permane sempre identico a se stesso, affermando che i quattro elementi non subiscono cangiamenti, ma nello stesso tempo accoglie la tesi del divenire di Eraclito, poiché ritiene che tutta la realtà della nostra esperienza sia sottoposta a continue trasformazioni e che nulla rimanga mai identico a se stesso. Le forze che operano sui quattro elementi, di volta in volta unendoli o separandoli, sono l'Odio e l'Amore, concepiti non come mitiche rappresentazioni, ma come due forze attive insite nella realtà.
Nel campo della fisica e della biologia, Empedocle ha lasciato qualche traccia sia con le sue osservazioni sulla forza centrifuga, sia con l'intuizione dell'evoluzione dei viventi e della selezione naturale.
Euclide, matematico greco (III sec. a.C.). Della sua vita si sa solo che insegnò matematica ad Alessandria, ove aveva fondato la famosa scuola. È noto soprattutto per i suoi Elementi, opera di estrema chiarezza e rigore, che ancora oggi viene considerata un testo fondamentale. Essa è impostata sull'assunzione di alcune nozioni comuni, accettate come postulati, dai quali vengono dedotti diversi teoremi. Comprende tredici libri ai quali se ne aggiunsero altri due attribuiti a Ipsicle, matematico d'Alessandria, probabilmente del II sec. a.C. I primi quattro libri sono dedicati alla geometria del piano con lo studio delle sole linee poligonali e circolari. La similitudine è trattata nei libri V e VI, che studiano i rapporti e le proporzioni. La teoria dei numeri interi è trattata nei libri VII, VIII e IX. Il libro X, più lungo, è considerato il più completo: contiene la teoria degli irrazionali provenienti dalla risoluzione di alcune equazioni biquadratiche. Gli ultimi tre libri trattano della geometria dello spazio. A Euclide si deve pure una “raccolta di scritti di natura analitica” di cui solo una, I dati, è giunta a noi. Altre opere andate perdute sono I luoghi superficiali dei quali poco si conosce e i Porismi, ampiamente citati da Pappo e Proclo, che, secondo Chasles, contengono in germe le nozioni fondamentali della geometria proiettiva. Pure a Euclide è attribuita l'Ottica, che contiene le proposizioni fondamentali dell'ottica geometrica fra cui la propagazione dei raggi luminosi in linea retta.
Platóne, in gr. Pláton, filosofo greco (Atene 427-347 a.C.). Nato da una famiglia aristocratica, durante gli anni della giovinezza desiderò dedicarsi attivamente alla politica; ma le tristi vicende della sua città in quel periodo lo colmarono di sdegno ed egli si trasse ben presto in disparte. Verso i vent'anni divenne discepolo di Socrate, di cui ammirava la concezione di una politica secondo giustizia. Deluso del governo oligarchico dei Trenta tiranni, affermatosi nel 404, benché tra i maggiori esponenti di esso ci fossero suoi familiari (Crizia e Carmide), nutrì dapprima qualche fiducia nella restaurazione democratica; il governo democratico si rivelò invece il peggiore di tutti, rendendosi responsabile della condanna e della morte di Socrate (399). Scomparso Socrate, Platone si recò per qualche tempo a Megara e quindi, rientrato in Atene, diede forse inizio alla sua attività letteraria. Compì poi parecchi viaggi: in Egitto, a Cirene, a Taranto (dove visitò la comunità pitagorica guidata dall'amico Archita) e nel 388 a Siracusa, governata da Dionigi il Vecchio: qui strinse amicizia con Dione, cognato del tiranno. Ritornato ad Atene, fondò (nel 387 circa) l'Accademia, comunità religiosa modellata su quelle pitagoriche conosciute nell'Italia meridionale e scuola filosofica erede della tradizione socratica. Ebbe così inizio il periodo più fecondo della carriera speculativa di Platone, interrotto nel 367, quando, dopo la morte di Dionigi il Vecchio, il figlio e successore Dionigi il Giovane fu persuaso da Dione a richiamare Platone a Siracusa. Mosso dalla speranza di sperimentare la costituzione politica elaborata nell'ambito dell'Accademia, il filosofo ripartì per la Sicilia. Ben presto, tuttavia, i rapporti fra Dionigi e Dione si guastarono e Platone, che era nel frattempo ritornato ad Atene (365), fu costretto a intraprendere un terzo viaggio (361) per tentare di far togliere il bando all'amico, esiliato dal sospettoso nipote. Il fallimento dei suoi piani politici e la morte di Dione (354) rattristarono la vecchiaia di Platone, il quale tuttavia continuò la sua intensa attività, affidando all'ultima opera, Le leggi, e all'insegnamento orale (a noi noto indirettamente, soprattutto attraverso la testimonianza di Aristotele) gli ultimi sviluppi del suo pensiero. Morì a ottant'anni, lasciando la guida dell'Accademia al nipote Speusippo.
Di Platone ci sono pervenuti 35 Dialoghi e 13 Epistole, ma della loro autenticità si è molto discusso fin dai tempi antichi; attualmente si riconoscono in genere come autentici 28 dialoghi e 4 epistole (tra cui la settima, l'unica filosoficamente interessante). Di capitale importanza è stabilire la successione cronologica dei dialoghi, ma a questo riguardo la critica non è ancora arrivata a conclusioni definitive. Tuttavia, integrando i diversi criteri tra loro, si è giunti a un certo accordo nel dividere i dialoghi in tre gruppi, che corrisponderebbero approssimativamente alle diverse tappe dell'evoluzione del pensiero di Platone. (V. anche DIALOGHI.)
Un primo gruppo di dialoghi (detti “della giovinezza” o, più propr., “socratici”) è quello che Platone scrisse non molto tempo dopo la morte di Socrate e che perciò sembra rispecchiare maggiormente il pensiero del maestro. La prima opera è quasi sicuramente l'Apologia di Socrate, scritta intorno al 396 e consistente in un discorso di autodifesa tenuto dal maestro davanti ai giudici; nel Critone Socrate, lungi dal disprezzare le leggi della sua città, preferisce la morte a un'agevole evasione dal carcere, proprio per ossequio alla legge. I temi affrontati in questo primo gruppo di dialoghi sono quelli della virtù e della vera sapienza: per Socrate, che in essi inizia e conduce la discussione, la virtù si risolve nella scienza del bene e del male, e quindi nella ricerca razionale; i suoi interlocutori, che sono in genere personaggi della cultura e della vita politica di quei tempi, soprattutto “sofisti” (da essi prendono nome i dialoghi: Carmide, Lachete, Liside, Protagora, Gorgia, Eutifrone, Menone, Eutidemo), sono inizialmente sicuri di sé, delle proprie convinzioni: di fronte a essi Socrate finge invece di non sapere e, attraverso una serie di domande serrate, mette in crisi tale sicurezza, mostrando l'unilateralità e l'interiore contraddittorietà delle loro tesi, e perciò suscita il dubbio e il desiderio di approfondire la ricerca. In tale procedimento consiste l'“ironia” socratica; ma, oltre a questa parte negativa, Socrate ne svolge anche una positiva, mostrando come ciascuno sia in grado di “partorire” da se stesso la verità (ossia definizioni e conoscenze universalmente valide), con l'aiuto della sua arte “maieutica”, che egli dice di aver ereditato dalla madre levatrice. Però l'esigenza della ricerca e l'affermazione del valore di una conoscenza universale e necessaria non bastano a Platone, il quale tende a dare un fondamento oggettivo a tale conoscenza, radicato in una più profonda realtà. E già nell'Eutifrone e nel Menone egli abbozza quella teoria delle idee, che segna il suo distacco dal pensiero socratico e intorno alla quale si verrà in seguito svolgendo tutta la sua riflessione.
I dialoghi della piena maturità del pensiero platonico, probabilmente posteriori al primo viaggio in Sicilia (388) e alla fondazione dell'Accademia (387 circa), sono quelli in cui egli costruisce il suo sistema, ricavandone tutte le possibili conseguenze anche di carattere etico-politico: il Cratilo (sul linguaggio), Il convito(sull'amore), il Fedone(sull'immortalità dell'anima) e soprattutto La repubblica (in dieci libri), che è il più ampio degli scritti di Platone e la cui composizione deve aver occupato un periodo di parecchi anni. Il fondamento dell'universalità e della necessità dei nostri concetti è costituito dalle “idee”, ossia da modelli eterni e immutabili, concepiti come essenze incorporee, aventi una propria realtà oggettiva, puramente intelligibile, in un mondo (iperuranio) diverso da quello sensibile, il quale è anzi soltanto la copia e la pallida immagine della vera realtà, che appunto si identifica con il mondo delle idee. Quando noi cerchiamo di stabilire in modo rigorosamente scientifico che cosa sia il bello o che cosa sia il giusto, non possiamo riferirci alle singole cose del nostro mondo sensibile, che è sempre mutevole, né ci bastano opinioni approssimative, ma occorre guardare al bello in sé e al giusto in sé, cioè a qualcosa che è sempre identico a se stesso, ed è tale in quanto è l'essenza ideale del bello o del giusto: solo per partecipazione a tale essenza le singole cose belle sono belle, e le azioni giuste sono giuste. Oggetto della filosofia, intesa come scienza suprema, è proprio la contemplazione di tali essenze ideali, che sono stabili, non mutano con il divenire dell'esperienza.
Ma se non possiamo conoscere le idee attraverso l'esperienza, in che modo possiamo ottenere tale scienza? Rifacendosi alla tradizione orfico-pitagorica, la quale affermava che l'anima è immortale e rinasce più volte, Platone sostiene che l'anima ha contemplato le idee in una vita anteriore, ma, entrando nel corpo, le dimentica: tuttavia in seguito, nel venire a contatto con le cose materiali, riesce a ricordarle, a ritrovare entro di sé il vero sapere, che non deriva quindi, se non indirettamente, dall'esperienza, ma è solo una reminiscenza (anamnesi). Il corpo è quindi impedimento alla scienza e all'anima: la vita del sapiente acquista il carattere di una preparazione alla morte, che è liberazione dell'anima e della scienza dai vincoli corporei (Fedone).
Per spiegare quale sia l'effettiva condizione originaria dell'uomo e attraverso quali tappe questi riesca a liberarsene, Platone nella Repubblica si serve di un'immagine, nota come il “mito della caverna” (v. CAVERNA [La]) : gli uomini sono come prigionieri incatenati entro una caverna, con le spalle rivolte alla luce che viene di fuori, e riescono a vedere soltanto le ombre proiettate sulla parete da coloro che passano e dai loro fardelli: gli oggetti della sensazione sono appunto come queste ombre che i prigionieri scambiano per oggetti reali, mentre, se essi riescono a liberarsi dai ceppi e a uscire dalla caverna, possono vedere le cose stesse, che corrispondono agli oggetti intelligibili. Il processo conoscitivo attraverso il quale si risale dalle immagini delle cose alle cose singole, nel mondo sensibile, e dalle nozioni matematiche alle idee, nel mondo intelligibile, costituisce la dialettica della scienza, che dalla molteplicità tende all'unità; perciò il grado più alto della conoscenza è l'intelligenza intuitiva (nûs), che coglie l'unità assoluta dell'idea, superando l'intelligenza discorsiva (diánoia), che procede, attraverso molti intermediari, dalle ipotesi alle conseguenze. Infine, lo stesso mondo intelligibile riceve la sua unità dall'idea del bene, che è il principio e la causa della scienza e della verità in quanto viene conosciuta: pur essendo un'idea, il bene sta al di là di ogni altra essenza e della conoscenza stessa.
Alla teoria delle idee si ispirano la concezione politica di Platone e la sua psicologia: infatti per lui la struttura di uno Stato e l'anima dell'individuo sono organizzate alla stessa maniera. Come la vita dell'uomo giusto si realizza nell'armonica contemperanza delle parti dell'anima, così lo Stato è ben ordinato quando in esso domina la giustizia, cioè quando ogni classe e ogni individuo attendono al compito che è loro proprio. Distinguendo tre funzioni nello Stato (governo, difesa, economia), Platone fa a esse corrispondere tre classi sociali (reggitori, soldati, produttori), che sono la proiezione delle tre attività o tre parti dell'anima: la ragione, la volontà, gli appetiti. La classe dei reggitori deve essere costituita dai filosofi, i quali, educati dalla dialettica, sono in grado di governare lo Stato in quanto capaci di governare se stessi. Per potersi dedicare interamente al servizio della comunità, i reggitori non devono avere proprietà individuali, né formarsi una famiglia: i loro figli verranno allevati a cura dello Stato; ma queste norme non valgono per la massa della popolazione, dedita al lavoro e agli affari.
Circa la successione cronologica degli ultimi dialoghi, posteriori alla Repubblica, c'è un accordo quasi unanime tra gli studiosi. Essi sono nell'ordine della loro composizione: il Fedro *, il Parmenide, il Teeteto, Il sofista, Il politico, il Timeo, il Crizia, il Fileboe Le leggi. Da notare che in questi dialoghi, tranne che nel Fedro, nel Teeteto e nel Filebo, Socrate non è più l'interlocutore principale; perciò anche da un punto di vista esteriore Platone mostra chiaramente di essersi del tutto distaccato dalla problematica socratica, e la sua attenzione è rivolta principalmente a sottoporre a revisione critica la sua teoria delle idee e a risolverne le interne difficoltà. Da un lato il mondo ideale, che per influenza del pensiero di Parmenide era stato concepito in netto contrasto con il mondo sensibile — come verità opposta ad apparenza, come essere opposto a non essere —, rischia di essere considerato come del tutto estraneo all'esperienza, senza possibilità di determinare lo sviluppo conoscitivo ed etico dell'uomo: se infatti le idee vengono definite nella loro unità e purezza assolute, non si vede in che modo possano stare in relazione tra loro, con il mondo sensibile e con la mente umana (Parmenide). D'altro lato, le critiche mosse alla dottrina eracliteo-protagorea della conoscenza come sensazione rimangono valide e convincono Platone a non abbandonare la teoria delle idee, ma solo a riesaminarla e ad approfondirla (Teeteto). Occorre quindi una mediazione fra il mondo ideale dell'essere e la conoscenza umana: per questa esigenza la dialettica si trasforma, in quanto più che al procedimento dell'unificazione si dà rilievo al procedimento della differenziazione, che permette di indicare le relazioni di inclusione e di esclusione in cui si trova ciascuna idea con le altre (Il sofista). Discendendo quindi dall'unità alla molteplicità, si attribuisce una qualche realtà anche alle forme “miste”, cioè al finito inteso come proporzione e misura e governato dal numero (Il politico, Filebo). Anche in campo etico questo mutamento di prospettiva appare evidente: mentre infatti nel Fedone il fine dell'uomo era in un completo distacco dal corpo e dai sensi, nel Filebo invece esso è in una “vita mista secondo misura”, in una mescolanza di piacere e di uso dell'intelligenza.
Il mutato atteggiamento di Platone non gli fa più considerare con distacco il mondo della natura: nel Timeo, pur senza condividere il naturalismo dei presocratici, Platone accoglie da essi molte dottrine, rielaborandole e fondendole in una generale concezione finalistica, che si contrappone nettamente al meccanicismo di Democrito. Ancora una volta egli sceglie la forma espositiva del mito: un demiurgo, ossia un divino artefice, ha plasmato e ordinato il mondo e, prendendo a modello le idee, ha ridotto l'informe originario alla regola e alla misura. Così anche il mondo della natura è una realtà mista, in cui al mutevole e al transeunte si mescola la razionalità delle forme pure, ed essendo organicamente concepito e disposto possiede una sua anima, che è insieme molteplice e una. Infine, anche in campo politico Platone non ha più di mira il modello ideale dello Stato, che nella Repubblica si poneva al di là dell'esperienza umana, ma propone (nelle Leggi) una costituzione politica in cui, tenendo conto delle leggi che precedentemente hanno governato gli Stati, si possano contemperare secondo una giusta misura l'esigenza dell'autorità e quella della libertà, ossia una mescolanza di monarchia e di democrazia. L'Epistola settima conferma che l'esigenza di portare razionalità e ordine nella comunità politica restò sempre l'obiettivo fondamentale della speculazione platonica per tutto il lungo arco del suo svolgimento. Tale ricerca si arricchì via via di altri motivi, derivati sia da tutta la tradizione filosofica precedente (dalle intuizioni degli ionici al matematismo pitagorico, da Parmenide a Socrate) sia da credenze religiose (orfico-pitagoriche). Ma il pensiero platonico non è soltanto la sintesi delle diverse correnti della cultura greca di quel periodo; è soprattutto una tappa fondamentale nello sviluppo della riflessione filosofica, onde è stato detto che la successiva storia della filosofia è in gran parte una storia delle interpretazioni di Platone e delle reazioni davanti al platonismo.
La varietà e la ricchezza della sua opera di pensatore sono rese più evidenti dall'arte incomparabile dello scrittore. Platone è il primo a usare la forma letteraria del dialogo, perché non ammette che si possa fermare e rinchiudere la vita del pensiero, che è continua ricerca, in una forma cristallizzata (come può essere un trattato), ma vuole rappresentarla nel suo sviluppo e nella sua dinamicità. Però il dialogo platonico non è un mero artificio didascalico, come sarà in quasi tutti gli autori che vorranno imitarlo, perché in esso non vengono semplicemente messe a confronto opinioni e dottrine, ma appaiono vivamente rappresentate, in forma veramente drammatica, le personalità e i caratteri di coloro che discutono. La prosa di Platone, di straordinaria vivacità e perfezione linguistica, si piega con estrema duttilità sia al rigore dell'astrazione sia agli slanci poetici, all'eloquenza dei discorsi solenni come all'ironia e al sarcasmo. Né in essa appare sforzo o artificio: il cambiamento di tono, la preferenza data a un certo genere di rappresentazione o di esposizione piuttosto che a un altro in un dato momento del dialogo, non è mai un puro gioco letterario, ma è sempre giustificato dall'argomento trattato e dall'intenzionalità filosofica dell'autore.
— Icon. Una statua del filosofo, opera di Silanione, venne eretta poco dopo la sua morte nell'Accademia di Atene; questa scultura fu assai celebre nella ritrattistica antica per il tentativo di rendere insieme con i tratti fisionomici il fascino spirituale del maestro. Da questo ritratto sembrano derivare una ventina di repliche, riconducibili nonostante le varianti a un unico tipo originario; una di esse, un'erma degli Staatliche Museen di Berlino, è fornita di iscrizione.

I

Ottica s.f. Parte della fisica che tratta i fenomeni luminosi e le leggi relative. Per estens. Studio dei fenomeni elettromagnetici in generale (i fenomeni luminosi sono legati a radiazioni elettromagnetiche di frequenze comprese in un campo limitato): Ottica delle radiazioni infrarosse o ultraviolette, ottica dei raggi X, y, ecc. Per estens. Insieme di strumenti ottici; la tecnica della loro fabbricazione: Negozio di ottica. Insieme delle parti di uno strumento costituite da lenti, prismi, specchi: Un apparecchio fotografico dall'ottica perfetta. Fig. Modo di vedere, di considerare: Esaminare un problema con un'ottica moderata. Ottica geometrica, parte dell'ottica che assume come ipotesi fondamentale la propagazione rettilinea della luce. (Spiega i fenomeni della riflessione e della rifrazione dandone le leggi, ma non giustifica i fenomeni dell'interferenza e della diffrazione, che vengono interpretati dall'ottica fisica.) Ottica fisica, studio dell'ottica come caso particolare dell'elettromagnetismo. (Nell'ambito della fisica classica, non quantistica, si fonda sull'ipotesi ondulatoria della luce e comprende l'ottica geometrica nel caso particolare in cui la lunghezza d'onda della radiazione considerata è trascurabile rispetto alle dimensioni degli oggetti su cui incide: poiché le radiazioni visibili hanno lunghezza d'onda molto piccola [dell'ordine di 10­7 m], le leggi che regolano la visione del mondo esterno da parte dell'uomo sono quelle dell'ottica geometrica.) Ottica elettronica, studio delle traiettorie degli elettroni. (L'uso del termine ottica si giustifica nell'ambito della teoria quantistica della materia e della radiazione che mette in luce l'analogia tra particella microscopica e onda luminosa.) Ottica non lineare, insieme delle proprietà caratteristiche della propagazione delle onde elettromagnetiche in un mezzo materiale che si manifestano quando l'intensità del campo elettromagnetico è molto elevata.
— Fotogr. Ottica fotografica, parte dell'ottica fisica che studia i fenomeni luminosi derivanti dall'uso di lenti e obiettivi, ossia dovuti alle radiazioni visibili o invisibili, che impressionano le superfici sensibili fotografiche. — Ind. chim. Vetro d'ottica, vetro la cui composizione e fabbricazione sono particolarmente curate.
 Fisica
1 Christiaan Huygens
1 Diffrazione
1 Kneller, Isaac Newton
La propagazione rettilinea della luce è fenomeno che già era noto ai Babilonesi. Pitagora, Democrito, Platone, Empedocle ed Euclide spiegavano l'atto del vedere supponendo che qualcosa dell'occhio raggiungesse l'oggetto visto. Aristotele ammetteva l'esistenza, tra l'occhio e l'oggetto osservato, d'un mezzo intermedio in analogia con l'aria interposta tra la sorgente di un suono e l'orecchio che lo avverte. I primi strumenti ottici, gli specchi piani, in metallo o in ossidiana, furono trovati nelle tombe egizie, mentre gli specchi convessi e concavi furono costruiti dai Romani.
L'arabo Al-Hazin fu il primo a rifiutare l'idea di una luce che esca dagli occhi e avvolga i corpi, ammettendo invece l'ipotesi che la visione avvenga per mezzo di raggi emessi dalla cosa vista dall'occhio; inoltre interpretò il processo della visione come risultato di una infinità di processi elementari, postulando che a ogni punto dell'oggetto osservato corrispondesse un punto impressionato nell'occhio.
In Occidente l'ottica non fu studiata che agli inizi del XIII sec., con Ruggero Bacone che descrisse accuratamente il fenomeno dell'arcobaleno e osservò i fenomeni della riflessione e della rifrazione.
Nel XVI sec., il messinese Francesco Maurolico (1494- 1575) diede inizio allo studio della rifrazione della luce attraverso i prismi, affermando che i colori che se ne ottengono sono uguali a quelli che si osservano nell'arcobaleno; il napoletano G. B. Della Porta (1535-1615) studiò la proprietà degli specchi piani e concavi e della camera oscura. Intorno al 1600 venne inventato il cannocchiale. Keplero (1571-1630) e Cartesio (1596-1650) diedero un notevole contributo allo sviluppo delle conoscenze nel campo dell'ottica. Nella Diottrica di Cartesio è formulata per la prima volta la legge della rifrazione, trovata anche da Snellius. Nel 1678 Huygens avanzò, in contrapposizione alla teoria corpuscolare di Newton, l'ipotesi della natura ondulatoria della luce secondo la quale la luce consisterebbe in vibrazioni trasversali di un mezzo elastico (poi chiamato etere), che riempirebbe tutto lo spazio; Roemer dedusse (1675) un valore approssimato della velocità della luce dall'osservazione dei satelliti di Giove. Newton realizzò il telescopio a specchio e dimostrò che la luce bianca si compone di un numero infinito di raggi colorati che si rifrangono in modo differente l'uno dall'altro.
Nel corso del XIXsec. l'evidenza sperimentale giocò a favore della teoria ondulatoria. Thomas Young scoprì l'interferenza (1801); Malus dimostrò sperimentalmente che la luce riflessa sotto un certo angolo è polarizzata; Fresnel dimostrò l'inconsistenza della teoria corpuscolare in una serie di lavori sulla teoria della diffrazione e della polarizzazione e scoprì il fenomeno della polarizzazione circolare. Cauchy sottopose a rigore critico i principali fenomeni ottici, mentre Biot osservò la polarizzazione rotatoria e realizzò i primi saccarimetri. Fizeau (1849) e Foucault (1862) misurarono la velocità della luce. Nel 1865 Maxwell formulò la teoria elettromagnetica della luce, poi brillantemente confermata da numerosissime verifiche; Kirchhoff e Bunsen crearono l'analisi spettrale; nel campo delle applicazioni pratiche va ricordata l'invenzione e la realizzazione sempre più perfezionata della fotografia. Infine l'effetto fotoelettrico, inspiegabile secondo la teoria ondulatoria, indusse i fisici a ritenere che la luce fosse composta di granuli di energia, i fotoni, e fu il punto di partenza per la formulazione della fisica quantistica.
 Ottica geometrica
L'ottica geometrica è un modello astratto che riproduce le principali proprietà della propagazione rettilinea della luce. Le sorgenti luminose sono rappresentate da punti isolati o da insiemi di punti da cui escono i raggi luminosi rappresentati come segmenti di retta. I corpi materiali che i raggi incontrano nel loro percorso sono schematizzati come figure geometriche limitate da superfici continue; le proprietà ottiche delle sostanze che costituiscono questi corpi sono sintetizzate in un unico numero caratteristico n detto indice di rifrazione. I fenomeni di riflessione e rifrazione che avvengono alla superficie di separazione di due mezzi con indici di rifrazione differenti n1 e n2 sono accuratamente descritti da semplici relazioni geometriche tra le direzioni dei raggi incidenti riflessi e rifratti e la normale alla superficie di separazione dei due mezzi; precisamente, detto i l'angolo d'incidenza, i' l'angolo di riflessione e r l'angolo di rifrazione, si ha: a) il raggio incidente, quello riflesso, quello rifratto e la normale alla superficie di separazione nel punto d'incidenza appartengono a uno stesso piano; b) l'angolo d'incidenza i è uguale all'angolo di riflessione i' (legge della riflessione); c) gli angoli di incidenza e di rifrazione sono legati agli indici di rifrazione dei due mezzi dalla relazione n1 sen i = n2 sen r (legge della rifrazione). In base a queste leggi fondamentali (che valgono anche nell'ottica fisica) si può costruire tutta l'ottica geometrica e in particolare la teoria dei diottri e dei sistemi ottici. Il modello dell'ottica geometrica si può ampliare aggiungendovi alcune proprietà caratteristiche dell'ottica fisica in modo da poter rappresentare anche altri fenomeni non riconducibili a proprietà geometriche. Si può per esempio associare ai raggi una velocità di propagazione c/n (c, velocità della luce nel vuoto) e una lunghezza d'onda ; supponendo che l'indice di rifrazione dipenda anche da si ottiene un'interpretazione del fenomeno della dispersione della luce. Tutte le leggi dell'ottica geometrica si possono compendiare in un unico principio variazionale, noto come principio di Fermat che asserisce che la traiettoria di un raggio luminoso che da un punto A raggiunge un punto B è quella che rende minimo il tempo di percorrenza, cioè rende stazionario l'integrale n/c ds dove ds è l'elemento d'arco della curva .
 Ottica fisica
L'ottica fisica, che tratta della natura delle radiazioni luminose, e dei fenomeni d'interazione tra radiazione e materia (emissione, assorbimento, riflessione, rifrazione, interferenza, polarizzazione, ecc.) è fondata sulle equazioni di Maxwell del campo elettromagnetico; tuttavia una tradizione che ancora oggi non è stata superata nella didattica, tende a tener distinta una teoria delle onde elettromagnetiche da un'ottica fisica intendendo con questa espressione una teoria delle onde che rende conto dei fenomeni visibili all'occhio umano. Il sistema delle quattro equazioni differenziali di Maxwell, sotto opportune condizioni (mancanza di cariche e correnti nello spazio), si riduce a un'equazione del tipo:
(dove f indica il laplaciano di f), che ammette una soluzione del tipo
f = af(x—ct) + b((x + ct)
che esprime la sovrapposizione di moti ondosi. Il principio di Huygens-Fresnel (anteriore alla formulazione maxwelliana delle onde elettromagnetiche), su cui si basa tutta la teoria delle onde visibili quale è formulata nell'ottica fisica, suppone appunto l'esistenza di una sovrapposizione di tal genere; in base a questo principio le sorgenti di radiazione sono considerate come sovrapposizione di vibratori elementari; la superficie del corpo emittente emette in tutto lo spazio onde che si propagano con velocità c nel vuoto, e v (< c) nei mezzi materiali trasparenti: se il mezzo è omogeneo e isotropo le onde sono sferiche perché si propagano con uguale velocità in ogni direzione. Questo modello di propagazione (che si è dimostrato essere una soluzione approssimata delle equazioni di Maxwell) dà ragione di molti fenomeni: i “raggi” luminosi dell'ottica geometrica non sono altro che le normali alle superfici d'onda, e restano così spiegati in modo logico i fenomeni della riflessione e della rifrazione; inoltre anche i fenomeni propri della teoria ondulatoria della luce (interferenza, diffrazione, ecc.) possono venire correttamente interpretati secondo questo modello. Viene infine naturale pensare all'ottica geometrica come una forma limite della teoria delle onde, quando le lunghezze d'onda che entrano in gioco hanno dimensioni trascurabili rispetto agli oggetti con cui interagiscono.
 Ottica non lineare
In un dielettrico immerso in un campo elettrico E si manifesta una polarizzazione P che normalmente è proporzionale a E: P = x E, dove la costante di proporzionalità è la suscettività dielettrica del mezzo. La costante dielettrica relativa r è legata a èèdalla relazione r = 1 + = (o r = 1 + 4===se si usa un sistema di unità razionalizzato) e fornisce una valutazione teorica approssimata dell'indice di rifrazione del mezzo . Con il laser si possono oggi produrre radiazioni luminose il cui campo elettrico è talmente intenso che la polarizzazione P non è più una funzione lineare di E. Ne segue che la nozione stessa di indice di rifrazione diventa priva di significato e la propagazione delle onde segue delle leggi particolari non riconducibili a quelle dell'ottica tradizionale. Si osserva, per es., il fenomeno dell'autopolarizzazione, in cui un fascio di raggi paralleli usciti da un laser tende, nell'interno di un mezzo materiale, a focalizzarsi e concentrarsi in filamenti sottilissimi, e il fenomeno della produzione di armoniche, consistente nell'apparizione, in un intenso fascio di frequenza che attraversa un dielettrico, di onde di frequenza doppia 2c.
 Ottica elettronica
Gli elettroni in movimento sono deviati dall'azione di campi elettrici o magnetici. Quindi opportuni campi a simmetria assiale possono esercitare sui fasci di elettroni un'azione analoga a quella esercitata dalle lenti sui raggi luminosi. Le lenti elettroniche possono essere di tipo elettrostatico (condensatori cilindrici) o elettromagnetico (bobine o elettromagneti). Sui princìpi dell'ottica elettronica è basato, tra l'altro, il funzionamento dei microscopi e dei telescopi elettronici e dei sistemi di deflessione del fascio negli oscillografi e negli oscilloscopi a raggi catodici.
 Industria chimica
Esistono centinaia di composizioni per vetro d'ottica in grado di fornire il voluto indice di rifrazione ovvero caratteristiche di assorbimento o trasmissione secondo le varie lunghezze d'onda. Data la delicatezza dell'impiego, le materie prime per la fabbricazione del vetro debbono essere accuratamente selezionate. La fusione avviene generalmente in crogiolo di refrattario altamente resistente; in certi casi è necessario ricorrere a crogioli di platino o rivestiti in platino per evitare ogni contaminazione. Poiché una delle caratteristiche di tale vetro è la più scrupolosa omogeneità, nel corso della fusione si procede ad una agitazione meccanica prolungata. Onde evitare la formazione di tensioni nel corso del raffreddamento, questo deve essere lentissimo e accuratamente controllato: il raffreddamento dei grossi blocchi può durare anche alcune settimane.
Alla fine di tale processo i blocchi, completamente esenti da difetti, vengono spezzati in frammenti più o meno grossi, formati a caldo per l'ottenimento dello sbozzo che, dopo essere stato ricotto, viene molato alle dimensioni desiderate e lucidato. Nel caso particolare della lavorazione delle lenti la curvatura voluta viene ottenuta a incipiente rammollimento in piccoli stampi, lo sbozzo dei quali riproduce esattamente la forma.
Huygens Christiaan, fisico, matematico e astronomo olandese (L'Aia 1629-1695), figlio di Constantijn. Studiò alle università di Leida e di Breda; si dedicò dapprima a studi su questioni matematiche e volse poi i suoi interessi verso problemi di fisica. Nel 1663 fu accolto come membro della Royal Society di Londra; nel 1665 fu chiamato in Francia da Colbert e divenne membro dell'Accademia delle scienze (1666): durante il soggiorno a Parigi, ove rimase fino al 1680, subì profondamente l'influenza dell'ambiente filosofico francese. Trascorse poi gli ultimi anni di vita in Olanda in solitudine e malato.
L'importanza di Huygens nella storia della scienza è legata soprattutto alle sue opere di fisica, nel campo della meccanica e dell'ottica. Egli può essere infatti considerato come uno dei fondatori della meccanica, perché per primo studiò i sistemi rigidi, estendendo così i risultati stabiliti da Galileo per la meccanica di un punto in movimento. Formulò la teoria dei momenti di inerzia, grandezze che egli stesso introdusse nello studio dei sistemi rigidi, e attraverso questa teoria trattò compiutamente, nell'opera Horologium oscillatorium, dedicata a Luigi XIV (1673), il problema del pendolo composto e stabilì il risultato (teorema di Huygens del pendolo reversibile) della reciprocità tra asse di oscillazione e asse di sospensione. Applicò la teoria del pendolo composto alla costruzione del bilanciere degli orologi, e propose l'uso di una molla a spirale per gli orologi portatili mentre già dal 1657 aveva inventato lo scappamento ad ancora per mantenere il movimento. Sempre attraverso la teoria del pendolo composto, calcolò il valore dell'accelerazione di gravità e ne studiò le variazioni dipendenti dalla latitudine. Formulò inoltre l'ipotesi della conservazione della “forza viva” (termine con cui si designava la quantità denominata ora energia cinetica) e applicò questo principio di conservazione alla risoluzione del problema dell'urto (1669). In ottica, fu il primo a formulare con precisione una teoria ondulatoria della luce: introdusse l'ipotesi che la luce consista in una perturbazione di carattere ondulatorio e che nella propagazione di questa ogni punto raggiunto dalla vibrazione generata da una sorgente si comporti a sua volta come sorgente secondaria di vibrazioni, facendo nascere una nuova onda elementare; l'inviluppo di tutte le onde elementari costituisce la superficie d'onda, luogo dei punti che vengono raggiunti dalla perturbazione allo stesso istante. Attraverso il metodo delle onde elementari e della superficie d'onda (che venne poi precisato meglio da Fresnel ed è noto come principio di Huygens-Fresnel), Huygens dimostrò, nell'opera Trattato sulla luce, composta durante il suo soggiorno in Francia, ma pubblicata solo nel 1690 a Leida, che dall'ipotesi ondulatoria si ottenevano le leggi della riflessione e della rifrazione altrettanto correttamente che dall'ipotesi corpuscolare sostenuta da Cartesio e Newton; la polemica tra gli assertori dell'impostazione ondulatoria di Huygens e di quella corpuscolare newtoniana continuò ancora per i due secoli successivi e venne superata solo con il nuovo concetto di radiazione elettromagnetica e di fotone della fisica moderna, che compendia entrambe le teorie attribuendo alla luce natura ondulatoria e corpuscolare a un tempo. Come matematico, Huygens sviluppò la teoria delle evolute e completò lo studio della cicloide, di cui già Pascal aveva stabilito importanti proprietà: diede anche un'applicazione fisica ai risultati teorici ottenuti sulla cicloide, realizzando il moto di un punto materiale pesante su una traiettoria cicloidale (pendolo cicloidale). Calcolò anche alcune importanti aree, ottenne la rettificazione della cissoide e stabilì le proprietà della curva logaritmica e della catenaria. Ebbe inoltre il merito di avviare Leibniz allo studio dell'analisi infinitesimale. Si dedicò anche a problemi di calcolo delle probabilità e compose nel 1656 il trattato De ratiociniis in ludo aleae.
Nella sua opera di astronomo ebbero grande importanza sia le ricerche teoriche sia l'attività pratica; si dedicò infatti a perfezionare la teoria cartesiana dei vortici secondo cui l'attrazione di gravità sarebbe dovuta a un “etere rotante” attorno alla Terra e agli altri corpi celesti, e in questo studio stabilì le leggi della forza centrifuga (1673). Inoltre dimostrò, contemporaneamente ad altri scienziati (Hooke, Halley, Wren), e indipendentemente da essi, che se le orbite dei pianeti fossero circolari il moto sarebbe dovuto a una forza inversamente proporzionale ai quadrati delle distanze dal Sole: benché fosse già noto dall'opera di Keplero che le orbite dei pianeti sono ellittiche, il risultato è notevole, poiché portava allo stesso tipo di forza che sarebbe poi stato introdotto dalla legge fondamentale di Newton sull'attrazione tra due masse. Ebbero grande importanza le invenzioni che Huygens compì per perfezionare gli strumenti di osservazione astronomica, e che fecero di Leida uno dei maggiori centri di ricerca astronomica alla fine del XVII sec.; egli inventò l'oculare negativo dei cannocchiali, che ne aumentò grandemente la potenza, e propose nuovi procedimenti nella lavorazione delle lenti (descritti nei suoi Commentarii de formandis poliendisque vitris ad telescopia, pubblicati dopo la sua morte nel 1703). Grazie ai mezzi di osservazione più perfezionati che aveva inventato, scoprì l'anello di Saturno e il suo primo satellite, Titano (1655), la rotazione di Marte, le macchie scure di Giove, la nebulosa di Orione (1656).
Tutte le opere di Huygens furono raccolte da W. J. 's-Gravesande e pubblicate sotto il titolo Christiani Hugenii Zulchemii, dum viveret Zeleni toparchae, Opera varia (1724), e completate da Opera reliqua (1728).
Newton (sir Isaac), fisico, matematico e astronomo inglese (Woolsthorpe, Lincolnshire, 1642 - Kensington, Middlesex, 1727). Figlio postumo di un proprietario terriero, studiò al Trinity College di Cambridge dove fu notato da I. Barrow. Nel 1665, durante la peste di Londra, l'università di Cambridge fu chiusa ed egli rientrò a Woolsthorpe, rimanendovi fino al 1667. A questo periodo risalgono le sue scoperte fondamentali sul calcolo infinitesimale, sulla natura della luce e sulla teoria della gravitazione universale. Nel 1669 succedette a Barrow nell'insegnamento della matematica ed espose nelle sue lezioni la teoria della composizione della luce bianca, completando la spiegazione del fenomeno dell'arcobaleno fornita da Cartesio. Nel 1671 costruì un telescopio a riflessione. Nominato membro della Royal Society nel 1672, tre anni dopo comunicò a tale accademia una teoria sul colore dei corpi, pervenendo anche a una spiegazione delle iridescenze prodotte mediante lamine sottili. I suoi studi sulla diffrazione (scoperta dal Grimaldi) non vennero pubblicati che nel 1704, nella prima edizione del Trattato di ottica. Cedendo alle pressioni di Halley, si accinse, probabilmente intorno al 1683, a scrivere i Princìpi matematici della filosofia naturale, che vennero pubblicati nel 1687, nonostante le ristrettezze finanziarie della Royal Society, avendo lo stesso Halley garantito al tipografo la copertura delle spese di stampa. In tale opera Newton sviluppò la sua teoria della gravitazione universale che andava elaborando da parecchi anni. Infatti il celebre aneddoto della mela che, secondo la tradizione, avrebbe suggerito a Newton la legge dell'attrazione universale, si fa risalire al 1666. Oltre a questa legge fondamentale, secondo cui la forza di attrazione tra due corpi è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza , si trovano esposti nel trattato lo studio del moto dei fluidi, le leggi dell'urto, il calcolo della precessione degli equinozi, la teoria delle maree, ecc. Si può affermare senz'altro che questo scritto ha posto i fondamenti e ha fissato i procedimenti della scienza moderna. Nel 1687 Newton fu scelto dall'università di Cambridge quale difensore dei suoi diritti contro le intromissioni della monarchia; le capacità di cui diede prova in tale occasione lo fecero eleggere dal medesimo ateneo come proprio rappresentante al parlamento. Nel 1695 lord Halifax, suo ex alunno e cancelliere dello scacchiere, allo scopo di attuare un progetto di riforma radicale del sistema monetario lo nominò ispettore della zecca di Londra, di cui successivamente divenne direttore (1699). Sempre nel 1699, l'Accademia delle scienze di Parigi lo chiamò a occupare uno degli otto posti di membro straniero; nel 1703 fu eletto presidente della Royal Society, carica che mantenne fino alla morte.
A Newton si devono anche numerose scoperte matematiche fondamentali. Nel campo dell'analisi infinitesimale i suoi risultati sono esposti in numerosi opuscoli, tra i quali si ricordano: Analysis per aequationes numero terminorum infinitas, composto intorno al 1666; Methodus fluxionum et serierum infinitarum, scritto con intenti didattici verso il 1671 e nel quale vengono definite le flussioni e le fluenti. Nello stesso opuscolo si occupò inoltre della determinazione dei valori massimi e minimi e dei flessi delle funzioni di una variabile, della costruzione di tangenti alle curve piane, di quadrature e di rettificazioni. Notevoli sono pure il Tractatus de quadratura curvarum (1665-1666), gli appunti riuniti sotto il titolo Methodus differentialis (1712) e soprattutto il suo carteggio del quale fanno parte alcune lettere che, per la loro importanza e l'ampia notorietà che raggiunsero, possono essere considerate vere e proprie memorie scientifiche. Nel trattato relativo alla quadratura delle curve si notano, in particolare, le regole del metodo delle flussioni esposte contemporaneamente alla scoperta da parte di Leibniz del calcolo differenziale; anzi, tra i sostenitori dei due scienziati sorse un'accesa disputa circa la priorità dell'invenzione di tale nuovo metodo di calcolo. Newton detestava questo genere di controversie e ciò spiega l'esitazione che egli spesso mostrò prima di pubblicare i risultati originali delle sue ricerche.
Dell'attività di Newton come insegnante rimangono due documenti: le lezioni di Ottica e un'Arithmetica universalis pubblicata nel 1707, che è probabilmente un lavoro compilato da qualche suo alunno; quest'ultimo scritto è diviso in due parti distinte, dedicate rispettivamente all'esposizione dei metodi per la risoluzione algebrica dei problemi geometrici e alle equazioni algebriche.
Scrisse anche due opere di ricerche storiche e teologiche. Un attacco di male della pietra lo spense, lasciando costernata tutta l'Inghilterra, dove egli era venerato come una gloria nazionale. Ebbe funerali solenni e gli fu eretta nell'abbazia di Westminster una tomba sontuosa con la famosa iscrizione: Sibi gratulentur mortales, tale tantumque extitisse humani generis decus (“Si rallegrino i mortali che sia sorto un tale e tanto grande vanto del genere umano”). L'iscrizione non è frutto di retorica: Newton infatti è uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi e pochi altri come lui hanno lasciato un'impronta così profonda e rivoluzionaria in tanti campi della ricerca.
Pitàgora, in gr. Pythágoras, filosofo greco (Samo 571-570 a.C. - Metaponto 497-496 a.C.). La sua esistenza, attraverso l'esaltazione trasfiguratrice dei seguaci, acquistò ben presto l'indeterminatezza ambigua del simbolo; tuttavia i riferimenti di contemporanei ci fanno certi della realtà storica del personaggio. Il nucleo biografico più attendibile presente nella tradizione attesta che Pitagora si trasferì dalla nativa Samo a Crotone, nella Magna Grecia, fondandovi una setta filosofico-religiosa. Altre comunità si costituirono ben presto in molte città dell'Italia meridionale, esercitandovi un'influenza politica di orientamento aristocratico e conservatore. Travolte da una crescente opposizione popolare, tali comunità si dissolsero nel giro di circa un secolo. Secondo una tradizione Liside, esule da Crotone a Tebe, fondò qui una comunità pitagorica, alla quale appartennero Filolao, il pensatore più illustre del pitagorismo del V sec., e Simmia e Cebete, gli interlocutori del Fedone platonico. Con Archippo il pitagorismo tebano ritornò nella Magna Grecia, a Taranto: un maestro della comunità tarantina fu Archita, amico di Platone. L'eredità del pitagorismo classico, estintosi poco dopo la morte di Archita, fu più tardi raccolta e rinverdita dal neopitagorismo. Nel corpo delle dottrine filosofico-matematiche e delle concezioni religiose che nel loro insieme vanno sotto il nome di “pitagorismo” è impossibile distinguere l'apporto di Pitagora dai contributi accumulati nel corso dei secoli dai seguaci della scuola. È certo comunque che le fondamentali credenze religiose, come quella nella metempsicosi, e le prescrizioni e interdizioni connesse a tali credenze (come il divieto di cibarsi di carne e l'altro, di significato più oscuro, di mangiare le fave) appartengono al nucleo più antico della dottrina. Non meno del patrimonio etico-religioso, garantito dall'autorità del fondatore (l'ipse dixit proviene dalla tradizione pitagorica) e trasmesso per via orale agli iniziati (detti perciò “acusmatici”, cioè “abituati ad ascoltare”), ha contato nella storia della civiltà il complesso delle scoperte dei “matematici”, cioè dei membri della setta impegnati ad approfondire e a sviluppare l'insegnamento scientifico del maestro. Anche se la relazione enunciata nel celebre “teorema di Pitagora” era già nota a culture anteriori a quella greca, di molte altre importanti acquisizioni nel campo della geometria, dell'aritmetica, della medicina, della musica, dell'astronomia e della filosofia va attribuito il merito a Pitagora e alla sua scuola: Proclo ricorda il teorema sulla somma degli angoli interni di un triangolo, la costruzione di alcuni poliedri regolari e la dimostrazione della incommensurabilità della diagonale con il lato del quadrato, accompagnata dalla sconvolgente scoperta dei limiti di applicazione dei numeri razionali. In aritmetica i pitagorici studiarono la struttura dei numeri e delle progressioni aritmetiche, individuando i numeri “perfetti” (cioè uguali alla somma dei loro divisori, come 6, 28, 496), e dimostrando che la somma dei primi n numeri dispari è uguale a n². La fissazione in dieci del numero dei corpi celesti e l'affermazione che essi ruotano tutti intorno a un fuoco centrale costituiscono le posizioni tipiche dell'astronomia pitagorica, di evidente ispirazione eliocentrica. Per ciò che riguarda la teoria musicale, i pitagorici studiarono i rapporti numerici delle lunghezze delle corde della lira in relazione alle varie consonanze. La gamma detta ancora “di Pitagora” è una scala che, nel sistema che porta lo stesso nome, si costruisce riportando nell'intervallo di una ottava i suoni costituenti una successione di quinte giuste naturali: fa, do, sol, re, la, mi, si. Dal punto di vista propriamente filosofico, è dubbio che il detto che “tutte le cose sono numeri” possa essere fatto risalire fino a Pitagora, così come è controverso il suo significato. Sembra verosimile che, almeno per i pitagorici più antichi, la riduzione della realtà a numero significasse semplicemente che ogni cosa può essere rappresentata da una certa successione di punti. In tale concetto sarebbe così adombrata la possibilità della riduzione della qualità a quantità, cioè il principio fondamentale della comprensione scientifica della natura. Con questa scoperta della meravigliosa potenza del numero era abbastanza naturale che convivesse, in un ambiente intriso di religiosità e di esoterismo, una mistica dei numeri, manifestantesi nell'attribuzione di particolari poteri a certi numeri, o nell'identificazione di valori, come la virtù e la giustizia, o di istituzioni, come il matrimonio, con numeri determinati. Elemento essenziale della concezione pitagorica è anche la dottrina dei contrari, sul ritmo dei quali si scandisce la vita del cosmo. L'equilibrio dei contrari è “armonia”, nella quale consistono essenzialmente la salute del corpo e la saggezza dell'anima. La medicina e la filosofia restaurano gli equilibri turbati, purgando e vivificando il corpo e l'anima. Anche a Pitagora, come a quasi tutti gli antichi pensatori greci, la tradizione attribuisce un viaggio di studio a Creta e in Egitto. Il particolare biografico convenzionale serve comunque in questo caso a sottolineare le due facce dell'eredità pitagorica, fatta di chiarezza razionale e di misticismo, di osservazioni rigorose e di esperienze inverificabili (come il celebre ascolto notturno della musica prodotta dai movimenti celesti). Di tutto questo si è profondamente nutrita la cultura occidentale fino ai nostri giorni.
— Icon. Un presunto ritratto di Pitagora è indicato in un'erma dei Musei capitolini di Roma, ove appare con barba appuntita e turbante di tipo orientale. Il filosofo sarebbe inoltre raffigurato in una testa bronzea da Ercolano (Napoli, Museo nazionale), in un bustino marmoreo di Ostia (Museo), e in un piccolo busto di Aquileia; la diffusione dei ritratti di Pitagora è probabilmente riferibile al movimento neopitagorico del I sec. a.C.
Demòcrito , in gr. Demókritos, filosofo greco (Abdera, Tracia, 460 circa a.C. - † 370 circa a.C.). Discepolo di Leucippo, del quale sviluppò la dottrina, secondo le fonti antiche compì lunghi viaggi in Asia e in Egitto, dove avrebbe frequentato studiosi di geometria. Le notizie riguardanti la sua vita sono però scarsamente attendibili, e la stessa sua amicizia con Ippocrate di Coo non è certa. Pare che l'idea di costruire un sistema basato su una concezione atomistica gli sia stata offerta dal filosofo Anassagora, che aveva concepito la realtà materiale come divisibile all'infinito in particelle diverse tra loro per qualità, chiamate poi da Aristotele omeomerie. Secondo una tradizione sarebbe anche vissuto ad Atene, ma da Platone, suo contemporaneo, non è mai nominato. Tornato in patria, si consacrò interamente alla filosofia e fondò la scuola di Abdera verso il 420 a.C.
Dei numerosi scritti di Democrito ci sono rimasti solo frammenti che trattano del problema morale, ma conosciamo il suo pensiero, almeno nelle linee generali, attraverso l'esposizione di Aristotele e dei dossografi dell'antichità.
Democrito, d'accordo con il pitagorismo, concepisce la realtà come un discontinuo; mentre infatti ammette che in sede puramente logico-matematica si possa pensare la realtà come divisibile all'infinito, in sede fisica pensa che la realtà sia costituita da atomi indivisibili dotati di moto spontaneo i quali, nel vuoto, danno luogo a formazioni diverse. Gli atomi, qualitativamente uguali tra loro, differiscono solo per la forma e per le dimensioni; le differenze che noi cogliamo tra le cose nella nostra esperienza sensibile derivano esclusivamente dal modo in cui gli atomi si raggruppano tra loro e dalla loro differente forma. Gli atomi non sono stati creati da nessun artefice, ma sono eterni come è eterno il movimento che li agita. Anche l'anima umana è costituita di atomi di natura ignea; essa è diffusa in tutto il corpo, con il quale si dissolve al momento della morte.
Dalla teoria dell'uniforme qualità degli atomi, Democrito è indotto a giustificare le differenze delle qualità quali appaiono a noi; pertanto egli afferma che i colori, i sapori e i suoni altro non sono che il nostro modo di interpretare determinati raggruppamenti di atomi. Sono queste le qualità secondarie, contrapposte alle qualità primarie che riguardano realmente la forma e la durezza degli atomi.
Democrito in tal modo ha concepito per primo, e per via puramente logica, la struttura atomistica della realtà; ma il suo merito maggiore sta proprio nell'aver cercato di costruire un sistema materialistico-meccanicistico capace di giustificare tutta quanta la realtà senza far ricorso a forze extranaturali.
Empèdocle , in gr. Empedoklês, filosofo greco (Agrigento, intorno al 483-482 a.C. - † 423 circa). Di famiglia ricca e potente, che tra gli ascendenti contava anche alcuni vincitori nei giochi olimpici, riportò forse egli stesso una vittoria in tali gare. Sebbene aristocratico, continuò, pare, l'opera del padre Metone, il quale era stato a capo del partito democratico, e fu, oltre che uomo politico, legislatore, poeta, medico, mago e taumaturgo. A imitazione di Parmenide, espose in versi le sue concezioni filosofiche: ci sono pervenuti, in frammenti, 400 versi di un poema sull'Universo e 120 dell'opera Le purificazioni, in cui egli si compiace di essere ritenuto dai concittadini una sorta di divinità. Secondo quanto attesta Aristotele, sarebbe morto nel Peloponneso a circa sessant'anni d'età; secondo Diogene Laerzio, si sarebbe ucciso gettandosi nel cratere dell'Etna. Empedocle fu un pensatore di grande genialità e tra i suoi discepoli ebbe forse il filosofo Gorgia. Della sua opera alcuni secoli più tardi Lucrezio fece il più alto elogio.
Filosofo eclettico, si ispirò al pensiero di Eraclito, di Parmenide e di Pitagora; contro gli eleati tentò una felice rivalutazione della conoscenza sensibile e con la sua teoria dei “quattro elementi” mirò a giustificare il divenire del mondo, che già Eraclito aveva considerato come la verità fondamentale. L'acqua, l'aria, il fuoco e la terra sono secondo lui i quattro elementi la cui combinazione e la cui divisione generano le cose della nostra esperienza, con un processo continuo che mai si arresta. In questo senso i due grandi avversari dell'essere e del divenire, Parmenide ed Eraclito, vengono entrambi accettati da Empedocle, in quanto egli ammette la teoria parmenidea che qualcosa permane sempre identico a se stesso, affermando che i quattro elementi non subiscono cangiamenti, ma nello stesso tempo accoglie la tesi del divenire di Eraclito, poiché ritiene che tutta la realtà della nostra esperienza sia sottoposta a continue trasformazioni e che nulla rimanga mai identico a se stesso. Le forze che operano sui quattro elementi, di volta in volta unendoli o separandoli, sono l'Odio e l'Amore, concepiti non come mitiche rappresentazioni, ma come due forze attive insite nella realtà.
Nel campo della fisica e della biologia, Empedocle ha lasciato qualche traccia sia con le sue osservazioni sulla forza centrifuga, sia con l'intuizione dell'evoluzione dei viventi e della selezione naturale.
Euclide, matematico greco (III sec. a.C.). Della sua vita si sa solo che insegnò matematica ad Alessandria, ove aveva fondato la famosa scuola. È noto soprattutto per i suoi Elementi, opera di estrema chiarezza e rigore, che ancora oggi viene considerata un testo fondamentale. Essa è impostata sull'assunzione di alcune nozioni comuni, accettate come postulati, dai quali vengono dedotti diversi teoremi. Comprende tredici libri ai quali se ne aggiunsero altri due attribuiti a Ipsicle, matematico d'Alessandria, probabilmente del II sec. a.C. I primi quattro libri sono dedicati alla geometria del piano con lo studio delle sole linee poligonali e circolari. La similitudine è trattata nei libri V e VI, che studiano i rapporti e le proporzioni. La teoria dei numeri interi è trattata nei libri VII, VIII e IX. Il libro X, più lungo, è considerato il più completo: contiene la teoria degli irrazionali provenienti dalla risoluzione di alcune equazioni biquadratiche. Gli ultimi tre libri trattano della geometria dello spazio. A Euclide si deve pure una “raccolta di scritti di natura analitica” di cui solo una, I dati, è giunta a noi. Altre opere andate perdute sono I luoghi superficiali dei quali poco si conosce e i Porismi, ampiamente citati da Pappo e Proclo, che, secondo Chasles, contengono in germe le nozioni fondamentali della geometria proiettiva. Pure a Euclide è attribuita l'Ottica, che contiene le proposizioni fondamentali dell'ottica geometrica fra cui la propagazione dei raggi luminosi in linea retta.
Platóne, in gr. Pláton, filosofo greco (Atene 427-347 a.C.). Nato da una famiglia aristocratica, durante gli anni della giovinezza desiderò dedicarsi attivamente alla politica; ma le tristi vicende della sua città in quel periodo lo colmarono di sdegno ed egli si trasse ben presto in disparte. Verso i vent'anni divenne discepolo di Socrate, di cui ammirava la concezione di una politica secondo giustizia. Deluso del governo oligarchico dei Trenta tiranni, affermatosi nel 404, benché tra i maggiori esponenti di esso ci fossero suoi familiari (Crizia e Carmide), nutrì dapprima qualche fiducia nella restaurazione democratica; il governo democratico si rivelò invece il peggiore di tutti, rendendosi responsabile della condanna e della morte di Socrate (399). Scomparso Socrate, Platone si recò per qualche tempo a Megara e quindi, rientrato in Atene, diede forse inizio alla sua attività letteraria. Compì poi parecchi viaggi: in Egitto, a Cirene, a Taranto (dove visitò la comunità pitagorica guidata dall'amico Archita) e nel 388 a Siracusa, governata da Dionigi il Vecchio: qui strinse amicizia con Dione, cognato del tiranno. Ritornato ad Atene, fondò (nel 387 circa) l'Accademia, comunità religiosa modellata su quelle pitagoriche conosciute nell'Italia meridionale e scuola filosofica erede della tradizione socratica. Ebbe così inizio il periodo più fecondo della carriera speculativa di Platone, interrotto nel 367, quando, dopo la morte di Dionigi il Vecchio, il figlio e successore Dionigi il Giovane fu persuaso da Dione a richiamare Platone a Siracusa. Mosso dalla speranza di sperimentare la costituzione politica elaborata nell'ambito dell'Accademia, il filosofo ripartì per la Sicilia. Ben presto, tuttavia, i rapporti fra Dionigi e Dione si guastarono e Platone, che era nel frattempo ritornato ad Atene (365), fu costretto a intraprendere un terzo viaggio (361) per tentare di far togliere il bando all'amico, esiliato dal sospettoso nipote. Il fallimento dei suoi piani politici e la morte di Dione (354) rattristarono la vecchiaia di Platone, il quale tuttavia continuò la sua intensa attività, affidando all'ultima opera, Le leggi, e all'insegnamento orale (a noi noto indirettamente, soprattutto attraverso la testimonianza di Aristotele) gli ultimi sviluppi del suo pensiero. Morì a ottant'anni, lasciando la guida dell'Accademia al nipote Speusippo.
Di Platone ci sono pervenuti 35 Dialoghi e 13 Epistole, ma della loro autenticità si è molto discusso fin dai tempi antichi; attualmente si riconoscono in genere come autentici 28 dialoghi e 4 epistole (tra cui la settima, l'unica filosoficamente interessante). Di capitale importanza è stabilire la successione cronologica dei dialoghi, ma a questo riguardo la critica non è ancora arrivata a conclusioni definitive. Tuttavia, integrando i diversi criteri tra loro, si è giunti a un certo accordo nel dividere i dialoghi in tre gruppi, che corrisponderebbero approssimativamente alle diverse tappe dell'evoluzione del pensiero di Platone. (V. anche DIALOGHI.)
Un primo gruppo di dialoghi (detti “della giovinezza” o, più propr., “socratici”) è quello che Platone scrisse non molto tempo dopo la morte di Socrate e che perciò sembra rispecchiare maggiormente il pensiero del maestro. La prima opera è quasi sicuramente l'Apologia di Socrate, scritta intorno al 396 e consistente in un discorso di autodifesa tenuto dal maestro davanti ai giudici; nel Critone Socrate, lungi dal disprezzare le leggi della sua città, preferisce la morte a un'agevole evasione dal carcere, proprio per ossequio alla legge. I temi affrontati in questo primo gruppo di dialoghi sono quelli della virtù e della vera sapienza: per Socrate, che in essi inizia e conduce la discussione, la virtù si risolve nella scienza del bene e del male, e quindi nella ricerca razionale; i suoi interlocutori, che sono in genere personaggi della cultura e della vita politica di quei tempi, soprattutto “sofisti” (da essi prendono nome i dialoghi: Carmide, Lachete, Liside, Protagora, Gorgia, Eutifrone, Menone, Eutidemo), sono inizialmente sicuri di sé, delle proprie convinzioni: di fronte a essi Socrate finge invece di non sapere e, attraverso una serie di domande serrate, mette in crisi tale sicurezza, mostrando l'unilateralità e l'interiore contraddittorietà delle loro tesi, e perciò suscita il dubbio e il desiderio di approfondire la ricerca. In tale procedimento consiste l'“ironia” socratica; ma, oltre a questa parte negativa, Socrate ne svolge anche una positiva, mostrando come ciascuno sia in grado di “partorire” da se stesso la verità (ossia definizioni e conoscenze universalmente valide), con l'aiuto della sua arte “maieutica”, che egli dice di aver ereditato dalla madre levatrice. Però l'esigenza della ricerca e l'affermazione del valore di una conoscenza universale e necessaria non bastano a Platone, il quale tende a dare un fondamento oggettivo a tale conoscenza, radicato in una più profonda realtà. E già nell'Eutifrone e nel Menone egli abbozza quella teoria delle idee, che segna il suo distacco dal pensiero socratico e intorno alla quale si verrà in seguito svolgendo tutta la sua riflessione.
I dialoghi della piena maturità del pensiero platonico, probabilmente posteriori al primo viaggio in Sicilia (388) e alla fondazione dell'Accademia (387 circa), sono quelli in cui egli costruisce il suo sistema, ricavandone tutte le possibili conseguenze anche di carattere etico-politico: il Cratilo (sul linguaggio), Il convito(sull'amore), il Fedone(sull'immortalità dell'anima) e soprattutto La repubblica (in dieci libri), che è il più ampio degli scritti di Platone e la cui composizione deve aver occupato un periodo di parecchi anni. Il fondamento dell'universalità e della necessità dei nostri concetti è costituito dalle “idee”, ossia da modelli eterni e immutabili, concepiti come essenze incorporee, aventi una propria realtà oggettiva, puramente intelligibile, in un mondo (iperuranio) diverso da quello sensibile, il quale è anzi soltanto la copia e la pallida immagine della vera realtà, che appunto si identifica con il mondo delle idee. Quando noi cerchiamo di stabilire in modo rigorosamente scientifico che cosa sia il bello o che cosa sia il giusto, non possiamo riferirci alle singole cose del nostro mondo sensibile, che è sempre mutevole, né ci bastano opinioni approssimative, ma occorre guardare al bello in sé e al giusto in sé, cioè a qualcosa che è sempre identico a se stesso, ed è tale in quanto è l'essenza ideale del bello o del giusto: solo per partecipazione a tale essenza le singole cose belle sono belle, e le azioni giuste sono giuste. Oggetto della filosofia, intesa come scienza suprema, è proprio la contemplazione di tali essenze ideali, che sono stabili, non mutano con il divenire dell'esperienza.
Ma se non possiamo conoscere le idee attraverso l'esperienza, in che modo possiamo ottenere tale scienza? Rifacendosi alla tradizione orfico-pitagorica, la quale affermava che l'anima è immortale e rinasce più volte, Platone sostiene che l'anima ha contemplato le idee in una vita anteriore, ma, entrando nel corpo, le dimentica: tuttavia in seguito, nel venire a contatto con le cose materiali, riesce a ricordarle, a ritrovare entro di sé il vero sapere, che non deriva quindi, se non indirettamente, dall'esperienza, ma è solo una reminiscenza (anamnesi). Il corpo è quindi impedimento alla scienza e all'anima: la vita del sapiente acquista il carattere di una preparazione alla morte, che è liberazione dell'anima e della scienza dai vincoli corporei (Fedone).
Per spiegare quale sia l'effettiva condizione originaria dell'uomo e attraverso quali tappe questi riesca a liberarsene, Platone nella Repubblica si serve di un'immagine, nota come il “mito della caverna” (v. CAVERNA [La]) : gli uomini sono come prigionieri incatenati entro una caverna, con le spalle rivolte alla luce che viene di fuori, e riescono a vedere soltanto le ombre proiettate sulla parete da coloro che passano e dai loro fardelli: gli oggetti della sensazione sono appunto come queste ombre che i prigionieri scambiano per oggetti reali, mentre, se essi riescono a liberarsi dai ceppi e a uscire dalla caverna, possono vedere le cose stesse, che corrispondono agli oggetti intelligibili. Il processo conoscitivo attraverso il quale si risale dalle immagini delle cose alle cose singole, nel mondo sensibile, e dalle nozioni matematiche alle idee, nel mondo intelligibile, costituisce la dialettica della scienza, che dalla molteplicità tende all'unità; perciò il grado più alto della conoscenza è l'intelligenza intuitiva (nûs), che coglie l'unità assoluta dell'idea, superando l'intelligenza discorsiva (diánoia), che procede, attraverso molti intermediari, dalle ipotesi alle conseguenze. Infine, lo stesso mondo intelligibile riceve la sua unità dall'idea del bene, che è il principio e la causa della scienza e della verità in quanto viene conosciuta: pur essendo un'idea, il bene sta al di là di ogni altra essenza e della conoscenza stessa.
Alla teoria delle idee si ispirano la concezione politica di Platone e la sua psicologia: infatti per lui la struttura di uno Stato e l'anima dell'individuo sono organizzate alla stessa maniera. Come la vita dell'uomo giusto si realizza nell'armonica contemperanza delle parti dell'anima, così lo Stato è ben ordinato quando in esso domina la giustizia, cioè quando ogni classe e ogni individuo attendono al compito che è loro proprio. Distinguendo tre funzioni nello Stato (governo, difesa, economia), Platone fa a esse corrispondere tre classi sociali (reggitori, soldati, produttori), che sono la proiezione delle tre attività o tre parti dell'anima: la ragione, la volontà, gli appetiti. La classe dei reggitori deve essere costituita dai filosofi, i quali, educati dalla dialettica, sono in grado di governare lo Stato in quanto capaci di governare se stessi. Per potersi dedicare interamente al servizio della comunità, i reggitori non devono avere proprietà individuali, né formarsi una famiglia: i loro figli verranno allevati a cura dello Stato; ma queste norme non valgono per la massa della popolazione, dedita al lavoro e agli affari.
Circa la successione cronologica degli ultimi dialoghi, posteriori alla Repubblica, c'è un accordo quasi unanime tra gli studiosi. Essi sono nell'ordine della loro composizione: il Fedro *, il Parmenide, il Teeteto, Il sofista, Il politico, il Timeo, il Crizia, il Fileboe Le leggi. Da notare che in questi dialoghi, tranne che nel Fedro, nel Teeteto e nel Filebo, Socrate non è più l'interlocutore principale; perciò anche da un punto di vista esteriore Platone mostra chiaramente di essersi del tutto distaccato dalla problematica socratica, e la sua attenzione è rivolta principalmente a sottoporre a revisione critica la sua teoria delle idee e a risolverne le interne difficoltà. Da un lato il mondo ideale, che per influenza del pensiero di Parmenide era stato concepito in netto contrasto con il mondo sensibile — come verità opposta ad apparenza, come essere opposto a non essere —, rischia di essere considerato come del tutto estraneo all'esperienza, senza possibilità di determinare lo sviluppo conoscitivo ed etico dell'uomo: se infatti le idee vengono definite nella loro unità e purezza assolute, non si vede in che modo possano stare in relazione tra loro, con il mondo sensibile e con la mente umana (Parmenide). D'altro lato, le critiche mosse alla dottrina eracliteo-protagorea della conoscenza come sensazione rimangono valide e convincono Platone a non abbandonare la teoria delle idee, ma solo a riesaminarla e ad approfondirla (Teeteto). Occorre quindi una mediazione fra il mondo ideale dell'essere e la conoscenza umana: per questa esigenza la dialettica si trasforma, in quanto più che al procedimento dell'unificazione si dà rilievo al procedimento della differenziazione, che permette di indicare le relazioni di inclusione e di esclusione in cui si trova ciascuna idea con le altre (Il sofista). Discendendo quindi dall'unità alla molteplicità, si attribuisce una qualche realtà anche alle forme “miste”, cioè al finito inteso come proporzione e misura e governato dal numero (Il politico, Filebo). Anche in campo etico questo mutamento di prospettiva appare evidente: mentre infatti nel Fedone il fine dell'uomo era in un completo distacco dal corpo e dai sensi, nel Filebo invece esso è in una “vita mista secondo misura”, in una mescolanza di piacere e di uso dell'intelligenza.
Il mutato atteggiamento di Platone non gli fa più considerare con distacco il mondo della natura: nel Timeo, pur senza condividere il naturalismo dei presocratici, Platone accoglie da essi molte dottrine, rielaborandole e fondendole in una generale concezione finalistica, che si contrappone nettamente al meccanicismo di Democrito. Ancora una volta egli sceglie la forma espositiva del mito: un demiurgo, ossia un divino artefice, ha plasmato e ordinato il mondo e, prendendo a modello le idee, ha ridotto l'informe originario alla regola e alla misura. Così anche il mondo della natura è una realtà mista, in cui al mutevole e al transeunte si mescola la razionalità delle forme pure, ed essendo organicamente concepito e disposto possiede una sua anima, che è insieme molteplice e una. Infine, anche in campo politico Platone non ha più di mira il modello ideale dello Stato, che nella Repubblica si poneva al di là dell'esperienza umana, ma propone (nelle Leggi) una costituzione politica in cui, tenendo conto delle leggi che precedentemente hanno governato gli Stati, si possano contemperare secondo una giusta misura l'esigenza dell'autorità e quella della libertà, ossia una mescolanza di monarchia e di democrazia. L'Epistola settima conferma che l'esigenza di portare razionalità e ordine nella comunità politica restò sempre l'obiettivo fondamentale della speculazione platonica per tutto il lungo arco del suo svolgimento. Tale ricerca si arricchì via via di altri motivi, derivati sia da tutta la tradizione filosofica precedente (dalle intuizioni degli ionici al matematismo pitagorico, da Parmenide a Socrate) sia da credenze religiose (orfico-pitagoriche). Ma il pensiero platonico non è soltanto la sintesi delle diverse correnti della cultura greca di quel periodo; è soprattutto una tappa fondamentale nello sviluppo della riflessione filosofica, onde è stato detto che la successiva storia della filosofia è in gran parte una storia delle interpretazioni di Platone e delle reazioni davanti al platonismo.
La varietà e la ricchezza della sua opera di pensatore sono rese più evidenti dall'arte incomparabile dello scrittore. Platone è il primo a usare la forma letteraria del dialogo, perché non ammette che si possa fermare e rinchiudere la vita del pensiero, che è continua ricerca, in una forma cristallizzata (come può essere un trattato), ma vuole rappresentarla nel suo sviluppo e nella sua dinamicità. Però il dialogo platonico non è un mero artificio didascalico, come sarà in quasi tutti gli autori che vorranno imitarlo, perché in esso non vengono semplicemente messe a confronto opinioni e dottrine, ma appaiono vivamente rappresentate, in forma veramente drammatica, le personalità e i caratteri di coloro che discutono. La prosa di Platone, di straordinaria vivacità e perfezione linguistica, si piega con estrema duttilità sia al rigore dell'astrazione sia agli slanci poetici, all'eloquenza dei discorsi solenni come all'ironia e al sarcasmo. Né in essa appare sforzo o artificio: il cambiamento di tono, la preferenza data a un certo genere di rappresentazione o di esposizione piuttosto che a un altro in un dato momento del dialogo, non è mai un puro gioco letterario, ma è sempre giustificato dall'argomento trattato e dall'intenzionalità filosofica dell'autore.
— Icon. Una statua del filosofo, opera di Silanione, venne eretta poco dopo la sua morte nell'Accademia di Atene; questa scultura fu assai celebre nella ritrattistica antica per il tentativo di rendere insieme con i tratti fisionomici il fascino spirituale del maestro. Da questo ritratto sembrano derivare una ventina di repliche, riconducibili nonostante le varianti a un unico tipo originario; una di esse, un'erma degli Staatliche Museen di Berlino, è fornita di iscrizione.

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