La Relatività di Einstein

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Categoria:Fisica

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Albert Einstein
Albert Einstein (Ulma 1879 - Princeton, New Jersey 1955), fisico tedesco naturalizzato statunitense, fu probabilmente il più grande scienziato del XX secolo. La sua teoria della relatività, e quindi la negazione dell'esistenza di spazio e tempo assoluti, e l'ipotesi sulla natura corpuscolare della luce, cui pervenne generalizzando la teoria di Max Planck, segnarono una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico. Trascorse gli anni giovanili a Monaco, città nella quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che produceva macchinari elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica; a dodici anni imparò, da autodidatta, la geometria euclidea. Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi. Visse un anno insieme alla famiglia, ma ben presto comprese l'importanza di una salda preparazione culturale e, concluse le scuole superiori ad Arrau, in Svizzera, si iscrisse al politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900. Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno in cui trovò un modesto impiego presso l'Ufficio Brevetti di Berna.
Prime pubblicazioni scientifiche
Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle molecole; pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del XX secolo. Nel primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni, successivamente confermate per via sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle distribuite casualmente in un fluido. Il secondo studio, sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, conteneva un'ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli affermò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, e ipotizzò che l'energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hn, dove E rappresenta l'energia della radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck, e n è la frequenza. Questa affermazione, in base alla quale l'energia contenuta in un fascio luminoso viene trasferita in unità individuali o quanti, era in contraddizione con qualsiasi teoria precedente, cosicché fu violentemente criticata, finché circa un decennio dopo il fisico statunitense Robert Andrews Millikan ne diede una conferma sperimentale.
Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale. Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività.
Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne offerto un posto presso l' ”Institute for Advanced Study” di Princeton, New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse insieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare. Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici. Il mondo fu un po’ più piccolo quando morì, a Princeton, nel 1955.
Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Autobiografia scientifica (1979); Relatività: esposizione divulgativa (1980); Idee e opinioni. Come io vedo il mondo (1990); Evoluzione della fisica (1985), in collaborazione con Leopold Infeld; Riflessioni a due sulle sorti del mondo (1989) in collaborazione con Sigmund Freud.
Relatività ristretta
Il terzo e più importante studio del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell'interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l'uno rispetto all'altro. La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, e che è una naturale estensione del precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.
Sulla base del risultato dell'esperimento di Michelson e Morley e delle precedenti considerazioni di Lorentz, egli suggerì inoltre che le trasformazioni galileiane dovessero essere sostituite con quelle di Lorentz. Queste ultime prevedono che la variabile temporale vari in due sistemi di riferimento in moto relativo rettilineo uniforme, e quindi che un orologio in moto relativo rispetto a un osservatore rallenti. Il principio di tempo assoluto della meccanica newtoniana fu sostituito dal principio di invarianza della velocità della luce dallo stato di moto dell'osservatore. La scoperta dell'elettrone fornì poi la possibilità di verificare la correttezza delle trasformazioni di Lorentz; gli elettroni emessi dalle sostanze radioattive, infatti, hanno velocità prossime a quella della luce, tali cioè da far assumere al fattore beta valori apprezzabili. Gli esperimenti confermarono le predizioni di Einstein; la massa di un elettrone dotato di velocità prossime a quelle della luce risulta maggiore della massa a riposo, esattamente nella misura prevista. L'incremento della massa dell'elettrone era dovuto alla conversione dell'energia cinetica in massa, secondo la formula E=mc2. La teoria di Einstein fu confermata anche mediante esperimenti sulla velocità della luce in corpi d'acqua in moto e sulle forze magnetiche di alcune sostanze.
L'ipotesi fondamentale su cui poggiava tutta la teoria di Einstein era che per due osservatori in moto relativo uno rispetto all'altro a velocità costante valessero le stesse leggi della natura. L'abbandono del concetto di simultaneità comporta che due eventi registrati come simultanei da un osservatore non risultino tali rispetto a un secondo osservatore in moto rispetto al primo. In altre parole, non ha senso assegnare l'istante in cui avviene un evento senza definire un riferimento spaziale. L'evoluzione di ogni particella o oggetto nell'universo viene descritta da una cosiddetta linea universale in uno spazio a quattro dimensioni (tre per lo spazio e la quarta per il tempo), detto spazio-tempo. La nuova geometria si adattava perfettamente alle equazioni di Maxwell.
La "distanza" o "intervallo" tra due eventi qualsiasi può essere accuratamente descritta per mezzo di una combinazione di intervalli di spazio e di tempo.

Relatività generale
Ancor prima di lasciare l'Ufficio Brevetti nel 1907, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto relativo non uniforme. Enunciò il principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o alla accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività generale non venne pubblicata sino al 1916. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale.
Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. La conferma di quest'ultimo fenomeno, durante l'eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza. Per il resto della sua vita Einstein dedicò molto tempo alla ricerca di un'ulteriore generalizzazione della teoria e alla ricerca di una teoria dei campi, che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti. Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, che Einstein aveva già prima ritenuto necessario, nonché il principio di indeterminazione, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l'impostazione, per certi versi intrinsecamente probabilistica della meccanica quantistica, affermò che "Dio non gioca a dadi con il mondo". La relatività ha trovato un gran numero di conferme sperimentali da quando è stata introdotta. Ad esempio, durante l'eclisse del 1919 è stata verificata la deflessione di un raggio di luce nelle immediate vicinanze del Sole, come previsto dalla teoria.
Recentemente sono stati effettuati test analoghi per misurare la deflessione delle onde radio emesse da quasar lontani, mediante l'uso di interferometri a radiotelescopio. I risultati di questi test concordano entro un margine di errore dell’1% con le previsioni della relatività generale.

Un'altra conferma sperimentale viene dal moto del perielio (il punto in cui un pianeta passa più vicino al Sole) dell'orbita di Mercurio. Tale moto, che non trova spiegazione nell'ambito della fisica classica, è invece previsto dalla teoria della relatività e le recenti misure radar effettuate sono in ottimo accordo con le previsioni. Un altro fenomeno prescritto dalla relatività generale è lo spostamento verso il rosso della lunghezza d'onda della radiazione emessa da oggetti posti in intensi campi gravitazionali; esso è stato più volte osservato mediante misurazioni astronomiche.

Relatività ristretta (approfondimento)
La teoria della relatività ristretta si basa su due fondamentali postulati:
1. Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Cioè le leggi fondamentali hanno la stessa forma matematica per tutti gli osservatori che si muovono con velocità costante l’uno rispetto all’altro.
2. la velocità della luce nel vuoto è sempre 300.000 Km/s e il valore misurato è indipendente dal moto dell’osservatore e dal moto della sorgente di luce. Cioè la velocità della luce è la stessa per tutti gli osservatori inerziali.
Fin da giovane, Einstein si interessò alle teorie sull’elettromagnetismo, formulate da Faraday, Maxwell, e sulle teorie della propagazione delle onde nell’etere. Einstein voleva capire cosa succede quando la luce si propaga da un posto all’altro e cercò di rappresentare, in modo semplice, il suo comportamento. La prima domanda che si pose fu: ” che cosa succederebbe se si viaggiasse con un onda luminosa alla velocità della luce?”. Supponiamo di tenere in mano uno specchio, e di muoverci alla velocità della luce: in teoria, la luce proveniente dal nostro viso, non dovrebbe arrivare allo specchio. Einstein, pensava che con qualsiasi mezzo la luce vada da un posto all’altro, l’immagine nello specchio non dovrebbe sparire, poiché la velocità delle onde dipende solo dal mezzo e non dalla sorgente. Ma allora un osservatore da terra vedrebbe la luce muoversi ad una velocità doppia del normale (300.000 Km/sec + 300.000 Km/sec = 600.000 Km/sec).Einstein, cominciò a cercare di scoprire se fosse possibile che la velocità della luce fosse la stessa per chi si muove e per chi osserva da terra. La teoria della relatività è la soluzione di Einstein a questo quesito apparentemente impossibile.
Partendo dalla relatività di Galileo, si prenda come esempio il caso di un osservatore all’interno di un sottomarino; questo non può stabilire se il sottomarino sia fermo o si muova di moto uniforme, se non guardando fuori dall’oblò. Quindi, se il sottomarino si muovesse costantemente alla velocità della luce e se, come abbiamo ipotizzato prima, l’immagine nello specchio sparisce movendosi alla velocità della luce, all’osservatore all’interno del sottomarino, basterebbe guardarsi in un specchio per affermare di muoversi. Tutto ciò è in contrasto con il principio di relatività di Galileo secondo il quale l’osservatore doveva necessariamente guardare fuori dall’oblò. Per questo motivo Einstein concluse che l’immagine dello specchio dovesse continuare a vedersi. Ma come può l’osservatore in movimento vedere la luce allontanarsi dal suo volto alla velocità della luce relativa a lui (300.000 Km/sec), mentre l’osservatore a terra vede la luce lasciare il suo volto alla stessa velocità della luce relativa a loro (600.000 Km/sec)?. Per spiegare questo Einstein analizza il concetto di velocità: la velocità è la distanza percorsa divisa per il tempo impiegato. Einstein si rese conto che se la velocità doveva essere la stessa per i due osservatori, allora la distanza e il tempo dovevano essere diversi. Quindi una persona in movimento vede la luce percorrere una data distanza d in un dato tempo T ottenendo una velocità della luce c, mentre una persona fera vede la luce percorrere una distanza diversa in un tempo diverso ottenendo la stessa velocità c: Einstein passò così allo studio degli eventi simultanei. Immaginiamo di avere una carrozza ferroviaria in movimento al cui centro è posto un passeggero con un congegno in grado di emettere un fascio di luce in avanti e contemporaneamente all’indietro. Supposto che la porta anteriore e quella posteriore possano essere aperte dai fasci di luce. Allora, per la persona che tiene il congegno, le porte si apriranno simultaneamente, ma, afferma Einstein, per una persona a terra, la porta posteriore si aprirà prima di quella anteriore. Questo avviene poiché per la persona a terra la porta posteriore si muove in avanti, incontrando il fascio di luce, mentre quella anteriore se ne allontana. Quindi lo scienziato ne dedusse che, eventi che sono simultanei rispetto al treno, non lo sono rispetto a terra e viceversa. Così Einstein afferma che il tempo trascorso è una misura relativa, poiché per la persona nella carrozza, l’apertura delle porte è simultanea e il tempo trascorso tra la apertura della porta anteriore e quella posteriore è zero; mentre per la persona sulla banchina, il tempo trascorso tra l’apertura delle porte non è zero, e dipende dalla velocità a cui si muove il treno. Facciamo un esempio più semplice: immaginiamo che una persona al centro della carrozza si alzi e vada verso la porta anteriore; ora, di quanto si è spostata la nostra ipotetica persona? Relativamente al treno, ha percorso metà della lunghezza della carrozza, ma relativamente alla banchina ha percorso una distanza maggiore: così anche la distanza è una misura relativa. Schematizziamo ora la carrozza come un sistema di riferimento all’interno di un sistema di riferimento S più grande (la terra) (figura a fianco).

Grazie alle trasformazioni di Lorentz Einstein deduce le relazioni tra questi due sistemi di riferimento.

Poniamo all’interno del sistema un orologio luminoso particolare (ideato dal fisico statunitense R.P. Feynman) (figura a fianco).
La lampadina emette impulsi luminosi regolari che vanno verso lo specchio, vengono riflessi e rimbalzano fino al contatore che ticchetta. Immaginiamo adesso che al sistema venga impressa una velocità v, in modo che diventi un sistema in moto rispetto al sistema S. L’osservatore in vede il suo orologio funzionare esattamente come quando è in quiete, ma l’osservatore fermo in S, guardando l’orologio in vede qualcosa di completamente diverso. (figure sotto).

Visione dell’osservatore in movimento Visione dell’osservatore in quiete
Einstein rimarca che la velocità della luce è la medesima per tutti gli osservatori. Così, l’osservatore fermo, si accorge che passa più tempo fra i ticchettii dell’orologio in moto che fra quelli dell’orologio in quiete a causa della maggiore distanza vista da terra. Einstein afferma che gli orologi in moto vanno più lentamente di quelli in quiete e studia il rapporto tra i due tempi, mediante una serie di passaggi:
1. Il tempo tra i ticchettii del sistema in moto, è il tempo necessario affinché la luce raggiunga lo specchio, più il tempo L/C perché ritorni indietro; Quindi .
2. Ma il tempo fra i ticchettii nel sistema in quiete è il tempo che la luce impiega per coprire il percorso triangolare h. .
3. Ora, nel tempo , il sistema in moto percorre una distanza uguale a .
4. E adesso possiamo usare il millenario teorema di Pitagora, dal quale si deriva che .
5. Sostituendo al punto 4 le formule ottenute ai punti 1 2 e 3 otterremo che
da cui: .
Cerchiamo di applicare questa formula ad un problema: due gemelli si separano e, mentre uno resta sulla terra, l’altro viaggia su un razzo ad una velocità pari all’80% di quella della luce cioè a 0.8c. Dopo che sul razzo sono passati 30 anni, quanto tempo è passato sulla Terra?
T’ = 30 anni v = 0.8c T = tempo passato sulla terra
Dopo aver analizzato il rapporto tra i tempi, studiamo il giusto legame tra la velocità, poiché, come abbiamo detto prima, ogni osservatore deve rilevare la stessa velocità della luce, indipendentemente da come egli si muove (in modo costante, naturalmente). Riprendendo la stessa carrozza di prima, immaginiamo che la nostra persona al centro di questa, si alzi e vada verso la porta anteriore, ad una velocità W = 5 Km/h, mentre il treno si sta movendo ad una velocità V = 35 Km/h. A che velocità si muove la nostra persona rispetto alla banchina? Secondo la fisica classica questa si dovrebbe muovere ad una velocità U = V + W, cioè a 40 Km/h. Secondo Einstein invece questa misurazione è imprecisa, poiché gli spazi e i tempi misurati sul treno non sono gli stessi misurati sulla banchina e, dopo una serie di passaggi, ottiene che la velocità U osservata dalla banchina è uguale a
Ora come possiamo notare questa velocità è diversa da V + W, ma poiché la velocità della luce è enorme (299.792,5 Km/sec) normalmente la correzione è molto piccola. Ma proviamo la formula supponendo che il treno vada alla velocità della luce e la nostra persona all’interno di esso invii un raggio di luce verso la parte anteriore del treno. Secondo la formula di Einstein si ottiene che
V = c W = c
Così U, la velocità del raggio osservata da terra, è uguale a
Con ciò Einstein dimostra che non esistono interazioni istantanee poiché niente può viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce!
Einstein deve ora dimostrare cosa accade quando si cerca di far superare ad un oggetto la velocità della luce. Per far muovere un qualsiasi oggetto, bisogna applicare ad esso una forza e, quando questo oggetto guadagna velocità, diciamo che accelera. Fu Newton a postulare un nesso tra forza ed accelerazione: egli affermava che F = ma oppure . Da quest’ultima se ne deduce che l’accelerazione a è direttamente proporzionale alla forza F applicata, mentre è inversamente proporzionale alla massa dell’oggetto m, chiamata anche inerzia; maggiore è la forza più rapidamente il corpo guadagna velocità; maggiore è la massa più sarà difficile farlo muovere. Einstein sostituì alla formula di Newton la sua, dove e ancora una volta dimostra che nulla può andare più veloce della luce, poiché quando V = c, a = 0. Così, man mano che un corpo si avvicina alla velocità della luce diventa sempre più difficile aumentarne la velocità e, una volta che si è raggiunta la velocità della luce, anche se si continua a spingere il corpo, questo non guadagna altra velocità! Einstein modificò inoltre la formula del lavoro di Newton incosì quando V = c, . Ma non è tutto; se il lavoro contribuisce a dare al corpo più inerzia, allora l’inerzia deve contenere energia. Questa energia è descritta dalla formula . E poiché, come detto prima, , se ne deduce che
Così anche quando L = 0 il corpo avrà ancora un’energia pari a

Relatività generale (approfondimento)
La relatività ristretta ci dice come due osservatori in moto relativo uniforme confrontano le loro misure di grandezza come tempo, lunghezza, massa ed energia, ma non si applica ad osservatori che subiscono accelerazioni relative.
Quando Einstein lavorava alla sua teoria della relatività, le sole forze naturali note erano la gravitazione e la forza elettromagnetica. Egli non coronò mai il sogno della sua vita di trovare una teoria unificata dei campi che comprendesse le accelerazioni dovute ad ogni tipo di forza, ma nel 1916 riuscì a sviluppare una teoria che descrive come si confrontano le misure fatte da osservatori accelerati da forze gravitazionali – la teoria della relatività generale.
La base della teoria generale è il principio di equivalenza che afferma che in una regione di spazio sufficientemente piccola affinché la forza di gravità possa essere considerata costante una forza gravitazionale è indistinguibile da una accelerazione dell’osservatore. Stando sulla superficie della Terra, si sente un’accelerazione di . Si può fare ogni sorta di esperimenti con corpi che cadono, bilance, pendoli etc. e si ottengono tutti i ben noti risultati sperimentali. Il principio di equivalenza implica che un astronauta che si trovatello spazio, a grandi distanze da tutti i corpi che possono esercitare azioni gravitazionali, ma su un’astronave che acceleri a , può compiere tutti gli stessi esperimenti e ottenere tutti gli stessi risultati che otteniamo sulla Terra.
Per il principio di equivalenza sono equivalenti anche i due diversi modi con cui definiamo la massa. Un modo per definire la massa di un corpo è tramite le sue proprietà inerziali – la sua “resistenza” all’accelerazione ( per mezzo dell’equazione F=ma). L’altro modo è per mezzo dell’attrazione gravitazionale che il corpo esercita sugli altri corpi (descritta dalla legge di gravitazione di Newton). Non è immediatamente ovvio perché queste due proprietà di un oggetto (la sua inerzia e la sua attrazione gravitazionale) debbono avere qualcosa a che fare l’una con l’altra, ma la scoperta di Galileo che gli oggetti leggeri e gli oggetti pesanti lasciati cadere insieme, accelerano verso il basso nello stesso modo, dimostrò che queste due definizioni di massa debbono essere in effetti equivalenti, almeno nei limiti di precisione delle misure. Naturalmente l’attrazione della terra su un corpo pesante è maggiore di quella su un corpo leggero, ma proprio questa maggiore forza è necessaria per imprimere al corpo pesante la stessa accelerazione del corpo leggero in modo che essi cadano insieme! Un secolo fa, il fisico ungherese Barone Lorand von Eotvos eseguì una versione molto più raffinata degli esperimenti di Galileo e dimostrò che la massa inerziale e la messa gravitazionale sono identiche entro una parte su un milione ed esperimenti recenti hanno verificato l’equivalenza entro una parte su un milione di milioni.
Se accelerazione e gravitazione sono equivalenti, deve essere possibile rimuovere gli effetti di un campo gravitazionale accelerando in modo opportuno il proprio ambiente circostante. Einstein suggerì di considerare un ascensore in caduta libera, all’interno del quale gli osservatori si sentirebbero completamente privi di peso. In un tale ambiente gli esperimenti non rivelerebbero alcuna traccia degli effetti della gravità. Gli astronauti in una nave spaziale, costituiscono un perfetto esempio di una situazione di questo tipo. La forza gravitazionale terrestre è certamente presente; è infatti essa la responsabile del moto di rivoluzione dell’astronave intorno alla terra. In orbita, tuttavia, l’astronave e i suoi occupanti sono in caduta libera. Una chiave inglese posta a mezz’aria gira attorno alla terra esattamente come il veicolo spaziale e non c’è modo di fare cadere sul pavimento la chiave o qualunque altro oggetto. Nessun esperimento condotto interamente all’interno dell’astronave può rivelare la presenza di un campo gravitazionale, se il principio di equivalenza è valido (se trascuriamo il debole campo prodotto dalla stessa astronave).
Ne segue che la luce deve essere attratta dai corpi come lo sono gli altri oggetti e che la luce che si avvicina o si allontana da un corpo deve subire, rispettivamente, un aumento o una diminuzione di frequenza (spostamento gravitazionale verso il blu o verso il rosso).
Tutto ciò, tuttavia, è valido solo in una regione locale ove il campo gravitazionale dovuto alla terra (o ad un qualunque altro corpo) può essere considerato costante. Differenti osservatori possono fare un esperimento nei rispettivi laboratori, e ognuno otterrà gli stessi risultati dell’altro; le leggi della relatività ristretta si applicano sul sistema di riferimento di ciascun osservatore.
Ma le leggi della relatività ristretta non possono essere usate per passare dalla descrizione di un fenomeno in un dato sistema di riferimento a quella in un altro sistema posto in una diversa posizione nel campo gravitazionale, per esempio ad una diversa distanza o in una diversa direzione rispetto al centro della terra. La parte difficile della relatività generale è collegare assieme tutte le descrizioni locali in un’unica descrizione generale che sia valida dappertutto.
Einstein riuscì in questo scopo includendo il tempo come dimensione e introducendo la curvatura dello spazio-tempo. Nello spazio vuoto dove non esiste alcun campo gravitazionale, le tre coordinate spaziali e quella temporale costituiscono un sistema quadridimensionale di coordinate che risulta piatto; la sua geometria è semplice e si applicano le leggi di Euclide. Nelle vicinanze di un corpo, tuttavia le coordinate spazio-temporali sono distorte. In questo spazio-tempo curvo, la luce e gli altri oggetti si muovono senza accelerazione lungo linee curve, chiamate geodetiche, ma la geometria euclidea non è più valida per misure fatte in uno spazio-tempo curvo. Analogamente, se vi muovete in linea retta sulla superficie della terra ritornerete al punto di partenza; chiaramente, gli angoli di un triangolo costituito da linee rette di questo tipo, non avranno come somma 180°.
Nella relatività generale, il concetto di campo gravitazionale è quindi sostituito da uno spazio-tempo curvo nel quale tutti gli oggetti si muovono senza accelerazione, obbedendo sempre, localmente, alle leggi della relatività ristretta. Non è semplicemente una riformulazione della teoria gravitazionale di Newton; ci sono infatti delle fondamentali differenze. Per esempio noi sappiamo che nessun segnale, gravitazione compresa, può essere trasmesso ad una velocità maggiore di quella della luce. Una qualunque variazione nel campo gravitazionale, ad esempio dovuta ad una ridistribuzione di materia o al collasso di una grande massa, deve dare luogo ad un cambiamento di forma nello spazio-tempo. Ciò non avviene però istantaneamente; si ha piuttosto una perturbazione nello spazio-tempo che si propaga in tutte le direzioni con la velocità della luce come un’onda gravitazionale. Un’altra differenza rispetto alla teoria di Newton sta nel fatto che, in relatività massa ed energia sono equivalenti e quindi tutte le forme di energia devono avere effetti gravitazionali – non solo luce ma anche l’energia cinetica e persino l’energia dello stesso campo gravitazionale. Proprio come due osservatori in moto relativo discordano nelle loro misure di tempo, lunghezza, massa etc. così fanno osservatori posti in parti diverse di un campo gravitazionale. Per esempio, in una data zona del campo gravitazionale, il tempo passa più lentamente nel sistema di riferimento di un osservatore che si trovi in una regione in cui il campo gravitazionale è più debole e così risultano contratte le lunghezze. Inoltre mentre tutti gli osservatori trovano localmente tutti lo stesso valore della velocità della luce, ciascuno di essi troverà che la luce si muove più lentamente in una regione in cui il campo gravitazionale è più forte.
Quando Einstein pubblicò la sua teoria generale, non c’era alcun luogo noto nell’universo in cui il campo gravitazionale fosse abbastanza forte perché alcuno degli effetti predetti non fosse estremamente debole. Egli fu comunque estremamente gratificato dallo scoprire che la relatività chiariva completamente una piccolissima anomalia nel moto di Mercurio, che era stata scoperta più di mezzo secolo prima. Inoltre Einstein previde che la luce proveniente da stelle molto dense (nane bianche) doveva mostrare lo spostamento gravitazionale verso il rosso e che le osservazioni delle stelle viste vicino al sole durante una eclisse totale di sole dovevano rivelare piccoli spostamenti a causa dell’attrazione del sole sulla luce stellare radente. Tale previsione fu confermata durante un’eclissi nel 1919 e Einstein da quel momento divenne famoso in tutto il mondo.
Lo spostamento gravitazionale verso il rosso fu poi confermato nei decenni successivi. Tuttavia gli effetti relativistici osservati erano così piccoli che la teoria della relatività generale fu considerata, prima dell’inizio dell’era delle tecnologie spaziali, come una teoria di interesse essenzialmente accademica. In questi ultimi tempi sono stati invece compiuti molti esperimenti che hanno confermato con grande precisione le previsioni della teoria. Il rallentamento gravitazionale del tempo, per esempio, è stato osservato con orologi atomici, e lo spostamento gravitazionale verso il rosso è stato misurato con un maser all’idrogeno portato ad un’altezza di 1000 Km per mezzo di un missile. La deflessione e il rallentamento della luce che passa vicino al sole, è stata osservata nei pressi di lontane quasars e anche nei segnali radio emessi dalle sonde Viking inviate su Marte.
Albert Einstein
Albert Einstein (Ulma 1879 - Princeton, New Jersey 1955), fisico tedesco naturalizzato statunitense, fu probabilmente il più grande scienziato del XX secolo. La sua teoria della relatività, e quindi la negazione dell'esistenza di spazio e tempo assoluti, e l'ipotesi sulla natura corpuscolare della luce, cui pervenne generalizzando la teoria di Max Planck, segnarono una vera e propria rivoluzione del pensiero scientifico. Trascorse gli anni giovanili a Monaco, città nella quale la famiglia, di origine ebraica, possedeva una piccola azienda che produceva macchinari elettrici, e già da ragazzo mostrò una notevole predisposizione per la matematica; a dodici anni imparò, da autodidatta, la geometria euclidea. Quando ripetuti dissesti finanziari costrinsero la famiglia a lasciare la Germania e a trasferirsi in Italia, a Milano, decise di interrompere gli studi. Visse un anno insieme alla famiglia, ma ben presto comprese l'importanza di una salda preparazione culturale e, concluse le scuole superiori ad Arrau, in Svizzera, si iscrisse al politecnico di Zurigo, dove si laureò nel 1900. Lavorò quindi come supplente fino al 1902, anno in cui trovò un modesto impiego presso l'Ufficio Brevetti di Berna.
Prime pubblicazioni scientifiche
Nel 1905 Einstein conseguì il dottorato con una dissertazione teorica sulle dimensioni delle molecole; pubblicò inoltre tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del XX secolo. Nel primo di essi, relativo al moto browniano, fece importanti previsioni, successivamente confermate per via sperimentale, sul moto di agitazione termica delle particelle distribuite casualmente in un fluido. Il secondo studio, sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, conteneva un'ipotesi rivoluzionaria sulla natura della luce; egli affermò che in determinate circostanze la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, e ipotizzò che l'energia trasportata da ogni particella che costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della radiazione, secondo la formula E = hn, dove E rappresenta l'energia della radiazione, h è una costante universale nota come costante di Planck, e n è la frequenza. Questa affermazione, in base alla quale l'energia contenuta in un fascio luminoso viene trasferita in unità individuali o quanti, era in contraddizione con qualsiasi teoria precedente, cosicché fu violentemente criticata, finché circa un decennio dopo il fisico statunitense Robert Andrews Millikan ne diede una conferma sperimentale.
Dopo il 1919 Einstein divenne famoso a livello internazionale; ricevette riconoscimenti e premi, tra i quali il premio Nobel per la fisica, che gli fu assegnato nel 1921. Lo scienziato approfittò della fama acquisita per ribadire le sue opinioni pacifiste in campo politico e sociale. Durante la prima guerra mondiale fu tra i pochi accademici tedeschi a criticare pubblicamente il coinvolgimento della Germania nella guerra. Tale presa di posizione lo rese vittima di gravi attacchi da parte di gruppi di destra; persino le sue teorie scientifiche vennero messe in ridicolo, in particolare la teoria della relatività.
Con l'avvento al potere di Hitler, Einstein fu costretto a emigrare negli Stati Uniti, dove gli venne offerto un posto presso l' ”Institute for Advanced Study” di Princeton, New Jersey. Di fronte alla minaccia rappresentata dal regime nazista egli rinunciò alle posizioni pacifiste e nel 1939 scrisse insieme a molti altri fisici una famosa lettera indirizzata al presidente Roosevelt, nella quale veniva sottolineata la possibilità di realizzare una bomba atomica. La lettera segnò l'inizio dei piani per la costruzione dell'arma nucleare. Al termine della seconda guerra mondiale, Einstein si impegnò attivamente nella causa per il disarmo internazionale e più volte ribadì la necessità che gli intellettuali di ogni paese dovessero essere disposti a tutti i sacrifici necessari per preservare la libertà politica e per impiegare le conoscenze scientifiche a scopi pacifici. Il mondo fu un po’ più piccolo quando morì, a Princeton, nel 1955.
Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Autobiografia scientifica (1979); Relatività: esposizione divulgativa (1980); Idee e opinioni. Come io vedo il mondo (1990); Evoluzione della fisica (1985), in collaborazione con Leopold Infeld; Riflessioni a due sulle sorti del mondo (1989) in collaborazione con Sigmund Freud.
Relatività ristretta
Il terzo e più importante studio del 1905, dal titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, conteneva la prima esposizione completa della teoria della relatività ristretta, frutto di un lungo e attento studio della meccanica classica di Isaac Newton, delle modalità dell'interazione fra radiazione e materia, e delle caratteristiche dei fenomeni fisici osservati in sistemi in moto relativo l'uno rispetto all'altro. La base della teoria della relatività ristretta, che comporta la crisi del concetto di contemporaneità, risiede su due postulati fondamentali: il principio della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro, e che è una naturale estensione del precedente principio di relatività galileiano, e il principio di invarianza della velocità della luce, secondo cui la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto è una costante universale, che sostituisce il concetto newtoniano di tempo assoluto.
Sulla base del risultato dell'esperimento di Michelson e Morley e delle precedenti considerazioni di Lorentz, egli suggerì inoltre che le trasformazioni galileiane dovessero essere sostituite con quelle di Lorentz. Queste ultime prevedono che la variabile temporale vari in due sistemi di riferimento in moto relativo rettilineo uniforme, e quindi che un orologio in moto relativo rispetto a un osservatore rallenti. Il principio di tempo assoluto della meccanica newtoniana fu sostituito dal principio di invarianza della velocità della luce dallo stato di moto dell'osservatore. La scoperta dell'elettrone fornì poi la possibilità di verificare la correttezza delle trasformazioni di Lorentz; gli elettroni emessi dalle sostanze radioattive, infatti, hanno velocità prossime a quella della luce, tali cioè da far assumere al fattore beta valori apprezzabili. Gli esperimenti confermarono le predizioni di Einstein; la massa di un elettrone dotato di velocità prossime a quelle della luce risulta maggiore della massa a riposo, esattamente nella misura prevista. L'incremento della massa dell'elettrone era dovuto alla conversione dell'energia cinetica in massa, secondo la formula E=mc2. La teoria di Einstein fu confermata anche mediante esperimenti sulla velocità della luce in corpi d'acqua in moto e sulle forze magnetiche di alcune sostanze.
L'ipotesi fondamentale su cui poggiava tutta la teoria di Einstein era che per due osservatori in moto relativo uno rispetto all'altro a velocità costante valessero le stesse leggi della natura. L'abbandono del concetto di simultaneità comporta che due eventi registrati come simultanei da un osservatore non risultino tali rispetto a un secondo osservatore in moto rispetto al primo. In altre parole, non ha senso assegnare l'istante in cui avviene un evento senza definire un riferimento spaziale. L'evoluzione di ogni particella o oggetto nell'universo viene descritta da una cosiddetta linea universale in uno spazio a quattro dimensioni (tre per lo spazio e la quarta per il tempo), detto spazio-tempo. La nuova geometria si adattava perfettamente alle equazioni di Maxwell.
La "distanza" o "intervallo" tra due eventi qualsiasi può essere accuratamente descritta per mezzo di una combinazione di intervalli di spazio e di tempo.

Relatività generale
Ancor prima di lasciare l'Ufficio Brevetti nel 1907, Einstein iniziò a lavorare a una teoria più generale, che potesse essere estesa ai sistemi non inerziali, cioè in moto relativo non uniforme. Enunciò il principio di equivalenza, in base al quale il campo gravitazionale è equivalente a una accelerazione costante che si manifesti nel sistema di coordinate, e pertanto indistinguibile da essa, anche sul piano teorico. In altre parole, un gruppo di persone che si trovino su un ascensore in moto accelerato verso l'alto non possono, per principio, distinguere se la forza che avvertono è dovuta alla gravitazione o alla accelerazione costante dell'ascensore. La teoria della relatività generale non venne pubblicata sino al 1916. In essa le interazioni dei corpi, che prima di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno spazio quadridimensionale che oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo prevede una coordinata temporale.
Einstein, alla luce della sua teoria generale, fornì la spiegazione delle variazioni del moto orbitale dei pianeti, fenomeno fino ad allora non pienamente compreso, e previde che i raggi luminosi emessi dalle stelle si incurvassero in prossimità di un corpo di massa elevata quale, ad esempio, il Sole. La conferma di quest'ultimo fenomeno, durante l'eclissi solare del 1919, fu un evento di enorme rilevanza. Per il resto della sua vita Einstein dedicò molto tempo alla ricerca di un'ulteriore generalizzazione della teoria e alla ricerca di una teoria dei campi, che fornisse una descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse le interazioni elettromagnetiche, e le interazioni nucleari deboli e forti. Tra il 1915 e il 1930 si stava sviluppando la teoria quantistica, che presentava come concetti fondamentali il dualismo onda-particella, che Einstein aveva già prima ritenuto necessario, nonché il principio di indeterminazione, che fornisce un limite intrinseco alla precisione di un processo di misurazione. Einstein mosse diverse e significative critiche alla nuova teoria e partecipò attivamente al lungo e tuttora aperto dibattito sulla sua completezza. Commentando l'impostazione, per certi versi intrinsecamente probabilistica della meccanica quantistica, affermò che "Dio non gioca a dadi con il mondo". La relatività ha trovato un gran numero di conferme sperimentali da quando è stata introdotta. Ad esempio, durante l'eclisse del 1919 è stata verificata la deflessione di un raggio di luce nelle immediate vicinanze del Sole, come previsto dalla teoria.
Recentemente sono stati effettuati test analoghi per misurare la deflessione delle onde radio emesse da quasar lontani, mediante l'uso di interferometri a radiotelescopio. I risultati di questi test concordano entro un margine di errore dell’1% con le previsioni della relatività generale.

Un'altra conferma sperimentale viene dal moto del perielio (il punto in cui un pianeta passa più vicino al Sole) dell'orbita di Mercurio. Tale moto, che non trova spiegazione nell'ambito della fisica classica, è invece previsto dalla teoria della relatività e le recenti misure radar effettuate sono in ottimo accordo con le previsioni. Un altro fenomeno prescritto dalla relatività generale è lo spostamento verso il rosso della lunghezza d'onda della radiazione emessa da oggetti posti in intensi campi gravitazionali; esso è stato più volte osservato mediante misurazioni astronomiche.

Relatività ristretta (approfondimento)
La teoria della relatività ristretta si basa su due fondamentali postulati:
1. Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Cioè le leggi fondamentali hanno la stessa forma matematica per tutti gli osservatori che si muovono con velocità costante l’uno rispetto all’altro.
2. la velocità della luce nel vuoto è sempre 300.000 Km/s e il valore misurato è indipendente dal moto dell’osservatore e dal moto della sorgente di luce. Cioè la velocità della luce è la stessa per tutti gli osservatori inerziali.
Fin da giovane, Einstein si interessò alle teorie sull’elettromagnetismo, formulate da Faraday, Maxwell, e sulle teorie della propagazione delle onde nell’etere. Einstein voleva capire cosa succede quando la luce si propaga da un posto all’altro e cercò di rappresentare, in modo semplice, il suo comportamento. La prima domanda che si pose fu: ” che cosa succederebbe se si viaggiasse con un onda luminosa alla velocità della luce?”. Supponiamo di tenere in mano uno specchio, e di muoverci alla velocità della luce: in teoria, la luce proveniente dal nostro viso, non dovrebbe arrivare allo specchio. Einstein, pensava che con qualsiasi mezzo la luce vada da un posto all’altro, l’immagine nello specchio non dovrebbe sparire, poiché la velocità delle onde dipende solo dal mezzo e non dalla sorgente. Ma allora un osservatore da terra vedrebbe la luce muoversi ad una velocità doppia del normale (300.000 Km/sec + 300.000 Km/sec = 600.000 Km/sec).Einstein, cominciò a cercare di scoprire se fosse possibile che la velocità della luce fosse la stessa per chi si muove e per chi osserva da terra. La teoria della relatività è la soluzione di Einstein a questo quesito apparentemente impossibile.
Partendo dalla relatività di Galileo, si prenda come esempio il caso di un osservatore all’interno di un sottomarino; questo non può stabilire se il sottomarino sia fermo o si muova di moto uniforme, se non guardando fuori dall’oblò. Quindi, se il sottomarino si muovesse costantemente alla velocità della luce e se, come abbiamo ipotizzato prima, l’immagine nello specchio sparisce movendosi alla velocità della luce, all’osservatore all’interno del sottomarino, basterebbe guardarsi in un specchio per affermare di muoversi. Tutto ciò è in contrasto con il principio di relatività di Galileo secondo il quale l’osservatore doveva necessariamente guardare fuori dall’oblò. Per questo motivo Einstein concluse che l’immagine dello specchio dovesse continuare a vedersi. Ma come può l’osservatore in movimento vedere la luce allontanarsi dal suo volto alla velocità della luce relativa a lui (300.000 Km/sec), mentre l’osservatore a terra vede la luce lasciare il suo volto alla stessa velocità della luce relativa a loro (600.000 Km/sec)?. Per spiegare questo Einstein analizza il concetto di velocità: la velocità è la distanza percorsa divisa per il tempo impiegato. Einstein si rese conto che se la velocità doveva essere la stessa per i due osservatori, allora la distanza e il tempo dovevano essere diversi. Quindi una persona in movimento vede la luce percorrere una data distanza d in un dato tempo T ottenendo una velocità della luce c, mentre una persona fera vede la luce percorrere una distanza diversa in un tempo diverso ottenendo la stessa velocità c: Einstein passò così allo studio degli eventi simultanei. Immaginiamo di avere una carrozza ferroviaria in movimento al cui centro è posto un passeggero con un congegno in grado di emettere un fascio di luce in avanti e contemporaneamente all’indietro. Supposto che la porta anteriore e quella posteriore possano essere aperte dai fasci di luce. Allora, per la persona che tiene il congegno, le porte si apriranno simultaneamente, ma, afferma Einstein, per una persona a terra, la porta posteriore si aprirà prima di quella anteriore. Questo avviene poiché per la persona a terra la porta posteriore si muove in avanti, incontrando il fascio di luce, mentre quella anteriore se ne allontana. Quindi lo scienziato ne dedusse che, eventi che sono simultanei rispetto al treno, non lo sono rispetto a terra e viceversa. Così Einstein afferma che il tempo trascorso è una misura relativa, poiché per la persona nella carrozza, l’apertura delle porte è simultanea e il tempo trascorso tra la apertura della porta anteriore e quella posteriore è zero; mentre per la persona sulla banchina, il tempo trascorso tra l’apertura delle porte non è zero, e dipende dalla velocità a cui si muove il treno. Facciamo un esempio più semplice: immaginiamo che una persona al centro della carrozza si alzi e vada verso la porta anteriore; ora, di quanto si è spostata la nostra ipotetica persona? Relativamente al treno, ha percorso metà della lunghezza della carrozza, ma relativamente alla banchina ha percorso una distanza maggiore: così anche la distanza è una misura relativa. Schematizziamo ora la carrozza come un sistema di riferimento all’interno di un sistema di riferimento S più grande (la terra) (figura a fianco).

Grazie alle trasformazioni di Lorentz Einstein deduce le relazioni tra questi due sistemi di riferimento.

Poniamo all’interno del sistema un orologio luminoso particolare (ideato dal fisico statunitense R.P. Feynman) (figura a fianco).
La lampadina emette impulsi luminosi regolari che vanno verso lo specchio, vengono riflessi e rimbalzano fino al contatore che ticchetta. Immaginiamo adesso che al sistema venga impressa una velocità v, in modo che diventi un sistema in moto rispetto al sistema S. L’osservatore in vede il suo orologio funzionare esattamente come quando è in quiete, ma l’osservatore fermo in S, guardando l’orologio in vede qualcosa di completamente diverso. (figure sotto).

Visione dell’osservatore in movimento Visione dell’osservatore in quiete
Einstein rimarca che la velocità della luce è la medesima per tutti gli osservatori. Così, l’osservatore fermo, si accorge che passa più tempo fra i ticchettii dell’orologio in moto che fra quelli dell’orologio in quiete a causa della maggiore distanza vista da terra. Einstein afferma che gli orologi in moto vanno più lentamente di quelli in quiete e studia il rapporto tra i due tempi, mediante una serie di passaggi:
1. Il tempo tra i ticchettii del sistema in moto, è il tempo necessario affinché la luce raggiunga lo specchio, più il tempo L/C perché ritorni indietro; Quindi .
2. Ma il tempo fra i ticchettii nel sistema in quiete è il tempo che la luce impiega per coprire il percorso triangolare h. .
3. Ora, nel tempo , il sistema in moto percorre una distanza uguale a .
4. E adesso possiamo usare il millenario teorema di Pitagora, dal quale si deriva che .
5. Sostituendo al punto 4 le formule ottenute ai punti 1 2 e 3 otterremo che
da cui: .
Cerchiamo di applicare questa formula ad un problema: due gemelli si separano e, mentre uno resta sulla terra, l’altro viaggia su un razzo ad una velocità pari all’80% di quella della luce cioè a 0.8c. Dopo che sul razzo sono passati 30 anni, quanto tempo è passato sulla Terra?
T’ = 30 anni v = 0.8c T = tempo passato sulla terra
Dopo aver analizzato il rapporto tra i tempi, studiamo il giusto legame tra la velocità, poiché, come abbiamo detto prima, ogni osservatore deve rilevare la stessa velocità della luce, indipendentemente da come egli si muove (in modo costante, naturalmente). Riprendendo la stessa carrozza di prima, immaginiamo che la nostra persona al centro di questa, si alzi e vada verso la porta anteriore, ad una velocità W = 5 Km/h, mentre il treno si sta movendo ad una velocità V = 35 Km/h. A che velocità si muove la nostra persona rispetto alla banchina? Secondo la fisica classica questa si dovrebbe muovere ad una velocità U = V + W, cioè a 40 Km/h. Secondo Einstein invece questa misurazione è imprecisa, poiché gli spazi e i tempi misurati sul treno non sono gli stessi misurati sulla banchina e, dopo una serie di passaggi, ottiene che la velocità U osservata dalla banchina è uguale a
Ora come possiamo notare questa velocità è diversa da V + W, ma poiché la velocità della luce è enorme (299.792,5 Km/sec) normalmente la correzione è molto piccola. Ma proviamo la formula supponendo che il treno vada alla velocità della luce e la nostra persona all’interno di esso invii un raggio di luce verso la parte anteriore del treno. Secondo la formula di Einstein si ottiene che
V = c W = c
Così U, la velocità del raggio osservata da terra, è uguale a
Con ciò Einstein dimostra che non esistono interazioni istantanee poiché niente può viaggiare ad una velocità superiore a quella della luce!
Einstein deve ora dimostrare cosa accade quando si cerca di far superare ad un oggetto la velocità della luce. Per far muovere un qualsiasi oggetto, bisogna applicare ad esso una forza e, quando questo oggetto guadagna velocità, diciamo che accelera. Fu Newton a postulare un nesso tra forza ed accelerazione: egli affermava che F = ma oppure . Da quest’ultima se ne deduce che l’accelerazione a è direttamente proporzionale alla forza F applicata, mentre è inversamente proporzionale alla massa dell’oggetto m, chiamata anche inerzia; maggiore è la forza più rapidamente il corpo guadagna velocità; maggiore è la massa più sarà difficile farlo muovere. Einstein sostituì alla formula di Newton la sua, dove e ancora una volta dimostra che nulla può andare più veloce della luce, poiché quando V = c, a = 0. Così, man mano che un corpo si avvicina alla velocità della luce diventa sempre più difficile aumentarne la velocità e, una volta che si è raggiunta la velocità della luce, anche se si continua a spingere il corpo, questo non guadagna altra velocità! Einstein modificò inoltre la formula del lavoro di Newton incosì quando V = c, . Ma non è tutto; se il lavoro contribuisce a dare al corpo più inerzia, allora l’inerzia deve contenere energia. Questa energia è descritta dalla formula . E poiché, come detto prima, , se ne deduce che
Così anche quando L = 0 il corpo avrà ancora un’energia pari a

Relatività generale (approfondimento)
La relatività ristretta ci dice come due osservatori in moto relativo uniforme confrontano le loro misure di grandezza come tempo, lunghezza, massa ed energia, ma non si applica ad osservatori che subiscono accelerazioni relative.
Quando Einstein lavorava alla sua teoria della relatività, le sole forze naturali note erano la gravitazione e la forza elettromagnetica. Egli non coronò mai il sogno della sua vita di trovare una teoria unificata dei campi che comprendesse le accelerazioni dovute ad ogni tipo di forza, ma nel 1916 riuscì a sviluppare una teoria che descrive come si confrontano le misure fatte da osservatori accelerati da forze gravitazionali – la teoria della relatività generale.
La base della teoria generale è il principio di equivalenza che afferma che in una regione di spazio sufficientemente piccola affinché la forza di gravità possa essere considerata costante una forza gravitazionale è indistinguibile da una accelerazione dell’osservatore. Stando sulla superficie della Terra, si sente un’accelerazione di . Si può fare ogni sorta di esperimenti con corpi che cadono, bilance, pendoli etc. e si ottengono tutti i ben noti risultati sperimentali. Il principio di equivalenza implica che un astronauta che si trovatello spazio, a grandi distanze da tutti i corpi che possono esercitare azioni gravitazionali, ma su un’astronave che acceleri a , può compiere tutti gli stessi esperimenti e ottenere tutti gli stessi risultati che otteniamo sulla Terra.
Per il principio di equivalenza sono equivalenti anche i due diversi modi con cui definiamo la massa. Un modo per definire la massa di un corpo è tramite le sue proprietà inerziali – la sua “resistenza” all’accelerazione ( per mezzo dell’equazione F=ma). L’altro modo è per mezzo dell’attrazione gravitazionale che il corpo esercita sugli altri corpi (descritta dalla legge di gravitazione di Newton). Non è immediatamente ovvio perché queste due proprietà di un oggetto (la sua inerzia e la sua attrazione gravitazionale) debbono avere qualcosa a che fare l’una con l’altra, ma la scoperta di Galileo che gli oggetti leggeri e gli oggetti pesanti lasciati cadere insieme, accelerano verso il basso nello stesso modo, dimostrò che queste due definizioni di massa debbono essere in effetti equivalenti, almeno nei limiti di precisione delle misure. Naturalmente l’attrazione della terra su un corpo pesante è maggiore di quella su un corpo leggero, ma proprio questa maggiore forza è necessaria per imprimere al corpo pesante la stessa accelerazione del corpo leggero in modo che essi cadano insieme! Un secolo fa, il fisico ungherese Barone Lorand von Eotvos eseguì una versione molto più raffinata degli esperimenti di Galileo e dimostrò che la massa inerziale e la messa gravitazionale sono identiche entro una parte su un milione ed esperimenti recenti hanno verificato l’equivalenza entro una parte su un milione di milioni.
Se accelerazione e gravitazione sono equivalenti, deve essere possibile rimuovere gli effetti di un campo gravitazionale accelerando in modo opportuno il proprio ambiente circostante. Einstein suggerì di considerare un ascensore in caduta libera, all’interno del quale gli osservatori si sentirebbero completamente privi di peso. In un tale ambiente gli esperimenti non rivelerebbero alcuna traccia degli effetti della gravità. Gli astronauti in una nave spaziale, costituiscono un perfetto esempio di una situazione di questo tipo. La forza gravitazionale terrestre è certamente presente; è infatti essa la responsabile del moto di rivoluzione dell’astronave intorno alla terra. In orbita, tuttavia, l’astronave e i suoi occupanti sono in caduta libera. Una chiave inglese posta a mezz’aria gira attorno alla terra esattamente come il veicolo spaziale e non c’è modo di fare cadere sul pavimento la chiave o qualunque altro oggetto. Nessun esperimento condotto interamente all’interno dell’astronave può rivelare la presenza di un campo gravitazionale, se il principio di equivalenza è valido (se trascuriamo il debole campo prodotto dalla stessa astronave).
Ne segue che la luce deve essere attratta dai corpi come lo sono gli altri oggetti e che la luce che si avvicina o si allontana da un corpo deve subire, rispettivamente, un aumento o una diminuzione di frequenza (spostamento gravitazionale verso il blu o verso il rosso).
Tutto ciò, tuttavia, è valido solo in una regione locale ove il campo gravitazionale dovuto alla terra (o ad un qualunque altro corpo) può essere considerato costante. Differenti osservatori possono fare un esperimento nei rispettivi laboratori, e ognuno otterrà gli stessi risultati dell’altro; le leggi della relatività ristretta si applicano sul sistema di riferimento di ciascun osservatore.
Ma le leggi della relatività ristretta non possono essere usate per passare dalla descrizione di un fenomeno in un dato sistema di riferimento a quella in un altro sistema posto in una diversa posizione nel campo gravitazionale, per esempio ad una diversa distanza o in una diversa direzione rispetto al centro della terra. La parte difficile della relatività generale è collegare assieme tutte le descrizioni locali in un’unica descrizione generale che sia valida dappertutto.
Einstein riuscì in questo scopo includendo il tempo come dimensione e introducendo la curvatura dello spazio-tempo. Nello spazio vuoto dove non esiste alcun campo gravitazionale, le tre coordinate spaziali e quella temporale costituiscono un sistema quadridimensionale di coordinate che risulta piatto; la sua geometria è semplice e si applicano le leggi di Euclide. Nelle vicinanze di un corpo, tuttavia le coordinate spazio-temporali sono distorte. In questo spazio-tempo curvo, la luce e gli altri oggetti si muovono senza accelerazione lungo linee curve, chiamate geodetiche, ma la geometria euclidea non è più valida per misure fatte in uno spazio-tempo curvo. Analogamente, se vi muovete in linea retta sulla superficie della terra ritornerete al punto di partenza; chiaramente, gli angoli di un triangolo costituito da linee rette di questo tipo, non avranno come somma 180°.
Nella relatività generale, il concetto di campo gravitazionale è quindi sostituito da uno spazio-tempo curvo nel quale tutti gli oggetti si muovono senza accelerazione, obbedendo sempre, localmente, alle leggi della relatività ristretta. Non è semplicemente una riformulazione della teoria gravitazionale di Newton; ci sono infatti delle fondamentali differenze. Per esempio noi sappiamo che nessun segnale, gravitazione compresa, può essere trasmesso ad una velocità maggiore di quella della luce. Una qualunque variazione nel campo gravitazionale, ad esempio dovuta ad una ridistribuzione di materia o al collasso di una grande massa, deve dare luogo ad un cambiamento di forma nello spazio-tempo. Ciò non avviene però istantaneamente; si ha piuttosto una perturbazione nello spazio-tempo che si propaga in tutte le direzioni con la velocità della luce come un’onda gravitazionale. Un’altra differenza rispetto alla teoria di Newton sta nel fatto che, in relatività massa ed energia sono equivalenti e quindi tutte le forme di energia devono avere effetti gravitazionali – non solo luce ma anche l’energia cinetica e persino l’energia dello stesso campo gravitazionale. Proprio come due osservatori in moto relativo discordano nelle loro misure di tempo, lunghezza, massa etc. così fanno osservatori posti in parti diverse di un campo gravitazionale. Per esempio, in una data zona del campo gravitazionale, il tempo passa più lentamente nel sistema di riferimento di un osservatore che si trovi in una regione in cui il campo gravitazionale è più debole e così risultano contratte le lunghezze. Inoltre mentre tutti gli osservatori trovano localmente tutti lo stesso valore della velocità della luce, ciascuno di essi troverà che la luce si muove più lentamente in una regione in cui il campo gravitazionale è più forte.
Quando Einstein pubblicò la sua teoria generale, non c’era alcun luogo noto nell’universo in cui il campo gravitazionale fosse abbastanza forte perché alcuno degli effetti predetti non fosse estremamente debole. Egli fu comunque estremamente gratificato dallo scoprire che la relatività chiariva completamente una piccolissima anomalia nel moto di Mercurio, che era stata scoperta più di mezzo secolo prima. Inoltre Einstein previde che la luce proveniente da stelle molto dense (nane bianche) doveva mostrare lo spostamento gravitazionale verso il rosso e che le osservazioni delle stelle viste vicino al sole durante una eclisse totale di sole dovevano rivelare piccoli spostamenti a causa dell’attrazione del sole sulla luce stellare radente. Tale previsione fu confermata durante un’eclissi nel 1919 e Einstein da quel momento divenne famoso in tutto il mondo.
Lo spostamento gravitazionale verso il rosso fu poi confermato nei decenni successivi. Tuttavia gli effetti relativistici osservati erano così piccoli che la teoria della relatività generale fu considerata, prima dell’inizio dell’era delle tecnologie spaziali, come una teoria di interesse essenzialmente accademica. In questi ultimi tempi sono stati invece compiuti molti esperimenti che hanno confermato con grande precisione le previsioni della teoria. Il rallentamento gravitazionale del tempo, per esempio, è stato osservato con orologi atomici, e lo spostamento gravitazionale verso il rosso è stato misurato con un maser all’idrogeno portato ad un’altezza di 1000 Km per mezzo di un missile. La deflessione e il rallentamento della luce che passa vicino al sole, è stata osservata nei pressi di lontane quasars e anche nei segnali radio emessi dalle sonde Viking inviate su Marte.

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