La gravità

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Testo

Luca
Relazione di Fisica.
Riassunti delle lezioni.
PARAGRAFO NUMERO 1: obiettivi.
Il metodo di spiegazione del testo, per quanto riguarda la gravitazione si avvarrà dei concetti della cinematica e della dinamica applicati ai moti circolari.
Questo metodo di studio dei moti planetari fu proposto per la prima volta da Newton, sebbene il testo, per facilitare la spiegazione, utilizzerà anche concetti studiati dopo la morte di Newton.
Il testo comprenderà anche delle premesse storiche ai concetti puramente fisici in quanto, esse costituiscono dei grandi passi avanti nella storia dell’umanità, e caratterizzarono grandi cambiamenti nella concezione fisica di allora. È quindi opportuno possedere anche delle conoscenze storiche, in quanto i problemi dell’antichità (come, ad esempio, quelli legati alla concezione del sistema solare) furono oggetti di grandi dibattiti, anche talvolta di carattere politico.
PARAGRAFO NUMERO 2: i moti apparenti dei corpi celesti.
L’uomo, fin dalla preistoria è sempre stato attratto dai moti dei corpi celesti. Ne troviamo esempi nelle pietre di Stonehenge, in Inghilterra, o nelle predizioni dei popoli mesopotamici per quanto riguarda le eclissi.
Però, queste popolazioni non avevano un modello ben preciso. I primi a studiare il cielo e la terra attraverso dei reali calcoli matematici furono i pitagorici, in Grecia, che negarono tra l’altro l’ipotesi che la terra fosse piatta (anche se per pura casualità), e affermarono che i corpi celesti si muovono intorno alla Terra per moto circolare uniforme su sfere ben precise. Per affermare ciò i Greci si basarono sull’osservazione delle stelle.
I pitagorici si accorsero però, osservando che il Sole e la Luna hanno due moti circolari opposti, esisteva un terzo tipo di moto, proprio dei pianeti che i Greci definivano “erranti”, in quanto seguivano un movimento ad anello chiamato “moto retrogrado”.
PARAGRAFO NUMERO 3 e successivi: i modelli geocentrici/eliocentrici. *1
Il problema di Platone:
Il moto delle orbite planetarie, che venne effettivamente osservato, sconvolse tutte le precedenti teorie ed i modelli di “cielo perfetto” (ossia immutabile). Platone, quindi propose ai propri allievi la risoluzione di un problema. Dato che le stelle ruotano secondo moti circolari perfetti, come possono i pianeti, facendo parte anch’essi della volta celeste, non seguire un moto preciso? E se seguissero un moto preciso, come esso si potrebbe scomporre in moti circolari a velocità costante?
Questo problema, generò una serie di risposte, nelle diverse epoche, e la generazione di diversi modelli detti modelli geocentrici.
Il modello di Eurodosso:
il modello di Eurodosso (IV secolo a.C.), si basava su un complesso sistema di sfere concentriche.
La Terra era al centro di tale sistema, il che supponeva che la Terra fosse al centro dell’universo. Sulla sfera più esterna stava la sfera delle stelle che seguiva un’orbita puramente rotatoria. Tra la sfera delle stelle e la Terra, sussistevano diverse sfere, sulle quali erano posti i pianeti. Ciascuna sfera era ricollegabile a quella più esterna ad essa, e partecipava in maniera diretta al moto dei pianeti.
Questo artificioso modello, però fu estremamente complicato dal filosofo Aristotele, fino a quando questo modello non fu soprasseduto dal modello di Tolomeo.
Il modello di Tolomeo:
il modello tolemaico, fu sviluppato da Ipparco e da Tolomeo. Il modello tolemaico è una rielaborazione del modello di Eurodosso, che varia però le seguenti proprietà:
1. Ciascuna sfera ruota indipendentemente dalle altre sfere
2. Le sfere sono sempre concentriche, ma non ruotano solo attorno alla Terra, bensì, hanno il centro sul punto nel quale le sfere precedenti ad esse tagliano l’asse di rotazione generale delle sfere
3. Il moto delle sfere si compone quindi su due sfere: l’epiciclo ed il deferente. Questa scomposizione del moto è un esempio di moto retrogrado, e trova un considerevole consenso nelle osservazioni astronomiche.
Tuttavia, anche se il modello Tolemaico si presentava più flessibile di quello di Eurodosso, esso venne complicato con l’aggiunta di altre sfere, che accordavano maggiormente gli studi in atto.
Un primo modello eliocentrico (III secolo a.C.):
il primo vero modello eliocentrico venne strutturato ad opera dell’astronomo greco Aristaco di Samo. Egli suppose per l prima volta che l’elemento fisso al centro dell’universo fosse il sole, e che la Terra e gli altri pianeti ruotassero attorno ad esso secondo moti circolari.
Questo modello, supponeva quindi che le stelle (quali il Sole), fossero fisse, ed il loro moto osservabile, fosse solo apparente in quanto dovuto all rotazione della Terra sul proprio asse. L’asse terrestre, però non era perfettamente perpendicolare a quello del sole, in quanto, poteva essere osservato che a seconda delle stagioni, l’altezza del sole variava.
Infine, anche Aristaco formulò una ipotesi sul moto retrogrado, egli infatti spiegò questo fenomeno con la differente velocità di rotazione della Terra rispetto agli altri pianeti.
Purtroppo, contro quest’avveniristico modello, furono mosse molte obiezioni, soprattutto da parte del mondo filosofico (in quanto era un principio della filosofia, che il mondo fosse il centro dell’universo). Soprattutto, i capisaldi delle obiezioni erano i seguenti:
1. Non c’era spiegazione al fatto che noi non sentiamo la forza centrifuga, sebbene la Terra ruoti sul proprio asse; e non veniva fornita una chiara spiegazione del perché, se gli uccelli volano sopra la terra, non rimangono indietro rispetto alla loro destinazione.
2. Non si riusciva a dare una spiegazione del fatto che, ammesso che la Terra non fosse ferma, le stelle rimanevano sempre nella stessa posizione e non mutavano, per effetto prospettico.
Le spiegazioni a queste obiezioni erano impossibili al tempo in quanto come prima cosa non esistevano le composizioni del moto dei corpi (a livello matematico), ed in secondo luogo, Aristaco tentò di spiegare l’immutabilità del cielo stellato spostando le stelle ad una distanza talmente grande dalla Terra, da poter trascurare il mutamento della loro visione prospettica. Ovviamente ciò provocò molte polemiche nel mondo filosofico, ed il modello di Aristaco fu tralasciato fino all’avvento dell’era Copernicana.
La rivoluzione copernicana (anno: 1500):
Le teorie di Copernico, furono fortemente basate sulla ripresa del modello di Aristaco. Copernico, arrivò ad un perfezionamento tale della teoria dell’astronomo greco, da poter riuscire a calcolare distanze e periodi di rivoluzione.
Egli spiegò anche abbastanza efficientemente il moto retrogrado. Egli infatti, con la teoria eliocentrica, eliminò totalmente il moto retrogrado, spiegando che esso era solo una conseguenza del fatto che la terra ed i pianeti si muovessero secondo una traiettoria circolare. Infatti, secondo Copernico, i moti retrogradi non esistono in natura, ma sono solo la conseguenza della visione dalla Terra del moto degli altri pianeti. In quanto la Terra, non risulta rispetto al sole ferma, di conseguenza, gli uomini sulla Terra, considerandosi fermi al centro dell’universo, e assumendo come unico punto di vista la Terra, osservano il moto degli altri pianeti, che si muovono anch’essi, come se esso fosse effettivamente retrogrado.
Inoltre, Copernico, affermava che tutte le orbite planetarie erano strettamente collegate in modo tale che nessun corpo celeste poteva esse trascurato, senza produrre effetti sugli altri corpi celesti.
La questione proposta da Copernico, però trovò molti dissensi specialmente in ambito religioso, in quanto la Genesi, affermava che il sole e l’universo ruotassero intorno alla Terra. In secondo luogo, questa ipotesi di moto, generava principi rivoluzionari, in un’epoca nella quale la Chiesa stava attraversando un periodo abbastanza critico.
Tuttavia, anche la teoria di Copernico, aveva dei limiti: spesso non accordava gli studi sperimentali e soprattutto in seguito, richiese l’implicazione di strumenti accessori che complicarono sempre più la teoria.
Tycho Brahe, lo sperimentale (anno 1550 circa):
questo ricercatore Danese, dedicò la sua vita alle osservazioni sperimentali delle teorie presentate specialmente da Copernico. Egli, infatti, costruì un osservatorio astronomico molto attrezzato, e svolse i suoi esperimenti secondo metodiche rigorose ma abbastanza antiquate, in quanto non disponeva ancora di strumenti utili alla propria ricerca.
Egli misurò le posizioni dei pianeti e delle stelle in maniera estremamente precisa (oggi sappiamo che il suo errore era di circa 0.06 gradi).
Dopo anni di duro lavoro, egli costruì un modello abbastanza comodo ai fini dei propri esperimenti ma estremamente debole dal punto di vista teorico. Tale modello risultava essere una composizione del modello geocentrico e del modello eliocentrico.
Brahe infatti, affermò che la Terra fosse ferma al centro dell’universo, anche se i pianeti ruotavano intorno al sole, il quale ruotava attorno alla Terra.
Questa artificiosa e fantasiosa ipotesi, sembrò quindi non creare problemi a livello teologico; però, l’astronomo ebbe dei dubbi sulla propria teoria in due occasioni:
1. Egli notò che il moto di una cometa passata al tempo, aveva un’orbita attorno al sole, e ciò accordava pienamente la teoria copernicana.
2. Osservando inconsciamente una supernova, che nel giro di qualche anno scomparve, egli capì che le stelle non erano immobili come i filosofi greci affermavano.
Keplero, il teorico (anno: inizi del 1600):
i dati raccolti da Brahe, fornivano certamente una fonte molto importante per gli studi sul moto dei corpi celesti.
Tale fonte, fu sfruttata con genialità da Keplero, il quale non si occupò tanto di raccogliere nuovi dati, quanto di osservare i dati già raccolti, per generalizzarli in leggi facili da utilizzare e capaci di riassumere i dati sperimentali (entro un certo limite di errore, naturalmente).
Egli infatti fu uno dei primi fisici che ricercava leggi teoriche; egli, dopo anni e anni di lunghe ricerche giunse a delle leggi che basavano il moto dei pianeti su orbite circolari. Queste leggi, però portavano un errore alquanto significativo, riportato alla perizia con la quale Brahe eseguì le sue misurazioni.
Proprio per questo motivo, Keplero, credette che le sue leggi fossero errate, e ricominciò da capo la sua ricerca sulle orbite, considerando però una forma diversa da quella circolare.
Egli giunse così a tre leggi fondamentali.
Le tre leggi di Keplero:
Come già descritto, i risultati trovati da Keplero erano valevoli per tutti i pianeti, e si sviluppavano su tre leggi fondamentali.
1. Le orbite dei pianeti sono ellissi che hanno un medesimo fuoco in comune, occupato dal Sole
2. La velocità dei pianeti non può ritenersi costante, ma secondo una particolare legge per la quale il segmento che congiunge il Sole al pianeta, in moti orbitali, compie distanze uguali in intervalli di tempo uguali possiamo quindi affermare che l’area delle figura che si formano congiungendo i segmenti A (sole → punto di partenza del corpo), B (sole → punto di arrivo del corpo), tramite lo spazio percorso sulla ellisse, si ottiene un certo valore di area (Area 1) che deve essere uguale alla area di un’altra figura come la prima presa in un punto differente dell’ellisse (Area 1 = Area 2). Tale caratteristica che si mantiene costante viene detta velocità aerica o aerolare.
3. Definita come R la distanza media Sole - pianeta, il cubo di R sarà proporzionale al quadrato del periodo (T) di rotazione espresso in formule: R3 = kost . T2 . Nel sistema solare, k varrà uniformemente 3.36 . 1018 m3/s2.
Le leggi di Keplero, furono molto importanti, quindi. Esse sono valevoli per qualsiasi corpo orbitante e rappresentano la prima conferma del modello eliocentrico.
Galileo: la scoperta delle lune di Giove (anno: inizi del 1600):
Tra le scoperte cosmologiche di Galileo Galilei, possiamo citare l’applicazione del concetto di composizione dei movimenti, che dimostrò l’effettiva correttezza del modello Copernicano (in quanto spiegava che i moti terrestri, erano riconducibili al moto dei corpi sulla superficie terrestre); ma altre scoperte furono fatte da Galileo, grazie anche a strumenti ottici (quali il cannocchiale) da lui inventati: per esempio egli negò gli ideali che conducevano alla visione della Terra come corpo perfetto e inimitabile, osservando le somiglianze tra la Luna e la Terra, oppure, Galileo, osservando Giove, scoprì che anch’esso aveva dei satelliti (le lune di Giove), giungendo alla conclusione che l’universo non gira attorno al punto fisso rappresentato dalla Terra.
PARAGRAFI NUMERO 9/10: Newton.
Newton, la forza gravitazionale.
Newton (durante la metà del 1600), si preoccupò di risolvere tutte le perplessità che sussistevano nel mondo della fisica dopo l’applicazione del modello eliocentrico.
Tali domande erano essenzialmente tre:
1. Come fanno i pianeti ad essere vincolati al Sole? Quale forza li lega ad esso?
2. Come può tale forza agire a distanze così ampie, senza alcun elemento mediante?
3. Come possono i corpi rimanere attaccati alla Terra, se essa non è il centro immobile dell’universo?
Newton, quindi, dopo molti anni di studi, giunse a formulare delle leggi che spiegavano il moto dei pianeti e la gravitazione dei corpi, partendo dai principi della meccanica. Egli, giunse così, a definire la forza di gravità (o gravitazionale).
Egli, infatti, partendo dalle leggi della dinamica, tentò di ragionare sui principi filosofici attraverso la matematica, anche se, dopo essere giunto alla scoperta della forza gravitazionale, egli non seppe spiegarsi il perché tale forza agisse a distanza senza mezzi mediatici.
La scoperta resta comunque una delle più grandi scoperte nella storia dell’umanità, in quanto chiarì le ipotesi platoniche, che negavano una connessione tra cielo (astri) e Terra (invece sappiamo che la forza di gravità è valevole in tutto l’universo), e inoltre, introdusse il concetto di locazione dei corpi celesti nell’universo.
La deduzione della legge gravitazionale.
La domanda fondamentale che Newton si pose al fine di condurre le propria ricerca era la seguente: “fino a quale altitudine l’accelerazione dei corpi che cadono sulla Terra rimane costante?”. Egli in particolare, si chiese se un corpo lasciato cadere dalla Luna sulla Terra, avesse la stessa accelerazione che un corpo lasciato cadere a poca distanza dalla superficie terrestre.
Esponiamo ora come Newton ricavò la legge gravitazionale:
1. La Luna, è oggetto di un’accelerazione centripeta verso la Terra. Secondo le prime ipotesi e le prime teorie, la Luna aveva quindi un’accelerazione pari a quella terrestre (9.8 m/s2 = costante di accelerazione gravitazionale). In realtà, Newton scoprì, mediante calcoli, che la cosa non era assolutamente vera: [accelerazione luna: aL1, distanza Terra Luna (media): dM1 → 3.84 . 1018 m, periodo di rotazione terrestre T1 → 2.36 . 106 s]
In questo modo Newton giunse alla conclusione che la Luna non ha la stessa accelerazione gravitazionale della Terra: quindi egli pensò che l’accelerazione diminuisse con l’allontanarsi dal centro della Terra. Non riuscendo a spiegarsi ciò, Newton, passò all’analisi del moto dei pianeti.
2. I pianeti, secondo le leggi della dinamica, e secondo le leggi di Keplero, potevano avere un’accelerazione descritta dalla formula: [l’accelerazione del pianeta è uguale al rapporto tra k moltiplicato il quadrato di 2∏ e la distanza media tra il pianeta ed il Sole al quadrato]
In questo modo, applicando tale equazione alla legge fondamentale della dinamica (F = m a), si avrà che [forza tra il sole ed il pianeta: Fsp1]:
3. Ciò che è stato ottenuto è esprimibile anche come una grandezza inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra il pianeta ed il Sole. Quindi (mantenendo k come valore variabile per ogni sistema di pianeti e satelliti), possiamo ottenere formule del tipo:
Nota: questa equazione è valevole per tutti i moti di oggetti che orbitano attorno ad altri oggetti.
4. Se restringiamo il campo di ricerca al solo sistema solare, possiamo assumere una costante: la costante solare Cs1 che porremo uguale a 4∏2 k. Dalla quale possiamo desumere un’equazione generale di un pianeta che orbita attorno al Sole:
5. dato che l’obiettivo di Newton era quello di costruire una legge il più generale possibile, l’equazione scritta in precedenza non è conforme agli obiettivi del fisico. Per generalizzare ancor più la legge, Newton introduce il principio di azione reazione: se il Sole esercita una forza sul pianeta, allora anche il pianeta esercita sul Sole una forza uguale e contraria a quella cui è soggetto. In questo modo assumiamo altre variabili che andranno a sostituire quelle presenti nell’equazione precedente [Fps1: forza del pianeta sul Sole, Cp1: costante planetaria, ms1: massa solare].
6. Assunta questa legge, Newton, arrivò alla conclusione che, sempre per il principio di azione/reazione, la forza del Sole sul pianeta (Fsp1) e la forza del pianeta sul Sole (Fps1), dovevano eguagliarsi, e quindi ne ricavò la legge: Fsp1=Fps1. Sostituendo (e semplificando) i termini a questa equazione otteniamo la seguente formula: Cs1 . m pianeta = Cp1 . m sole.
7. Dividiamo ora l’equazione per le masse del pianeta e del sole e otteniamo il seguente risultato:
8. Questa legge è valida per ciascun pianeta del sistema solare. Il rapporto fra la costante planetaria e la massa del pianeta preso in esame, coinciderà con il rapporta tra costante solare e massa del Sole.
9. Da questi calcoli finalizzati al solo sistema solare, si può desumere che il rapporto tra la costante e la massa di qualunque corpo può essere considerato come la costante di accelerazione gravitazionale del corpo stesso:
10. Se applichiamo dunque questa legge alla Fsp1 e alla Fsp2 otterremo due formule perfettamente identiche, riassunte in:
11. questa forza non è quindi altro che frutto di una grande generalizzazione che ci porta ad enunciare che: dati due corpi qualunque con due masse definite, i cui baricentri si trovano ad una distanza R, i due corpi si attraggono secondo la seguente formula:
Viene così dimostrata la forza gravitazionale quale forza fondamentale della natura delle cose che ci circondano.
PARAGRAFO NUMERO 11: applicazioni della legge di gravitazione universale:
Newton, con le scarse conoscenze matematiche dell’epoca, non era ancora in grado di calcolare il valore della costante universale G. Tuttavia, egli riuscì ad applicarla in due situazioni:
Costanza della accelerazione gravitazionale sulla superficie terrestre:
secondo le formule ricavate, Newton ricavò che la forza attrattiva dei corpi sulla superficie terrestre dipendeva da tale formula [R T : raggio Terrestre; m T : massa Terra]:
In questo caso, se assumiamo che il rapporto tra forza e massa del corpo sia uguale ad una costante g (costante di accelerazione gravitazionale), possiamo scrivere che:
Quindi, alla luce di ciò, possiamo affermare che ciascun corpo, in prossimità della superficie terrestre possiede una costante di accelerazione gravitazionale fissa di caduta verso la superficie stessa.
L’accelerazione della Luna:
Il calcolo di questa costante [aL1] viene effettuato in maniera del tutto identica a quella con la quale si calcola g, con la sola differenza che il raggio terrestre va sostituito con il raggio dell’orbita lunare (circa 60 volte maggiore) [R OL]; avremo quindi che:
Se poi vengono calcolati i rapporti tra accelerazione lunare e accelerazione terrestre e tra raggio dell’orbita lunare e raggio terrestre, otterremo che la Luna possiede una costante di accelerazione gravitazionale di 3600 volte minore a quella terrestre, risultato fedele alle previsioni di Newton.
PARAGRAFO NUMERO 12: il valore della costante G.
È possibile ricavare il valore di tale costante dalla formula con la quale (nella prima parte del paragrafo 11) è stato calcolato g:
Tuttavia i calcoli di Newton risultarono errati per un errore di valutazione di [m T].
Newton, non poteva certo immaginare che il valore di G poteva essere più semplicemente elaborato in laboratorio con dei modelli, con masse molto minori, che implicano l’uso di strumenti all’epoca sconosciuti.
La prima misura attendibile di G fu opera di Lord Cavendish, che utilizzò una bilancia a torsione.
Bilancia a torsione: su di un asticella appesa per il suo esatto baricentro ad un filo, si fissano due sfere di massa uguale in modo che una volta appesa la bilancia non penda da alcuna parte.
Procedura dell’esperimento: si pongono su di un piano, a distanza uguale dalle sfere dell’asticella della bilancia, due masse elevate, fissate ad un piano. A questo punto sul sistema agiscono due forze: quella di attrazione tra le sferette e le masse e quella di resistenza imposta dalla torsione del filo.
La forza di torsione sarà quindi proporzionale all’angolo di rotazione dell’asticella, e all’equilibrio, tale angolo rappresenterà la forza F, per poi risalire tramite formula inversa a G.
Il primo valore di Gi stimato da Cavendish fu il seguente:
G = 6.67 . 10-11 N m2 / kg2
Tale forza è valevole per masse pari ad 1Kg poste ad un metro di distanza l’una dall’altra.
PARAGRAFO NUMERO 13: la massa della Terra, del Sole e dei pianeti.
Avendo acquisito la costante G, fu possibile calcolare con correttezza le masse planetarie e del Sole, attraverso l’acquisizione di un’ulteriore parametro: l’accelerazione di gravità.
Per calcolare questa grandezza, occorre sfruttare un’ulteriore formula [r: distanza dell’osservatore dal corpo del quale si deve misurare la massa; m massa del corpo]:
Dalla quale:
Per quanto riguarda la Terra, essendo noti il raggio e la accelerazione sulla superficie di essa, possiamo calcolare una massa di: 6 . 1024 kg
Per gli altri corpi celesti, invece, bisogna conoscere altri parametri:
1. il raggio medio dell’orbita [R]
2. Il periodo T di rivoluzione di un satellite del corpo celeste.
L’accelerazione è quindi riassunta nella formula:
Dalla quale è possibile calcolare la massa del corpo celeste espressa nella seguente formula:
N.B.: Tale metodo vale per i corpi celesti che hanno almeno un satellite o per i sistemi planetari, come ad esempio quello solare. In caso il corpo celeste non avesse satelliti, si calcolano le influenze di carattere perturbativo che esso comporta sull’orbita degli altri corpi celesti circostanti ad esso.
PARAGRAFO NUMERO 14: massa inerziale e massa gravitazionale.
Esistono due accezioni del termine massa: la massa inerziale e la massa gravitazionale. Queste due accezioni verranno definite.
Massa inerziale: la massa inerziale (costante per il corpo al quale è riferita) è il rapporto fra una qualsiasi forza agente su di esso e l’accelerazione che ad esso viene impressa.
Massa gravitazionale: la massa gravitazionale è quella massa che si è soliti utilizzare nell’equazione della forza gravitazionale, utilizzata per esprimere la forza di attrazione che due corpi possiedono.
In quest’ultimo caso dobbiamo distinguere la massa coma massa gravitazionale (o massa responsabile della forza gravitazionale.
Un esempio dell’utilizzo delle due masse è dato dal calcolo de peso (P = m . g), in questo caso m rappresenta una proporzionalità tra l’accelerazione gravitazionale e accelerazione di gravità corrispondente. Questo coefficiente è un esempio di massa gravitazionale.
Le due masse però (dato il fatto che i corpi cadono con medesime accelerazioni) si possono uguagliare in significato, scegliendo opportune unità di misura.
Questa uguaglianza tra le masse, è fisicamente ineccepibile, ossia conserva il significato per qualsiasi punto dell’universo, anche se il fatto sembra complicato da credere.
PARAGRAFO 15: considerazioni energetiche.
Energia cinetica e potenziale gravitazionale per un corpo in orbita attorno ad un altro:
Analizziamo le leggi della gravitazione anche sotto l’aspetto energetico.
Siamo portati a credere che tutti i corpi celesti in moto possederanno energia cinetica e di energia potenziale:
Ecc1= E cinetica + E potenziale
La formula dell’energia cinetica ci è ormai nota, mentre la formula dell’energia potenziale, in questo caso è un poco più complicata, in quanto, per energia potenziale, consideriamo il lavoro che le forze gravitazionali compiono per portare all’infinito un corpo di massa m posto a distanza R da un altro corpo di massa maggiore [M]. In formula:
è quindi ovvio che la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale darà un risultato negativo; ciò ci fa capire che il corpo in questione continuerà a rimanere nell’orbita del corpo con massa maggiore, come accade per esempio con i satelliti artificiali della Terra.
Quando l’energia cinetica eguaglia l’energia potenziale gravitazionale, si attua la velocità di fuga.
BOX E INTEGRAZIONI:
Primo box:
Deduzione della formula dell’energia potenziale gravitazionale:
L’energia potenziale gravitazionale è una grandezza conservativa, indica il lavoro che la forza deve compiere per spostare un corpo in un punto convenzionalmente coincidente con il punto di energia potenziale paria a zero.
Nel caso dell’energia potenziale gravitazionale tale punto zero coincide con una distanza infinita. Quindi occorre calcolare il lavoro di una forza esercitata da un corpo di massa M, su di un corpo di massa m, che si sposta in linea retta (R=R1) ad una distanza infinita.
Supponiamo (per semplificare i calcoli) che in ciascun tratto di distanza di un punto R, dal suo successivo, la forza rimanga costante.
I lavori saranno negativi in quanto la forza gravitazionale è di tipo attrattivo. Il valore di F nei tratti R, per esempio in quello da R1 ad R2, verrà calcolato utilizzando nella formula la media quadratica del tratto R1, R2. In questo modo otterremo la formula:
Il lavoro totale sarà quindi la somma tra l’inverso della F (F-1) moltiplicata alla variazione di distanza (nel caso di esempio [R2 – R1]). Svolgendo i calcoli si ottiene il seguente risultato:
In questo modo l’ultimo termine diventa sempre più piccolo e quindi trascurabile. All’infinito, possiamo immaginare idealmente che il termine diventi zero. Per questo tutti i lavori si riducono alla formula:
E dato il fatto che il medesimo discorso è valevole anche per l’energia potenziale, avremo che Ep1 = L, energia potenziale e lavoro avranno la medesima formula.
La velocità di fuga:
Nella parte precedente abbiamo quindi calcolato l’energia potenziale gravitazionale, negativa. Se però noi vogliamo fare in modo che il corpo sfugga all’orbita del pianeta, dobbiamo elevare l’energia cinetica in modo che essa risulti maggiore o uguale al valore assoluto dell’energia potenziale. In questo modo l’energia totale (o risultante) dovrebbe assumere valori positivi. Il valore minimo dell’energia cinetica si ricava dalla formula:
Dalla quale possiamo ricavare comodamente la velocità minima della velocità di fuga.
La velocità di fuga dipende solo da massa e raggio del corpo che attrae, e non dalla massa del corpo attratto come verrebbe spontaneo credere.
La velocità di fuga della Terra calcolata secondo questa formula sarà quindi di 1.12 . 104 m/s, mentre quella della Luna sarà 2.4 . 103 m/s.
Integrazione numero 1:
La seconda legge di Keplero e la conquista del momento della quantità di moto:
La seconda legge di Keplero, quando fu introdotta, era una legge empirica con la funzione di accordare i dati sperimentali. D’altro canto, allora, non erano ancora conosciuti i concetti della dinamica e delle grandezze relative.
Questa legge, però può essere ripresa a riprova del fatto che essa dimostra come il momento della quantità di moto, nelle orbite dei pianeti, sia conservativo.
Dimostriamo ciò.
Iniziamo la dimostrazione prendendo come esempio un’ellisse particolare: la circonferenza, sappiamo, per la seconda legge di Keplero, che verranno percorsi archi uguali in tempi uguali (definizione di moto circolare uniforme). Calcoliamo l’area percorsa in un tempo ∆t, quando un angolo percorre un’ampiezza chiamata ∆α:
Da questa formula si può ricavare la velocità aerolare Va:
Per la seconda legge di Keplero, il prodotto “r Velocità” sarà quindi costante (essendo costante la velocità aerolare). Ne ricaviamo che anche la forma vettoriale dell’equazione sarà coincidente a meno del coefficiente della massa con il momento della quantità di moto del pianeta:
In una traiettoria ellittica qualsiasi, invece, possiamo considerare tratti piccoli nei quali idealmente la velocità si mantiene costante, e considerare un triangolo e un settore circolare al fine del calcolo dell’area della porzione di ellisse. La velocità aerolare che si ottiene scomponendo quindi l’angolo compreso, sarà pari alla metà del modulo dell’espressione appena citata. Anche in questo caso il momento della quantità di moto risulta conservativo.
Concludiamo dicendo che le leggi di Keplero sono riassumibili in termini fisici dinamici.
Integrazione numero 2:
Il moto dei satelliti:
Parte prima: energia e raggio orbitale.
L’energia di un satellite gravitante intorno ad un corpo celeste (per esempio la Terra) ha la seguente equazione:
Possiamo anche enunciare che tutti i corpi che ruotano sulla stessa orbita hanno la stessa velocità, e che l’energia del satellite dipende soltanto dal suo raggio orbitativo.
Per dimostrare queste due affermazioni, partiamo dalle leggi fondamentali del moto circolare uniforme, nel quale l’accelerazione è pari al quadrato della velocità sul raggio.
Dato il fatto che è interessata anche la forza gravitazionale, per i principi della dinamica si avrà che l’accelerazione è pari a forza fratto massa, e quindi al prodotto di G e massa del corpo che attrae su R al quadrato. Uguagliando queste formule, otterremo la seguente relazione dalla quale, per comodità ricaveremo il valore della velocità al quadrato.
In questo modo possiamo calcolare l’energia potenziale gravitazionale sostituendo la velocità al quadrato nella formula già scritta all’interno di questa integrazione.
Dopo le opportune semplificazioni, il risultato da ottenere sarà il seguente:
Questa formula ci può essere di grande aiuto in due casi in particolare: il primo caso è quando vogliamo “shiftare” (o spostare) un pianeta da un orbita ad un’altra. In questo caso, l’energia del satellite è data dalla differenza delle energie totali legate alle due orbite.
Il secondo campo di utilità di tale formula (energia del satellite) è quando vogliamo calcolare l’energia necessaria alla messa in orbita di un satellite della Terra, trascurando gli attriti. Nella fattispecie, dovremo considerare come energia finale quella della formula precedentemente scritta [Epg], e come energia iniziale l’energia potenziale del satellite fermo sulla superficie terrestre:
aggiunta all’energia cinetica del satellite, data dal fatto che esso si muove con la Terra. La formula finale sarà quindi:

1 * Nota: elencherò i diversi modelli senza riportare l’effettiva numerazione dei paragrafi.
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9
1
Luca
Relazione di Fisica.
Riassunti delle lezioni.
PARAGRAFO NUMERO 1: obiettivi.
Il metodo di spiegazione del testo, per quanto riguarda la gravitazione si avvarrà dei concetti della cinematica e della dinamica applicati ai moti circolari.
Questo metodo di studio dei moti planetari fu proposto per la prima volta da Newton, sebbene il testo, per facilitare la spiegazione, utilizzerà anche concetti studiati dopo la morte di Newton.
Il testo comprenderà anche delle premesse storiche ai concetti puramente fisici in quanto, esse costituiscono dei grandi passi avanti nella storia dell’umanità, e caratterizzarono grandi cambiamenti nella concezione fisica di allora. È quindi opportuno possedere anche delle conoscenze storiche, in quanto i problemi dell’antichità (come, ad esempio, quelli legati alla concezione del sistema solare) furono oggetti di grandi dibattiti, anche talvolta di carattere politico.
PARAGRAFO NUMERO 2: i moti apparenti dei corpi celesti.
L’uomo, fin dalla preistoria è sempre stato attratto dai moti dei corpi celesti. Ne troviamo esempi nelle pietre di Stonehenge, in Inghilterra, o nelle predizioni dei popoli mesopotamici per quanto riguarda le eclissi.
Però, queste popolazioni non avevano un modello ben preciso. I primi a studiare il cielo e la terra attraverso dei reali calcoli matematici furono i pitagorici, in Grecia, che negarono tra l’altro l’ipotesi che la terra fosse piatta (anche se per pura casualità), e affermarono che i corpi celesti si muovono intorno alla Terra per moto circolare uniforme su sfere ben precise. Per affermare ciò i Greci si basarono sull’osservazione delle stelle.
I pitagorici si accorsero però, osservando che il Sole e la Luna hanno due moti circolari opposti, esisteva un terzo tipo di moto, proprio dei pianeti che i Greci definivano “erranti”, in quanto seguivano un movimento ad anello chiamato “moto retrogrado”.
PARAGRAFO NUMERO 3 e successivi: i modelli geocentrici/eliocentrici. *1
Il problema di Platone:
Il moto delle orbite planetarie, che venne effettivamente osservato, sconvolse tutte le precedenti teorie ed i modelli di “cielo perfetto” (ossia immutabile). Platone, quindi propose ai propri allievi la risoluzione di un problema. Dato che le stelle ruotano secondo moti circolari perfetti, come possono i pianeti, facendo parte anch’essi della volta celeste, non seguire un moto preciso? E se seguissero un moto preciso, come esso si potrebbe scomporre in moti circolari a velocità costante?
Questo problema, generò una serie di risposte, nelle diverse epoche, e la generazione di diversi modelli detti modelli geocentrici.
Il modello di Eurodosso:
il modello di Eurodosso (IV secolo a.C.), si basava su un complesso sistema di sfere concentriche.
La Terra era al centro di tale sistema, il che supponeva che la Terra fosse al centro dell’universo. Sulla sfera più esterna stava la sfera delle stelle che seguiva un’orbita puramente rotatoria. Tra la sfera delle stelle e la Terra, sussistevano diverse sfere, sulle quali erano posti i pianeti. Ciascuna sfera era ricollegabile a quella più esterna ad essa, e partecipava in maniera diretta al moto dei pianeti.
Questo artificioso modello, però fu estremamente complicato dal filosofo Aristotele, fino a quando questo modello non fu soprasseduto dal modello di Tolomeo.
Il modello di Tolomeo:
il modello tolemaico, fu sviluppato da Ipparco e da Tolomeo. Il modello tolemaico è una rielaborazione del modello di Eurodosso, che varia però le seguenti proprietà:
1. Ciascuna sfera ruota indipendentemente dalle altre sfere
2. Le sfere sono sempre concentriche, ma non ruotano solo attorno alla Terra, bensì, hanno il centro sul punto nel quale le sfere precedenti ad esse tagliano l’asse di rotazione generale delle sfere
3. Il moto delle sfere si compone quindi su due sfere: l’epiciclo ed il deferente. Questa scomposizione del moto è un esempio di moto retrogrado, e trova un considerevole consenso nelle osservazioni astronomiche.
Tuttavia, anche se il modello Tolemaico si presentava più flessibile di quello di Eurodosso, esso venne complicato con l’aggiunta di altre sfere, che accordavano maggiormente gli studi in atto.
Un primo modello eliocentrico (III secolo a.C.):
il primo vero modello eliocentrico venne strutturato ad opera dell’astronomo greco Aristaco di Samo. Egli suppose per l prima volta che l’elemento fisso al centro dell’universo fosse il sole, e che la Terra e gli altri pianeti ruotassero attorno ad esso secondo moti circolari.
Questo modello, supponeva quindi che le stelle (quali il Sole), fossero fisse, ed il loro moto osservabile, fosse solo apparente in quanto dovuto all rotazione della Terra sul proprio asse. L’asse terrestre, però non era perfettamente perpendicolare a quello del sole, in quanto, poteva essere osservato che a seconda delle stagioni, l’altezza del sole variava.
Infine, anche Aristaco formulò una ipotesi sul moto retrogrado, egli infatti spiegò questo fenomeno con la differente velocità di rotazione della Terra rispetto agli altri pianeti.
Purtroppo, contro quest’avveniristico modello, furono mosse molte obiezioni, soprattutto da parte del mondo filosofico (in quanto era un principio della filosofia, che il mondo fosse il centro dell’universo). Soprattutto, i capisaldi delle obiezioni erano i seguenti:
1. Non c’era spiegazione al fatto che noi non sentiamo la forza centrifuga, sebbene la Terra ruoti sul proprio asse; e non veniva fornita una chiara spiegazione del perché, se gli uccelli volano sopra la terra, non rimangono indietro rispetto alla loro destinazione.
2. Non si riusciva a dare una spiegazione del fatto che, ammesso che la Terra non fosse ferma, le stelle rimanevano sempre nella stessa posizione e non mutavano, per effetto prospettico.
Le spiegazioni a queste obiezioni erano impossibili al tempo in quanto come prima cosa non esistevano le composizioni del moto dei corpi (a livello matematico), ed in secondo luogo, Aristaco tentò di spiegare l’immutabilità del cielo stellato spostando le stelle ad una distanza talmente grande dalla Terra, da poter trascurare il mutamento della loro visione prospettica. Ovviamente ciò provocò molte polemiche nel mondo filosofico, ed il modello di Aristaco fu tralasciato fino all’avvento dell’era Copernicana.
La rivoluzione copernicana (anno: 1500):
Le teorie di Copernico, furono fortemente basate sulla ripresa del modello di Aristaco. Copernico, arrivò ad un perfezionamento tale della teoria dell’astronomo greco, da poter riuscire a calcolare distanze e periodi di rivoluzione.
Egli spiegò anche abbastanza efficientemente il moto retrogrado. Egli infatti, con la teoria eliocentrica, eliminò totalmente il moto retrogrado, spiegando che esso era solo una conseguenza del fatto che la terra ed i pianeti si muovessero secondo una traiettoria circolare. Infatti, secondo Copernico, i moti retrogradi non esistono in natura, ma sono solo la conseguenza della visione dalla Terra del moto degli altri pianeti. In quanto la Terra, non risulta rispetto al sole ferma, di conseguenza, gli uomini sulla Terra, considerandosi fermi al centro dell’universo, e assumendo come unico punto di vista la Terra, osservano il moto degli altri pianeti, che si muovono anch’essi, come se esso fosse effettivamente retrogrado.
Inoltre, Copernico, affermava che tutte le orbite planetarie erano strettamente collegate in modo tale che nessun corpo celeste poteva esse trascurato, senza produrre effetti sugli altri corpi celesti.
La questione proposta da Copernico, però trovò molti dissensi specialmente in ambito religioso, in quanto la Genesi, affermava che il sole e l’universo ruotassero intorno alla Terra. In secondo luogo, questa ipotesi di moto, generava principi rivoluzionari, in un’epoca nella quale la Chiesa stava attraversando un periodo abbastanza critico.
Tuttavia, anche la teoria di Copernico, aveva dei limiti: spesso non accordava gli studi sperimentali e soprattutto in seguito, richiese l’implicazione di strumenti accessori che complicarono sempre più la teoria.
Tycho Brahe, lo sperimentale (anno 1550 circa):
questo ricercatore Danese, dedicò la sua vita alle osservazioni sperimentali delle teorie presentate specialmente da Copernico. Egli, infatti, costruì un osservatorio astronomico molto attrezzato, e svolse i suoi esperimenti secondo metodiche rigorose ma abbastanza antiquate, in quanto non disponeva ancora di strumenti utili alla propria ricerca.
Egli misurò le posizioni dei pianeti e delle stelle in maniera estremamente precisa (oggi sappiamo che il suo errore era di circa 0.06 gradi).
Dopo anni di duro lavoro, egli costruì un modello abbastanza comodo ai fini dei propri esperimenti ma estremamente debole dal punto di vista teorico. Tale modello risultava essere una composizione del modello geocentrico e del modello eliocentrico.
Brahe infatti, affermò che la Terra fosse ferma al centro dell’universo, anche se i pianeti ruotavano intorno al sole, il quale ruotava attorno alla Terra.
Questa artificiosa e fantasiosa ipotesi, sembrò quindi non creare problemi a livello teologico; però, l’astronomo ebbe dei dubbi sulla propria teoria in due occasioni:
1. Egli notò che il moto di una cometa passata al tempo, aveva un’orbita attorno al sole, e ciò accordava pienamente la teoria copernicana.
2. Osservando inconsciamente una supernova, che nel giro di qualche anno scomparve, egli capì che le stelle non erano immobili come i filosofi greci affermavano.
Keplero, il teorico (anno: inizi del 1600):
i dati raccolti da Brahe, fornivano certamente una fonte molto importante per gli studi sul moto dei corpi celesti.
Tale fonte, fu sfruttata con genialità da Keplero, il quale non si occupò tanto di raccogliere nuovi dati, quanto di osservare i dati già raccolti, per generalizzarli in leggi facili da utilizzare e capaci di riassumere i dati sperimentali (entro un certo limite di errore, naturalmente).
Egli infatti fu uno dei primi fisici che ricercava leggi teoriche; egli, dopo anni e anni di lunghe ricerche giunse a delle leggi che basavano il moto dei pianeti su orbite circolari. Queste leggi, però portavano un errore alquanto significativo, riportato alla perizia con la quale Brahe eseguì le sue misurazioni.
Proprio per questo motivo, Keplero, credette che le sue leggi fossero errate, e ricominciò da capo la sua ricerca sulle orbite, considerando però una forma diversa da quella circolare.
Egli giunse così a tre leggi fondamentali.
Le tre leggi di Keplero:
Come già descritto, i risultati trovati da Keplero erano valevoli per tutti i pianeti, e si sviluppavano su tre leggi fondamentali.
1. Le orbite dei pianeti sono ellissi che hanno un medesimo fuoco in comune, occupato dal Sole
2. La velocità dei pianeti non può ritenersi costante, ma secondo una particolare legge per la quale il segmento che congiunge il Sole al pianeta, in moti orbitali, compie distanze uguali in intervalli di tempo uguali possiamo quindi affermare che l’area delle figura che si formano congiungendo i segmenti A (sole → punto di partenza del corpo), B (sole → punto di arrivo del corpo), tramite lo spazio percorso sulla ellisse, si ottiene un certo valore di area (Area 1) che deve essere uguale alla area di un’altra figura come la prima presa in un punto differente dell’ellisse (Area 1 = Area 2). Tale caratteristica che si mantiene costante viene detta velocità aerica o aerolare.
3. Definita come R la distanza media Sole - pianeta, il cubo di R sarà proporzionale al quadrato del periodo (T) di rotazione espresso in formule: R3 = kost . T2 . Nel sistema solare, k varrà uniformemente 3.36 . 1018 m3/s2.
Le leggi di Keplero, furono molto importanti, quindi. Esse sono valevoli per qualsiasi corpo orbitante e rappresentano la prima conferma del modello eliocentrico.
Galileo: la scoperta delle lune di Giove (anno: inizi del 1600):
Tra le scoperte cosmologiche di Galileo Galilei, possiamo citare l’applicazione del concetto di composizione dei movimenti, che dimostrò l’effettiva correttezza del modello Copernicano (in quanto spiegava che i moti terrestri, erano riconducibili al moto dei corpi sulla superficie terrestre); ma altre scoperte furono fatte da Galileo, grazie anche a strumenti ottici (quali il cannocchiale) da lui inventati: per esempio egli negò gli ideali che conducevano alla visione della Terra come corpo perfetto e inimitabile, osservando le somiglianze tra la Luna e la Terra, oppure, Galileo, osservando Giove, scoprì che anch’esso aveva dei satelliti (le lune di Giove), giungendo alla conclusione che l’universo non gira attorno al punto fisso rappresentato dalla Terra.
PARAGRAFI NUMERO 9/10: Newton.
Newton, la forza gravitazionale.
Newton (durante la metà del 1600), si preoccupò di risolvere tutte le perplessità che sussistevano nel mondo della fisica dopo l’applicazione del modello eliocentrico.
Tali domande erano essenzialmente tre:
1. Come fanno i pianeti ad essere vincolati al Sole? Quale forza li lega ad esso?
2. Come può tale forza agire a distanze così ampie, senza alcun elemento mediante?
3. Come possono i corpi rimanere attaccati alla Terra, se essa non è il centro immobile dell’universo?
Newton, quindi, dopo molti anni di studi, giunse a formulare delle leggi che spiegavano il moto dei pianeti e la gravitazione dei corpi, partendo dai principi della meccanica. Egli, giunse così, a definire la forza di gravità (o gravitazionale).
Egli, infatti, partendo dalle leggi della dinamica, tentò di ragionare sui principi filosofici attraverso la matematica, anche se, dopo essere giunto alla scoperta della forza gravitazionale, egli non seppe spiegarsi il perché tale forza agisse a distanza senza mezzi mediatici.
La scoperta resta comunque una delle più grandi scoperte nella storia dell’umanità, in quanto chiarì le ipotesi platoniche, che negavano una connessione tra cielo (astri) e Terra (invece sappiamo che la forza di gravità è valevole in tutto l’universo), e inoltre, introdusse il concetto di locazione dei corpi celesti nell’universo.
La deduzione della legge gravitazionale.
La domanda fondamentale che Newton si pose al fine di condurre le propria ricerca era la seguente: “fino a quale altitudine l’accelerazione dei corpi che cadono sulla Terra rimane costante?”. Egli in particolare, si chiese se un corpo lasciato cadere dalla Luna sulla Terra, avesse la stessa accelerazione che un corpo lasciato cadere a poca distanza dalla superficie terrestre.
Esponiamo ora come Newton ricavò la legge gravitazionale:
1. La Luna, è oggetto di un’accelerazione centripeta verso la Terra. Secondo le prime ipotesi e le prime teorie, la Luna aveva quindi un’accelerazione pari a quella terrestre (9.8 m/s2 = costante di accelerazione gravitazionale). In realtà, Newton scoprì, mediante calcoli, che la cosa non era assolutamente vera: [accelerazione luna: aL1, distanza Terra Luna (media): dM1 → 3.84 . 1018 m, periodo di rotazione terrestre T1 → 2.36 . 106 s]
In questo modo Newton giunse alla conclusione che la Luna non ha la stessa accelerazione gravitazionale della Terra: quindi egli pensò che l’accelerazione diminuisse con l’allontanarsi dal centro della Terra. Non riuscendo a spiegarsi ciò, Newton, passò all’analisi del moto dei pianeti.
2. I pianeti, secondo le leggi della dinamica, e secondo le leggi di Keplero, potevano avere un’accelerazione descritta dalla formula: [l’accelerazione del pianeta è uguale al rapporto tra k moltiplicato il quadrato di 2∏ e la distanza media tra il pianeta ed il Sole al quadrato]
In questo modo, applicando tale equazione alla legge fondamentale della dinamica (F = m a), si avrà che [forza tra il sole ed il pianeta: Fsp1]:
3. Ciò che è stato ottenuto è esprimibile anche come una grandezza inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra il pianeta ed il Sole. Quindi (mantenendo k come valore variabile per ogni sistema di pianeti e satelliti), possiamo ottenere formule del tipo:
Nota: questa equazione è valevole per tutti i moti di oggetti che orbitano attorno ad altri oggetti.
4. Se restringiamo il campo di ricerca al solo sistema solare, possiamo assumere una costante: la costante solare Cs1 che porremo uguale a 4∏2 k. Dalla quale possiamo desumere un’equazione generale di un pianeta che orbita attorno al Sole:
5. dato che l’obiettivo di Newton era quello di costruire una legge il più generale possibile, l’equazione scritta in precedenza non è conforme agli obiettivi del fisico. Per generalizzare ancor più la legge, Newton introduce il principio di azione reazione: se il Sole esercita una forza sul pianeta, allora anche il pianeta esercita sul Sole una forza uguale e contraria a quella cui è soggetto. In questo modo assumiamo altre variabili che andranno a sostituire quelle presenti nell’equazione precedente [Fps1: forza del pianeta sul Sole, Cp1: costante planetaria, ms1: massa solare].
6. Assunta questa legge, Newton, arrivò alla conclusione che, sempre per il principio di azione/reazione, la forza del Sole sul pianeta (Fsp1) e la forza del pianeta sul Sole (Fps1), dovevano eguagliarsi, e quindi ne ricavò la legge: Fsp1=Fps1. Sostituendo (e semplificando) i termini a questa equazione otteniamo la seguente formula: Cs1 . m pianeta = Cp1 . m sole.
7. Dividiamo ora l’equazione per le masse del pianeta e del sole e otteniamo il seguente risultato:
8. Questa legge è valida per ciascun pianeta del sistema solare. Il rapporto fra la costante planetaria e la massa del pianeta preso in esame, coinciderà con il rapporta tra costante solare e massa del Sole.
9. Da questi calcoli finalizzati al solo sistema solare, si può desumere che il rapporto tra la costante e la massa di qualunque corpo può essere considerato come la costante di accelerazione gravitazionale del corpo stesso:
10. Se applichiamo dunque questa legge alla Fsp1 e alla Fsp2 otterremo due formule perfettamente identiche, riassunte in:
11. questa forza non è quindi altro che frutto di una grande generalizzazione che ci porta ad enunciare che: dati due corpi qualunque con due masse definite, i cui baricentri si trovano ad una distanza R, i due corpi si attraggono secondo la seguente formula:
Viene così dimostrata la forza gravitazionale quale forza fondamentale della natura delle cose che ci circondano.
PARAGRAFO NUMERO 11: applicazioni della legge di gravitazione universale:
Newton, con le scarse conoscenze matematiche dell’epoca, non era ancora in grado di calcolare il valore della costante universale G. Tuttavia, egli riuscì ad applicarla in due situazioni:
Costanza della accelerazione gravitazionale sulla superficie terrestre:
secondo le formule ricavate, Newton ricavò che la forza attrattiva dei corpi sulla superficie terrestre dipendeva da tale formula [R T : raggio Terrestre; m T : massa Terra]:
In questo caso, se assumiamo che il rapporto tra forza e massa del corpo sia uguale ad una costante g (costante di accelerazione gravitazionale), possiamo scrivere che:
Quindi, alla luce di ciò, possiamo affermare che ciascun corpo, in prossimità della superficie terrestre possiede una costante di accelerazione gravitazionale fissa di caduta verso la superficie stessa.
L’accelerazione della Luna:
Il calcolo di questa costante [aL1] viene effettuato in maniera del tutto identica a quella con la quale si calcola g, con la sola differenza che il raggio terrestre va sostituito con il raggio dell’orbita lunare (circa 60 volte maggiore) [R OL]; avremo quindi che:
Se poi vengono calcolati i rapporti tra accelerazione lunare e accelerazione terrestre e tra raggio dell’orbita lunare e raggio terrestre, otterremo che la Luna possiede una costante di accelerazione gravitazionale di 3600 volte minore a quella terrestre, risultato fedele alle previsioni di Newton.
PARAGRAFO NUMERO 12: il valore della costante G.
È possibile ricavare il valore di tale costante dalla formula con la quale (nella prima parte del paragrafo 11) è stato calcolato g:
Tuttavia i calcoli di Newton risultarono errati per un errore di valutazione di [m T].
Newton, non poteva certo immaginare che il valore di G poteva essere più semplicemente elaborato in laboratorio con dei modelli, con masse molto minori, che implicano l’uso di strumenti all’epoca sconosciuti.
La prima misura attendibile di G fu opera di Lord Cavendish, che utilizzò una bilancia a torsione.
Bilancia a torsione: su di un asticella appesa per il suo esatto baricentro ad un filo, si fissano due sfere di massa uguale in modo che una volta appesa la bilancia non penda da alcuna parte.
Procedura dell’esperimento: si pongono su di un piano, a distanza uguale dalle sfere dell’asticella della bilancia, due masse elevate, fissate ad un piano. A questo punto sul sistema agiscono due forze: quella di attrazione tra le sferette e le masse e quella di resistenza imposta dalla torsione del filo.
La forza di torsione sarà quindi proporzionale all’angolo di rotazione dell’asticella, e all’equilibrio, tale angolo rappresenterà la forza F, per poi risalire tramite formula inversa a G.
Il primo valore di Gi stimato da Cavendish fu il seguente:
G = 6.67 . 10-11 N m2 / kg2
Tale forza è valevole per masse pari ad 1Kg poste ad un metro di distanza l’una dall’altra.
PARAGRAFO NUMERO 13: la massa della Terra, del Sole e dei pianeti.
Avendo acquisito la costante G, fu possibile calcolare con correttezza le masse planetarie e del Sole, attraverso l’acquisizione di un’ulteriore parametro: l’accelerazione di gravità.
Per calcolare questa grandezza, occorre sfruttare un’ulteriore formula [r: distanza dell’osservatore dal corpo del quale si deve misurare la massa; m massa del corpo]:
Dalla quale:
Per quanto riguarda la Terra, essendo noti il raggio e la accelerazione sulla superficie di essa, possiamo calcolare una massa di: 6 . 1024 kg
Per gli altri corpi celesti, invece, bisogna conoscere altri parametri:
1. il raggio medio dell’orbita [R]
2. Il periodo T di rivoluzione di un satellite del corpo celeste.
L’accelerazione è quindi riassunta nella formula:
Dalla quale è possibile calcolare la massa del corpo celeste espressa nella seguente formula:
N.B.: Tale metodo vale per i corpi celesti che hanno almeno un satellite o per i sistemi planetari, come ad esempio quello solare. In caso il corpo celeste non avesse satelliti, si calcolano le influenze di carattere perturbativo che esso comporta sull’orbita degli altri corpi celesti circostanti ad esso.
PARAGRAFO NUMERO 14: massa inerziale e massa gravitazionale.
Esistono due accezioni del termine massa: la massa inerziale e la massa gravitazionale. Queste due accezioni verranno definite.
Massa inerziale: la massa inerziale (costante per il corpo al quale è riferita) è il rapporto fra una qualsiasi forza agente su di esso e l’accelerazione che ad esso viene impressa.
Massa gravitazionale: la massa gravitazionale è quella massa che si è soliti utilizzare nell’equazione della forza gravitazionale, utilizzata per esprimere la forza di attrazione che due corpi possiedono.
In quest’ultimo caso dobbiamo distinguere la massa coma massa gravitazionale (o massa responsabile della forza gravitazionale.
Un esempio dell’utilizzo delle due masse è dato dal calcolo de peso (P = m . g), in questo caso m rappresenta una proporzionalità tra l’accelerazione gravitazionale e accelerazione di gravità corrispondente. Questo coefficiente è un esempio di massa gravitazionale.
Le due masse però (dato il fatto che i corpi cadono con medesime accelerazioni) si possono uguagliare in significato, scegliendo opportune unità di misura.
Questa uguaglianza tra le masse, è fisicamente ineccepibile, ossia conserva il significato per qualsiasi punto dell’universo, anche se il fatto sembra complicato da credere.
PARAGRAFO 15: considerazioni energetiche.
Energia cinetica e potenziale gravitazionale per un corpo in orbita attorno ad un altro:
Analizziamo le leggi della gravitazione anche sotto l’aspetto energetico.
Siamo portati a credere che tutti i corpi celesti in moto possederanno energia cinetica e di energia potenziale:
Ecc1= E cinetica + E potenziale
La formula dell’energia cinetica ci è ormai nota, mentre la formula dell’energia potenziale, in questo caso è un poco più complicata, in quanto, per energia potenziale, consideriamo il lavoro che le forze gravitazionali compiono per portare all’infinito un corpo di massa m posto a distanza R da un altro corpo di massa maggiore [M]. In formula:
è quindi ovvio che la somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale darà un risultato negativo; ciò ci fa capire che il corpo in questione continuerà a rimanere nell’orbita del corpo con massa maggiore, come accade per esempio con i satelliti artificiali della Terra.
Quando l’energia cinetica eguaglia l’energia potenziale gravitazionale, si attua la velocità di fuga.
BOX E INTEGRAZIONI:
Primo box:
Deduzione della formula dell’energia potenziale gravitazionale:
L’energia potenziale gravitazionale è una grandezza conservativa, indica il lavoro che la forza deve compiere per spostare un corpo in un punto convenzionalmente coincidente con il punto di energia potenziale paria a zero.
Nel caso dell’energia potenziale gravitazionale tale punto zero coincide con una distanza infinita. Quindi occorre calcolare il lavoro di una forza esercitata da un corpo di massa M, su di un corpo di massa m, che si sposta in linea retta (R=R1) ad una distanza infinita.
Supponiamo (per semplificare i calcoli) che in ciascun tratto di distanza di un punto R, dal suo successivo, la forza rimanga costante.
I lavori saranno negativi in quanto la forza gravitazionale è di tipo attrattivo. Il valore di F nei tratti R, per esempio in quello da R1 ad R2, verrà calcolato utilizzando nella formula la media quadratica del tratto R1, R2. In questo modo otterremo la formula:
Il lavoro totale sarà quindi la somma tra l’inverso della F (F-1) moltiplicata alla variazione di distanza (nel caso di esempio [R2 – R1]). Svolgendo i calcoli si ottiene il seguente risultato:
In questo modo l’ultimo termine diventa sempre più piccolo e quindi trascurabile. All’infinito, possiamo immaginare idealmente che il termine diventi zero. Per questo tutti i lavori si riducono alla formula:
E dato il fatto che il medesimo discorso è valevole anche per l’energia potenziale, avremo che Ep1 = L, energia potenziale e lavoro avranno la medesima formula.
La velocità di fuga:
Nella parte precedente abbiamo quindi calcolato l’energia potenziale gravitazionale, negativa. Se però noi vogliamo fare in modo che il corpo sfugga all’orbita del pianeta, dobbiamo elevare l’energia cinetica in modo che essa risulti maggiore o uguale al valore assoluto dell’energia potenziale. In questo modo l’energia totale (o risultante) dovrebbe assumere valori positivi. Il valore minimo dell’energia cinetica si ricava dalla formula:
Dalla quale possiamo ricavare comodamente la velocità minima della velocità di fuga.
La velocità di fuga dipende solo da massa e raggio del corpo che attrae, e non dalla massa del corpo attratto come verrebbe spontaneo credere.
La velocità di fuga della Terra calcolata secondo questa formula sarà quindi di 1.12 . 104 m/s, mentre quella della Luna sarà 2.4 . 103 m/s.
Integrazione numero 1:
La seconda legge di Keplero e la conquista del momento della quantità di moto:
La seconda legge di Keplero, quando fu introdotta, era una legge empirica con la funzione di accordare i dati sperimentali. D’altro canto, allora, non erano ancora conosciuti i concetti della dinamica e delle grandezze relative.
Questa legge, però può essere ripresa a riprova del fatto che essa dimostra come il momento della quantità di moto, nelle orbite dei pianeti, sia conservativo.
Dimostriamo ciò.
Iniziamo la dimostrazione prendendo come esempio un’ellisse particolare: la circonferenza, sappiamo, per la seconda legge di Keplero, che verranno percorsi archi uguali in tempi uguali (definizione di moto circolare uniforme). Calcoliamo l’area percorsa in un tempo ∆t, quando un angolo percorre un’ampiezza chiamata ∆α:
Da questa formula si può ricavare la velocità aerolare Va:
Per la seconda legge di Keplero, il prodotto “r Velocità” sarà quindi costante (essendo costante la velocità aerolare). Ne ricaviamo che anche la forma vettoriale dell’equazione sarà coincidente a meno del coefficiente della massa con il momento della quantità di moto del pianeta:
In una traiettoria ellittica qualsiasi, invece, possiamo considerare tratti piccoli nei quali idealmente la velocità si mantiene costante, e considerare un triangolo e un settore circolare al fine del calcolo dell’area della porzione di ellisse. La velocità aerolare che si ottiene scomponendo quindi l’angolo compreso, sarà pari alla metà del modulo dell’espressione appena citata. Anche in questo caso il momento della quantità di moto risulta conservativo.
Concludiamo dicendo che le leggi di Keplero sono riassumibili in termini fisici dinamici.
Integrazione numero 2:
Il moto dei satelliti:
Parte prima: energia e raggio orbitale.
L’energia di un satellite gravitante intorno ad un corpo celeste (per esempio la Terra) ha la seguente equazione:
Possiamo anche enunciare che tutti i corpi che ruotano sulla stessa orbita hanno la stessa velocità, e che l’energia del satellite dipende soltanto dal suo raggio orbitativo.
Per dimostrare queste due affermazioni, partiamo dalle leggi fondamentali del moto circolare uniforme, nel quale l’accelerazione è pari al quadrato della velocità sul raggio.
Dato il fatto che è interessata anche la forza gravitazionale, per i principi della dinamica si avrà che l’accelerazione è pari a forza fratto massa, e quindi al prodotto di G e massa del corpo che attrae su R al quadrato. Uguagliando queste formule, otterremo la seguente relazione dalla quale, per comodità ricaveremo il valore della velocità al quadrato.
In questo modo possiamo calcolare l’energia potenziale gravitazionale sostituendo la velocità al quadrato nella formula già scritta all’interno di questa integrazione.
Dopo le opportune semplificazioni, il risultato da ottenere sarà il seguente:
Questa formula ci può essere di grande aiuto in due casi in particolare: il primo caso è quando vogliamo “shiftare” (o spostare) un pianeta da un orbita ad un’altra. In questo caso, l’energia del satellite è data dalla differenza delle energie totali legate alle due orbite.
Il secondo campo di utilità di tale formula (energia del satellite) è quando vogliamo calcolare l’energia necessaria alla messa in orbita di un satellite della Terra, trascurando gli attriti. Nella fattispecie, dovremo considerare come energia finale quella della formula precedentemente scritta [Epg], e come energia iniziale l’energia potenziale del satellite fermo sulla superficie terrestre:
aggiunta all’energia cinetica del satellite, data dal fatto che esso si muove con la Terra. La formula finale sarà quindi:

1 * Nota: elencherò i diversi modelli senza riportare l’effettiva numerazione dei paragrafi.
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