GLI OCCHIALI

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GLI OCCHIALI
BREVE STORIA DELL’OCCHIALE
Rileggendo la storia degli occhiali é proprio il caso di dire che questo strumento, così importante e per noi oggi così ovvio, é stato spesso perso di vista in passato al punto che le sue origini sono tuttora incerte e discussa ne è la paternità. Vari studiosi nell'arco dei secoli si sono interessati a questo enigma e fra le diverse interpretazioni e congetture sembra prevalere quella che attribuisce l'invenzione degli occhiali ad un anonimo italiano probabilmente veneto, intorno alla metà del XIII secolo. Più indietro nel tempo non si trova traccia di occhiali né, soprattutto, citazioni degne di fede. E' legittimo supporre che i romani, che producevano il vetro molto bene, si avvalessero di qualche mezzo di ingrandimento, ma nessuno pensò di utilizzarlo per alleviare la fatica di leggere anche perché allora le occasioni di lettura erano molto rare e riservate a pochi. Sappiamo che Seneca conosceva l'azione prismatica delle superfici di vetro sfaccettate e che i piccoli caratteri vengono ingranditi se osservati attraverso una bottiglia di vetro di forma sferica piena d'acqua. Sappiamo che Nerone era solito guardare i giochi del circo attraverso una lente di smeraldo probabilmente perché il colore verde ha un effetto riposante sulla vista anche se non si può escludere che, in maniera del tutto casuale, il taglio particolare di quella pietra acquistasse il pregio di correggere la miopia. Fu comunque un vezzo molto imitato e "l'occhiale" di Nerone è passato alla storia. Come mezzo d'ingrandimento abituale, i romani e i greci usavano lo specchio concavo utilizzato anche per altri scopi: Demostene per esempio studiava davanti allo specchio le mosse delle sue orazioni ed Archimede, grazie agli specchi ustori, incendiò le navi romane ancorate sotto le mura di Siracusa.Di lenti di ingrandimento vere e proprie parla per la prima volta il fisico arabo Alhazen (996-1038) nella parte terza del suo celebre trattato di ottica osserva che, mediante un segmento sferico di vetro (quindi una lente piano-convessa) si possono ottenete immagini ingrandite. Nel 1268 il filosofo inglese Ruggero Bacone, perseguitato e incarcerato per i suoi scritti che si ritenevano ispirati dal diavolo, scrisse nel suo Opus Majus un importante capitolo nella storia dell'occhiale quando descrisse l'azione di ingrandimento della lente convessa e ne suggerì l'uso a chi avesse problemi di vista:" ...con questo strumento tutti coloro che hanno occhi malati possono vedere ingrandita anche la lettera più piccola." Bacone ebbe quindi il merito di intuire che le lenti convesse potevano essere usate per facilitare la lettura (nella presbiopia) ma non fu lui l'inventore degli occhiali anche se fu senza dubbio contemporaneo all'invenzione. I documenti più antichi parlano esplicitamente dell'arte di fare lenti per occhiali e da ingrandimento sono i Capitolari veneziani del 1300. In data 15 Giugno 1301 in un paragrafo riguardante la Corporazione degli artigiani del vetro e del cristallo di rocca, si prescrive che coloro che intendono fabbricare "vitreos ab oculis ad legendum" siano iscritti alla Corporazione dei "cristalleri" e si impegnino a non diffondere all'esterno di Venezia i segreti di quest'arte preziosa. Per i trasgressori erano previste pene severe. Enrico De Lotto, medico umanista e profondo conoscitore dell'industria italiana degli occhiali, scrive nella sua opera "Dallo smeraldo di Nerone agli occhiali del Cadore": "Se nel 1300 nella città di Venezia esistevano disposizioni così chiare e draconiane contro i falsificatori, significa che l'industria dei fabbricanti di occhiali era ben radicata e fiorente nella zona e se ne dovevano diffondere con attenzione i segreti. Un'arte che si falsifica è un'arte evoluta e perciò doveva essere già da tempo praticata nella Repubblica Veneta, molto prima del 1300, quasi certamente fin dal 1285." Venezia del resto era l'unica città d'Europa che nel XIII secolo conosceva i segreti della fabbricazione del vetro da quando quest'arte era stata completamente abbandonata e dimenticata in occidente dopo la caduta dell'Impero Romano. Venezia custodiva gelosamente questo monopolio al punto che nel 1289 il Consiglio dei Dieci decise di trasferire tutte le fabbriche di vetro nell'isola di Murano (dove fioriscono ancora oggi per assicurare una vigilanza più efficace all'arte vetraria e preservarne la segretezza). Probabilmente Frate Alessandro della Spina, un domenicano di grande ingegno al quale è stato erroneamente attribuito il merito dell'invenzione degli occhiali, imparò il metodo di fabbricazione a Venezia, dove l'ordine domenicano aveva un convento, e lo divulgò in seguito in Toscana. I frati domenicani svolsero del resto un ruolo decisivo nella diffusione degli occhiali trovandovi grande giovamento nella faticosa opera di traduzione di quel complesso patrimonio letterario e storico della civiltà araba, greca e romana che grazie a loro ci è stato tramandato. La più antica figura con occhiali esistente al mondo è un domenicano: il vescovo Ugone da Provenza dipinto da Tommaso da Modena nel 1252. La sua effigie, che per la prima volta testimonia l'uso dell'occhiale da vista, è conservata nella bella chiesa di S. Nicolò a Treviso nella regione Veneto. Se l'invenzione dell'occhiale è databile presumibilmente intorno alla metà del XIII secolo, occorre attendere ancora due secoli per avere una significativa diffusione di questo prezioso strumento. Fu infatti l'invenzione della stampa a metà del XV secolo a dare un certo impulso all'utilizzo di occhiali quando ai manoscritti preziosi e rari, si aggiunsero libri stampati, accessibili a un maggior numero di persone. La possibilità di leggere più nitidamente la pagina scritta con i piccoli caratteri a stampa assunse così una reale importanza commerciale e favorì lo sviluppo della fabbricazione di occhiali. I primi esemplari avevano lenti biconvesse ed erano utilizzabili per correggere la presbiopia. Solo nella seconda metà del XV secolo compaiono gli occhiali per miopi confezionati con lenti biconcave mentre occorre arrivare alla fine del '700 per trovare gli occhiali bifocali. L'invenzione delle lenti cosiddette "doppie" è attribuita a Beniamino Franklin che trovando insopportabile dover cambiare ogni momento occhiali per vedere da vicino e da lontano, pensò di adoperare per ciascun occhio due lenti spezzate a metà. In realtà Franklin fu solo uno dei primi illustri utilizzatori delle lenti bifocali ma l'idea e la realizzazione sembrano spettare a due inventori distinti che in date e luoghi diversi arrivarono a mettere a punto la stessa geniale soluzione delle lenti bifocali: S. Pierce nel 1760 ed A. Smith nel 1783. Nei primi anni del '700, l'ottico inglese Edward Scarlett inventò le stanghette rigide che risolvevano una volta per tutte il problema di tenere fermi gli occhiali. Sempre in questo periodo nel fastoso e decadente ambiente veneziano e alla Corte di Francia, compare la moda dell'occhialino. Era questo un autentico capolavoro di oreficeria realizzato e altri materiali rari, ornato con pietre preziose e addirittura con porcellane di Sevres.Queste montature elaborate e ricche di decorazioni costituivano un vero e proprio status symbol a quell'epoca oltre che un ricercato accessorio di moda ed erano utilizzate anche da chi non aveva assolutamente bisogno di correzioni di vista. Non c'era gentildonna, giovane o vecchia, che uscisse di casa senza il suo prezioso occhialino con la lunga asta né gentiluomo sprovvisto della lente singola montata su asticciola e legata con un cordoncino al collo. L'occhialino fu l'accessorio di moda del '700 mentre il monocolo trattenuto nell'incavo dell'occhio dominò il secolo successivo in ambienti esclusivamente maschili insieme al "pincez nez" molto più spartano utilizzato prevalentemente da uomini di legge e d'affari. Man mano che il progresso sociale e l'aumento degli scambi consentivano uno sviluppo economico più diffuso, l'occhiale diventava un oggetto alla portata di tutti. In Europa e, più tardi, in America sorsero importanti fabbriche di occhiali, mentre tanti piccoli artigiani in vari paesi fabbricavano alacremente occhiali di poco costo di solito venduti nelle vie e nei mercatini insieme a tante altre cianfrusaglie da venditori ambulanti vestiti in modo chiassoso per attirare l'attenzione dei passanti. Elegante e adorno di chiassosità per i ricchi che se lo facevano confezionare su misura, semplice e funzionale per chi lo usava di necessità, l'occhiale fin dalla sua nascita ha testimoniato un'attenzione via via crescente verso il design della montatura. I fabbricanti di occhiali, dall'umile montatura in cuoio a quella in metalli preziosi, hanno sempre cercato di conciliare le esigenze della funzionalità con quelle dell'estetica.
FORMA DELLE LENTI PER OCCHIALI NEL XVI E XVII SECOLO E I PROGRESSI DELL’OTTICA FISICA
Il primo occhiale in assoluto della storia fu ideato e costruito molto probabilmente nel 1286 dal frate Alessandro Spina presso il convento domenicano di S. Caterina in Pisa. Egli svolgeva la mansione di miniaturista ed era sottoposto alla fastidiosa limitazione invalidante delle lenti oftalmiche veneziane, il quale uso richiedeva l'impegno di una mano. Il frate non volle svelare questa sua invenzione, cosa che fece un suo confratello, anche lui miniaturista, dopo il suo decesso. Questo secondo assunse i meriti di tale progetto, copiando il modello originale assemblando due lenti oftalmiche veneziane con un compasso, dopodiché provvide a inforcarlo sul naso e stringendo semplicemente la cerniera a frizione, ne ottenne l'ancoraggio. Ciò è dimostrabile grazie ad alcuni documenti datati 1306, i quali ricordano l'invenzione che risultò la più importante conquista della medicina di tutto il medioevo scoperta 20'anni prima cioè nel 1286. La prima testimonianza pittorica in assoluto della storia degli occhiali sostenuti dal naso, è il ritratto raffigurante Ugo di Saint Cher con degli occhiali ancorati al naso, tramite lo stesso metodo progettato da Alessandro da Spina 66 anni prima. I primi occhiali per lontano comparvero già nel XV secolo, confezionati con lenti biconcave per correggere la miopia. Di tali occhialine fecero uso in questo secolo anche papa Leone X (1475-1521) e la famiglia dei Medici fortemente miope. Verso la prima metà del XVI secolo comparvero le lenti ovali, ciò e testimoniato in una tela risalente al 1510 che ritrae quattro padri della Chiesa di cui uno portava occhiali a perno con lenti fortemente ovali. Le forme rettangolari e quadrate comparvero all'incirca verso il 1570, difatti nel 1572 l'elettore di Sassonia Augusto fece cercare delle lenti quadrate. Nel 1623 Dava de Valdes parlava di occhiali da cataratta e per protezione solare dette "conserve"; erano lenti in semplice vetro a forma di ferro di cavallo colorate in verde o azzurro. Keplero si era dato allo studio delle lenti a menisco e allo stesso tempo nel1611 M.C.Dominis parla delle lenti piano-sferiche attribuendone le capacità di avere un campo visivo maggiore rispetto alle biconvesse. Nel 1583 George Bartisch accusa gli occhiali di non avere capacità effettivamente correttive e invita i portatori di questi curiosi strumenti a far uso di infine quello di tartaruga >. Nel frattempo le fabbriche lavoravano a buon ritmo e nel 1721 gli operai salirono circa a 90, con 12 garzoni e tre maestri dell'arte; ma questo periodo così fruttante non durò molto, la moda cambiava rapidamente e vi era una forte pressione da parte della concorrenza estera, così prima del crollo della Repubblica anche le fabbriche conducevano un andamento non producente. Dopo questa caduta della gloriosissima Repubblica Veneta, da secoli ormai dominante dei mercati marittimi, dell'industria dell'occhiale non rimane altro che il nome di una calle > nella contrada di san Travaso dove nel 1796 si chiuse l'ultima occhialeria. Proprio in questo secolo vennero fatte grandi scoperte in campo oculistico e dell'ottica fisiologica mentre in Francia, Spagna, Olanda, Germania, Cecoslovacchia, Inghilterra e successivamente negli USA, sorsero grandi fabbriche di occhiali. Nomi molto importanti da ricordare nelle grandi scoperte sono: Cornelio Donders (1818-1889) che dopo Sturm approfondì gli studi dell'astigmatismo corneale, Gullstrand grande matematico che risolse numerosi ardui problemi di ottica che trovarono importanti risvolti nel campo pratico, Beniamino Franklin che verso la fine del '700 ideò gli occhiali bifocali. Pare che gli occhiali bifocali siano stati fatti anche da A. Smith (1783) e da S. Pierce (1760-1788).Le lenti sotto il nome di menischi furono fatte e studiate da Woliaston (1804), da Dolland e da Ostwald e furono chiamate periscopiche per la loro superficie più estesa che limitava le aberrazioni periferiche. Le lenti toriche furono ideate dall'ottico romano Suscipi che le chiamò così perché consistono nel toro di una colonna, di cui un segmento può considerarsi avere due curvature circolari, una perpendicolare all'altra e di raggio diverso. Le prime lenti prismatiche furono usate da Walls (1792) e da Chevallier (1841) per correggere strabismi. Questi grandi studi dettero un notevole contributo alla scienza medica non solo come valore teorico ma anche in campo pratico per venire in aiuto delle deficienze visive.
L'evoluzione della lente correttiva
Abbiamo visto che le prime lenti usate furono quelle biconvesse usate dagli studiosi per correggere le presbiopia poi vennero introdotte quelle biconcave per la miopia. Nel XIX secolo gli studi da parte dei matematici delle geometrie delle lenti e gli studi sull'occhio da parte degli oculisti, portò alla definizione dell'astigmatismo e di conseguenza alla diffusione delle lenti cilindriche, bicilindriche, sferocilindriche e toriche. Successivamente un gruppo di elementi tecnici nel campo furono le lenti bifocali, colorate da protezione solare e lenti da protezione meccanica.
Le lenti di contatto
Nel XVII secolo Cartesio, nella > (1637) proponeva di mettere a contatto con la cornea un tubo pieno d'acqua per accrescerne la potenza, così inoltre affermava che la cornea aveva un indice di rifrazione molto simile all'acqua (1.33). Con tale artifizio il potere della cornea veniva annullato e veniva impostata una determinata curvatura del vetro interno. Da qui nacque il principio del vetro aderente per correggere quelle particolari malformazioni corneali quali cheratocono e alcuni astigmatismi irregolari.
GLI OCCHIALI DI GALILEO
Gli "occhiali" di Galileo: problemi di restauro
Si deve a Galileo Galilei il perfezionamento di un giocattolo per il quale l'occhialaio olandese Hans Lipperhey aveva chiesto un brevetto nel 1608. L'inserimento di due lenti in un tubo permetteva di vedere più vicini gli oggetti lontani, ma gli Stati Generali rifiutarono la concessione del brevetto perché giudicarono che il dispositivo fosse facile, troppo facile a copiarsi. Infatti, nel giro di poco tempo, anche altri ne reclamarono la paternità. Come è noto, Galileo ne ebbe notizia da Paolo Scarpi, quando alcuni esemplari di questi dispositivi già circolavano in Italia. All'epoca, lo scienziato insegnava a Padova. Si mise all'opera e, con la collaborazione, pare, di Marc'Antonio Mazzoleni, produsse propri cannocchiali terrestri. Occorre precisare che il cannocchiale galileiano è del tipo detto anche olandese, consistente di una lente obiettiva convessa e di un oculare concavo. L'oculare è sistemato in modo che la sua focale interna coincida con quella della lente obiettiva. Ma, in realtà, l'occhiale galileiano è non solo il risultato del perfezionamento e potenziamento del tubo ottico: esso è un rivoluzionario strumento di osservazione e scoperta, uno strumento straordinario che permette l'estensione del senso della vista, un dispositivo che cambierà la storia dell'astronomia e aprirà la strada a sviluppi all'epoca inimmaginabili. Galileo costruì il suo primo cannocchiale nell'estate del 1609, a Padova, ed iniziò contemporaneamente le sue osservazioni. Di pari passo, lo scienziato proseguì nell'opera di potenziamento dello strumento, lavorando o facendo lavorare lenti migliori. Mentre era facile costruire un cannocchiale, non era così facile rendere le lenti capaci di maggiori ingrandimenti e nemmeno perfezionarle: gli occhialai e i costruttori di lenti non possedevano all'epoca le tecniche per farlo. I primi che ci riuscirono furono Galileo in Italia e Thomas Harriot in Inghilterra. Galileo presentò nell'agosto del 1609 al senato veneto il suo primo cannocchiale potenziato, il che gli valse un miglioramento nel tenore di vita e un aumento dello stipendio. Continuò poi a migliorare il suo strumento, giungendo a costruirne alcuni capaci di oltre 30 ingrandimenti. Rimane insoluto il dubbio se Galileo costruisse da sé i cannocchiali o se si facesse aiutare. Si sa però che la politura delle lenti, Galileo la affidò a Firenze a Ippolito Francini, a sua volta autore di lenti e cannocchiali firmati in proprio. Lo scienziato pisano chiamò il suo strumento "occhiale", lo presentò a Roma, all'Accademia dei Lincei, dove fu battezzato "telescopio", perché permetteva di vedere lontano. Con questo strumento, con lenti lavorate prima a Padova, poi a Firenze da abili artefici, Galileo osservò la luna e le sue montagne, le macchie solari, Venere e le sue fasi, Giove e i suoi satelliti, i 'pianeti medicei', come li chiamò Galileo, Saturno e le sue strane apparizioni. Di queste straordinarie scoperte, rese possibili dal cannocchiale, lo scienziato dette notizia nel Sidereus Nuncius, l'opera con la quale acquistò immediatamente una fama enorme e che egli dedicò a Cosimo de' Medici, assicurandosi così l'agognato ritorno in Toscana e favori di ogni genere. In quanto estensione di uno dei sensi, il cannocchiale ricoprì, come è noto, un ruolo centrale nella rivoluzione scientifica secentesca. Quello galileano, ancora primitivo, sarà da altri ottici perfezionato nel corso del Seicento, ma rimane in ogni caso il primo esempio di uno strumento ottico moderno e segnerà l'inizio delle ricerche astronomiche e delle osservazioni dell'universo. Ecco perché possiamo dire di essere di fronte a strumenti straordinari, unici e preziosi. I cannocchiali sono legati alle memorie galileiane e, come il resto della collezione conservata nel museo di storia della scienza, alla città di Firenze. Provenienti dalle raccolte medicee, essi sono gli unici due strumenti ottici certamente appartenuti allo scienziato pisano e passati nella collezione della Casata fiorentina. Dalla Galleria degli Uffizi, dove la gran parte della collezione era conservata, gli strumenti, nel 1771, passarono nel nascente Museo di Fisica e Storia Naturale, oggi Museo di Zoologia della Specola, voluto da Pietro Leopoldo di Lorena e inaugurato ufficialmente nel 1775. Nel 1807, nel momento dell'inaugurazione del Liceo di Scienze Fisiche e Naturali istituito dalla regina d'Etruria Maria Luisa, i due cannocchiali furono montati insieme alla lente su un supporto arricchito da una dedicatoria molto celebrativa. Nel 1841, con la costruzione della Tribuna di Galileo all'interno della Specola, il trofeo fu lì trasferito insieme alle altre reliquie galileiane e agli strumenti più antichi. Dopo la Prima Esposizione Nazionale di Storia della Scienza, avvenuta a Firenze, nel 1929, gli strumenti scientifici antichi passarono nel neonato Istituto e Museo di Storia della Scienza, aperto nel 1930 nella sede di Piazza dei Giudici. Dei due cannocchiali, il primo è costituito da una serie di listelli di legno incollati l'uno all'altro in modo da formare un tubo. Esternamente il tubo è ricoperto di pelle rossa con decorazioni in oro. All'interno del tubo si trovano tre diaframmi distanziati l'uno dall'altro. Alle estremità del tubo sono inseriti due cilindri estraibili, muniti di diaframmi e contenenti rispettivamente la lente obiettiva, biconvessa, originale, e la lente oculare, biconcava, secentesca, ma non di Galileo. Il cannocchiale era in pessimo stato di conservazione. La parte centrale presentava una marcata flessione, forse dovuta all'uso prolungato: lo schiacciamento del tubo aveva provocato la scollatura dei listelli di legno all'interno. Il tempo, gli spostamenti, le non sempre buone condizioni climatiche ed espositive hanno via via peggiorato lo stato dello strumento. La pelle divenuta sempre più arida si è spaccata e le spaccature si sono accentuate soprattutto nella zona centrale. Dal seicento ad oggi il cannocchiale non era mai stato restaurato: aveva assunto un significato simbolico, quasi mitico e era rimasto intoccato e intoccabile. L'intervento di restauro è stato compiuto nel 1996 e terminato in concomitanza con le celebrazioni del trentennale dell'alluvione. E' stato sponsorizzato dal Soroptimist International Club di Firenze, che ha inteso così ricordare e onorare la memoria della sua socia Maria Luisa Righini Bonelli, direttrice del museo fiorentino, che nel '66, durante l'alluvione, aveva fortunosamente salvato i propri cimeli. Il restauro doveva essere conservativo e di consolidamento, in modo da evitare il degrado, rimediare i danni senza alterare, né modificare in alcun modo la fisionomia e l'identità dello strumento. Sergio Boni, un vero maestro nell'arte del restauro della carta, ha affrontato con la serietà e la maestria che lo contraddistinguono il problema. Ne ha studiato prima le diverse possibilità e ha eseguito una serie di saggi preliminari. Dopo meditate considerazioni, per risolvere lo schiacciamento dei listelli, Boni ha trovato questa singolare ed efficace soluzione. Ha impiegato una sottile camera d'aria, inserita per tutta la lunghezza del tubo e gonfiata fino ad ottenere il sollevamento dei listelli stessi che sono stati immediatamente fissati con iniezioni di metilcellulosa. Le spaccature della pelle e le lacune sulla superficie sono state saldate e integrate con vecchia pelle sfibrata e applicata con metilcellulosa. Anche i diaframmi all'interno del tubo sono stati consolidati con metilcellulosa. Le montature di legno delle lenti erano vistosamente corrose dai tarli. Esse sono state disinfestate e quindi integrate con carta giapponese di medio spessore, "cotonata" e applicata con metilcellulosa, in modo da consolidare perfettamente la struttura dei cilindri scorrevoli. Il consolidamento così ottenuto è il risultato di tentativi sperimentali che hanno prodotto un metodo completamente nuovo e originale, ideato da Sergio Boni, e assolutamente reversibile. Le saldature e le integrazioni sono state poi ritoccate pittoricamente a neutro. Infine la pelle è stata protetta con crema di cera. Il secondo strumento è costituito da due mezzi tubi di legno ricoperti di carta e tenuti insieme da fili di rame. Anche questo cannocchiale era in pessimo stato di conservazione: il legno povero tarlato, la superficie dei tubi spaccata in più punti, la carta assai rovinata. Le montature delle lenti obbiettiva e oculare, entrambe originali, erano anch'esse molto rovinate e presentavano vistose lacune. Questo cannocchiale, inoltre, era associato tradizionalmente al nome di Galileo, ma non esistevano prove concrete di questa associazione. Il delicato restauro, effettuato dallo stesso Sergio Boni nel corso del 1997, ha permesso un consolidamento delle parti più cedevoli realizzato con metilcellulosa e pasta di carta giapponese. La pulitura, inoltre, ha reso possibile la lettura di parti finora non chiare. Così è emersa l'indicazione manoscritta che collega direttamente, e non più ipoteticamente, lo strumento a Galileo. Infatti, sulla montatura della lente obbiettiva, si legge l'indicazione "dist: focal… piedi 3 p…". La calligrafia è senza dubbio quella di Galileo e la misura è quella padovana. Lo strumento quindi può essere con buona probabilità collegato al periodo padovano dello scienziato, potrebbe essere uno dei primi da lui costruiti, dato anche il carattere così povero e primitivo dello strumento, e potrebbe essere stato portato a Firenze direttamente da Galileo quando vi fece ritorno nel 1610, come matematico primario del Granduca. In conclusione, siamo di fronte a interventi di restauro che non solo si segnalano per aver affrontato con grande serietà e professionalità oggetti di tale rilievo, ma anche hanno permesso la decifrazione storica e scientifica di due strumenti che, proprio per il loro essere legati al "mito" Galileo poco erano stati approfonditi scientificamente. Il restauro li ha quindi restituiti non solo alla conservazione museale, ma anche al mondo della ricerca e della scoperta al quale appartengono di diritto.
GLI OCCHIALI NEGLI ANNI TRENTA
Occhiali negli anni trenta: parte alla grande "il sole"
Negli anni Trenta il bisogno di proteggere la vista dalla luce abbagliante del sole, dai riflessi dell'acqua in movimento e dal bianco delle nevi, rese addirittura indispensabile l'uso delle lenti colorate, in questo caso montate su fusti di materiale sintetico (come la celluloide, non soggetta a surriscaldamento come succedeva, invece, alle montature di metallo che diventavano importabili). Anche sulle riviste, con gli ultimi modelli di abiti consigliati per il mare e la spiaggia, comparvero occhiali da sole per signora in celluloide bianca o trasparente: occhiali che lentamente si avviavano a divenire un accessorio indispensabile al look per così dire sportivo-elegante. Le forme variavano dal triangolare all'ottagonale e la rivisitazione di qualche modello li avvicinava a occhiali da motociclista o da saldatore. Normali quelle con lenti marrone e montatura di celluloide "uso" tartaruga, eccentrici quelli a forma di corolla di fiore. Una variante alle montature di "serie" era rappresentata da quella sempre in materiale sintetico, un po' più ampia e che al posto delle astine (stanghette) presentava una fessura, ideale per far passare il foulard da annodare sulla nuca: un tocco di colore ton sur ton con l'abito che si indossava. E poiché aria e sole potevano danneggiare il contorno occhi, alle signore degli anni Trenta gli occhiali da sole venivano vivamente consigliati per ovviare a spiacevoli rughe antiestetiche e precoci. Ecco perché, insieme a creme abbronzanti, nutrienti e curative, in quegli anni gli occhiali comparvero sempre più di frequente come una protezione indispensabile per la salute della propria pelle. Tra tutti i modelli, quelli in celluloide bianca con lenti blu furono un vero trionfo.
E per gli uomini?
Per gli uomini nessuna frivolezza: l'occhiale per loro era soltanto simbolo di serietà. Gli occhiali, infatti, rappresentavano un modo per ostentare il proprio "status", il proprio ceto sociale, insomma, un qualcosa da esibire a ogni costo. Le lenti, invece, erano aborrite dai giovanotti italiani, perché ammettevano palesemente un'inferiorità. Il regime fascista addirittura disdegnava gli occhialuti, soprattutto nel caso appartenessero alla categoria degli intellettuali. Infatti, la dottrina di Mussolini propugnava ideali di forza e di superomismo ai quali mal si sarebbero sposati un paio di occhiali sul naso volitivo. Si narra che il Duce avesse fatto adattare, per la sua segretaria personale, una macchina da scrivere con le lettere dei tasti ingrandite, perché "Lui" non dovesse ricorrere agli occhiali per leggere le quotidiane note informative. Scrittori, artisti, uomini politici, ostentavano occhiali dalle montature rotonde con o senza astine, di metallo o di celluloide nera, seri e impersonali, resi famosi se indossati da personaggi come Bertold Brecht, il commediografo tedesco. Le Corbusier, invece, disegnò la sua personalissima montatura, che divenne nota come "ammiccamento d'intesa" tra gli allievi, ammiratori, simpatizzanti, seguaci e studiosi delle rivoluzionarie teorie di uno dei massimi esponenti del design e dell'architettura del XX secolo. Anche gli occhiali da sole per uomo assunsero una connotazione di serietà. Le uniche bizzarrie erano concesse agli sportivi, per i quali continuò una produzione specifica e mirata. In montagna le lenti gialle aiutavano a proteggersi dal riverbero sulla neve. Mentre in motocicletta, mezzo ai tempi sempre più in uso, l'utilizzo dell'occhiale divenne assolutamente indispensabile: occhialoni enormi e super protettivi, proprio come i corridori automobilistici, dai quali i "centauri" adottarono casco di cuoio e berretto a visiera, oltre che, appunto, gli occhiali.
Usi e costumi a "stelle e strisce"
Anche grazie al contributo degli americani, l'uso degli occhiali divenne consuetudine. E ciò, proprio per merito dei gangster del proibizionismo, i quali, approfittando delle loro proprietà "mascheranti", inforcavano scure lenti fumé che li rendevano criminalmente popolari non solo nei film. In doppiopetto scuro, con le Duilio ai piedi nella versione tinta unita o bicolori (marrone e crema o nere e bianche), l'impermeabile stretto in vita e l'immancabile cappello a tesa larga, con o senza sigaro in bocca, ma sempre con gli occhiali scuri, per occultarsi, e qualche pistola infilata nelle tasche o nella fondina sotto l'ascella. Fu proprio così che la figura del gangster italo-americano entrò nella leggenda, anche grazie alla divulgazione che ne fece il cinema americano. Inoltre, sempre restando negli States, i responsabili dell'aviazione militare si rivolsero alla Bausch & Lomb, una delle più importanti fabbriche americane di lenti, per risolvere il problema della luce abbagliante per i piloti dell'aeronautica quando volavano ad alta quota. Venne dunque ideato quel particolare tipo di occhiale da sole, con lenti verdi a goccia con una curvatura per l'assorbimento dei raggi solari, che anche il generale McArthur inforcava nelle sue missioni durante la seconda guerra mondiale. Usciti dopo la guerra dallo stretto ambito militare, furono universalmente riconosciuti, usati e apprezzati come Ray-Ban, concettualmente traducibile in "para-raggio" - solare, ovviamente. Corollario degli occhiali da sole, succedanea in situazioni sportive, con funzioni protettive era la visiera arrotondata di celluloide verde, tenuta sulla fronte da una fascia elastica che passava dietro alla nuca; venne usata dai tennisti, per i quali gli occhiali da sole avrebbero rappresentato un serio impiccio. In ambito meno oculare, la stessa visiera veniva utilizzata dai giocatori d'azzardo, dai "pokeristi", per proteggersi da sguardi indiscreti oltre che dalla luce artificiale, durante le lunghe nottate trascorse ai tavoli verdi del gioco clandestino.
Da Seneca alla fine del XVII secolo
Seneca, precettore di Nerone, sapeva che piccoli oggetti osservati attraverso una sfera di vetro colma di acqua apparivano ingranditi. Plinio, invece, nei suoi scritti diceva che Nero princeps gladiatorum pugnas spectabat in smaragdo, forse perché un certo "taglio" dello smeraldo consentiva un ingrandimento casuale o forse perché il verde di questa pietra fungeva da riposante per la vista. I Romani poi utilizzavano un particolare elmetto da guerra, ocularium, che in corrispondenza degli occhi aveva uno o due fori coperti da cristalli per proteggerli dalla polvere.
Occhiali fessurati in legno (Australia, 1989)
Il fisico arabo Ibn Al Haitam detto Alhazen (vissuto tra il 990 e il 1038), e due secoli dopo Ruggero Bacone (1214-1294), si avvicinarono alla scoperta della lente, ma rimanendone a un passo: insistevano nel porre la lente sopra l'oggetto da ingrandire anziché direttamente davanti agli occhi. Si creò comunque una prima distinzione tra lente di ingrandimento, detta lapides ad legendum o pere da lazer a Venezia e gli occhiali detti vitreos ab oculis ad legendum o "roidi da ogli", molto diffusi alla fine del Duecento e considerati un accessorio indicativo del ruolo intellettuale e del rango di chi li indossava. Si dice che il primo vero occhiale sia comparso per opera di un artigiano vetraio rimasto ignoto, nel 1300, quando venne formalizzata una serie di norme della corporazione degli artigiani vetrai veneziani. Allora le lenti erano in cristallo di rocca o in berillio. Inizialmente fu severamente proibito ai vetrai di vendere sia gli occhiali che le lenti come fossero cristalli. Ma, dopo un anno circa, i sovrintendenti alle Arti permisero, a chi lo voleva, di fare i vitreos ab oculis ad legendum, così che questi prodotti divennero peculiarità degli artigiani vetrai veneziani. Poco tempo dopo in un suo manoscritto fra Giordano da Rivalto, morto nel 1313, dichiarava: "Non è ancora vent'anni che si trovò l'arte di fare gli occhiali che fanno veder bene".
Input a costruire occhiali e primi modelli
I primi occhiali erano costituiti da due lenti rotonde cerchiate di cuoio riunite da due piccoli segmenti legati a un perno affinché rimanessero più stabili in viso. Due "legacci", sempre in cuoio, da annodarsi intorno al capo ne assicuravano maggiormente la fermezza. Nel Medioevo a stimolare la costruzione di occhiali non furono certo le necessità degli studiosi, all'epoca una rarità, bensì il numero di contabili in continuo aumento grazie al crescente progresso sociale ed economico del tempo. Ebbene, fu proprio la necessità di leggere nitidamente pagine intrise di numeri e ordinativi a segnare la storia degli occhiali. I primi occhiali avevano lenti convesse e correggevano solo la presbiopia dei vecchi. Anzianità era sinonimo di saggezza e il più grande omaggio reso a un uomo di rispetto era ritrarlo con un paio di occhiali inforcati sul naso. Gli occhiali, da allora, assunsero un valore allegorico e, inoltre, diventando attributo tipico di San Gerolamo, considerato precursore dell'Umanesimo cristiano, si arricchirono del significato simbolico allusivo alla "vista" di chi sa intuire chiaramente la verità.
Folli allegorie
Nel Quattrocento comparvero anche le prime lenti concave per i miopi e l'esigenza di creare un sistema ancor più idoneo che a contenerle divenne urgente, perché non servivano più solo per la lettura. Furono fermati dietro le orecchie da un'asola di cuoio passante e sulla fronte da un sostegno verticale di metallo che curvandosi si affrancava alla testa con un berretto o con una fascia frontale. Da alcune tracce di rapporti epistolari tra nobildonne e nobiluomini dell'epoca si rileva che il commercio e l'uso degli occhiali erano all'epoca molto diffusi (Alessandra Maccinghi Strozzi li citava nelle sue lettere al figlio; il duca Francesco Sforza ordinò per lettera a Niccodemo Tancredini tre dozzine di occhiali, un documento che tra l'altro comprova che anche Firenze si stava specializzando negli occhiali). Tra il Quattrocento e il Cinquecento agli occhiali venne attribuito anche un valore demoniaco: gli occhiali divennero superbo attributo di Lucifero. Mentre per le allegorie magiche del Nordeuropea del XVI secolo, legate all'alchimia, a scienze occulte e ermetismo, gli occhiali divennero caratteristica distintiva del folle. La tradizione popolare, infatti, rappresentava i dotti, i sapienti e gli studiosi diventati matti - giacché vittime della troppa cultura - con cappuccio tintinnante di campanelli e con gli occhiali.
Un occhiale per tutti, dagli antichi sportivi alla nobiltà barocca
Nei secoli seguenti, l'impiego di molle e passi flessibili assicurarono gli occhiali sul naso, e vennero impiegati materiali più leggeri. Il legno e il corno (pesantissimi) provocavano, infatti, nasi gonfi e insopportabili emicranie. Nel XVI secolo i modelli con le stringhe di cuoio per legarli intorno alla testa assunsero connotazioni sportive, assolutamente impensabili all'epoca: i pescatori siciliani li usavano tuffandosi per la raccolta del corallo. L'occhiale divenne uno degli oggetti più preziosi nella mercanzia dei venditori ambulanti. Nel secolo barocco, oro e argento finemente cesellati, incastonati di gemme, adattarono gli occhiali al gusto ridondante dei ricchi e dell'epoca. Nel Seicento la lente singola tenuta da un manico prezioso era in auge per la lettura di corrispondenze galanti, per la "vista lunga" e per apprezzare anche da lontano le rappresentazioni dei teatri di corte. Nel frattempo fanno la loro comparsa gli occhiali da parrucca, con un prolungamento metallico per farli stare fermi davanti agli occhi, da infilare sotto la parrucca stessa o sotto il berretto. Un sistema talmente poco pratico che fu presto sostituito dall'invenzione degli "occhiali da tempia", ossia con le astine o stanghette, perfezionate e commercializzate intorno al 1727/1730 dall'ottico londinese Edward Scarlett. Inizialmente le stanghette non arrivavano fin dietro le orecchie, ma esercitando pressione sulle tempie garantivano comunque stabilità. Spesso erano invece dotate di anelli cui legare dei nastri da fermare poi dietro la testa, come era in uso nel Cinquecento e nel Seicento. E proprio in quel periodo nacque l'espressione "quattr'occhi e due stanghette", per definire un occhialuto.

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GLI OCCHIALI
BREVE STORIA DELL’OCCHIALE
Rileggendo la storia degli occhiali é proprio il caso di dire che questo strumento, così importante e per noi oggi così ovvio, é stato spesso perso di vista in passato al punto che le sue origini sono tuttora incerte e discussa ne è la paternità. Vari studiosi nell'arco dei secoli si sono interessati a questo enigma e fra le diverse interpretazioni e congetture sembra prevalere quella che attribuisce l'invenzione degli occhiali ad un anonimo italiano probabilmente veneto, intorno alla metà del XIII secolo. Più indietro nel tempo non si trova traccia di occhiali né, soprattutto, citazioni degne di fede. E' legittimo supporre che i romani, che producevano il vetro molto bene, si avvalessero di qualche mezzo di ingrandimento, ma nessuno pensò di utilizzarlo per alleviare la fatica di leggere anche perché allora le occasioni di lettura erano molto rare e riservate a pochi. Sappiamo che Seneca conosceva l'azione prismatica delle superfici di vetro sfaccettate e che i piccoli caratteri vengono ingranditi se osservati attraverso una bottiglia di vetro di forma sferica piena d'acqua. Sappiamo che Nerone era solito guardare i giochi del circo attraverso una lente di smeraldo probabilmente perché il colore verde ha un effetto riposante sulla vista anche se non si può escludere che, in maniera del tutto casuale, il taglio particolare di quella pietra acquistasse il pregio di correggere la miopia. Fu comunque un vezzo molto imitato e "l'occhiale" di Nerone è passato alla storia. Come mezzo d'ingrandimento abituale, i romani e i greci usavano lo specchio concavo utilizzato anche per altri scopi: Demostene per esempio studiava davanti allo specchio le mosse delle sue orazioni ed Archimede, grazie agli specchi ustori, incendiò le navi romane ancorate sotto le mura di Siracusa.Di lenti di ingrandimento vere e proprie parla per la prima volta il fisico arabo Alhazen (996-1038) nella parte terza del suo celebre trattato di ottica osserva che, mediante un segmento sferico di vetro (quindi una lente piano-convessa) si possono ottenete immagini ingrandite. Nel 1268 il filosofo inglese Ruggero Bacone, perseguitato e incarcerato per i suoi scritti che si ritenevano ispirati dal diavolo, scrisse nel suo Opus Majus un importante capitolo nella storia dell'occhiale quando descrisse l'azione di ingrandimento della lente convessa e ne suggerì l'uso a chi avesse problemi di vista:" ...con questo strumento tutti coloro che hanno occhi malati possono vedere ingrandita anche la lettera più piccola." Bacone ebbe quindi il merito di intuire che le lenti convesse potevano essere usate per facilitare la lettura (nella presbiopia) ma non fu lui l'inventore degli occhiali anche se fu senza dubbio contemporaneo all'invenzione. I documenti più antichi parlano esplicitamente dell'arte di fare lenti per occhiali e da ingrandimento sono i Capitolari veneziani del 1300. In data 15 Giugno 1301 in un paragrafo riguardante la Corporazione degli artigiani del vetro e del cristallo di rocca, si prescrive che coloro che intendono fabbricare "vitreos ab oculis ad legendum" siano iscritti alla Corporazione dei "cristalleri" e si impegnino a non diffondere all'esterno di Venezia i segreti di quest'arte preziosa. Per i trasgressori erano previste pene severe. Enrico De Lotto, medico umanista e profondo conoscitore dell'industria italiana degli occhiali, scrive nella sua opera "Dallo smeraldo di Nerone agli occhiali del Cadore": "Se nel 1300 nella città di Venezia esistevano disposizioni così chiare e draconiane contro i falsificatori, significa che l'industria dei fabbricanti di occhiali era ben radicata e fiorente nella zona e se ne dovevano diffondere con attenzione i segreti. Un'arte che si falsifica è un'arte evoluta e perciò doveva essere già da tempo praticata nella Repubblica Veneta, molto prima del 1300, quasi certamente fin dal 1285." Venezia del resto era l'unica città d'Europa che nel XIII secolo conosceva i segreti della fabbricazione del vetro da quando quest'arte era stata completamente abbandonata e dimenticata in occidente dopo la caduta dell'Impero Romano. Venezia custodiva gelosamente questo monopolio al punto che nel 1289 il Consiglio dei Dieci decise di trasferire tutte le fabbriche di vetro nell'isola di Murano (dove fioriscono ancora oggi per assicurare una vigilanza più efficace all'arte vetraria e preservarne la segretezza). Probabilmente Frate Alessandro della Spina, un domenicano di grande ingegno al quale è stato erroneamente attribuito il merito dell'invenzione degli occhiali, imparò il metodo di fabbricazione a Venezia, dove l'ordine domenicano aveva un convento, e lo divulgò in seguito in Toscana. I frati domenicani svolsero del resto un ruolo decisivo nella diffusione degli occhiali trovandovi grande giovamento nella faticosa opera di traduzione di quel complesso patrimonio letterario e storico della civiltà araba, greca e romana che grazie a loro ci è stato tramandato. La più antica figura con occhiali esistente al mondo è un domenicano: il vescovo Ugone da Provenza dipinto da Tommaso da Modena nel 1252. La sua effigie, che per la prima volta testimonia l'uso dell'occhiale da vista, è conservata nella bella chiesa di S. Nicolò a Treviso nella regione Veneto. Se l'invenzione dell'occhiale è databile presumibilmente intorno alla metà del XIII secolo, occorre attendere ancora due secoli per avere una significativa diffusione di questo prezioso strumento. Fu infatti l'invenzione della stampa a metà del XV secolo a dare un certo impulso all'utilizzo di occhiali quando ai manoscritti preziosi e rari, si aggiunsero libri stampati, accessibili a un maggior numero di persone. La possibilità di leggere più nitidamente la pagina scritta con i piccoli caratteri a stampa assunse così una reale importanza commerciale e favorì lo sviluppo della fabbricazione di occhiali. I primi esemplari avevano lenti biconvesse ed erano utilizzabili per correggere la presbiopia. Solo nella seconda metà del XV secolo compaiono gli occhiali per miopi confezionati con lenti biconcave mentre occorre arrivare alla fine del '700 per trovare gli occhiali bifocali. L'invenzione delle lenti cosiddette "doppie" è attribuita a Beniamino Franklin che trovando insopportabile dover cambiare ogni momento occhiali per vedere da vicino e da lontano, pensò di adoperare per ciascun occhio due lenti spezzate a metà. In realtà Franklin fu solo uno dei primi illustri utilizzatori delle lenti bifocali ma l'idea e la realizzazione sembrano spettare a due inventori distinti che in date e luoghi diversi arrivarono a mettere a punto la stessa geniale soluzione delle lenti bifocali: S. Pierce nel 1760 ed A. Smith nel 1783. Nei primi anni del '700, l'ottico inglese Edward Scarlett inventò le stanghette rigide che risolvevano una volta per tutte il problema di tenere fermi gli occhiali. Sempre in questo periodo nel fastoso e decadente ambiente veneziano e alla Corte di Francia, compare la moda dell'occhialino. Era questo un autentico capolavoro di oreficeria realizzato e altri materiali rari, ornato con pietre preziose e addirittura con porcellane di Sevres.Queste montature elaborate e ricche di decorazioni costituivano un vero e proprio status symbol a quell'epoca oltre che un ricercato accessorio di moda ed erano utilizzate anche da chi non aveva assolutamente bisogno di correzioni di vista. Non c'era gentildonna, giovane o vecchia, che uscisse di casa senza il suo prezioso occhialino con la lunga asta né gentiluomo sprovvisto della lente singola montata su asticciola e legata con un cordoncino al collo. L'occhialino fu l'accessorio di moda del '700 mentre il monocolo trattenuto nell'incavo dell'occhio dominò il secolo successivo in ambienti esclusivamente maschili insieme al "pincez nez" molto più spartano utilizzato prevalentemente da uomini di legge e d'affari. Man mano che il progresso sociale e l'aumento degli scambi consentivano uno sviluppo economico più diffuso, l'occhiale diventava un oggetto alla portata di tutti. In Europa e, più tardi, in America sorsero importanti fabbriche di occhiali, mentre tanti piccoli artigiani in vari paesi fabbricavano alacremente occhiali di poco costo di solito venduti nelle vie e nei mercatini insieme a tante altre cianfrusaglie da venditori ambulanti vestiti in modo chiassoso per attirare l'attenzione dei passanti. Elegante e adorno di chiassosità per i ricchi che se lo facevano confezionare su misura, semplice e funzionale per chi lo usava di necessità, l'occhiale fin dalla sua nascita ha testimoniato un'attenzione via via crescente verso il design della montatura. I fabbricanti di occhiali, dall'umile montatura in cuoio a quella in metalli preziosi, hanno sempre cercato di conciliare le esigenze della funzionalità con quelle dell'estetica.
FORMA DELLE LENTI PER OCCHIALI NEL XVI E XVII SECOLO E I PROGRESSI DELL’OTTICA FISICA
Il primo occhiale in assoluto della storia fu ideato e costruito molto probabilmente nel 1286 dal frate Alessandro Spina presso il convento domenicano di S. Caterina in Pisa. Egli svolgeva la mansione di miniaturista ed era sottoposto alla fastidiosa limitazione invalidante delle lenti oftalmiche veneziane, il quale uso richiedeva l'impegno di una mano. Il frate non volle svelare questa sua invenzione, cosa che fece un suo confratello, anche lui miniaturista, dopo il suo decesso. Questo secondo assunse i meriti di tale progetto, copiando il modello originale assemblando due lenti oftalmiche veneziane con un compasso, dopodiché provvide a inforcarlo sul naso e stringendo semplicemente la cerniera a frizione, ne ottenne l'ancoraggio. Ciò è dimostrabile grazie ad alcuni documenti datati 1306, i quali ricordano l'invenzione che risultò la più importante conquista della medicina di tutto il medioevo scoperta 20'anni prima cioè nel 1286. La prima testimonianza pittorica in assoluto della storia degli occhiali sostenuti dal naso, è il ritratto raffigurante Ugo di Saint Cher con degli occhiali ancorati al naso, tramite lo stesso metodo progettato da Alessandro da Spina 66 anni prima. I primi occhiali per lontano comparvero già nel XV secolo, confezionati con lenti biconcave per correggere la miopia. Di tali occhialine fecero uso in questo secolo anche papa Leone X (1475-1521) e la famiglia dei Medici fortemente miope. Verso la prima metà del XVI secolo comparvero le lenti ovali, ciò e testimoniato in una tela risalente al 1510 che ritrae quattro padri della Chiesa di cui uno portava occhiali a perno con lenti fortemente ovali. Le forme rettangolari e quadrate comparvero all'incirca verso il 1570, difatti nel 1572 l'elettore di Sassonia Augusto fece cercare delle lenti quadrate. Nel 1623 Dava de Valdes parlava di occhiali da cataratta e per protezione solare dette "conserve"; erano lenti in semplice vetro a forma di ferro di cavallo colorate in verde o azzurro. Keplero si era dato allo studio delle lenti a menisco e allo stesso tempo nel1611 M.C.Dominis parla delle lenti piano-sferiche attribuendone le capacità di avere un campo visivo maggiore rispetto alle biconvesse. Nel 1583 George Bartisch accusa gli occhiali di non avere capacità effettivamente correttive e invita i portatori di questi curiosi strumenti a far uso di infine quello di tartaruga >. Nel frattempo le fabbriche lavoravano a buon ritmo e nel 1721 gli operai salirono circa a 90, con 12 garzoni e tre maestri dell'arte; ma questo periodo così fruttante non durò molto, la moda cambiava rapidamente e vi era una forte pressione da parte della concorrenza estera, così prima del crollo della Repubblica anche le fabbriche conducevano un andamento non producente. Dopo questa caduta della gloriosissima Repubblica Veneta, da secoli ormai dominante dei mercati marittimi, dell'industria dell'occhiale non rimane altro che il nome di una calle > nella contrada di san Travaso dove nel 1796 si chiuse l'ultima occhialeria. Proprio in questo secolo vennero fatte grandi scoperte in campo oculistico e dell'ottica fisiologica mentre in Francia, Spagna, Olanda, Germania, Cecoslovacchia, Inghilterra e successivamente negli USA, sorsero grandi fabbriche di occhiali. Nomi molto importanti da ricordare nelle grandi scoperte sono: Cornelio Donders (1818-1889) che dopo Sturm approfondì gli studi dell'astigmatismo corneale, Gullstrand grande matematico che risolse numerosi ardui problemi di ottica che trovarono importanti risvolti nel campo pratico, Beniamino Franklin che verso la fine del '700 ideò gli occhiali bifocali. Pare che gli occhiali bifocali siano stati fatti anche da A. Smith (1783) e da S. Pierce (1760-1788).Le lenti sotto il nome di menischi furono fatte e studiate da Woliaston (1804), da Dolland e da Ostwald e furono chiamate periscopiche per la loro superficie più estesa che limitava le aberrazioni periferiche. Le lenti toriche furono ideate dall'ottico romano Suscipi che le chiamò così perché consistono nel toro di una colonna, di cui un segmento può considerarsi avere due curvature circolari, una perpendicolare all'altra e di raggio diverso. Le prime lenti prismatiche furono usate da Walls (1792) e da Chevallier (1841) per correggere strabismi. Questi grandi studi dettero un notevole contributo alla scienza medica non solo come valore teorico ma anche in campo pratico per venire in aiuto delle deficienze visive.
L'evoluzione della lente correttiva
Abbiamo visto che le prime lenti usate furono quelle biconvesse usate dagli studiosi per correggere le presbiopia poi vennero introdotte quelle biconcave per la miopia. Nel XIX secolo gli studi da parte dei matematici delle geometrie delle lenti e gli studi sull'occhio da parte degli oculisti, portò alla definizione dell'astigmatismo e di conseguenza alla diffusione delle lenti cilindriche, bicilindriche, sferocilindriche e toriche. Successivamente un gruppo di elementi tecnici nel campo furono le lenti bifocali, colorate da protezione solare e lenti da protezione meccanica.
Le lenti di contatto
Nel XVII secolo Cartesio, nella > (1637) proponeva di mettere a contatto con la cornea un tubo pieno d'acqua per accrescerne la potenza, così inoltre affermava che la cornea aveva un indice di rifrazione molto simile all'acqua (1.33). Con tale artifizio il potere della cornea veniva annullato e veniva impostata una determinata curvatura del vetro interno. Da qui nacque il principio del vetro aderente per correggere quelle particolari malformazioni corneali quali cheratocono e alcuni astigmatismi irregolari.
GLI OCCHIALI DI GALILEO
Gli "occhiali" di Galileo: problemi di restauro
Si deve a Galileo Galilei il perfezionamento di un giocattolo per il quale l'occhialaio olandese Hans Lipperhey aveva chiesto un brevetto nel 1608. L'inserimento di due lenti in un tubo permetteva di vedere più vicini gli oggetti lontani, ma gli Stati Generali rifiutarono la concessione del brevetto perché giudicarono che il dispositivo fosse facile, troppo facile a copiarsi. Infatti, nel giro di poco tempo, anche altri ne reclamarono la paternità. Come è noto, Galileo ne ebbe notizia da Paolo Scarpi, quando alcuni esemplari di questi dispositivi già circolavano in Italia. All'epoca, lo scienziato insegnava a Padova. Si mise all'opera e, con la collaborazione, pare, di Marc'Antonio Mazzoleni, produsse propri cannocchiali terrestri. Occorre precisare che il cannocchiale galileiano è del tipo detto anche olandese, consistente di una lente obiettiva convessa e di un oculare concavo. L'oculare è sistemato in modo che la sua focale interna coincida con quella della lente obiettiva. Ma, in realtà, l'occhiale galileiano è non solo il risultato del perfezionamento e potenziamento del tubo ottico: esso è un rivoluzionario strumento di osservazione e scoperta, uno strumento straordinario che permette l'estensione del senso della vista, un dispositivo che cambierà la storia dell'astronomia e aprirà la strada a sviluppi all'epoca inimmaginabili. Galileo costruì il suo primo cannocchiale nell'estate del 1609, a Padova, ed iniziò contemporaneamente le sue osservazioni. Di pari passo, lo scienziato proseguì nell'opera di potenziamento dello strumento, lavorando o facendo lavorare lenti migliori. Mentre era facile costruire un cannocchiale, non era così facile rendere le lenti capaci di maggiori ingrandimenti e nemmeno perfezionarle: gli occhialai e i costruttori di lenti non possedevano all'epoca le tecniche per farlo. I primi che ci riuscirono furono Galileo in Italia e Thomas Harriot in Inghilterra. Galileo presentò nell'agosto del 1609 al senato veneto il suo primo cannocchiale potenziato, il che gli valse un miglioramento nel tenore di vita e un aumento dello stipendio. Continuò poi a migliorare il suo strumento, giungendo a costruirne alcuni capaci di oltre 30 ingrandimenti. Rimane insoluto il dubbio se Galileo costruisse da sé i cannocchiali o se si facesse aiutare. Si sa però che la politura delle lenti, Galileo la affidò a Firenze a Ippolito Francini, a sua volta autore di lenti e cannocchiali firmati in proprio. Lo scienziato pisano chiamò il suo strumento "occhiale", lo presentò a Roma, all'Accademia dei Lincei, dove fu battezzato "telescopio", perché permetteva di vedere lontano. Con questo strumento, con lenti lavorate prima a Padova, poi a Firenze da abili artefici, Galileo osservò la luna e le sue montagne, le macchie solari, Venere e le sue fasi, Giove e i suoi satelliti, i 'pianeti medicei', come li chiamò Galileo, Saturno e le sue strane apparizioni. Di queste straordinarie scoperte, rese possibili dal cannocchiale, lo scienziato dette notizia nel Sidereus Nuncius, l'opera con la quale acquistò immediatamente una fama enorme e che egli dedicò a Cosimo de' Medici, assicurandosi così l'agognato ritorno in Toscana e favori di ogni genere. In quanto estensione di uno dei sensi, il cannocchiale ricoprì, come è noto, un ruolo centrale nella rivoluzione scientifica secentesca. Quello galileano, ancora primitivo, sarà da altri ottici perfezionato nel corso del Seicento, ma rimane in ogni caso il primo esempio di uno strumento ottico moderno e segnerà l'inizio delle ricerche astronomiche e delle osservazioni dell'universo. Ecco perché possiamo dire di essere di fronte a strumenti straordinari, unici e preziosi. I cannocchiali sono legati alle memorie galileiane e, come il resto della collezione conservata nel museo di storia della scienza, alla città di Firenze. Provenienti dalle raccolte medicee, essi sono gli unici due strumenti ottici certamente appartenuti allo scienziato pisano e passati nella collezione della Casata fiorentina. Dalla Galleria degli Uffizi, dove la gran parte della collezione era conservata, gli strumenti, nel 1771, passarono nel nascente Museo di Fisica e Storia Naturale, oggi Museo di Zoologia della Specola, voluto da Pietro Leopoldo di Lorena e inaugurato ufficialmente nel 1775. Nel 1807, nel momento dell'inaugurazione del Liceo di Scienze Fisiche e Naturali istituito dalla regina d'Etruria Maria Luisa, i due cannocchiali furono montati insieme alla lente su un supporto arricchito da una dedicatoria molto celebrativa. Nel 1841, con la costruzione della Tribuna di Galileo all'interno della Specola, il trofeo fu lì trasferito insieme alle altre reliquie galileiane e agli strumenti più antichi. Dopo la Prima Esposizione Nazionale di Storia della Scienza, avvenuta a Firenze, nel 1929, gli strumenti scientifici antichi passarono nel neonato Istituto e Museo di Storia della Scienza, aperto nel 1930 nella sede di Piazza dei Giudici. Dei due cannocchiali, il primo è costituito da una serie di listelli di legno incollati l'uno all'altro in modo da formare un tubo. Esternamente il tubo è ricoperto di pelle rossa con decorazioni in oro. All'interno del tubo si trovano tre diaframmi distanziati l'uno dall'altro. Alle estremità del tubo sono inseriti due cilindri estraibili, muniti di diaframmi e contenenti rispettivamente la lente obiettiva, biconvessa, originale, e la lente oculare, biconcava, secentesca, ma non di Galileo. Il cannocchiale era in pessimo stato di conservazione. La parte centrale presentava una marcata flessione, forse dovuta all'uso prolungato: lo schiacciamento del tubo aveva provocato la scollatura dei listelli di legno all'interno. Il tempo, gli spostamenti, le non sempre buone condizioni climatiche ed espositive hanno via via peggiorato lo stato dello strumento. La pelle divenuta sempre più arida si è spaccata e le spaccature si sono accentuate soprattutto nella zona centrale. Dal seicento ad oggi il cannocchiale non era mai stato restaurato: aveva assunto un significato simbolico, quasi mitico e era rimasto intoccato e intoccabile. L'intervento di restauro è stato compiuto nel 1996 e terminato in concomitanza con le celebrazioni del trentennale dell'alluvione. E' stato sponsorizzato dal Soroptimist International Club di Firenze, che ha inteso così ricordare e onorare la memoria della sua socia Maria Luisa Righini Bonelli, direttrice del museo fiorentino, che nel '66, durante l'alluvione, aveva fortunosamente salvato i propri cimeli. Il restauro doveva essere conservativo e di consolidamento, in modo da evitare il degrado, rimediare i danni senza alterare, né modificare in alcun modo la fisionomia e l'identità dello strumento. Sergio Boni, un vero maestro nell'arte del restauro della carta, ha affrontato con la serietà e la maestria che lo contraddistinguono il problema. Ne ha studiato prima le diverse possibilità e ha eseguito una serie di saggi preliminari. Dopo meditate considerazioni, per risolvere lo schiacciamento dei listelli, Boni ha trovato questa singolare ed efficace soluzione. Ha impiegato una sottile camera d'aria, inserita per tutta la lunghezza del tubo e gonfiata fino ad ottenere il sollevamento dei listelli stessi che sono stati immediatamente fissati con iniezioni di metilcellulosa. Le spaccature della pelle e le lacune sulla superficie sono state saldate e integrate con vecchia pelle sfibrata e applicata con metilcellulosa. Anche i diaframmi all'interno del tubo sono stati consolidati con metilcellulosa. Le montature di legno delle lenti erano vistosamente corrose dai tarli. Esse sono state disinfestate e quindi integrate con carta giapponese di medio spessore, "cotonata" e applicata con metilcellulosa, in modo da consolidare perfettamente la struttura dei cilindri scorrevoli. Il consolidamento così ottenuto è il risultato di tentativi sperimentali che hanno prodotto un metodo completamente nuovo e originale, ideato da Sergio Boni, e assolutamente reversibile. Le saldature e le integrazioni sono state poi ritoccate pittoricamente a neutro. Infine la pelle è stata protetta con crema di cera. Il secondo strumento è costituito da due mezzi tubi di legno ricoperti di carta e tenuti insieme da fili di rame. Anche questo cannocchiale era in pessimo stato di conservazione: il legno povero tarlato, la superficie dei tubi spaccata in più punti, la carta assai rovinata. Le montature delle lenti obbiettiva e oculare, entrambe originali, erano anch'esse molto rovinate e presentavano vistose lacune. Questo cannocchiale, inoltre, era associato tradizionalmente al nome di Galileo, ma non esistevano prove concrete di questa associazione. Il delicato restauro, effettuato dallo stesso Sergio Boni nel corso del 1997, ha permesso un consolidamento delle parti più cedevoli realizzato con metilcellulosa e pasta di carta giapponese. La pulitura, inoltre, ha reso possibile la lettura di parti finora non chiare. Così è emersa l'indicazione manoscritta che collega direttamente, e non più ipoteticamente, lo strumento a Galileo. Infatti, sulla montatura della lente obbiettiva, si legge l'indicazione "dist: focal… piedi 3 p…". La calligrafia è senza dubbio quella di Galileo e la misura è quella padovana. Lo strumento quindi può essere con buona probabilità collegato al periodo padovano dello scienziato, potrebbe essere uno dei primi da lui costruiti, dato anche il carattere così povero e primitivo dello strumento, e potrebbe essere stato portato a Firenze direttamente da Galileo quando vi fece ritorno nel 1610, come matematico primario del Granduca. In conclusione, siamo di fronte a interventi di restauro che non solo si segnalano per aver affrontato con grande serietà e professionalità oggetti di tale rilievo, ma anche hanno permesso la decifrazione storica e scientifica di due strumenti che, proprio per il loro essere legati al "mito" Galileo poco erano stati approfonditi scientificamente. Il restauro li ha quindi restituiti non solo alla conservazione museale, ma anche al mondo della ricerca e della scoperta al quale appartengono di diritto.
GLI OCCHIALI NEGLI ANNI TRENTA
Occhiali negli anni trenta: parte alla grande "il sole"
Negli anni Trenta il bisogno di proteggere la vista dalla luce abbagliante del sole, dai riflessi dell'acqua in movimento e dal bianco delle nevi, rese addirittura indispensabile l'uso delle lenti colorate, in questo caso montate su fusti di materiale sintetico (come la celluloide, non soggetta a surriscaldamento come succedeva, invece, alle montature di metallo che diventavano importabili). Anche sulle riviste, con gli ultimi modelli di abiti consigliati per il mare e la spiaggia, comparvero occhiali da sole per signora in celluloide bianca o trasparente: occhiali che lentamente si avviavano a divenire un accessorio indispensabile al look per così dire sportivo-elegante. Le forme variavano dal triangolare all'ottagonale e la rivisitazione di qualche modello li avvicinava a occhiali da motociclista o da saldatore. Normali quelle con lenti marrone e montatura di celluloide "uso" tartaruga, eccentrici quelli a forma di corolla di fiore. Una variante alle montature di "serie" era rappresentata da quella sempre in materiale sintetico, un po' più ampia e che al posto delle astine (stanghette) presentava una fessura, ideale per far passare il foulard da annodare sulla nuca: un tocco di colore ton sur ton con l'abito che si indossava. E poiché aria e sole potevano danneggiare il contorno occhi, alle signore degli anni Trenta gli occhiali da sole venivano vivamente consigliati per ovviare a spiacevoli rughe antiestetiche e precoci. Ecco perché, insieme a creme abbronzanti, nutrienti e curative, in quegli anni gli occhiali comparvero sempre più di frequente come una protezione indispensabile per la salute della propria pelle. Tra tutti i modelli, quelli in celluloide bianca con lenti blu furono un vero trionfo.
E per gli uomini?
Per gli uomini nessuna frivolezza: l'occhiale per loro era soltanto simbolo di serietà. Gli occhiali, infatti, rappresentavano un modo per ostentare il proprio "status", il proprio ceto sociale, insomma, un qualcosa da esibire a ogni costo. Le lenti, invece, erano aborrite dai giovanotti italiani, perché ammettevano palesemente un'inferiorità. Il regime fascista addirittura disdegnava gli occhialuti, soprattutto nel caso appartenessero alla categoria degli intellettuali. Infatti, la dottrina di Mussolini propugnava ideali di forza e di superomismo ai quali mal si sarebbero sposati un paio di occhiali sul naso volitivo. Si narra che il Duce avesse fatto adattare, per la sua segretaria personale, una macchina da scrivere con le lettere dei tasti ingrandite, perché "Lui" non dovesse ricorrere agli occhiali per leggere le quotidiane note informative. Scrittori, artisti, uomini politici, ostentavano occhiali dalle montature rotonde con o senza astine, di metallo o di celluloide nera, seri e impersonali, resi famosi se indossati da personaggi come Bertold Brecht, il commediografo tedesco. Le Corbusier, invece, disegnò la sua personalissima montatura, che divenne nota come "ammiccamento d'intesa" tra gli allievi, ammiratori, simpatizzanti, seguaci e studiosi delle rivoluzionarie teorie di uno dei massimi esponenti del design e dell'architettura del XX secolo. Anche gli occhiali da sole per uomo assunsero una connotazione di serietà. Le uniche bizzarrie erano concesse agli sportivi, per i quali continuò una produzione specifica e mirata. In montagna le lenti gialle aiutavano a proteggersi dal riverbero sulla neve. Mentre in motocicletta, mezzo ai tempi sempre più in uso, l'utilizzo dell'occhiale divenne assolutamente indispensabile: occhialoni enormi e super protettivi, proprio come i corridori automobilistici, dai quali i "centauri" adottarono casco di cuoio e berretto a visiera, oltre che, appunto, gli occhiali.
Usi e costumi a "stelle e strisce"
Anche grazie al contributo degli americani, l'uso degli occhiali divenne consuetudine. E ciò, proprio per merito dei gangster del proibizionismo, i quali, approfittando delle loro proprietà "mascheranti", inforcavano scure lenti fumé che li rendevano criminalmente popolari non solo nei film. In doppiopetto scuro, con le Duilio ai piedi nella versione tinta unita o bicolori (marrone e crema o nere e bianche), l'impermeabile stretto in vita e l'immancabile cappello a tesa larga, con o senza sigaro in bocca, ma sempre con gli occhiali scuri, per occultarsi, e qualche pistola infilata nelle tasche o nella fondina sotto l'ascella. Fu proprio così che la figura del gangster italo-americano entrò nella leggenda, anche grazie alla divulgazione che ne fece il cinema americano. Inoltre, sempre restando negli States, i responsabili dell'aviazione militare si rivolsero alla Bausch & Lomb, una delle più importanti fabbriche americane di lenti, per risolvere il problema della luce abbagliante per i piloti dell'aeronautica quando volavano ad alta quota. Venne dunque ideato quel particolare tipo di occhiale da sole, con lenti verdi a goccia con una curvatura per l'assorbimento dei raggi solari, che anche il generale McArthur inforcava nelle sue missioni durante la seconda guerra mondiale. Usciti dopo la guerra dallo stretto ambito militare, furono universalmente riconosciuti, usati e apprezzati come Ray-Ban, concettualmente traducibile in "para-raggio" - solare, ovviamente. Corollario degli occhiali da sole, succedanea in situazioni sportive, con funzioni protettive era la visiera arrotondata di celluloide verde, tenuta sulla fronte da una fascia elastica che passava dietro alla nuca; venne usata dai tennisti, per i quali gli occhiali da sole avrebbero rappresentato un serio impiccio. In ambito meno oculare, la stessa visiera veniva utilizzata dai giocatori d'azzardo, dai "pokeristi", per proteggersi da sguardi indiscreti oltre che dalla luce artificiale, durante le lunghe nottate trascorse ai tavoli verdi del gioco clandestino.
Da Seneca alla fine del XVII secolo
Seneca, precettore di Nerone, sapeva che piccoli oggetti osservati attraverso una sfera di vetro colma di acqua apparivano ingranditi. Plinio, invece, nei suoi scritti diceva che Nero princeps gladiatorum pugnas spectabat in smaragdo, forse perché un certo "taglio" dello smeraldo consentiva un ingrandimento casuale o forse perché il verde di questa pietra fungeva da riposante per la vista. I Romani poi utilizzavano un particolare elmetto da guerra, ocularium, che in corrispondenza degli occhi aveva uno o due fori coperti da cristalli per proteggerli dalla polvere.
Occhiali fessurati in legno (Australia, 1989)
Il fisico arabo Ibn Al Haitam detto Alhazen (vissuto tra il 990 e il 1038), e due secoli dopo Ruggero Bacone (1214-1294), si avvicinarono alla scoperta della lente, ma rimanendone a un passo: insistevano nel porre la lente sopra l'oggetto da ingrandire anziché direttamente davanti agli occhi. Si creò comunque una prima distinzione tra lente di ingrandimento, detta lapides ad legendum o pere da lazer a Venezia e gli occhiali detti vitreos ab oculis ad legendum o "roidi da ogli", molto diffusi alla fine del Duecento e considerati un accessorio indicativo del ruolo intellettuale e del rango di chi li indossava. Si dice che il primo vero occhiale sia comparso per opera di un artigiano vetraio rimasto ignoto, nel 1300, quando venne formalizzata una serie di norme della corporazione degli artigiani vetrai veneziani. Allora le lenti erano in cristallo di rocca o in berillio. Inizialmente fu severamente proibito ai vetrai di vendere sia gli occhiali che le lenti come fossero cristalli. Ma, dopo un anno circa, i sovrintendenti alle Arti permisero, a chi lo voleva, di fare i vitreos ab oculis ad legendum, così che questi prodotti divennero peculiarità degli artigiani vetrai veneziani. Poco tempo dopo in un suo manoscritto fra Giordano da Rivalto, morto nel 1313, dichiarava: "Non è ancora vent'anni che si trovò l'arte di fare gli occhiali che fanno veder bene".
Input a costruire occhiali e primi modelli
I primi occhiali erano costituiti da due lenti rotonde cerchiate di cuoio riunite da due piccoli segmenti legati a un perno affinché rimanessero più stabili in viso. Due "legacci", sempre in cuoio, da annodarsi intorno al capo ne assicuravano maggiormente la fermezza. Nel Medioevo a stimolare la costruzione di occhiali non furono certo le necessità degli studiosi, all'epoca una rarità, bensì il numero di contabili in continuo aumento grazie al crescente progresso sociale ed economico del tempo. Ebbene, fu proprio la necessità di leggere nitidamente pagine intrise di numeri e ordinativi a segnare la storia degli occhiali. I primi occhiali avevano lenti convesse e correggevano solo la presbiopia dei vecchi. Anzianità era sinonimo di saggezza e il più grande omaggio reso a un uomo di rispetto era ritrarlo con un paio di occhiali inforcati sul naso. Gli occhiali, da allora, assunsero un valore allegorico e, inoltre, diventando attributo tipico di San Gerolamo, considerato precursore dell'Umanesimo cristiano, si arricchirono del significato simbolico allusivo alla "vista" di chi sa intuire chiaramente la verità.
Folli allegorie
Nel Quattrocento comparvero anche le prime lenti concave per i miopi e l'esigenza di creare un sistema ancor più idoneo che a contenerle divenne urgente, perché non servivano più solo per la lettura. Furono fermati dietro le orecchie da un'asola di cuoio passante e sulla fronte da un sostegno verticale di metallo che curvandosi si affrancava alla testa con un berretto o con una fascia frontale. Da alcune tracce di rapporti epistolari tra nobildonne e nobiluomini dell'epoca si rileva che il commercio e l'uso degli occhiali erano all'epoca molto diffusi (Alessandra Maccinghi Strozzi li citava nelle sue lettere al figlio; il duca Francesco Sforza ordinò per lettera a Niccodemo Tancredini tre dozzine di occhiali, un documento che tra l'altro comprova che anche Firenze si stava specializzando negli occhiali). Tra il Quattrocento e il Cinquecento agli occhiali venne attribuito anche un valore demoniaco: gli occhiali divennero superbo attributo di Lucifero. Mentre per le allegorie magiche del Nordeuropea del XVI secolo, legate all'alchimia, a scienze occulte e ermetismo, gli occhiali divennero caratteristica distintiva del folle. La tradizione popolare, infatti, rappresentava i dotti, i sapienti e gli studiosi diventati matti - giacché vittime della troppa cultura - con cappuccio tintinnante di campanelli e con gli occhiali.
Un occhiale per tutti, dagli antichi sportivi alla nobiltà barocca
Nei secoli seguenti, l'impiego di molle e passi flessibili assicurarono gli occhiali sul naso, e vennero impiegati materiali più leggeri. Il legno e il corno (pesantissimi) provocavano, infatti, nasi gonfi e insopportabili emicranie. Nel XVI secolo i modelli con le stringhe di cuoio per legarli intorno alla testa assunsero connotazioni sportive, assolutamente impensabili all'epoca: i pescatori siciliani li usavano tuffandosi per la raccolta del corallo. L'occhiale divenne uno degli oggetti più preziosi nella mercanzia dei venditori ambulanti. Nel secolo barocco, oro e argento finemente cesellati, incastonati di gemme, adattarono gli occhiali al gusto ridondante dei ricchi e dell'epoca. Nel Seicento la lente singola tenuta da un manico prezioso era in auge per la lettura di corrispondenze galanti, per la "vista lunga" e per apprezzare anche da lontano le rappresentazioni dei teatri di corte. Nel frattempo fanno la loro comparsa gli occhiali da parrucca, con un prolungamento metallico per farli stare fermi davanti agli occhi, da infilare sotto la parrucca stessa o sotto il berretto. Un sistema talmente poco pratico che fu presto sostituito dall'invenzione degli "occhiali da tempia", ossia con le astine o stanghette, perfezionate e commercializzate intorno al 1727/1730 dall'ottico londinese Edward Scarlett. Inizialmente le stanghette non arrivavano fin dietro le orecchie, ma esercitando pressione sulle tempie garantivano comunque stabilità. Spesso erano invece dotate di anelli cui legare dei nastri da fermare poi dietro la testa, come era in uso nel Cinquecento e nel Seicento. E proprio in quel periodo nacque l'espressione "quattr'occhi e due stanghette", per definire un occhialuto.

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