Galileo Galilei

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Testo

GALILEO GALILEI

Galileo non diventò mai medico, perché la matematica lo distolse dal suo intento originale. La forza del ragionamento matematico lo colpì talmente da suscitare in lui l’interesse ad applicarlo ai fenomeni della natura, al modo in cui gli oggetti si muovono e cadono. Intraprese questo studio del moto in maniera originale, con un acuto senso di osservazione e giudizio oggettivo. Ciò che imparò lo fece allontanare un po’ alla volta dalla tradizione stabilita. I suoi insegnanti studiavano la scienza soltanto sui libri; i pochi che la studiavano dalla natura troppo spesso si fermavano all’osservazione dei fenomeni naturali e non facevano esperimenti scientifici, nel senso accettato nella scienza moderna. Galileo invece inventò esperimenti, ritenendoli una parte essenziale della pratica scientifica, e giunse a considerarli il criterio per distinguere tra le illimitate possibilità dell’immaginazione umana e la realtà del mondo fisico. Per evitare l’influenza soggettiva e raggiungere la completa obiettività, descrisse i fenomeni naturali e i risultati dei suoi esperimenti nel rigoroso linguaggio della matematica.
Insegnò il suo modi di eseguire e di interpretare gli esperimenti ad allievi e a profani. Anche in questo fu un innovatore: Andò contro l’abitudine consacrata di scrivere di scienza in latino ad uso di pochi dotti in paesi stranieri e scrisse invece in italiano, in uno stile divulgativo piacevole, che poteva essere compreso da chiunque sapesse leggere e scrivere. I suoi libri, accolti con grande interesse e tradotti in altre lingue, erano e sono tuttora modelli per coloro che riconoscono la forza della scienza e il suo posto essenziale nella cultura.

L’AUTORITA’ DI ARISTOTELE

Uno dei corsi fondamentali che Galileo doveva prendere all’università era la filosofia di Aristotele, il grande pensatore greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo (384-322 a. C.). al tempo di Galileo la parola “filosofia”, che in greco significa “amore della sapienza”, aveva un significato molto più vasto di quello che ha oggi, e includeva lo studio di tutti i fenomeni naturali. Aristotele scrisse un gran numero di libri in cui espose tutta la conoscenza filosofica e scientifica del suo tempo con ampiezza di visione, una forza di sintesi e un’originalità che non sono mai state eguagliate. Fondò anche una scuola che ebbe molti seguaci e che esercitò una grande influenza sulle culture greca e latina.
Dell’enorme volume delle opere di Aristotele, Galileo studiò principalmente gli scritti sulla logica, sul moto e sulla struttura dell’universo.
Molti filosofi prima di Aristotele avevano osservato il cielo e speculato su quel che vi vedevano: le miriadi di stelle fisse, l’apparenza complicata dei percorsi delle stelle mobili (che noi oggi chiamiamo pianeti), la relazione della terra col sole e colla luna. Molti avevano cercato di rappresentare quanto avevano visto con sistemi coerenti, servendosi spesso di complicati schemi geometrici e matematici per spiegare il moto dei corpi celesti.
Aristotele non riteneva che la matematica fosse necessaria per spiegare cambiamento e moto. La sua filosofia della natura che oggi può sembrarci primitiva si basava sull’apparenza immediata dei fenomeni. Vedeva, per esempio, mutamento e corruzione sulla terra ma mai sul sole e sulle stelle. Non considerava la possibilità che mutamento e corruzione avessero luogo sul sole e sulle stelle come sulla terra ma che non si vedessero per via della gran distanza del sole e delle stelle dal globo terrestre. Asserì invece che sole e stelle erano perfetti e immutabili.
Nell’universo di Aristotele la terra era al centro e tutti i corpi celesti le ruotavano attorno, muovendosi su sfere trasparenti. Si muovevano di moto circolare uniforme, la più perfetta forma di moto, secondo gli antichi. L’universo era diviso in due regioni: una regione sublunare, al di sotto della sfera in cui si muoveva la luna, e una regione esterna, dalla sfera della luna a quella delle stelle fisse. Nella regione sublunare ogni cosa era composta di quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco; tutto era corruttibile e passibile di mutamento e ci poteva essere morte e nascita. Nella regione esterna, che conteneva i pianeti e le stelle, tutto era fatto di etere perfetto, immutabile ed eterno.
La scienza della cosmologia aveva fatto certamente progressi dal tempo di Aristotele, ma la maggior parte dei filosofi accettava ancora soltanto quei risultati dell’osservazione che si potevano far conciliare con il sistema aristotelico dell’universo.
Il giovane Galileo cominciò a studiare con diligenza i testi di Aristotele, come apprendiamo dai commentari in latino, Juvenilia, che scrisse quando era studente a Pisa. Più si addentrava nelle letture e più si convinceva che a Pisa aveva parecchi maestri, ma che in realtà ne aveva uno solo: questo filosofo Aristotele, che era morto da diciotto secoli. In tutte le questioni che riguardavano lo studio della natura, Aristotele era la fonte dell’autorità; sia nei suoi stessi scritti che nei commenti di coloro che a poco a poco avevano modificato o alterato il punto di vista aristotelico.
Sebbene da principio seguisse la corrente generale, Galileo passò la maggior parte della sua vita di adulto in una lotta contro la tradizione aristotelica e gli uomini che l’accettavano ciecamente.
Aristotele aveva avuto u grande seguito nel mondo greco e in quello latino, ma dopo la caduta dell’impero romano molte delle sue opere andarono perdute agli effetti della civiltà occidentale o rimasero in mano a pochi religiosi; e in pratica dimenticate per parecchi secoli. Sopravvissero solo nel mondo bizantino, l’erede culturale dell’antica Grecia. Furono presto tradotte, prima dal greco in siriaco e dopo la conquista della Siria da parte degli arabi, dal siriaco in arabo. Nel dodicesimo e nel tredicesimo secolo queste traduzioni arabe, e le interpretazioni arabe degli scritti di Aristotele, furono tradotte in latino. In tutte queste peripezie il pensiero di Aristotele aveva subito cambiamenti e deformazioni. Lui stesso avrebbe avuto difficoltà a riconoscere alcune delle opinioni che gli venivano attribuite.
Poco tempo dopo furono ritrovati a Costantinopoli, l’antica Bisanzio, parecchi testi greci di Aristotele, e vennero tradotti direttamente dal greco in latino da monaci cattolici, incoraggiati da S. Tommaso d’Aquino. S. Tommaso stesso studiò Aristotele e scrisse commentari che attraverso i secoli influenzarono profondamente il pensiero della Chiesa. C’erano nelle opere di Aristotele importanti idee che S. Tommaso non poté identificare esplicitamente con i dogmi religiosi della Chiesa, ma la costruzione armoniosa e predeterminata che Aristotele attribuiva all’universo trovò un posto perfetto fra quegli ideali. S. Tommaso diede forma cristiana al pensiero aristotelico: la perfezione greca, un’idea astratta, geometrica ed estetica, si trasformò nella perfezione delle opere di Dio; i fenomeni naturali, e in particolare i moti eterni dei corpi celesti, divennero un riflesso di quella perfezione, e il loro fine ultimo divenne quello di glorificare Iddio, la Sua volontà e i Suoi fini imperscrutabili.
Col passare degli anni Galileo criticò e respinse molte delle opinioni di Aristotele. Presto divenne uno dei più implacabili demolitori delle dottrine di Aristotele, e forse il più efficace. Non fu, tuttavia, né il primo né l’unico del suo tempo, perché in Europa il sedicesimo e il diciassettesimo secolo furono caratterizzati da un processo di profonda revisione della filosofia della natura. In poco meno di un secolo questo processo mutò l’immagine che l’uomo aveva dell’universo più radicalmente e rapidamente di quanto non fosse mai successo prima nella storia. Ma anche prima che ciò cominciasse era stata sollevata qualche seria critica alla struttura aristotelica consacrata. All’università di Parigi nel quattordicesimo secolo, per esempio, il francese Jean Buridan e altri non avevano accettato la spiegazione aristotelica del moto. Sappiamo che il moto di un corpo originariamente in stato di riposo è causato da forze. Per il filosofo greco una forza (o più precisamente la causa della velocità) non poteva essere separata da un essere, uomo o Dio, che ne percepisse in qualche modo l’intensità. Inoltre Aristotele riteneva che gli oggetti si muovessero solo quando una forza agiva su di essi; se la forza agente su di un corpo in moto non si poteva distinguere chiaramente ciò era dovuto al fatto che le particelle di aria circostante ne propagavano e ne mantenevano l’azione. Quando un corpo riceveva una spinta incominciava a muoversi, lasciando un vuoto dietro di sé; in questo vuoto si precipitavano particelle di aria che spingevano il corpo in avanti, perché la natura, come credeva la maggior parte degli antichi, “aborre il vuoto”. Buridan si diede a cercare una spiegazione più razionale del moto, e in ciò fu uno dei più eminenti precursori di Galileo.
Nessuna accettazione acritica delle opinioni di un solo uomo poteva accordarsi con lo spirito indipendente di Galileo e con l’educazione liberale che aveva ricevuto in famiglia. Suo padre, Vincenzo, era un uomo di idee liberali ed era abituato ad esprimerle apertamente. Circa all’epoca in cui Galileo entrava all’università, Vincenzo pubblicò un Dialogo della Musica Antica e Moderna in cui faceva dire a uno dei suoi interlocutori: “Mi sembra che coloro che per prova di una qualsiasi affermazione si basano semplicemente sul peso dell’autorità, senza addurre alcun argomento a suo sostegno, agiscano in maniera molto assurda. Io, al contrario voglio poter liberamente interrogarvi e liberamente rispondervi senza alcun tipo di adulazione, come ben fanno coloro che ricercano la verità”.
Il figlio di un uomo che poteva scrivere a questa maniera era destinato ad accorgersi un po’ alla volta che i suoi insegnanti a Pisa si comportavano proprio nella maniera considerata assurda da suo padre. A Pisa, come in altre università europee, c’erano una grande rigidità e un’inerzia mentale che possono oggi sorprenderci. Si facevano notare specialmente in tutto quel che riguarda la scienza, non esclusa la medicina che era allora mescolata e confusa con la filosofia, la teologia e l’astrologia. L’ardita libertà di pensiero del rinascimento era rimasta nei limiti ampi ma definiti delle magnifiche opere d’arte e non aveva ancora scavalcato la barriera della filosofia tradizionale, che era diventata ormai strettamente collegata alle credenze religiose.
Le correnti che tendevano a indebolire queste barriere cominciarono a formarsi nel sedicesimo secolo come conseguenza naturale delle innovazioni intellettuali del rinascimento. Il giovane Galileo, essendo figlio di un padre che era ad un tempo musicista e matematico, deve essere stato specialmente sensibile a queste nuove correnti e preparato ad accoglierne le innovazioni. E poiché i suoi rispettabilissimi maestri non erano aperti a queste innovazioni, lesse direttamente in “questo immenso libro che la natura tiene aperto davanti a coloro che hanno occhi nella loro fronte e cervelli”.
E così fece la prima scoperta, secondo Vincenzo Viviani (1622-1703) che fu il suo allievo più devoto e il suo primo biografo. Ma nel riferire gli episodi della vita del suo maestro, Viviani che incontrò Galileo soltanto quando questi era molto avanti negli anni, spesso li abbellì; e così può aver fatto nel scrivere la prima scoperta fatta dal suo vecchio maestro quando era un giovane studente. La storia della scoperta ha tuttavia un significato importante.

GALILEO GALILEI

Galileo non diventò mai medico, perché la matematica lo distolse dal suo intento originale. La forza del ragionamento matematico lo colpì talmente da suscitare in lui l’interesse ad applicarlo ai fenomeni della natura, al modo in cui gli oggetti si muovono e cadono. Intraprese questo studio del moto in maniera originale, con un acuto senso di osservazione e giudizio oggettivo. Ciò che imparò lo fece allontanare un po’ alla volta dalla tradizione stabilita. I suoi insegnanti studiavano la scienza soltanto sui libri; i pochi che la studiavano dalla natura troppo spesso si fermavano all’osservazione dei fenomeni naturali e non facevano esperimenti scientifici, nel senso accettato nella scienza moderna. Galileo invece inventò esperimenti, ritenendoli una parte essenziale della pratica scientifica, e giunse a considerarli il criterio per distinguere tra le illimitate possibilità dell’immaginazione umana e la realtà del mondo fisico. Per evitare l’influenza soggettiva e raggiungere la completa obiettività, descrisse i fenomeni naturali e i risultati dei suoi esperimenti nel rigoroso linguaggio della matematica.
Insegnò il suo modi di eseguire e di interpretare gli esperimenti ad allievi e a profani. Anche in questo fu un innovatore: Andò contro l’abitudine consacrata di scrivere di scienza in latino ad uso di pochi dotti in paesi stranieri e scrisse invece in italiano, in uno stile divulgativo piacevole, che poteva essere compreso da chiunque sapesse leggere e scrivere. I suoi libri, accolti con grande interesse e tradotti in altre lingue, erano e sono tuttora modelli per coloro che riconoscono la forza della scienza e il suo posto essenziale nella cultura.

L’AUTORITA’ DI ARISTOTELE

Uno dei corsi fondamentali che Galileo doveva prendere all’università era la filosofia di Aristotele, il grande pensatore greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo (384-322 a. C.). al tempo di Galileo la parola “filosofia”, che in greco significa “amore della sapienza”, aveva un significato molto più vasto di quello che ha oggi, e includeva lo studio di tutti i fenomeni naturali. Aristotele scrisse un gran numero di libri in cui espose tutta la conoscenza filosofica e scientifica del suo tempo con ampiezza di visione, una forza di sintesi e un’originalità che non sono mai state eguagliate. Fondò anche una scuola che ebbe molti seguaci e che esercitò una grande influenza sulle culture greca e latina.
Dell’enorme volume delle opere di Aristotele, Galileo studiò principalmente gli scritti sulla logica, sul moto e sulla struttura dell’universo.
Molti filosofi prima di Aristotele avevano osservato il cielo e speculato su quel che vi vedevano: le miriadi di stelle fisse, l’apparenza complicata dei percorsi delle stelle mobili (che noi oggi chiamiamo pianeti), la relazione della terra col sole e colla luna. Molti avevano cercato di rappresentare quanto avevano visto con sistemi coerenti, servendosi spesso di complicati schemi geometrici e matematici per spiegare il moto dei corpi celesti.
Aristotele non riteneva che la matematica fosse necessaria per spiegare cambiamento e moto. La sua filosofia della natura che oggi può sembrarci primitiva si basava sull’apparenza immediata dei fenomeni. Vedeva, per esempio, mutamento e corruzione sulla terra ma mai sul sole e sulle stelle. Non considerava la possibilità che mutamento e corruzione avessero luogo sul sole e sulle stelle come sulla terra ma che non si vedessero per via della gran distanza del sole e delle stelle dal globo terrestre. Asserì invece che sole e stelle erano perfetti e immutabili.
Nell’universo di Aristotele la terra era al centro e tutti i corpi celesti le ruotavano attorno, muovendosi su sfere trasparenti. Si muovevano di moto circolare uniforme, la più perfetta forma di moto, secondo gli antichi. L’universo era diviso in due regioni: una regione sublunare, al di sotto della sfera in cui si muoveva la luna, e una regione esterna, dalla sfera della luna a quella delle stelle fisse. Nella regione sublunare ogni cosa era composta di quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco; tutto era corruttibile e passibile di mutamento e ci poteva essere morte e nascita. Nella regione esterna, che conteneva i pianeti e le stelle, tutto era fatto di etere perfetto, immutabile ed eterno.
La scienza della cosmologia aveva fatto certamente progressi dal tempo di Aristotele, ma la maggior parte dei filosofi accettava ancora soltanto quei risultati dell’osservazione che si potevano far conciliare con il sistema aristotelico dell’universo.
Il giovane Galileo cominciò a studiare con diligenza i testi di Aristotele, come apprendiamo dai commentari in latino, Juvenilia, che scrisse quando era studente a Pisa. Più si addentrava nelle letture e più si convinceva che a Pisa aveva parecchi maestri, ma che in realtà ne aveva uno solo: questo filosofo Aristotele, che era morto da diciotto secoli. In tutte le questioni che riguardavano lo studio della natura, Aristotele era la fonte dell’autorità; sia nei suoi stessi scritti che nei commenti di coloro che a poco a poco avevano modificato o alterato il punto di vista aristotelico.
Sebbene da principio seguisse la corrente generale, Galileo passò la maggior parte della sua vita di adulto in una lotta contro la tradizione aristotelica e gli uomini che l’accettavano ciecamente.
Aristotele aveva avuto u grande seguito nel mondo greco e in quello latino, ma dopo la caduta dell’impero romano molte delle sue opere andarono perdute agli effetti della civiltà occidentale o rimasero in mano a pochi religiosi; e in pratica dimenticate per parecchi secoli. Sopravvissero solo nel mondo bizantino, l’erede culturale dell’antica Grecia. Furono presto tradotte, prima dal greco in siriaco e dopo la conquista della Siria da parte degli arabi, dal siriaco in arabo. Nel dodicesimo e nel tredicesimo secolo queste traduzioni arabe, e le interpretazioni arabe degli scritti di Aristotele, furono tradotte in latino. In tutte queste peripezie il pensiero di Aristotele aveva subito cambiamenti e deformazioni. Lui stesso avrebbe avuto difficoltà a riconoscere alcune delle opinioni che gli venivano attribuite.
Poco tempo dopo furono ritrovati a Costantinopoli, l’antica Bisanzio, parecchi testi greci di Aristotele, e vennero tradotti direttamente dal greco in latino da monaci cattolici, incoraggiati da S. Tommaso d’Aquino. S. Tommaso stesso studiò Aristotele e scrisse commentari che attraverso i secoli influenzarono profondamente il pensiero della Chiesa. C’erano nelle opere di Aristotele importanti idee che S. Tommaso non poté identificare esplicitamente con i dogmi religiosi della Chiesa, ma la costruzione armoniosa e predeterminata che Aristotele attribuiva all’universo trovò un posto perfetto fra quegli ideali. S. Tommaso diede forma cristiana al pensiero aristotelico: la perfezione greca, un’idea astratta, geometrica ed estetica, si trasformò nella perfezione delle opere di Dio; i fenomeni naturali, e in particolare i moti eterni dei corpi celesti, divennero un riflesso di quella perfezione, e il loro fine ultimo divenne quello di glorificare Iddio, la Sua volontà e i Suoi fini imperscrutabili.
Col passare degli anni Galileo criticò e respinse molte delle opinioni di Aristotele. Presto divenne uno dei più implacabili demolitori delle dottrine di Aristotele, e forse il più efficace. Non fu, tuttavia, né il primo né l’unico del suo tempo, perché in Europa il sedicesimo e il diciassettesimo secolo furono caratterizzati da un processo di profonda revisione della filosofia della natura. In poco meno di un secolo questo processo mutò l’immagine che l’uomo aveva dell’universo più radicalmente e rapidamente di quanto non fosse mai successo prima nella storia. Ma anche prima che ciò cominciasse era stata sollevata qualche seria critica alla struttura aristotelica consacrata. All’università di Parigi nel quattordicesimo secolo, per esempio, il francese Jean Buridan e altri non avevano accettato la spiegazione aristotelica del moto. Sappiamo che il moto di un corpo originariamente in stato di riposo è causato da forze. Per il filosofo greco una forza (o più precisamente la causa della velocità) non poteva essere separata da un essere, uomo o Dio, che ne percepisse in qualche modo l’intensità. Inoltre Aristotele riteneva che gli oggetti si muovessero solo quando una forza agiva su di essi; se la forza agente su di un corpo in moto non si poteva distinguere chiaramente ciò era dovuto al fatto che le particelle di aria circostante ne propagavano e ne mantenevano l’azione. Quando un corpo riceveva una spinta incominciava a muoversi, lasciando un vuoto dietro di sé; in questo vuoto si precipitavano particelle di aria che spingevano il corpo in avanti, perché la natura, come credeva la maggior parte degli antichi, “aborre il vuoto”. Buridan si diede a cercare una spiegazione più razionale del moto, e in ciò fu uno dei più eminenti precursori di Galileo.
Nessuna accettazione acritica delle opinioni di un solo uomo poteva accordarsi con lo spirito indipendente di Galileo e con l’educazione liberale che aveva ricevuto in famiglia. Suo padre, Vincenzo, era un uomo di idee liberali ed era abituato ad esprimerle apertamente. Circa all’epoca in cui Galileo entrava all’università, Vincenzo pubblicò un Dialogo della Musica Antica e Moderna in cui faceva dire a uno dei suoi interlocutori: “Mi sembra che coloro che per prova di una qualsiasi affermazione si basano semplicemente sul peso dell’autorità, senza addurre alcun argomento a suo sostegno, agiscano in maniera molto assurda. Io, al contrario voglio poter liberamente interrogarvi e liberamente rispondervi senza alcun tipo di adulazione, come ben fanno coloro che ricercano la verità”.
Il figlio di un uomo che poteva scrivere a questa maniera era destinato ad accorgersi un po’ alla volta che i suoi insegnanti a Pisa si comportavano proprio nella maniera considerata assurda da suo padre. A Pisa, come in altre università europee, c’erano una grande rigidità e un’inerzia mentale che possono oggi sorprenderci. Si facevano notare specialmente in tutto quel che riguarda la scienza, non esclusa la medicina che era allora mescolata e confusa con la filosofia, la teologia e l’astrologia. L’ardita libertà di pensiero del rinascimento era rimasta nei limiti ampi ma definiti delle magnifiche opere d’arte e non aveva ancora scavalcato la barriera della filosofia tradizionale, che era diventata ormai strettamente collegata alle credenze religiose.
Le correnti che tendevano a indebolire queste barriere cominciarono a formarsi nel sedicesimo secolo come conseguenza naturale delle innovazioni intellettuali del rinascimento. Il giovane Galileo, essendo figlio di un padre che era ad un tempo musicista e matematico, deve essere stato specialmente sensibile a queste nuove correnti e preparato ad accoglierne le innovazioni. E poiché i suoi rispettabilissimi maestri non erano aperti a queste innovazioni, lesse direttamente in “questo immenso libro che la natura tiene aperto davanti a coloro che hanno occhi nella loro fronte e cervelli”.
E così fece la prima scoperta, secondo Vincenzo Viviani (1622-1703) che fu il suo allievo più devoto e il suo primo biografo. Ma nel riferire gli episodi della vita del suo maestro, Viviani che incontrò Galileo soltanto quando questi era molto avanti negli anni, spesso li abbellì; e così può aver fatto nel scrivere la prima scoperta fatta dal suo vecchio maestro quando era un giovane studente. La storia della scoperta ha tuttavia un significato importante.

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  1. niccolai gabriele

    ricerche scientifiche sperimentali