San Tommaso d'Aquino

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Testo

SAN TOMMASO D'AQUINO
L’EPOCA DELLA SCOLASTICA
Per mezzo della dialettica, nel secolo XI, si riprende l’opera di elaborazione razionale della fede, già trattato dalla Patristica ed iniziato dalla filosofia delle scuole monastiche e della Scolastica. Questa filosofia viene elaborata e insegnata nelle Scholae.
La Patristica aveva individuato la filosofia come sapientia christiana; la cultura delle Arti liberali diviene propedeutica per il tramite della filosofia alla fede.
Scuole monastiche e scuole episcopali si specializzano negli studi superiori, divenendo centri di produzione e di cultura. Il curricolo prevede le sette Arti liberali, la filosofia e la vera sapientia christiana, la teologia. Ciascuna scuola tende ad accentuare aspetti specifici del curricolo secondo la propria tradizione interna.
Si apre una serrata polemica sul ruolo della dialettica nella teologia, esplicitata nel rapporto tra Fede e Ragione. I pensieri dei due schieramenti sono parte caratterizzante della Scolastica. La Scolastica si pone il problema di guidare la persona alla comprensione della Verità rivelata. Sul piano culturale si mira all’unità del sapere e si cercherà una conciliazione tra Fede e Ragione che rispetti i diritti della Ragione.
Parallelo alla Scolastica, vi è il diffondersi e l’organizzarsi di un sistema educativo laico, in cui la società medievale colloca quei valori che oltrepassano la pedagogia religiosa. Nell’educazione del Basso Medioevo emergono contesti di scolarizzazione che anticipano la modernità accanto a modelli educativi coerenti con la tradizione tardo antica, mentre la riflessione pedagogica cerca di fronteggiare l’evoluzione sociale e culturale con soluzioni che garantiscano la continuità della sapientia christiana e della sua visione dell’uomo e dell’apprendimento.
TOMMASO D’AQUINO
Tommaso d’Aquino nacque nella famiglia dei conti di Aquino, da Landolfo e Teodora, verso il 1225. Da giovanissimo fu affidato ai monaci benedettini di Montecassino, dove ricevette la prima educazione. Verso i 18 anni, Tommaso decise di entrare nell'ordine dei Domenicani e, nonostante le forti resistenze da parte della famiglia, resistette e scelse la sua vocazione. nel 1252, viene nominato baccalaureus biblicus a Parigi. Inizia una carriera universitaria e diverrà teologo e magister presso la Curia papale.
Tutta la vita di Tommaso fu spesa nello studio e nella contemplazione ed egli morì a neppure cinquant'anni, nel 1274, dopo aver lasciato moltissimi scritti, tra cui le Quaestiones Disputatae de Veritate, la Summa contra gentiles e la Summa theologiae.
Tommaso fu forse il pensatore più importante del Medioevo e la sua influenza, nell’ambito della Chiesa cattolica, è tuttora fondamentale. Tutta la sua vita fu spesa nell’attività intellettuale e la sua stessa vita mistica la sua ricerca instancabile di Dio. San Tommaso, domenicano e aristotelico, fu, insieme a Sant’Agostino, uno dei più grandi pensatori; come Agostino, anche Tommaso riassume il pensiero cristiano nel Summae theologiae, una specie di enciclopedia di tutto il sapere.
San Tommaso fu il massimo esponente della Scolastica e fu colui che fondò la filosofia cristiana.
Come esempio per la filosofia cristiana, prese la filosofia aristotelica, anche se Aristotele era ateo, e non quella Platonica. Obiettivo di Tommaso è trovare il punto di equilibrio tra la religione cristiana e la neo scoperta filosofia aristotelica. Lo vuole fare per due motivi:
o introdurre il pensiero platonico – agostiniano nella religione cristiana, senza procurare uno scontro, ma in modo attento, mutando quello che è il significato originario delle posizioni agostiniane;
o accordare il razionalismo aristotelico con il cristianesimo.
IL RAPPORTO TRA FEDE E RAGIONE
San Tommaso affrontò il problema tra il pensiero Aristotelico e quello Cristiano: si era sempre pensato che il rapporto tra fede e ragione non poteva esistere perché la ragione aveva come contenuto l'immanente.
San Tommaso cerca di realizzare un incontro tra Aristotelismo e Cristianesimo all’interno della tradizione intellettualista dell’ordine domenicano e della ratio dialettica delle università. Vi sono due tradizioni filosofiche e pedagogiche con le quali Tommaso si deve confrontare:
o Agostinismo: difensore del valore dell’interiorità e svalutatore delle possibilità conoscitive della ragione;
o Aristotelismo non cristiano: svaluta l’individualità come motore di conoscenza.
La soluzione di S. Tommaso è quella di accordare Aristotele e la tradizione cristiana, secondo le linee teoriche che si trovano esposte nella sua pedagogia.
Al contrario di Agostino, Tommaso, non unisce fede e ragione ma le divide. Per Agostino, la ragione aiuta a comprendere la fede; Tommaso divide fede e ragione come cose naturali da cose soprannaturali.
Al contrario di Agostino, sostiene che, per quanto la fede possa essere più importante della ragione, questa non viene schiacciata o messa da parte. Per conoscere Dio, che supera la comprensione della ragione, non basta la sola ricerca filosofica, ma occorre che Dio stesso intervenga e si riveli in un linguaggio accessibile all’uomo. La Rivelazione, e dunque la fede cristiana, non annulla né rende inutile la ragione. Inoltre, le verità scoperte dalla ragione non possono venire in contrasto con le verità rivelate giacché entrambe procedono da Dio, che è luce e verità somma. Qualora apparisse un contrasto, è solo perché si tratta di conclusioni false o non necessarie o non si è indagato a sufficienza. La ragione può essere d’aiuto alla fede in tre modi:
o dimostrando i preamboli della fede cioè quelle verità la cui dimostrazione è necessaria alla fede stessa: bisogna avere la dimostrazione che Dio esiste e questa ci può venire data solo dalla conoscenza delle cose sensibili;
o chiarire, mediante similitudini, le verità della fede;
o controbattere alle obiezioni che si possono fare alla fede dimostrando che sono false.
Tommaso sostiene, inoltre, che la filosofia non può essere in contrasto con la fede, in quanto la filosofia nasce dall’intelletto dell’uomo, che è, a sua volta, frutto della creazione divina, e non può entrare in contrasto con essa. Se lo fa è solo causa di un errato ragionamento.
La ragione non può capire, realizzare pienamente la grandezza di Dio in quanto, per tale, compito è necessaria la fede.
IL PROBLEMA DELL'ESISTENZA DI DIO
Anche se Dio è il primo nell’ordine degli esseri, non è però primo nell’ordine delle conoscenze umane, le quali iniziano dai sensi, mentre Dio è invisibile. È, dunque, indispensabile dimostrare che Dio esiste pur essendo invisibile, partendo dagli effetti, dalle creature, dal mondo visibile e mostrando come essi non siano spiegabili se non rifacendosi a Dio. Le prove dell’esistenza di Dio devono essere, perciò, a posteriori, cioè a partire dalla nostra esperienza del mondo, e non a priori.
Per dimostrare l’esistenza di Dio, vi sono prove di due tipi:
o a priori: parte da ciò che ha una priorità logica, che è primo in sé, per arrivare a ciò che è primo per noi;
o A posteriori: parte dagli effetti per risalire alla causa.
Tommaso preferisce il secondo metodo, in quando sostiene che le prove a priori possano valere solo per chi crede già e non per chi deve credere. Per la dimostrazione dell'esistenza di Dio, Tommaso non accetta l'argomento a priori di Sant'Anselmo. Tale dimostrazione deve, invece, basarsi su argomentazioni puramente filosofiche, che non facciano, in alcun modo, appello alla pre – esistenza della fede: bisogna cercare argomentazioni razionali e non dogmatiche. Le argomentazioni di cui si serve sono cinque, e procedono tutte quante a posteriori, poiché partono cioè dall'esistenza del mondo per dimostrare l'esistenza di Dio. Il loro carattere aristotelico è evidente.
Le prove a contingentia mundi sono prove che cercano qualche elemento precario nel mondo col fine di risalire a Dio. Il mondo non si spiega da solo, ma ha bisogno di un essere superiore che lo spieghi. Tommaso utilizza cinque vie di dimostrazione, che partono dall’effetto per risalire alla causa:
o a partire dal moto: tutto ciò che si muove è mosso da altro; se tutto ciò che è mosso, a sua volta, si muove, bisogna che anch’esso sia mosso da un’altra cosa e questa da un’altra ancora. Ma non è possibile andare all’infinito, altrimenti non vi sarebbe un primo motore e neppure gli altri muoverebbero: infatti, il processo all’infinito sposta solo il problema e non trova la ragione ultima del mutamento, il processo all’infinito spiegherebbe la trasmissione del moto ma non la prima origine e causa del moto. È necessario arrivare ad un primo motore non mosso da altro, e tutti riconoscono che esso è Dio. Questo moto non è soltanto meccanico e fisico, ma metafisico: dovunque c’è moto e divenire che non basta a se stesso, c’è imperfezione, che non ha in sé la sua spiegazione e richiede quindi l’intervento di Dio.
o a partire dalla nozione di causa efficiente: nel mondo vi è un ordine tra le cause efficienti (che da origine a qualcosa) ma è impossibile che una cosa sia causa efficiente di se stessa, perché altrimenti sarebbe prima di se stessa, il che è assurdo. Anche in questo caso è impossibile un processo all’infinito, dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente che tutti chiamano Dio. Rispetto alla prima via, è della causalità efficiente da cui dipende non solo il divenire ma l’essere delle cose. Dunque, Dio non è solo il principio del divenire ma anche la causa, l’origine suprema di tutto ciò che esiste, che è da Lui conservato e creato, pur senza eliminare l’azione delle cause secondarie.
o a partire dal possibile e dal necessario: vi sono cose che possono essere e non essere; infatti, alcune nascono e finiscono, il che vuol dire che sono possibili, possono essere e non essere. È impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che può non essere un tempo non esisteva. Se tutte le cose possono non essere, in un dato momento non ci fu nulla nella realtà. Però, se questo fosse vero, anche ora non esisterebbe nulla, perché ciò che non esiste non comincia ad esistere se non per qualcosa che già esiste. Dunque, non è vero che tutti gli esseri sono possibili ma bisogna ammettere che nella realtà vi sia anche un essere necessario, e questo tutti dicono Dio. Dal carattere contingente del mondo ricava l'esistenza di un essere assolutamente necessario, che fa essere ciò che è generato; le cose possibili esistono in virtù delle cose necessarie, che hanno, a loro volta, la causa della loro necessità in altro e così via sino ad arrivare a qualcosa che è necessario di per sé e sia la causa della necessità di qualcosa d’altro;
o a partire dai gradi: si trova nelle cose il più e il meno di ogni perfezione, ma vi sarà anche il grado massimo di tali perfezioni e questo chiamiamo Dio. Se gli enti hanno gradi diversi di perfezione, vuol dire che questi gradi non derivano dalle loro essenze, e ciò significa che li hanno ricevuti da un essere che dà senza ricevere, perché è la fonte di ogni perfezione, e cioè Dio. Gli esseri hanno delle qualità che partecipano con un essere superiore che, invece, ha le perfezioni: dall'esistenza di esseri dotati di potenza, intelligenza, bontà, bellezza in gradi diversi ricava l'esistenza di un essere che possieda queste perfezioni in grado sommo;
o la via ex fine: I corpi fisici operano per un fine, come appare dal fatto che operano quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione; donde appare che non a caso, ma per una predisposizione, raggiungono il loro fine. Ciò che è privo di intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente: vi è dunque un essere sommamente intelligente da cui tutte le cose naturali sono ordinate ad un fine, e questo essere chiamiamo Dio. Dalla constatazione di un ordine generale dei fenomeni ricava l'esistenza di una mente ordinatrice; le cose naturali, anche prive di intelligenza, appaiono tutte dirette ad un fine preciso e ciò non sarebbe possibile se non fossero guidate da un essere dotato di intelligenza che è Dio.
Come appare chiaro da queste cinque vie, si ritrovano, nella sua filosofia, le nozioni principali dell'aristotelismo, soprattutto quelle di atto e potenza, forma e materia. Talune risultano, però, alquanto innovate, come quella di materia, che acquista in Tommaso una maggiore positività di quanto non ne avesse in Aristotele: egli la concepisce non come pura potenza, ma come effettiva realtà creata da Dio.
ESSENZA ED ESISTENZA, ANALOGICITÁ E PARTECIPAZIONE
Nel De ente et essentia, Tommaso stabilisce il principio che, riformando la metafisica aristotelica, la rende adatta al cristianesimo. Aristotele divideva l’essere in potenza ed atto: con ciò, voleva affermare che le cose esistono non perché sono create da Dio ma esistono di per sé e devono a Dio solo il divenire da potenza in atto. Per Aristotele, potenza e atto corrispondevano a materia e forma. Secondo Tommaso, invece, l’essenza e l’esistenza stanno tra loro rispettivamente nel rapporto di potenza e atto. Tommaso non accetta questa visione, che entrerebbe in contrasto con la filosofia cristiana, ma introduce i concetti di essere ed essenza.
L’essenza (chiamata anche quiddità o natura) comprende sia la materia che la forma perché comprende tutto ciò che è espresso nella definizione della cosa. Dall’essenza si deve distinguere l’esistenza perché si può comprendere che cosa sia una cosa, ma non è ancora detto che quella cosa esista nella realtà. Dunque, l’essenza e l’esistenza sono distinte e stanno tra loro nel rapporto di potenza e atto. L’essenza è in potenza rispetto all’esistenza, mentre l’esistenza è l’atto dell’essenza. È solo Dio che può creare le cose facendole esistere; è solo Dio che può realizzare il passaggio dalla potenza all’atto, ossia dalla essenza all’esistenza, e dare così origine alle varie creature.
L’essenza è ciò che una cosa è, in un rapporto simile con la potenza; l’essenza è ciò di cui è fatta una cosa, quello che noi conosciamo di essa. L’esistenza risponde, invece, alla domanda se la cosa ci sia o no. L’uomo deve unire l’essenza all’esistenza e, per fare ciò, serve l’intervento di Dio.
San Tommaso incominciò ad affrontare il problema dell'essere e riprese in gran parte la metafisica aristotelica. Egli sostenne che la realtà è formata da essenze attraverso le quali noi riusciamo a indicare ciò che una realtà è; ma questa essenza ha bisogno dell'esistenza, così ogni ente è formato da essenza ed esistenza. L'essenza si può paragonare alla potenza poiché, quando parliamo di essenza, parliamo della possibilità che un ente si realizzi; l'esistenza, quindi, coincide con l’atto, cioè con una realtà attuata.
Per Tommaso, l’ente esiste in virtù di Dio ed è contingente ovvero può esistere e non; un ente può essere:
o logico: tutto ciò che si pensa non è reale e anche un ente può essere frutto del pensiero;
o reale: l’ente che passa dall’essenza all’atto di essere.
L’essere ha caratteri trascendentali:
o unità: ogni ente costituisce un’unità;
o verità ontologica: ogni essere è vero bene ed ogni ente che partecipa al bene è buono.
Inoltre San Tommaso spiegò che ci doveva essere una essenza iniziale che aveva dato origine all'esistenza di tutti gli enti: e questa è Dio, poiché è sostanza prima. Dio è, quindi, pura essenza e invece la natura e tutti gli enti sono essenza ed esistenza.
L'essere reale ha bisogno dell'esistenza, mentre l'essere divino non ha bisogno dell'esistenza poiché è pura essenza.
Dio esiste in quanto la sua esistenza è la sua essenza: non vi è la potenza in Dio, egli è atto puro. Le cose hanno l’essere ma non sono l’essere; mentre le cose non possono essere senza Dio, Dio può essere senza le cose: egli è quindi trascendente le cose. In Dio, l’essenza è uguale all’esistenza. Solo in Dio essenza ed esistenza si identificano. In altre parole, l’essenza di Dio è di esistere: Egli esiste necessariamente, è eterno, è l’unico essere necessario cioè non può non esistere, mentre tutti gli altri esseri dipendono da lui.
Negli angeli, che sono puri spiriti e quindi dotati di sola forma e non di materia, l’essenza è diversa dall’esistenza, in quanto il loro essere è creato e finito e si identifica con la sola forma.
Dio è l’essere, mentre le creature hanno l’essere. Dunque il termine "essere" non è lo stesso quando è riferito a Dio o alle creature. Tra l’essere di Dio e quello delle creature non vi è né identità né assoluta opposizione bensì analogia. Le creature, in quanto esistenti, sono simili a Dio ma Dio non è simile a loro: questo è il principio della analogicità dell’essere. Con l’analogia dell’essere si cerca di creare un rapporto tra l’essere e Dio in tre modi:
o Con l’univocità: sostenendo che l’essere che risiede nelle cose e quello di cui è composto Dio sono al medesimo livello;
o Con l’equivocità: sostenendo l’opposto, anche se questo non aiuterebbe l’uomo a risalire fino a Dio;
o Con l’analogia: trovando una proporzione tra l’essere di Dio e quello delle sue creature.
L’analogia afferma che, mentre le cose hanno l’essere, Dio è l’essere. Dio è l’essere e le creature hanno l’essere solo per partecipazione.
Il suo pensiero è ottimista: se tutto è creatura derivata da Dio, allora tutto è bene. Come Agostino, anche Tommaso afferma che Dio ha creato l’universo non dal nulla, perché altrimenti si dovrebbe ammettere il nulla, il Non Essere; Dio ha sempre creato nella sua mente. I Greci non concepivano questo pensiero, poiché credevano in qualcosa di già preesistente. Anche Tommaso afferma che Dio ha creato il tempo e lo spazio; Dio offre, crea e dà l’Essere, le cose hanno e sono l’Essere.
Le creature hanno doppia costituzione: forma e materia, essenza ed esistenza. Dio è atto puro, non ha potenza perché è già tutto, ha già tutto sviluppato, e non è materia perché questa cambia mentre Lui no.
La creazione è coessenziale a Dio, nella mente, mentre nella realtà il tempo e lo spazio hanno avuto un inizio.
La distinzione fra l’essere creato e l’essere eterno di Dio porta con sé due importanti conseguenze. In primo luogo, permette a Tommaso di salvaguardare l’assoluta trascendenza di Dio nei confronti del creato e delle creature e di evitare ogni forma di panteismo, che identifica Dio col mondo. In secondo luogo, l’analogicità dell’essere rende impossibile un’unica scienza dell’essere: accanto alla filosofia vi è la scienza che riguarda l’essere necessario e cioè la teologia, che è superiore in dignità a tutte le altre scienze, le quali, nei suoi confronti, diventano ancelle della teologia.
LA TRINITA’, L’INCARNAZIONE E LA CREAZIONE DAL NULLA
Le verità fondamentali del cristianesimo, Trinità e Incarnazione, non sono dimostrabili con la semplice ragione, però la ragione può cercare di chiarire in misura sufficiente il loro contenuto, mostrando che quello che rivela la fede non è impossibile.
Per quanto riguarda il dogma della Trinità, la difficoltà è capire come l’unità della sostanza divina si possa conciliare con la trinità delle persone. Tommaso si serve a questo riguardo del concetto di relazione. Le persone divine sono costituite dalla loro relazione di origine: il Padre dalla paternità, cioè dalla relazione col Figlio; il Figlio dalla filiazione o generazione, cioè dal rapporto col Padre; lo Spirito dall’amore, cioè dalla relazione reciproca tra Padre e Figlio. Queste relazioni non sono accidentali in Dio ma reali: sussistono realmente nell’essenza divina. Proprio l’essenza divina, dunque, nella sua unità, implicando le relazioni, implica la diversità delle tre Persone.
Nell’Incarnazione, la difficoltà sta nel comprendere la presenza, nell’unica Persona di Cristo, delle due nature, divina ed umana. L’essenza, o natura divina, è identica con l’essere di Dio: Cristo ha natura divina ed è appunto Dio, sussiste come Dio, come persona divina. Egli è, quindi, una sola persona, quella divina. Data, però, la separabilità di essenza ed esistenza, Cristo, in quanto Dio, ha potuto assumere la natura umana senza essere persona umana. La persona indica una realtà distinta, che sussiste di per sé; la natura o sostanza o essenza indica ciò che è in comune ad individui della stessa specie, che quindi non esiste in sé ma solo nelle "persone" a cui è comune.
Riguardo il problema della creazione dal nulla, Tommaso ritiene che non si possa dimostrare né l’inizio nel tempo né l’eternità del mondo e perciò lascia via libera per credere alla creazione nel tempo. L’essere del mondo viene da Dio: il fiat divino ha dato origine alle cose ma non si inserisce in una successione temporale. E’ un atto creativo che chiama le cose all’essere o, meglio ancora, fa che l’essere sia.
IL PROBLEMA DELL'ANIMA
Per San Tommaso, l'anima è la forma del corpo. La distinzione tra un individuo e l'altro è distinzione tra individui costituiti di anima e corpo, cioè tra uomini completi. San Tommaso non concepisce come essere completo né la sola anima né il solo corpo umano, ma l'unione sostanziale fra i due.
Per giustificare la sopravvivenza dell'uomo al di là della morte, Tommaso inserisce la teoria cristiana della resurrezione della carne: dopo la sua separazione dal corpo, l'anima si troverà in uno stato quasi innaturale, finché non si riunirà nuovamente al corpo con la resurrezione di esso.
Sulla base di questa concezione dell'uomo come unità individuale di anima e corpo, o forma e materia, entrambe create da Dio, San Tommaso costruisce una vasta e complessa filosofia dell'azione, che abbraccia con ordine e sistematicità i più diversi argomenti connessi con l'agire umano: dall'etica generale all'etica speciale, alla cosiddetta filosofia della politica.
IL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA
Ogni conoscenza ha inizio dai sensi; operando sulla conoscenza sensibile, la mente umana, a differenza di quella degli animali, può giungere ad una conoscenza superiore. Questa operazione si compie attraverso l'intelletto, che San Tommaso distingue, come gli Aristotelici, in:
o intelletto agente (attivo);
o intelletto possibile (passivo).
L'intelletto possibile è come una tabula rasa nella quale nulla è scritto ma che possiede in potenza gli intellegibili. Ma, poiché nulla può passare dalla potenza all'atto, se non per opera di un ente già in atto, occorre ammettere una virtù intellettiva capace di rendere in atto gli intellegibili, e questo è appunto l'intelletto attivo.
San Tommaso ammette che l'universale esista innanzitutto in Dio (ante rem), poi entro le stesse cose particolari (in re), e infine nella mente umana (post rem): questi sono i tre stadi dell'universale.
L'astrazione dell'universale dai dati sensibili è possibile perché gli oggetti percepiti dai sensi contengono effettivamente qualcosa di universale, perché Dio è in tutte le cose: l'universalità che noi ricaviamo mediante l'astrazione è qualcosa di nostro, poiché è compiuta dal singolo, ma è anche un concetto; un concetto non arbitrario, perché si fonda sul corrispondente universale in re e, in ultimo, su quello ante rem che sta in Dio. Se fosse privo di questo fondamento non potrebbe costituire una verità: qualunque verità, infatti, è per San Tommaso adeguazione dell'intelletto all'essere, e quindi a Dio. In ogni ordine di conoscenza l'essere è la base del conoscere, non il conoscere la base dell'essere. La matematica stessa trova un fondamento nell'essere: essa è, infatti, sì frutto di astrazione, ma è un frutto cui corrisponde qualcosa di reale.
Conoscendo l'importanza centrale attribuita da San Tommaso all'astrazione, resta da chiederci come egli cerchi di spiegare il funzionamento del processo astrattivo. A tale scopo, va osservato che San Tommaso lo considera come un processo specificatamente umano e perciò inscindibile dalla realtà individuale costituente l'uomo: realtà di corpo e anima, di senso e di intelletto, di esperienza e di pensiero. Entro la complessa operazione conoscitiva, l'intelletto agente rappresenta, a parere di San Tommaso, il momento attivo dell'astrarre, cioè dell'elevarsi al di sopra dei dati particolari della percezione: trattasi però di un'attività inserita nella vita concreta dell'individuo, non di qualcosa di isolato da essa.
Ogni pretesa di separare l'intelletto attivo per farne un secondo essere, superiore all'uomo concreto, un essere la cui attività si svolgerebbe in un altro mondo diverso da quello reale dell'esperienza, costituisce per San Tommaso una vera e propria assurdità.
IL PROBLEMA DELL'ETICA
La Verità ha tre significati per Tommaso:
o verità = essere: l’essere è la condizione fondamentale di possibilità di ogni verità;
o verità = accordo tra essere e intelletto;
o verità = giudizio: in giudizio consegue all’accordo tra essere e intelletto.
La verità, quindi, consiste nell’adeguarsi dell’intelletto alla cosa (adeguatio della mente e della cosa). Si può parlare di verità solo se il fondo della realtà è un essere intelligente.
Se l’intelletto porta all’Essere, la volontà porta al Bene che, in ultima analisi, è Dio. L’uomo desidera sempre Dio, ma molte volte lo colloca nel posto sbagliato nella sua scala di valori.
Per quanto riguarda il libero arbitrio Tommaso è più fiducioso di Agostino, riguardo alla capacità dell’uomo di scegliere il bene. A causa della Grazia di Dio, l’uomo acquista le virtù e le trasforma in abitudini.
Nella prima parte della Summa Theologiae, San Tommaso tratta di Dio come principio di tutte le cose, ma Dio non è solo principio, ma anche fine di tutte le cose.
Vi sono tre tipi di legge:
o divina: Dio guida gli uomini alla beatitudine eterna;
o naturale: serve a preservare la vita ed è comune sia ad uomini che ad animali;
o umana: l’insieme delle norme che regolano la vita degli uomini.
Nell’ambito strettamente politico, il potere deriva da Dio, che è Signore di tutto ciò che esiste. Questo potere è affidato al popolo che lo esercita per fare il bene comune.
Tutte le creature sono rette dall'eterna legge divina, che è tensione verso il bene, ed ogni ente è partecipe di questa legge secondo la propria natura, per cui, nelle creature irragionevoli, la legge divina si manifesta col carattere della necessità e dell'inderogabilità, mentre nelle creature ragionevoli esiste la possibilità di potere veramente accettare o rifiutare il dettato della legge stessa.
Questa espressione del tutto speciale, e cioè la libertà di scelta, che la legge divina assume negli esseri ragionevoli, si chiama legge morale. All'azione morale è essenziale la libertà, e quindi la volontà.
La libertà d'arbitrio, oggetto di tante dispute nell'ambito della filosofia scolastica, consiste nel considerare ogni cosa sotto il punto di vista del bene oppure no.
Secondo San Tommaso, una volta capito dove è il bene, necessariamente l'individuo tende verso di esso. Non spiega però come: il libero arbitrio in San Tommaso è più asserito che dimostrato, e l'argomento più valido a suo favore si riduce all'invito all'introspezione quale via atta a farci constatare la presenza insopprimibile del sentimento di responsabilità. L'uomo ha un'attitudine innata a riconoscere il fondamentale diritto morale: bisogna fare il bene e fuggire il male.
In armonia con Aristotele, San Tommaso insiste sull'importanza delle abitudini, che possono acquistare il peso di una tendenza quasi naturale, ed influire poi sulle scelte volontarie. Acquistando un'abitudine, noi ci assumiamo dunque una pesante responsabilità, in quanto contribuiamo a influenzare, e quasi a determinare, le nostre scelte future. La virtù è quindi una piega permanente che la volontà prende nel compimento del bene.
IL PROBLEMA DELL’INSEGNAMENTO
Nella dottrina tomistica, il rapporto educativo si caratterizza come rapporto di insegnamento, che si inserisce nel problema della ricerca della verità. La Quaestio De Magistro è suddivisa in quattro articoli:
o se l’uomo possa insegnare ed essere detto maestro o se maestro sia solo Dio: è quello fondamentale, diviso in 18 argomenti pro e contro la tesi;
o se uno possa essere maestro di se stesso: nota come l’Avicennismo e l’Agostinismo neghino un’autentica azione educativa tra uomo e uomo;
o se l’uomo possa essere ammaestrato da un angelo;
o se l’insegnante appartenga alla vita attiva o a quella contemplativa.
San Tommaso afferma il carattere di individualità dell’atto di pensiero come esercizio effettivo; la conoscenza è un processo che si svolge per gradi e l’intelletto del soggetto educato possiede la scienza, ma solo in potenza: per trasformarla in atto, c’è bisogno di una mediazione.
Da Dio provengono i principi primi nel nostro animo, ma il loro passaggio dalla potenza all’atto non avviene per mezzo di Dio, ma per mezzo di chi Dio ha creato perché nell’universo producesse, qualcosa. Dio ha creato le cause seconde affinché queste causassero qualcosa.
L’acquisizione del sapere avviene in due modi:
o ad opera dello stesso soggetto educando;
o con l’intervento di un agente esterno, che coadiuva il processo interiore di acquisizione del sapere da parte del soggetto.
San Tommaso nega che un uomo possa essere maestro a se stesso. L’insegnamento è efficace solo se l’educatore possiede in atto tutto ciò che il discepolo possiede solo in potenza.
Il rapporto fra l’insegnamento, la vita attiva e contemplativa dipende dal fine che si devono porre le due specie di vita: quello della vita contemplativa è la considerazione della verità, mentre quello della vita attiva è l’azione con la quale si tende all’utilità del prossimo.
L’azione dell’insegnare partecipa in ugual modo alla vita contemplativa e a quella attiva: alla prima appartiene la materia insegnata e alla seconda l’atto di insegnarla, in quanto ha come fine il bene del prossimo.

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