San Tommaso

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

TOMMASO D’AQUINO

(1225-1274)

S.Tommaso fu forse il pensatore più importante del Medioevo e la sua influenza, nell’ambito della Chiesa cattolica, è tuttora fondamentale. Era un uomo grande e grosso, bruno, un po’ calvo ed aveva l’aria pacifica e mite dello studioso. Per il suo carattere silenzioso lo chiamarono "il bue muto". Tutta la sua vita fu spesa nell’attività intellettuale e la sua stessa vita mistica la sua ricerca instancabile di Dio. Fu canonizzato nel 1323 .
RAGIONE E FEDE
Per conoscere Dio, che supera la comprensione della ragione, non basta la sola ricerca filosofica, ma occorre che Dio stesso intervenga e si riveli in un linguaggio accessibile all’uomo. La Rivelazione – e dunque la fede cristiana – non annulla né rende inutile la ragione. Inoltre le verità scoperte dalla ragione non possono venire in contrasto con le verità rivelate giacché entrambe procedono da Dio, che è luce e verità somma. Qualora apparisse un contrasto, è solo perché si tratta di conclusioni false o non necessarie o non si è indagato a sufficienza. La ragione può essere d’aiuto alla fede in tre modi : 1) dimostrando i preamboli della fede cioè quelle verità la cui dimostrazione è necessaria alla fede stessa (non si può credere in Dio se non si sa se esiste, se è uno o molti ecc., il che può essere fatto dalla ragione); 2) chiarire mediante similitudini le verità della fede, ad es. illustrando in un linguaggio accettabile i misteri della Trinità e dell’Incarnazione; 3) controbattere alle obiezioni che si possono fare alla fede dimostrando che sono false.
ESSENZA ED ESISTENZA, ANALOGICITA’ E PARTECIPAZIONE
Nel De ente et essentia Tommaso stabilisce il principio che, riformando la metafisica aristotelica, la rende "adatta" al cristianesimo : la distinzione reale tra essenza ed esistenza. Per Aristotele, potenza e atto corrispondevano a materia e forma. Secondo Tommaso invece l’essenza e l’esistenza stanno tra loro rispettivamente nel rapporto di potenza e atto. L’essenza (chiamata anche quiddità o natura) comprende sia la materia che la forma perché comprende tutto ciò che è espresso nella definizione della cosa. Per es. l’essenza dell’uomo, definito "animal rationale", comprende sia la materia (animal) che la forma (rationale). Dall’essenza si deve distinguere l’esistenza perché si può comprendere che cosa sia un uomo o l’unicorno o l’araba fenice ma non è ancora detto che quegli esseri esistono nella realtà. Dunque l’essenza e l’esistenza sono distinte e stanno tra loro nel rapporto di potenza e atto. L’essenza è in potenza rispetto all’esistenza, mentre l’esistenza è l’atto dell’essenza. Ecco ora il punto fondamentale : l’unione dell’essenza con l’esistenza, ovvero il passaggio dalla potenza all’atto, ovvero l’individuo reale richiede per Tommaso l’intervento diretto e creativo di Dio. E’ solo Dio che può creare le cose facendole esistere; è solo Dio che può realizzare il passaggio dalla potenza all’atto, ossia dalla essenza all’esistenza, e dare così origine alle varie creature, siano angeli o uomini o animali o piante ecc. Vi sono perciò tre modi in cui l’essenza è nei vari esseri.
In primo luogo, in Dio l’essenza è uguale all’esistenza. Solo in Dio essenza ed esistenza si identificano. In altre parole, l’essenza di Dio è di esistere : Egli esiste necessariamente, è eterno, è l’unico essere necessario cioè non può non esistere, mentre tutti gli altri esseri dipendono da lui.
Negli angeli, che sono puri spiriti e quindi dotati di sola forma e non di materia, l’essenza è diversa dall’esistenza in quanto il loro essere è creato e finito e si identifica con la sola forma.
Infine, negli uomini, negli animali ecc., cioè nelle creature composte di materia e di forma, l’essenza è comunque sempre distinta dall’esistenza ed esistono grazie all’intervento creativo di Dio.
in sintesi, potremmo dire che Dio è l’essere, mentre le creature hanno l’essere. Dunque il termine "essere" non è lo stesso quando è riferito a Dio o alle creature. Tra l’essere di Dio e quello delle creature non vi è né identità né assoluta opposizione bensì analogia. Le creature, in quanto esistenti, sono simili a Dio ma Dio non è simile a loro : ecco il principio della analogicità dell’essere (analogo = simile ma di proporzioni diverse).
In più, le creature hanno l’essere perché viene dato loro da Dio, il quale partecipa (=dona) loro l’esistenza. Così le creature hanno l’essere per partecipazione, mentre Dio è l’essere per essenza.
La distinzione fra l’essere creato e l’essere eterno di Dio porta con sé due importanti conseguenze. In primo luogo permette a Tommaso di salvaguardare l’assoluta trascendenza (superiorità, diversità, alterità, soprannaturalità) di Dio nei confronti del creato e delle creature e di evitare ogni forma di panteismo (che identifica Dio col mondo). In secondo luogo, l’analogicità dell’essere rende impossibile un’unica scienza dell’essere : accanto alla filosofia vi è adesso la scienza che riguarda l’essere necessario e cioè la teologia, la quale è superiore in dignità a tutte le altre scienze, le quali, nei suoi confronti, diventano "ancelle della teologia". Questo concezione porterà, fra l’altro, ad una graduale svalutazione dello studio della natura, che verrà a fatica ripreso solo più tardi, nel Rinascimento e oltre.
LE PROVE DELL’ESISTENZA DI DIO O LE "CINQUE VIE"
Anche se Dio è il primo nell’ordine degli esseri, non è però primo nell’ordine delle conoscenze umane, le quali iniziano dai sensi, mentre Dio è invisibile. E’ dunque indispensabile dimostrare che Dio esiste pur essendo invisibile, partendo allora dagli effetti, dalle creature, dal mondo visibile e mostrando come essi non siano spiegabili se non rifacendosi a Dio. Le prove dell’esistenza di Dio devono essere perciò a posteriori cioè a partire dalla nostra esperienza del mondo e non a priori ( che parte dal concetto di Dio per dedurne l’esistenza, come l’argomento ontologico di S. Anselmo, che Tommaso rifiuta per motivi che vedremo più avanti).
Tommaso elabora così "cinque vie" per giungere a dimostrare che Dio esiste.
La prima via è quella del moto, ed è desunta da Aristotele. Essa parte dal principio che tutto ciò che si muove è mosso da altro. Ora, se tutto ciò che è mosso a sua volta si muove, bisogna che anch’esso sia mosso da un’altra cosa e questa da un’altra ancora. Ma non è possibile andare all’infinito altrimenti non vi sarebbe un primo motore e neppure gli altri muoverebbero : infatti il processo all’infinito sposta solo il problema e non trova la ragione ultima del mutamento (in altri termini, il processo all’infinito spiegherebbe la trasmissione del moto ma non la prima origine e causa del moto). E’ dunque necessario arrivare ad un primo motore non mosso da altro, e "tutti riconoscono che esso è Dio". Da notare che questo moto non è soltanto meccanico e fisico ma metafisico : dovunque c’è moto e quindi divenire che non basta a se stesso, c’è imperfezione che non ha in sé la sua spiegazione e richiede quindi l’intervento di Dio.
La seconda via è quella causale. Nel mondo vi è un ordine tra le cause efficienti (causa efficiente è ciò che da origine a qualcosa) ma è impossibile che una cosa sia causa efficiente di se stessa, perché altrimenti sarebbe prima di se stessa, il che è assurdo. Anche in questo caso è impossibile un processo all’infinito, dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente "che tutti chiamano Dio". Rispetto alla prima via, qui si tratta della causalità efficiente, da cui dipende non solo il divenire ma l’essere delle cose. Dunque Dio non è solo il principio del divenire ma anche la causa, l’origine suprema di tutto ciò che esiste, che è da Lui conservato e creato,pur senza eliminare l’azione delle cause secondarie.
La terza via è basata sul rapporto tra il possibile e il necessario. Vi sono cose che possono essere e non essere : infatti alcune nascono e finiscono, il che vuol dire appunto che sono possibili, possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che può non essere un tempo non esisteva. Se dunque tutte le cose possono non essere, in un dato momento non ci fu nulla nella realtà. Però, se questo fosse vero, anche ora non esisterebbe nulla, perché ciò che non esiste non comincia ad esistere se non per qualcosa che già esiste. Dunque non è vero che tutti gli esseri sono possibili ma bisogna ammettere che nella realtà vi sia anche un essere necessario, "e questo tutti dicono Dio".
La quarta via è quella dei gradi di perfezione. Si trova nelle cose il più e il meno di ogni perfezione, cioè di bene, vero, bello ecc. Vi sarà dunque anche il grado massimo di tali perfezioni e "questo chiamiamo Dio". In altri termini, se gli enti hanno gradi diversi di perfezione, vuol dire che questi gradi non derivano dalle loro essenze, e dunque significa che li hanno ricevuti da un essere che dà senza ricevere, perché è la fonte di ogni perfezione, e cioè Dio.
La quinta via è quella desunta dal governo delle cose. I corpi fisici (pianeti, stelle ecc.) operano per un fine, come appare dal fatto che operano quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione; donde appare che non a caso, ma per una predisposizione, raggiungono il loro fine. Ora, ciò che è privo di intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia viene scoccata dall’arciere. Vi è dunque un essere sommamente intelligente da cui tutte le cose naturali sono ordinate ad un fine, "e questo essere chiamiamo Dio".
LA TRINITA’,L’INCARNAZIONE E LA CREAZIONE DAL NULLA
Le verità fondamentali del cristianesimo – Trinità e Incarnazione – non sono dimostrabili con la semplice ragione però la ragione può cercare di chiarire in misura sufficiente il loro contenuto, mostrando che quello che rivela la fede non è impossibile.
Per quanto riguarda il dogma della Trinità, la difficoltà è capire come l’unità della sostanza divina si possa conciliare con la trinità delle persone. Tommaso si serve a questo riguardo del concetto di relazione. Le persone divine sono costituite dalla loro relazione di origine : il Padre dalla paternità, cioè dalla relazione col Figlio; il Figlio dalla filiazione o generazione, cioè dal rapporto col Padre; lo Spirito dall’amore, cioè dalla relazione reciproca tra Padre e Figlio. Queste relazioni non sono accidentali in Dio (non vi può essere nulla di accidentale in Dio) ma reali : sussistono realmente nella essenza divina. Proprio l’essenza divina, dunque, nella sua unità, implicando le relazioni, implica la diversità delle tre Persone.
Nell’Incarnazione, la difficoltà sta nel comprendere la presenza, nell’unica Persona di Cristo, delle due nature, divina ed umana. Ora, l’essenza o natura divina è identica con l’essere di Dio : Cristo ha natura divina ed è appunto Dio, sussiste come Dio, come persona divina. Egli è quindi una sola persona, quella divina. Data però la separabilità di essenza ed esistenza, Cristo, in quanto Dio, ha potuto benissimo assumere la natura umana (cioè l’anima razionale ed il corpo) senza essere "persona" umana. Si ricordi, a questo riguardo, il significato dei termini "persona" e "natura". La "persona" indica una realtà distinta, che sussiste di per sé; la "natura" o "sostanza" o "essenza" indica ciò che è in comune ad individui della stessa specie, che quindi non esiste in sé ma solo nelle "persone" a cui è comune.
Riguardo poi il problema della creazione dal nulla, Tommaso ritiene che non si possa dimostrare né l’inizio nel tempo né l’eternità del mondo e perciò lascia via libera per credere alla creazione nel tempo. L’essere del mondo viene da Dio : il fiat divino ha dato origine alle cose ma non si inserisce in una successione temporale. E’ un atto creativo che chiama le cose all’essere o, meglio ancora, fa che l’essere sia.
APPENDICE
S.ANSELMO E L’ARGOMENTO ONTOLOGICO

S. Anselmo
Anselmo (1033-1109) nacque ad Aosta, fu abate del monastero di Bec in Normandia e poi arcivescovo di Canterbury dal 1093 fino alla morte. La sua fama è legata all’argomento ontologico o prova ontologica per dimostrare l’esistenza di Dio, che egli espone in un’opera intitolata Proslogion.
Anselmo vuole dimostrare l’esistenza di Dio partendo dal solo concetto di Dio. Anche l’insipiente che dice che Dio non esiste ha però – secondo Anselmo – un concetto di Dio, visto che è impossibile negare la realtà di qualcosa che non si pensa neppure. E qual è il concetto di Dio ? E’ quello di un essere di cui non si può pensare nulla di maggiore. Se è così definito, allora Dio non può esistere solo nell’intelletto, nel pensiero, ma deve esistere anche nella realtà, in caso contrario si potrebbe sempre pensare che esista qualcosa più grande di Dio, il che è contraddittorio. L’argomento si fonda sul presupposto che ciò che esiste nella realtà sia maggiore, cioè più perfetto, di ciò che esiste nel solo intelletto.
Gaulinone, nel Liber pro insipiente replicò ad Anselmo che, anche se si ha il concetto di Dio come dell’essere perfettissimo, dal concetto non si può dedurre l’esistenza di Dio, così come dal concetto di un’isola perfetta non si può dedurre la sua effettiva realtà.
Anselmo, col Liber apologeticus, rispose a Gaulinone dicendo che la perfezione dell’isola non è la stessa perfezione di Dio; solo nel caso di Dio si può dire che è perfettissimo e quindi solo di Lui si può dire che esiste necessariamente.
Molti anni dopo, anche S. Tommaso contestò l’argomento di S. Anselmo. Egli disse che l’argomento è valido solo se si presuppone già che l’essere perfettissimo esiste. Il problema non è di sapere se l’essere perfettissimo, in quanto tale, non possa fare a meno di esistere, ma di sapere se esso realmente esiste. In altri termini, è ovvio che, se si fosse già in Paradiso, si capirebbe che Dio non può non esistere; il problema è però sapere se esistano Dio e il Paradiso. Chi ha fede – dice ancora Tommaso – può ammettere che Dio è perfettissimo, ma c’è anche chi sostiene che Dio sia materia o corpo, ed ha quindi un concetto diverso di Dio. Inoltre non ne consegue che da un concetto se ne possa dedurre l’esistenza nella realtà : l’essenza di Dio rimane comunque inaccessibile alla ragione umana.
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA
Tommaso nacque nella famiglia dei conti di Aquino da Landolfo e Teodora verso il 1225. Da giovanissimo fu affidato ai monaci benedettini di Montecassino, dove ricevette la prima educazione. Verso i 18 anni Tommaso decise di entrare nell'ordine dei Domenicani e, nonostante le forti resistenze da parte della famiglia, resistette e scelse la sua vocazione. Tutta la vita di Tommaso fu spesa nello studio e nella contemplazione ed egli morì a neppure cinquant'anni, nel 1274, dopo aver lasciato moltissimi scritti. Fra essi ricordiamo : De ente et essentia, Summa contra Gentiles e Summa theologiae.

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